Sentenza N. 123 del 1966
Corte Costituzionale
Data generale
19/12/1966
Data deposito/pubblicazione
19/12/1966
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1966
NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
19 gennaio 1955, n. 25 (disciplina dell’apprendistato), promosso con
ordinanza emessa il 7 aprile 1965 dal Tribunale di Caltanissetta nel
procedimento civile vertente tra Palmeri Agostino contro l’Istituto
nazionale della previdenza sociale e l’Istituto nazionale assicurazioni
contro le malattie, iscritta al n. 157 del Registro ordinanze 1965 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 216 del 28
agosto 1965.
Visti gli atti di costituzione dell’I.N.P.S. e dell’I.N.A.M. e
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 23 novembre 1966 la relazione del
Giudice Nicola Jaeger;
uditi l’avv. Guido Nardone, per l’I.N.P.S., l’avv. Arturo Carlo
Jemolo, per l’I.N.A.M., ed il sostituto avvocato generale dello Stato
Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con atti di citazione, notificati rispettivamente il 3 gennaio
ed il 21 aprile 1964, l’imprenditore Agostino Palmeri, titolare di un
laboratorio di falegnameria in Caltanissetta, faceva opposizione
davanti al tribunale competente contro due decreti di ingiunzione,
rispettivamente a favore dell’Istituto nazionale della previdenza
sociale e dell’Istituto nazionale assicurazioni contro le malattie, per
contributi previdenziali e assicurativi da lui omessi relativamente al
lavoratore Anzalone Antonio, iscritto nel libro-matricola
dell’imprenditore con la qualifica di “apprendista”.
A parere dei due Istituti assistenziali tale qualifica non avrebbe
potuto essere riconosciuta all’Anzalone, perché assunto dopo il
compimento del ventesimo anno di età, mentre l’art. 6 della legge 19
gennaio 1955, n. 25, sulla disciplina dell’apprendistato, dispone che
“possono essere assunti come apprendisti i giovani di età non
inferiore ai quattordici anni e non superiore ai venti, salvo la
limitazione di età, i divieti e le limitazioni di occupazione previsti
dalla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli”.
L’attore obbiettava però che questa norma avrebbe dovuto essere
dichiarata affetta da illegittimità costituzionale, in riferimento
all’art. 35 della Costituzione, che prevede “la tutela del lavoro in
tutte le sue forme ed applicazioni” e la cura della “formazione ed
elevazione professionale dei lavoratori”, senza porre alcuna
limitazione in ordine all’età.
I due procedimenti furono riuniti e rimessi al Collegio, che
sospendeva il giudizio e disponeva la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale, per la risoluzione della questione di
legittimità costituzionale concernente la norma contenuta nell’art. 6
della legge 19 gennaio 1955, n. 25.
Nella ordinanza di rimessione il Tribunale ha esposto ampiamente i
precedenti della disciplina giuridica della materia ed insistito sul
punto che la limitazione ad anni venti per l’assunzione del lavoratore
in qualità di apprendista, introdotta per la prima volta con la norma
in discussione, importerebbe gravi conseguenze, che sembrerebbero in
contrasto con la norma costituzionale (art. 35).
Osserva il giudice di merito che il giovane il quale, dopo il
compimento degli anni venti, voglia dedicarsi ad un mestiere o che
voglia comunque cambiare quello in atto esercitato – caso reso
frequente dalla attuale evoluzione economica, del Paese, per cui
determinati settori industriali vengono a trovarsi in continuo
progresso con conseguente continua necessità di disporre di mano
d’opera specializzata, al posto di altri in fase di regresso e quindi
non in grado di mantenere gli stessi livelli di occupazione operaia –
non potrà: a) essere assunto quale apprendista e quindi avere
impartito l’insegnamento necessario che gli possa far conseguire “la
capacità per diventare lavoratore qualificato” (art. 11 citata legge);
b) ricevere una formazione professionale da attuarsi con
l’addestramento pratico e l’insegnamento complementare (art. 16); c)
essere ammesso a frequentare i corsi di insegnamento complementare
(art. 17); d) sostenere, infine, le prove di idoneità ed ottenere la
relativa qualifica (art. 18).
Per contrario colui che a venti anni abbia già iniziato il periodo
di apprendistato potrà continuare, con tale qualifica, fino a 25 anni,
dato che la durata massima dell’apprendistato non può superare i
cinque anni (art. 7).
Questa disparità di trattamento, a seconda che il periodo di
apprendistato sia stato o meno iniziato entro il ventesimo anno di
età, sembra limitare la libertà del lavoratore di qualificarsi nel
campo che meglio ritenga confacente con le sue attitudini; cagionarne
la disoccupazione, se il settore per il quale è qualificato ha esubero
di lavoratori pur essendovi richieste in altri settori, o dovrà lo
stesso collocarsi in tali altri settori, come generico; se non ha già
una qualificazione, gli impedisce di raggiungerla costringendolo a
rimanere nel settore della manovalanza generica, della quale vi è
sovrabbondanza e poca richiesta, necessitando, lo sviluppo delle
attività produttive, di operai specializzati e competenti nelle
mansioni da svolgere.
L’argomentazione contraria avanzata dalla difesa degli Istituti
opposti, secondo la quale la limitazione di cui si è detto sarebbe
conforme al dettato costituzionale in quanto dettata a tutela del
lavoratore, al fine di impedire un eventuale comportamento fraudolento
del datore di lavoro che potrebbe così denunciare come apprendisti
anche lavoratori qualificati al fine di sottrarsi al pagamento dei
contributi assicurativi e previdenziali dovuti per i non apprendisti,
non sembra decisiva.
Di vero, una siffatta fraudolenta simulazione non potrebbe in ogni
caso aver luogo in quanto, per il disposto di cui all’articolo 18 della
citata legge 1955 n. 25, la qualifica ottenuta dopo i due anni di
addestramento pratico o al termine del periodo di apprendistato, deve
essere annotata sul libretto individuale, per cui potrà essere
facilmente riscontrata dai competenti organi esercenti la sorveglianza
sui rapporti di lavoro.
2. – Nel presente giudizio si sono costituiti entro i termini di
legge i due Istituti: della Previdenza Sociale (deduzioni depositate il
28 giugno 1965) e della Assicurazione contro le malattie (deduzioni
depositate il 3 settembre 1965 e memoria depositata il 25 ottobre
1966), ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato (atto depositato il
15 settembre 1965). Non vi è stato intervento della parte privata.
Così gli argomenti dei due Istituti previdenziali come quelli
dell’Avvocatura dello Stato si concludono nella richiesta che la Corte
dichiari la infondatezza della questione sollevata dal giudice di
merito; la difesa dell’I.N.P.S. chiede anzi che la sentenza dichiari la
manifesta infondatezza della questione.
L’Istituto della previdenza sociale insiste particolarmente sul
punto della rispondenza della norma denunciata ai principi espressi
nell’art. 37 della Costituzione per la tutela del lavoro dei minori.
Fa presente che nel rapporto di apprendistato è obbligo essenziale
dell’imprenditore quello di provvedere all’addestramento
dell’apprendista e di collaborare alle iniziative dirette a completare
la sua istruzione professionale; ma soggiunge che la legge predispone
anche i rimedi per impedire che – sotto il pretesto dell’apprendistato
– si instaurino veri rapporti ordinari di lavoro subordinato in
condizioni di sfruttamento, onde ne deriva una sufficiente garanzia a
favore dei lavoratori maturi, per i quali la legge e la Costituzione
non prevedono l’estensione delle misure dettate a favore dei minori.
Tali lavoratori possono del resto anche essi apprendere un mestiere
diverso da quello già esercitato, ma con altri mezzi e ben altro
trattamento di quelli previsti per i minori di venti anni.
L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie pone
anzitutto in rilievo nelle proprie deduzioni il pericolo, confermato
dalla citazione di numerose sentenze del Tribunale di Roma e della
Corte di cassazione, che non pochi datori di lavoro facciano di tutto
per mantenere nella qualifica di apprendista anche chi dovrebbe essere
considerato e trattato come operaio maturo o addirittura provetto. In
quanto ai limiti di età e di durata fissati dagli artt. 6 e 7 della
legge in esame, la difesa dell’I.N.A.M. osserva che per i lavoratori
adulti, che ambiscano a specializzarsi, esistono istituti appositi,
preferibili ad un apprendistato da compiere a contatto con compagni
più giovani e già provetti. Questi argomenti sono stati ribaditi
nella successiva memoria della difesa dell’Ente, nella quale si pone in
risalto anche maggiore la funzione assegnata alle norme in discussione.
Infine l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce le conclusioni
dei due Istituti nel proprio atto di intervento, con altre osservazioni
desunte dai testi dell’art. 35 della Costituzione e della legge 29
aprile 1949, n. 264, che vi dette la prima attuazione di carattere
generale. Vi aggiunge l’osservazione che l’apprendistato può
riguardare soltanto le giovani leve del lavoro anche perché queste non
hanno normalmente una famiglia a carico e possono quindi accontentarsi
di una retribuzione molto più limitata e che, del resto, tutto il
sistema della legge e le singole disposizioni concernenti: l’apposito
comitato presso la commissione centrale dell’avviamento al lavoro, la
visita sanitaria e l’esame psicofisiologico, la maggiore limitazione
della durata del lavoro, il divieto del lavoro notturno, le ferie più
estese, l’esclusione di lavori faticosi ed infine l’obbligo del datore
di lavoro di informare la famiglia dell’apprendista sui risultati ed i
progressi di questo, hanno ragione di essere proprio e soltanto in
relazione all’età giovanile degli apprendisti.
Anche l’Avvocatura generale conclude pertanto perché la Corte
voglia dichiarare la infondatezza della denunciata questione di
illegittimità costituzionale.
Nell’udienza pubblica del 23 novembre 1966 le parti costituite
hanno confermato le tesi già svolte negli scritti difensivi.
Le osservazioni e le conseguenti deduzioni esposte nella ordinanza
del Tribunale di Caltanissetta, che ha ritenuto in contrasto con la
norma dell’art. 35 della Costituzione la limitazione ad anni venti per
l’assunzione dei lavoratori con la qualifica di apprendisti, non
possono essere condivise dalla Corte.
Esse sono infatti in netto contrasto con la natura e la funzione
dell’apprendistato, che è stato sempre ed ovunque concepito come il
metodo più adeguato per avviare alla occupazione i giovani, aspiranti
ad imparare un’arte od un mestiere, sul luogo stesso del lavoro e sotto
la guida dell’imprenditore e l’esempio dei compagni più anziani e
provetti.
L’abolizione di ogni limite di età in relazione a tale qualifica
avrebbe effetti del tutto negativi, sia nei riguardi dell’ordine, della
disciplina e del rendimento del lavoro, sia rispetto ai rapporti fra le
maestranze, basati necessariamente sulla osservanza di una gerarchia a
carattere tecnico, in funzione della esperienza acquisita.
È pertanto comprensibile e giustificata la decisione del
legislatore di stabilire i limiti di età, tanto per la assunzione
della qualità di apprendista quanto per la cessazione di essa: il
limite minimo, – di quattordici anni – è in correlazione con le norme
che regolano l’istruzione obbligatoria e con la necessità che
l’aspirante abbia raggiunto un certo grado di sviluppo fisico ed
intellettuale; il limite massimo – di venti anni – trova
giustificazione nella scarsa probabilità di successo di soggetti, i
quali siano giunti a quella età senza avere svolto alcuna attività
lavorativa e raggiunto una certa esperienza.
D’altro lato, l’aspirazione, più che legittima, di lavoratori che
abbiano superato quel limite di età senza avere ottenuto alcuna
qualificazione professionale, di conseguirla successivamente, può e
deve essere soddisfatta in altri modi, come quelli descritti dagli
Istituti assistenziali costituiti nel presente giudizio, che dovranno
però essere potenziati e diffusi, anche per evitare il pericolo,
segnalato dagli Istituti stessi, che la qualifica di apprendista possa
essere attribuita a lavoratori maggiorenni ed eventualmente anche
esperti al solo scopo di corrispondere loro un salario inferiore a
quello dovuto, eludendo le norme contenute nelle leggi o nei contratti
collettivi.
La questione sottoposta all’esame della Corte non può essere
perciò considerata fondata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con ordinanza del
Tribunale di Caltanissetta in data 7 aprile 1965, sulla legittimità
costituzionale dell’art. 6 della legge 19 gennaio 1955, n. 25
(disciplina dell’apprendistato), in riferimento all’art. 35 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, 13 dicembre 1966.
ANTONINO PAPALDO – NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI.