Sentenza N. 123 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
09/12/1968
Data deposito/pubblicazione
09/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
dall’Assemblea regionale siciliana il 30 marzo 1967, concernente
“Integrazione del ruolo unico ad esaurimento per i servizi periferici
dell’Amministrazione regionale, istituito con legge 20 agosto 1962, n.
23”, promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione
siciliana notificato il 7 aprile 1967, depositato in cancelleria il 17
successivo ed iscritto al n. 11 del Registro ricorsi 1967.
Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 9 ottobre 1968 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
uditi il sostituito avvocato generale dello Stato Francesco Agrò,
per il Commissario dello Stato, e l’avv. Enzo Silvestri, per la
Regione siciliana.
1. – Il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, il 7
aprile 1967, notificava ricorso avverso la legge approvata
dall’Assemblea della stessa Regione il 30 marzo 1967, concernente
integrazione del ruolo unico ad esaurimento dei servizi periferici
dell’Amministrazione regionale, istituito con legge 20 agosto 1962, n.
23. Veniva rilevata la lesione dell’art. 97 della Costituzione, sotto
il riflesso che la legge non era rivolta a provvedere ad effettive
esigenze dell’Amministrazione ma solo ad incrementare gli organici, per
favorire l’immissione in essi di personale illegittimamente assunto e
di personale licenziato da molto tempo; e quindi financo senza il fine
di salvaguardare posizioni personali acquisite con servizio
continuativo. Si osservava inoltre che l’art. 7 della legge, disponendo
l’inquadramento di personale che “è stato adibito… in mansioni non
salariali da data anteriore al 31 luglio 1963”, sembra autorizzi a
sistemare in ruolo personale che potrebbe non essere più in servizio.
Veniva anche prospettata l’infrazione dell ‘art. 81 della Costituzione,
perché l’art. 10 della legge si limita ad assicurare la copertura
della spesa autorizzata soltanto per il secondo semestre del 1967 e
perché, non essendo precisata la consistenza del personale da
inquadrare ex art. 7, non è possibile accertare l’idoneità della
copertura della spesa prevista dall’art. 11: essa, peraltro, pur
trattandosi di spesa corrente, verrebbe fronteggiata per 40 milioni
mediante riduzione del cap. 360 iscritto in conto capitale.
Del ricorso veniva fatta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica del 29 aprile 1967 n. 109 e nella Gazzetta Ufficiale
della Regione siciliana del 13 maggio 1967 n. 22.
Si costituivano tanto il Presidente della Regione siciliana quanto
il Commissario dello Stato.
2. – La Regione, con le sue deduzioni depositate il 3 maggio 1967,
opponeva che l’immissione di un certo numero di dipendenti in un ruolo
già esistente non viola il principio di buon andamento e di
funzionalità dell’Amministrazione e che comunque una valutazione
dell’effettiva esigenza di questa investe il merito della
discrezionalità legislativa: il personale immesso in ruolo può essere
utilizzato presso qualsiasi ufficio regionale, e non è sostenibile che
la sua sistemazione non risponda ad un’effettiva esigenza
dell’Amministrazione, sol perché il ruolo è ad esaurimento. I
requisiti prescritti per l’immissione nei quadri vengono di volta in
volta stabiliti prendendo in considerazione situazioni meritevoli di
protezione, e sono ampiamente discrezionali entro i limiti fissati
dall’art. 97 della Costituzione; cosicché è inammissibile la censura
proposta relativamente all’art. 7, il quale ha richiamato una norma
statale, limitandosi soltanto a prorogare la data del 19 luglio 1960 al
31 luglio 1963, e deve perciò intendersi così come si intende la norma
statale.
Secondo la Regione, l’art. 81 è rispettato perché la copertura
della spesa per l’anno in corso è assicurata mercé la sua imputazione
a capitoli di bilancio che hanno la necessaria disponibilità, e
perché, quanto all’art. 7, la relazione alla legge precisa che esso
concerne circa 170 unità. Per gli esercizi futuri si fa rinvio agli
appositi stanziamenti di bilancio, tenendo conto che si tratta di spese
obbligatorie e utilizzando, ove necessario, parte dell’incremento del
gettito dell’imposta di ricchezza mobile; che è previsto nell’arco di
tre miliardi annui.
3. – Il Commissario dello Stato, nelle note presentate il 24
febbraio 1968, ribadiva che la legge non provvede al buon andamento
dell’Amministrazione, tanto vero che, nella relazione alla legge, è
denunciata la pletoricità dei ruoli, ma obbedisce ad un criterio di
malintesa comprensione umana, perché vuole effettuare un ‘ennesima
sanatoria di situazioni illegali, consentire agli interessati una
giusta retribuzione per il lavoro prestato, accordare loro le
provvidenze assicurative minime.
Quanto alla mancanza di copertura della spesa, il Commissario
rileva che non soddisfa al precetto dell’art. 81 il rinvio ai futuri
ordinari stanziamenti di bilancio, dato il carattere formale delle
leggi che li approveranno, e dato perciò che le singole poste debbono
commisurarsi all’entrata e alla spesa derivante da preesistenti leggi
sostanziali. La riduzione dello stanziamento disposta al cap. 82 del
bilancio non è poi efficace, dato che non si riduce il corrispondente
vincolo di spesa e non si dimostra l’esistenza di disponibilità: le
eventuali eccedenze di fine esercizio debbono essere riportate in conto
residui o in economia, salva l’assegnazione negli esercizi futuri, in
aumento agli stanziamenti ordinari ove si preveda un incremento di
spesa. Né la Regione può asilarsi dietro la previsione di una
espansione delle entrate già previste.
4. – Nelle note difensive depositate il 24 febbraio 1968, la
Regione rilevava che questa Corte, con sentenza 4 febbraio 1967 n. 8,
ha bensì ammesso che si possa far luogo ad un controllo costituzionale
delle leggi in riferimento all’art. 97 della Costituzione, ma lo ha
ammesso a proposito di una legge organizzativa che veniva impugnata per
irrazionalità dei criteri di ripartizione del personale fra le
carriere che istituiva, mentre oggi si sostiene che la legge impugnata
non è rivolta a provvedere alle esigenze dell’Amministrazione
regionale; peraltro, nella sentenza suddetta, la Corte ha preso atto
della ragionevole valutazione che, nell’esercizio dei suoi poteri, la
Regione aveva fatto delle esigenze connesse allo svolgimento delle sue
competenze istituzionali. La legge oggi impugnata è destinata a far
fronte a concrete esigenze organiche, perché presso vari assessorati
si era avvertita la necessità di ovviare alle sensibili diminuizioni
del personale dello Stato in servizio presso gli organi periferici,
all’aumento della mole di lavoro conseguente allo sviluppo di alcuni
servizi, a nuove esigenze organizzative, all’impossibilità di
utilizzare personale comandato o distaccato da una amministrazione
regionale all’altra. Il richiamo fatto all’art. 7 della legge statale
importa poi che esso può trovare applicazione soltanto nei confronti
di personale in servizio alla data di entrata in vigore della legge.
Agli effetti della copertura della spesa, la Regione precisa che il
personale da inquadrare ai sensi dell’art. 7 è di 161 unità, con una
preponderanza di personale di concetto ed esecutivo: la previsione
della spesa è sufficientemente determinata in 380 milioni di lire.
Divenendo obbligatoria la spesa inerente a tale inquadramento, per gli
esercizi futuri possono provvedere gli appositi stanziamenti di
bilancio; quanto alla disposizione che utilizza per la copertura gli
incrementi fiscali, essa si conforma a quanto ha deciso questa Corte
nella sentenza 10 gennaio 1966 n. 1, la quale tenne conto che, qualora
ciascuna spesa fosse collegata ad una specifica entrata, verrebbe
pregiudicata la regola dell’unità e della globalità del bilancio. La
sentenza suddetta, per gli esercizi futuri, esige soltanto ragionevoli
previsioni di entrate in equilibrato rapporto con le spese che si
intendono effettuare; e l’aumento del gettito dell’imposta di ricchezza
mobile è un dato certo, stante l’andamento della nostra economia e le
previsioni del programma economico.
5. – All’udienza del 9 ottobre 1968 i difensori delle parti hanno
illustrato e ribadito le proprie tesi.
1. – La legge impugnata è, per un verso, esclusivamente diretta ad
attribuire al personale avventizio in servizio una situazione giuridica
di stabilità; e cioè uno status che non poté aver formato oggetto di
aspettative da parte degli assunti, i quali conoscevano fin
dall’origine del rapporto, o dovevano conoscere, la precarietà dello
stesso, anzi, in alcuni casi, l’illegittimità della sua costituzione.
La legge è diretta, per altro verso, a riammettere,
nell’Amministrazione, personale che non ne fa più parte e che, a suo
tempo, si era ritenuto di sostituire con personale nuovo, sulla base di
una discrezionalità, forse non più condivisa, certo causa di malumore
nei licenziati; e cioè per una ragione afferente soltanto
all’intrinseco del rapporto di impiego o a rivendicazioni degli
interessati. Infatti, la relazione del Presidente della Regione alla
legge non precisa quale esigenza di servizio giustifichi l’integrazione
di ruolo che vi si dispone: nulla dice, a tal riguardo, a proposito
della proroga prevista per l’inquadramento di cui all’art. 7 della
legge stessa, e, per quanto concerne quello di cui all’art. 1, si
limita ad affermare che il personale quivi indicato può essere
utilizzato presso gli uffici dell’Amministrazione regionale, senza
specificarne i bisogni, anzi, considerando tale utilizzazione
unicamente come mera possibilità, non come necessità. Di esigenze
dell’Amministrazione dell’agricoltura fa cenno, è vero, la relazione
al progetto di legge Cangialosi, il quale rileva che è imprescindibile
l’integrazione del ruolo attuale; ma, per quanto vi si affermi che i
compiti di quell’Amministrazione si sono estesi sensibilmente per
l’applicazione di nuove leggi intervenute sulla materia, non si danno
concreti chiarimenti, e soprattutto non si espone il motivo per il
quale il personale oggi in ruolo non sia in grado di provvedere alle
asserte nuove incombenze.
Che la legge denunciata non fu determinata da concrete necessità
dell’Amministrazione lo si desume, del resto, a chiare note dalla
relazione predisposta per l’Assemblea regionale dalla sua Commissione
legislativa degli affari interni e dell’ordinamento amministrativo; la
quale riconduce la proposta governativa ad un ordine del giorno
dell’Assemblea stessa che aveva impegnato il Governo a non effettuare
ulteriori assunzioni senza pubblici concorsi e a presentare un disegno
di legge tendente alla normalizzazione della posizione giuridica del
cospicuo numero di dipendenti a precario rapporto di impiego. La
relazione aggiunge che il disegno di legge costituisce una ulteriore
sanatoria di assunzioni o di situazioni di fatto illegali, e che si
propone di immettere nei ranghi dell’Amministrazione regionale,
definita pletorica, una massa di ben 578 unità, mentre è in
preparazione un disegno di legge organico di definitiva sistemazione
del personale della Regione, nel quale se ne prevede una riduzione
nella misura approssimativa del venti per cento. Solo per un criterio
di comprensione umana, e nel convincimento che non si sarebbe potuto
dar colpa al personale assunto delle violazioni di legge commesse
all’atto della sua inserzione nell’Amministrazione regionale, la
Commissione ritenne di dar parere favorevole all’inquadramento proposto
dal disegno governativo; ma lo ritenne con riferimento ad una misura
ridotta.
2. – Così essendo, è indubitabile che la legge impugnata non
osserva la norma dell’art. 97 della Costituzione: l’integrazione, sia
pure in un quadro ad esaurimento, di ruoli organici, qualificati, come
si è detto, pletorici dagli stessi organi che prepararono la
discussione della legge, nuoce all’Amministrazione, anziché concorrere
a garantirne il regolare funzionamento. La pletora amministrativa è
sempre causa di disordine, perché impone una artificiosa distribuzione
di compiti, un frazionamento irrazionale di funzioni, una
sovrapposizione o una duplicazione di competenze; e ovviamente ne
risultano ritardi e intralci nello svolgimento dell’attività degli
uffici.
Non si nega che l’art. 97 della Costituzione coinvolge l’esercizio
di una discrezionalità legislativa. Ma la Corte ha affermato nella
sentenza del 1 febbraio 1967, n. 8, che il controllo sulla conformità,
all’articolo predetto, di singole norme è ammissibile, sia pure nei
limiti dell’accertamento della non arbitrarietà della disciplina in
relazione ai fini che il precetto costituzionale prescrive. E la
discrezionalità predetta mal si invocherebbe quando risulta, come
nella specie, che, nel trasferire in ruolo personale avventizio o già
avventizio, l’organo legislativo non ha preso in esame le necessità
concrete dell’Amministrazione, oggi, nelle note difensive della
Regione, per giunta esposte in modo vago e non documentato, ma ha
voluto esclusivamente porre rimedio ad una situazione creata da
irregolarità amministrative, e non ha tenuto conto degli accertamenti
compiuti dalla competente propria Commissione parlamentare, circa il
soverchio numero di dipendenti in servizio, ma ne ha accolto soltanto
le conclusioni umanitaristiche.
3. – Non è opponibile, nella specie, che l’ordine costituzionale
dà la massima tutela al lavoro. La norma che accorda tale protezione
non vive a sé, ma forma sistema con le altre che provvedono ad
interessi di uguale portata costituzionale, com’è quello inerente al
buon andamento dei pubblici uffici, cardine della vita amministrativa e
quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale: questa
Corte ha avvertito tale rapporto quando nella sentenza 7 marzo 1962, n.
14, ha notato la irrazionalità dell’istituzione di uffici a cui si
assegni un proprio personale, ma siano privi di un proprio ordinamento
o di cui non siano specificate le attribuzioni.
Non ha valore nemmeno obiettare che lo Stato ha provveduto
ripetutamente nel modo oggi discusso per immettere in ruolo personale
avventizio; a parte la possibilità di fatto di istituire una
comparazione del genere e di ritenerla fondata su elementi omogenei, al
controllo di costituzionalità di una legge ordinaria non giova il suo
confronto con altra legge ordinaria.
E infine neanche conta il rilievo che il Commissario dello Stato
non ha creduto di impugnare la legge regionale 20 agosto 1962, n. 23,
istitutiva del ruolo unico per i servizi periferici della Regione:
quella che è oggi in esame ha un suo carattere di autonomia.
4. – È ovvio che le considerazioni svolte inficiano tutta la
legge, quindi anche l’art. 7, che proroga alcuni termini di quella
statale 5 marzo 1961, n. 90. La proroga, secondo le relazioni
governativa e parlamentare, doveva servire ad estendere il beneficio
della sistemazione a personale che ne era stato originariamente escluso
perché in servizio da data posteriore al 19 luglio 1960 e che
ovviamente non si era ritenuto necessario alla soddisfazione delle
esigenze amministrative: si risolve perciò anch’essa in aumento di
organico e non se ne giustifica la ragione.
È vero che la legge impugnata si riferisce a personale salariato
che, per inderogabili occorrenze, era stato adibito con carattere
permanente a mansioni non salariali. Ma si trattava sempre di personale
che, non essendo stato in precedenza compreso nella determinazione di
inquadramento espressa nella legge del 1961, era stato ritenuto non
utile ai ruoli regionali; e dagli atti parlamentari relativi alla legge
non risulta precisata la causa del mutamento di giudizio. Cosicché la
spiegazione della norma che lo esprime non può essere che quella
stessa che è data per la norma di inquadramento contenuta nell’art. 1,
cioè la soddisfazione di un interesse del personale, non di un
interesse organizzativo.
5. – Per i motivi prospettati va perciò dichiarata
l’illegittimità della legge impugnata in ogni sua parte, rimanendo
assorbita la questione concernente l’osservanza del dettato dell’art.
81 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge approvata
dall’Assemblea regionale siciliana il 30 marzo 1967, concernente
integrazione del ruolo unico ad esaurimento per i servizi periferici
dell’Amministrazione regionale, istituito con legge della Regione 20
agosto 1962, n. 23.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.