Sentenza N. 124 del 1966
Corte Costituzionale
Data generale
19/12/1966
Data deposito/pubblicazione
19/12/1966
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/12/1966
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
comma, del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla protezione della
selvaggina e per l’esercizio della caccia, promosso con ordinanza
emessa il 2 luglio 1965 dal Pretore di Rovato nel procedimento penale a
carico di Finassi Giovanni, iscritta al n. 190 del Registro ordinanze
1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 del
30 ottobre 1965.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 6 dicembre 1966 la relazione del
Giudice Nicola Jaeger;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel corso del procedimento penale davanti al Pretore di Rovato, a
carico di Finassi Giovanni, imputato del reato previsto nell’art. 19,
primo e terzo comma, del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, il difensore
dell’imputato sollevava la questione di legittimità costituzionale di
una parte del terzo comma del suddetto articolo, contenente le parole
“salvi i diritti quesiti”, nei riguardi degli artt. 3, 41 e 42 della
Costituzione. Il rappresentante del pubblico ministero si associava
alla richiesta della difesa ed il Pretore pronunciava una elaborata
ordinanza, con la quale dichiarava non manifestamente infondata la
questione, in relazione alle citate norme della Costituzione,
sospendendo il giudizio principale e rimettendo gli atti alla Corte
costituzionale, con ordinanza in data 2 luglio 1965.
L’ordinanza veniva notificata e comunicata a norma di legge e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 30 ottobre 1965.
Davanti alla Corte si è costituita solamente l’Avvocatura generale
dello Stato, che ha depositato un atto di intervento e deduzioni e
successivamente una memoria, concludendo perché fossero dichiarate non
fondate le questioni di legittimità prospettate nell’ordinanza del
Pretore di Rovato.
Ai fini di dimostrare la non manifesta infondatezza della
questione, l’ordinanza richiama i precedenti legislativi della norma
denunciata e la interpretazione data a questa dalla Corte di cassazione
ed espone poi tutta una serie di osservazioni sul diritto di caccia,
sul diritto di “appostamento” e sui rapporti fra il titolare di questo
ed il proprietario del fondo, nel quale esista la così detta “zona di
rispetto”.
L’ordinanza si sofferma poi sul testo del terzo comma dell’art. 19
del testo unico, il quale dispone che “Ove il terreno contenuto nel
raggio di rispetto di un appostamento sia in parte di altri
proprietari, occorre il loro consenso; in difetto la zona di protezione
è limitata al terreno per cui esista il consenso del proprietario o
possessore, salvi i diritti quesiti”. A parere del giudice di merito
proprio queste ultime quattro parole dovrebbero e potrebbero essere
considerate in contrasto con le disposizioni degli artt. 3, 41 e 42
della Costituzione, implicando limitazioni ingiustificate a danno dei
proprietari dei fondi e dei cacciatori, a tutto vantaggio dei titolari
degli appostamenti.
Vi sarebbe pertanto una grave disparità di trattamento fra i
cacciatori “vecchi” ed i “giovani”, a tutto vantaggio dei primi, in
base ad una precedenza meramente cronologica, mentre la legge non ha
fissato i presupposti per l’acquisizione del diritto in discussione;
inoltre la genericità della formula usata significherebbe equivocità
e quindi impossibilità da parte dell’interprete di risalire alla
volontà del legislatore.
Nelle proprie deduzioni e poi nella memoria l’Avvocatura generale
dello Stato conclude nel senso che vengano dichiarate non fondate le
questioni di legittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza del
Pretore di Rovato.
Premesso che il legislatore può dettare norme diverse per regolare
situazioni che esso ritiene diverse, come è stato riconosciuto
ripetutamente dalla Corte costituzionale, la difesa dello Stato
contesta che la norma in questione possa essere ritenuta in contrasto
con il principio di eguaglianza; esclude poi che si possa invocare
nella specie quello della libertà di iniziativa economica privata e
che l’esercizio della caccia costituisca una espressione del diritto di
proprietà, per il proprietario del fondo e, inversamente, una
compressione di tale diritto qualora la caccia venga esercitata da un
soggetto diverso dal proprietario.
In quanto all’inciso del terzo comma dell’articolo in questione,
che fa salvi i “diritti quesiti”, l’Avvocatura dello Stato osserva
nella successiva memoria che esso non ha inteso altro che conservare
una disposizione di collegamento intertemporale tra norme succedutesi
nel tempo, secondo un criterio discrezionalmente valutato, diretto ad
evitare una frattura tra vecchia e nuova disciplina; insiste poi sui
rilievi che la caccia non può dirsi estrinsecazione del diritto di
proprietà, mentre il diritto del proprietario del fondo non viene ad
essere né annullato, né menomato dall’esistenza della “zona di
rispetto”. Non si possono quindi considerare violati dalla norma in
discussione né l’art. 3, né il 41 od il 42 della Costituzione.
La Corte ritiene fondati gli argomenti esposti dalla Avvocatura
generale dello Stato a dimostrazione della infondatezza della questione
di legittimità costituzionale proposta con l’ordinanza del Pretore di
Rovato.
Le considerazioni esposte nella ordinanza infatti, potrebbero
servire, se mai, a porre in rilievo alcuni inconvenienti pratici
dell’ordinamento in vigore e la conseguente opportunità di una
revisione legislativa; ma non sono sufficienti a giustificare la
pronuncia di illegittimità di un inciso, il quale ha il solo fine di
salvaguardare i “diritti quesiti”.
Si deve osservare, fra l’altro, che, servendosi di questi termini,
il legislatore si è attenuto ad un principio generale normalmente
osservato, la cui attuazione è rimessa in definitiva ai giudici di
merito. A questi compete pertanto accertare di volta in volta se tali
diritti sussistano, in base alle norme vigenti: compito, questo, che
può indubbiamente, in taluni casi, presentare non lievi difficoltà,
ma che, comunque, non può e non deve essere considerato di competenza
della Corte costituzionale.
D’altra parte, è ovvio che ogni provvedimento amministrativo o
legislativo in tanto viene emanato, in quanto si ritenga opportuno
dagli organi competenti modificare in un senso o nell’altro la
disciplina giuridica di certi rapporti; ma in taluni casi tale
modificazione potrebbe importare conseguenze eccessive nei riguardi di
soggetti, i quali avevano acquisito legittimamente un diritto in base
alle norme preesistenti.
La emanazione successiva di una disciplina giuridica diversa non
può determinare di per sé la illegittimità costituzionale di tali
norme, ove non sia dimostrato che esse siano in contrasto con i
principi della Costituzione; né può considerarsi illegittima una
norma, che tenda a salvaguardare i diritti acquisiti in base alle leggi
anteriori.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della parte del terzo comma dell’art. 19 del T.U. 5 giugno 1939, n.
1016, sulla protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia,
contenente le parole “salvi i diritti quesiti”, sollevata con ordinanza
2 luglio 1965 del Pretore di Rovato, in riferimento agli artt. 3, 41 e
42 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1966.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– ANTONIO MANCA – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.