Sentenza N. 124 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
09/12/1968
Data deposito/pubblicazione
09/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
secondo e terzo comma, e 31 della legge regionale siciliana 23 febbraio
1962, n. 2 (norme per il trattamento di quiescenza, previdenza e
assistenza del personale della Regione), modificata ed integrata dagli
artt. 6, primo e secondo comma, e 9 della legge regionale 1 febbraio
1963, n. 11, e dalla legge regionale 5 ottobre 1965, n. 25, promosso
con ordinanza emessa il 4 luglio 1967 dalla Corte dei conti – sezione
giurisdizionale per la Regione siciliana – sui ricorsi del Procuratore
generale avverso i decreti di liquidazione di pensione ai dipendenti
della Regione siciliana Messina Salvatore, Trabucco Salvatore e Di
Stefano Simone, iscritta al n. 215 del Registro ordinanze 1967 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28
ottobre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 45
del 7 ottobre 1967.
Visti gli atti di costituzione di Messina Salvatore, Trabucco
Salvatore e Di Stefano Simone e l’atto d’intervento del Presidente
della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 23 ottobre 1968 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi l’avv. Antonio Sorrentino, per Messina e Di Stefano, l’avv.
Pietro Virga, per Trabucco, ed il sostituto avvocato generale dello
Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente della Regione siciliana.
Il Procuratore generale presso la Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la Regione siciliana, impugnava con distinti
ricorsi i decreti dell’Assessore regionale enti locali, del 10 ottobre
1966, n. 1960; del Direttore dell’Azienda forestale siciliana, del 7
settembre 1966, n. 457; dei Presidente della Regione, del 26 ottobre
1966, n. 642, con i quali veniva disposto il collocamento a riposo e la
liquidazione della pensione, rispettivamente, in favore del Dott.
Salvatore Messina, del sig. Salvatore Trabucco e dell’ing. Simone Di
Stefano. Nei ricorsi e nelle successive memorie integrative erano
sollevate varie questioni di legittimità costituzionale delle norme
applicate nei menzionati provvedimenti.
La sezione giurisdizionale per la Regione siciliana della Corte dei
conti, con ordinanza 4 luglio 1967, n. 215, riuniva i tre ricorsi e,
sospeso il giudizio, rimetteva a questa Corte le questioni di
costituzionalità dell’art. 4, commi primo, secondo e terzo, e
dell’art. 31 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, con le
modifiche e integrazioni di cui agli artt. 6, primo e secondo comma, e
9 della legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, e alla legge regionale
5 ottobre 1965, n. 25, in relazione agli artt. 3, primo comma, 36 e 97
della Costituzione.
Si osserva nell’ordinanza che le dette norme, col ragguagliare la
pensione all’intero ammontare degli assegni dopo 35 anni di servizio
utile, col comprendere la 13 mensilità pari a un dodicesimo del
trattamento di quiescenza, col prevedere un aumento delle pensioni
connesso alle variazioni del costo della vita, avrebbero dato luogo a
una sperequazione di trattamento rispetto al personale in servizio, in
violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Esse inoltre sarebbero state in contrasto con l’art. 97 della
Costituzione, perché avrebbero agevolato l’esodo volontario di
elementi ancor giovani; avrebbero diminuito lo stimolo alla
progressione di carriera, e avrebbero menomato la supremazia gerarchica
dei dirigenti, nuocendo così al buon andamento dell’Amministrazione.
In particolare, poi, l’art. 4, secondo comma, della legge regionale
n. 2 del 1962, concernente la variazione delle pensioni in
corrispondenza alle variazioni del costo della vita, avrebbe violato il
principio d’eguaglianza nell’interno della stessa categoria dei
pensionati regionali, col dar luogo ad aumenti sensibili per le
pensioni di importo elevato ed esiguo per quelle di modesto importo.
L’ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 45 del 7
ottobre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28
ottobre 1967.
Si sono costituiti in giudizio il sig. Salvatore Trabucco,
rappresentato e difeso dall’avv. prof. Pietro Virga, con deduzioni
depositate il 23 ottobre 1967, e i sigg. Simone Di Stefano e Salvatore
Messina, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Sorrentino, con
deduzioni depositate il 26 ottobre 1967, è intervenuto il Presidente
della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato.
La difesa del sig. Trabucco ha dedotto in via pregiudiziale
l’inammissibilità delle questioni, per mancata integrità del
contraddittorio, non essendo stato notificato il ricorso del
Procuratore generale al fondo di quiescenza per il personale della
Regione, a norma dell’art. 81 del Regolamento di procedura dei giudizi
davanti alla Corte dei conti, e per mancanza dell’interesse a
ricorrere, non essendo stato impugnato il decreto del Presidente della
Regione 20 aprile 1966, di cui il provvedimento riguardante il Trabucco
sarebbe stato semplice atto esecutivo.
Nel merito si sostiene la manifesta infondatezza della questione di
legittimità del precetto sulla scala mobile a favore dei pensionati,
in relazione alla pretesa disparità di trattamento fra pensionati e
impiegati in servizio; la infondatezza della questione di
costituzionalità del preteso contrasto della legislazione
pensionistica con l’art. 3 della Costituzione; l’infondatezza della
questione di costituzionalità della norma che aggancia l’aumento della
scala mobile al costo della vita regionale. Si conclude, quindi,
perché le sollevate eccezioni di illegittimità costituzionale siano
dichiarate manifestamente inammissibili, irrilevanti e infondate.
Anche la difesa dei sigg. Di Stefano e Messina ha sollevato
pregiudizialmente l’eccezione di inammissibilità delle dedotte
questioni, per difetto di motivazione sulla incidentalità di esse
rispetto alla domanda oggetto del ricorso e per difetto di motivazione
sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale del
secondo comma dell’art. 4 della legge citata, in quanto dedotta in
relazione al provvedimento di liquidazione delle pensioni e non del
decreto del Presidente regionale, che aveva disposto l’aumento del
14,33 per cento delle pensioni in relazione all’aumentato costo della
vita.
Nel merito, premesso che la denuncia di violazione dell’art. 3 non
ha fondamento in linea di fatto, si nega che le norme impugnate siano
in contrasto col principio di eguaglianza, non sussistendo identità
nelle situazioni dei pensionati e degli impiegati in servizio. Si
sostiene inoltre l’infondatezza della censura concernente l’assenta
violazione dell’art. 97 della Costituzione, e della censura secondo cui
l’applicazione del sistema della scala mobile violerebbe l’art. 3 della
Costituzione, e si osserva che, comunque, tali censure investirebbero
valutazioni di politica legislativa. Si chiede quindi che sia disatteso
l’incidente di costituzionalità.
L’Avvocatura generale dello Stato, nell’atto di intervento per il
Presidente della Regione, ha osservato che il trattamento pensionistico
stabilito dalle norme denunciate è stato voluto dal legislatore
regionale, nella sua esclusiva discrezionalità, per assicurare ai
pensionati quell’esistenza libera e dignitosa di cui all’art. 36 della
Costituzione. Comunque, prosegue l’atto di intervento, non sussiste
contrasto con l’art. 3, sia perché, in punto di fatto, non è esatto
che il trattamento pensionistico sia maggiore di quello attribuito ai
pari grado in attività di servizio, sia perché sono diverse le
situazioni a raffronto. Anche l’Avvocatura dello Stato ha concluso per
la dichiarazione di infondatezza.
In successive memorie sono stati svolti gli argomenti
precedentemente dedotti; l’Avvocatura dello Stato ha inoltre aderito
alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti private.
Gli stessi argomenti sono stati ribaditi nella pubblica udienza.
1. – La difesa del sig. Trabucco ha eccepito preliminarmente
l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale delle
norme, innanzi indicate, della legge regionale sul trattamento di
quiescenza del personale della Regione, perché nel giudizio di merito
sarebbe mancata l’integrità del contraddittorio, in quanto il ricorso
del Procuratore generale presso la Corte dei conti (sezione
giurisdizionale per la Sicilia) non era stato notificato al Fondo di
quiescenza del personale della Regione. Sarebbe inoltre mancato
l’interesse a ricorrere, non essendo stato impugnato il decreto del
Presidente della Regione 20 aprile 1966, di cui il provvedimento
oggetto del ricorso sarebbe stato un semplice atto esecutivo.
L’eccezione non può essere accolta.
Come questa Corte ha affermato in precedenti occasioni (sentenza n.
60 del 1957; n. 111 del 1963), gli eventuali vizi di costituzione del
contraddittorio nel giudizio di merito sono insindacabili nella sede
del giudizio di legittimità costituzionale, che non può estendersi
alla valutazione della legittima instaurazione del rapporto processuale
davanti al giudice a quo.
Ugualmente al giudizio di merito attiene l’eccezione di mancanza di
interesse ad agire: giudizio nel quale la Corte non può interferire,
salvo che per la verifica del presupposto della rilevanza (sentenza n.
24 del 1959). Nella specie, l’interesse a una pronuncia sulla
legittimità costituzionale della norma di legge in base alla quale era
stato emanato il provvedimento impugnato determinava la rilevanza della
proposta questione ai fini della decisione di merito, indipendentemente
dal fatto che tale provvedimento, nella parte in cui aveva fissato la
misura della variazione della pensione, si era uniformato al decreto
del Presidente della Regione.
2. – Nell’ordinanza di rimessione a questa Corte si riscontrerebbe,
secondo la difesa dei sigg. Di Stefano e Messina, una insufficienza di
motivazione sulla rilevanza delle prospettate questioni di legittimità
costituzionale rispetto alla domanda, oggetto del ricorso del
Procuratore generale, di annullare il provvedimento di liquidazione
della pensione degli interessati limitatamente all’aumento dipendente
dalle variazioni del costo della vita, previsto dal secondo comma
dell’art. 4 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2.
Ma l’assunto è infondato.
Premesso che non può formare oggetto di esame in questa sede
l’esattezza della identificazione dell’oggetto del giudizio principale
da parte del giudice a quo, va comunque osservato che, nel caso
presente, il Procuratore generale, nei ricorsi e nelle memorie
integrative, aveva sollevato la questione di legittimità
costituzionale, non solo del secondo, ma anche del primo e del terzo
comma del detto art. 4, nonché dell’art. 31 della citata legge
regionale, chiedendo l’annullamento degli impugnati provvedimenti, in
via principale, sul punto della liquidazione del trattamento
pensionistico principale e accessorio, e, in via subordinata, sul punto
della maggiorazione derivante dall’applicazione della scala mobile. Su
la rilevanza delle questioni, quali risultavano dai menzionati atti del
Procuratore generale e dalle sue conclusioni orali, l’ordinanza ha
ampiamente motivato, nel rimetterle a questa Corte.
3. – La difesa dei sigg. Di Stefano e Messina contesta inoltre la
rilevanza della questione di costituzionalità del secondo comma
dell’art. 4 citato, in quanto proposta in relazione a singoli
provvedimenti attributivi di pensione, e non al ricordato decreto del
Presidente regionale, che aveva stabilito, nella misura del 14,33 per
cento, la variazione della pensione in relazione alla variazione
dell’indice del costo della vita. Quanto meno, si soggiunge,
l’ordinanza avrebbe dovuto motivare sulla rilevanza, sotto questo
profilo.
Ma anche questa eccezione è infondata.
La questione sollevata dal Procuratore generale riguardava la
legittimità costituzionale di una norma di legge che era stata
applicata nei provvedimenti impugnati. Sui termini della questione non
influiva l’esistenza del decreto del Presidente regionale, che aveva
determinato la misura della variazione della pensione, voluta da quella
norma di legge; né la proponibilità di essa era condizionata
dall’impugnativa del detto decreto. Il giudizio sulla rilevanza, che la
sezione della Corte dei conti era tenuta a dare, riguardava pertanto
esclusivamente il rapporto tra la norma di legge, che si assumeva
incostituzionale, e gli impugnati provvedimenti di attuazione di essa,
ed in questi limiti il giudizio è stato correttamente ed
esaurientemente compiuto. La considerazione, svolta dalla difesa, che
se il Procuratore generale avesse impugnato anche, o precedentemente,
il decreto del Presidente della Regione, gli effetti della pronuncia
sulla costituzionalità della norma di legge sarebbero stati diversi e
più ampi, non vale a configurare un difetto di rilevanza negli
instaurati giudizi, né una insufficienza di motivazione nell’ordinanza
che ha rimesso la questione a questa Corte.
4. – Nel merito viene dedotta la illegittimità costituzionale
delle norme di cui agli artt. 4, primo, secondo e terzo comma, e 31
della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 (e successive modifiche),
le quali avrebbero dato luogo a una sperequazione di trattamento fra il
personale in attività di servizio e il personale in quiescenza, in
contrasto con l’art. 3, primo comma, e 36 della Costituzione, e col
carattere retributivo della pensione.
Il trattamento di maggior favore per il personale in quiescenza
deriverebbe dall’aver ragguagliato la pensione all’intero ammontare
degli assegni fissi e continuativi dopo 35 anni di servizio utile;
dall’aver compreso la 13 mensilità nella base pensionabile e dall’aver
disposto la corresponsione di una 13 mensilità nel trattamento annuo
di quiescenza; dall’aver previsto un aumento delle pensioni
corrispondente alle variazioni dell’indice del costo della vita.
Nelle indicate disposizioni si ravvisa inoltre una violazione
dell’art. 97 della Costituzione, in quanto il trattamento previsto per
i pensionati, col favorire l’esodo dall’Amministrazione di impiegati
ancora giovani e col diminuire lo stimolo alla progressione di
carriera, comprometterebbe il buon andamento dell’Amministrazione e
menomerebbe la supremazia gerarchica dei dirigenti.
Infine, l’adozione del sistema della scala mobile, stabilita col
secondo comma del citato art. 4, violerebbe il principio di eguaglianza
all’interno della stessa categoria dei pensionati, determinando un
aumento sensibile per le pensioni di importo elevato, ed esiguo per le
pensioni di modesto importo.
5. – La violazione dell’art. 3 della Costituzione non sussiste.
Le condizioni dell’impiegato in ‘servizio attivo e dell’impiegato
in pensione si concretano in situazioni diverse fra loro, a cui
corrisponde una diversa disciplina giuridica del rispettivo
trattamento.
Dal carattere retributivo delle pensioni deriva che il trattamento
di quiescenza dev’essere proporzionale alla qualità e alla durata del
lavoro prestato; non deriva che tale trattamento debba essere
necessariamente e in ogni caso inferiore al trattamento di servizio
attivo.
L’applicazione al trattamento pensionistico dell’art. 36 della
Costituzione, che si connette al carattere retributivo della pensione,
richiede che sia assicurata al pensionato e alla sua famiglia, come
all’impiegato in servizio attivo, “un’esistenza libera e dignitosa”.
Appartiene alle valutazioni del legislatore ordinario disporre i mezzi
per attuare tale principio, applicando in ogni caso il criterio della
proporzionalità rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato
durante il servizio attivo; né la discrezionalità del legislatore
trova un limite nelle richiamate norme costituzionali, nel senso che
egli non possa prevedere che, in casi determinati, il trattamento
pensionistico venga economicamente a eguagliarsi al trattamento di
servizio attivo, ed eventualmente, sempre in relazione alla quantità e
qualità del lavoro prestato, possa essere migliore di quello goduto al
momento della cessazione del servizio.
La formula, usata nell’ordinanza, che la pensione è una quota di
retribuzione differita non può essere intesa nel senso che essa debba
consistere in una quota dell’ultima retribuzione goduta al momento
della cessazione del rapporto, né vi è alcun principio costituzionale
che induca a dare a quella formula tale significato. Al contrario con
essa si vuol dire che la pensione fa parte del complessivo trattamento
retributivo del lavoro che si presta durante l’esecuzione del rapporto;
trattamento in parte dilazionato, per fini previdenziali, a momenti
successivi alla estinzione del rapporto stesso.
Proprio dal riconoscere alla pensione il carattere di quota di
retribuzione del lavoro prestato in precedenza deriva che la mancanza
di una attuale prestazione di lavoro non può influire sulla misura
della pensione stessa, nel senso che debba essere necessariamente
inferiore, anche dopo un congruo numero di anni di servizio, alla
retribuzione del servizio attivo, purché proporzionata alla
complessiva entità del lavoro.
Non conferente alla questione in esame è il richiamo, contenuto
nell’ordinanza, all’art. 38 della Costituzione, che riguarda
l’assistenza e l’assicurazione sociale, e comunque nessun contrasto
può ravvisarsi tra i principi in esso contenuti e le norme impugnate.
6. – In relazione alla denunciata violazione dell’art. 97 della
Costituzione, si può convenire con l’ordinanza che la disciplina del
trattamento pensionistico non deve esser tale da turbare il buon
andamento della pubblica Amministrazione.
Ritiene infatti la Corte che il principio enunciato nel detto
articolo non riguarda esclusivamente l’organizzazione interna dei
pubblici uffici, ma si estende alla disciplina del pubblico impiego, in
quanto possa influire sull’andamento dell’Amministrazione.
Nella specie, però, non può dirsi che le norme impugnate abbiano
superato il limite che l’art. 97 segna al legislatore ordinario.
Va considerato in proposito che sia il numero di anni che la legge
regionale richiede per il conseguimento della pensione, sia la misura
di questa e il previsto adeguamento al costo della vita, non danno
luogo a un trattamento di irragionevole vantaggio per i pensionati, che
possa favorire un esodo degli impiegati, a danno dell’Amministrazione,
tenuto anche conto degli emolumenti straordinari (compensi per lavoro
straordinario, indennità per incarichi e missioni, ecc.) connessi alla
permanenza in servizio. D’altra parte, la prospettiva di un trattamento
di quiescenza adeguato alle esigenze della vita non può che essere di
incentivo all’afflusso dei più capaci negli impieghi regionali, sopra
tutto nelle attuali condizioni del cosiddetto mercato del lavoro, che
offrono altre attrattive fuori del campo della pubblica
Amministrazione.
È nota, del resto, la tendenza anche dei legislatore statale a
rivedere e migliorare il trattamento pensionistico dei pubblici
dipendenti, per adeguare la disciplina del pubblico impiego, oltre che
ai ricordati principi costituzionali sulla retribuzione del lavoro,
alle odierne condizioni della vita sociale.
Non si vede poi in qual modo le norme impugnate limiterebbero lo
stimolo alla progressione delle carriere, se, in base a tali norme, gli
avanzamenti nella carriera producono un miglioramento nel successivo
trattamento di quiescenza. Né può affermarsi che la supremazia
gerarchica dei dirigenti possa fondarsi sulla prospettiva del danno che
deriverebbe all’impiegato dal collocamento a riposo.
7. – Non può infine ravvisarsi una violazione del principio di
eguaglianza nella norma del secondo comma dell’art. 4, che stabilisce
la variazione della misura della pensione in relazione alle variazioni
dell’indice del costo della vita nella Regione.
Se, infatti, è vero che l’applicazione di tale norma dà luogo ad
aumenti differenziati della pensione, con ciò non si crea una
diseguaglianza tra situazioni eguali, ma si riproduce nella variazione
della pensione la originaria differenza nella misura di essa,
proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato.
La scelta tra l’applicazione del congegno della scala mobile
all’intera pensione o a una quota di essa, vale a dire, la scelta tra
un adeguamento della pensione al costo della vita che mantenga le
posizioni pensionistiche iniziali, corrispondenti al servizio prestato,
o che invece riduca le distanze fra esse, appiattendole, corrisponde a
valutazioni di politica legislativa e finanziaria, sottratte all’esame
di questa Corte.
Da ultimo, l’osservazione che il sistema adottato è legato alle
variazioni del costo della vita in Sicilia, mentre il pensionato può
risiedere fuori della Regione, non configura una violazione del
principio di eguaglianza, giacché la legge ha disposto per la
generalità dei casi, con criteri tutt’altro che irrazionali.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 4, primo, secondo e terzo comma, e dell’art. 31 della legge
regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2 (norme per il trattamento di
quiescenza, previdenza e assistenza del personale della Regione), con
le modifiche ed integrazioni di cui agli artt. 6, primo e secondo
comma, e 9 della legge regionale 1 febbraio 1963, n. 11, ed alla legge
regionale 5 ottobre 1965, n. 25, in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 36 e 97 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.