Sentenza N. 125 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
07/07/1981
Data deposito/pubblicazione
07/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/06/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), promosso con ordinanza emessa l’11 marzo 1975
dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra
l’INAIL e Ramati Sergio, iscritta al n. 135 del registro ordinanze 1975
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 1975.
Visti gli atti di costituzione di Ramati Sergio e dell’INAIL;
udito nell’udienza pubblica del 21 gennaio 1981 il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
uditi l’avv. Franco Agostini, per Ramati Sergio e l’avv. Carlo
Graziani, per l’INAIL
L’11 novembre 1972 il muratore Ramati Sergio denunciava all’INAIL
di Reggio Emilia di essere affetto da una malattia professionale –
eczema da cemento – e chiedeva pertanto la protezione assicurativa.
L’Istituto rigettava l’istanza, sostenendo che i disturbi lamentati non
dipendevano dalla suddetta malattia; ed esito sfavorevole aveva
altresì il gravame in sede amministrativa.
Il Ramati proponeva allora, il 1 novembre 1974, ricorso al Pretore
di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro, il quale, con
sentenza del 12-22 novembre 1974, condannava l’INAIL a corrispondere al
medesimo le prestazioni assicurative, affermando che la predetta
malattia professionale comportava un’inabilità permanente
indennizzabile. Ciò in base all’assunto per cui questa – pur dovendo
essere valutata in relazione all’attitudine al lavoro in genere –
poteva in concreto essere riferita a quello specifico abitualmente
espletato, qualora l’applicazione ad altro lavoro fosse tale da
comportare una grave dequalificazione sia sotto il profilo
professionale che sotto quello del reddito.
Proposta impugnazione dall’INAIL, il Tribunale di Reggio Emilia,
aderendo all’eccezione dell’appellato, con ordinanza dell’11 marzo
1975, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 74
e 136 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni
per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), assumendone il Contrasto con gli artt. 3,
secondo comma, 35, 36 e 38 della Costituzione.
Va premesso che l’art. 136 cit. stabilisce che, se il grado di
inabilità permanente conseguente a malattia professionale può essere
ridotto con l’abbandono, definitivo o temporaneo, della specie di
lavorazione in cui questa fu contratta, qualora il lavoratore non
intenda cessare dalla lavorazione si fa luogo ad una riduzione di grado
Corrispondente della rendita prevista. Ad avviso del Tribunale, tale
norma imponendo l’abbandono del lavoro abituale e l’impiego in altra
attività per la quale è professionalmente impreparato, priva il
lavoratore della giusta retribuzione e dell’occasione di esprimere
adeguatamente le capacità personali, senza che la diminuzione della
retribuzione conseguente all’impreparazione professionale sia
compensata dalla rendita percepita, non essendo l’importo di questa
ragguagliato a tale riduzione.
Secondo il giudice a quo, ciò comporta violazione: a) dell’art. 3
Cost., menomandosi in tal modo la dignità del cittadino ed il diritto
ad un pieno sviluppo della persona umana; b) dell’art. 38 Cost., in
quanto garantisce ai lavoratori la tutela previdenziale “senza
limitazione alcuna”; c) dell’art. 36 Cost. perché la costrizione ad
una diversa attività comportante una minor retribuzione lede il
diritto a che questa sia proporzionata alla qualità del lavoro.
Inoltre – riconoscendo il testo unico solo per la silicosi e
l’asbestosi (art. 150), e non per malattie professionali di diversa
natura, il diritto ad una “rendita di passaggio” finalizzata a
consentire la riqualificazione professionale e quindi la rioccupazione
senza qualifica e salario inferiori – vi sarebbe nella specie
violazione del principio di eguaglianza, per l’irrazionalità di tale
trattamento differenziato, nonché dell’art. 35 Cost., comportando la
tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni la garanzia del
“mantenimento di un lavoro adeguato alle proprie capacità ed
attitudini”. “Di riflesso” risulterebbe in contrasto con i citati
principi costituzionali – ad avviso del Tribunale – l’art. 74. testo
unico “in quanto questo prevede un diritto all’indennizzo per malattia
professionale soltanto per una riduzione generica della capacità
lavorativa, prescindendo all’incidenza dell’affezione sulla concreta
attività dell’assicurato”.
Alle tesi del Tribunale aderiva il Ramati – costituitosi a mezzo
dell’avv. Franco Agostini – sostenendo in particolare che l’art. 74
testo unico potrebbe risultare immune da censura solo se il concetto di
“attitudine ai lavoro” ivi adottato venisse interpretato come capacità
“specifica” e non meramente “generica” di lavoro, sì da commisurare la
percentuale di invalidità permanente non a tutte le possibilità di
lavoro in astratto, ma a quelle effettivamente possibili per il
lavoratore infortunato o malato, tenendo conto in concreto della sua
qualificazione professionale, dell’età, delle attitudini ecc. Tale
auspicata interpretazione, peraltro, non farebbe cadere la questione di
costituzionalità dell’art. 136 testo unico, apparendo in contrasto con
i principi sopra richiamati sia la stessa imposizione di un’alternativa
tra l’abbandono della lavorazione e la perdita di una parte della
pensione, sia il fatto che questa non è comunque mai commisurata alla
riduzione della capacità di lavoro specifica.
L’INAIL, costituitosi a mezzo degli avvocati Vincenzo Cataldi e
Carlo Graziani, rilevava invece che il vigente sistema assicurativo –
al fine di un armonico contemperamento dei principi costituzionali
volti ad una compiuta tutela del lavoratore vittima di infortunio o
malattia professionale – prevede, tra l’altro, norme che impongono sia
all’istituto assicuratore che all’infortunato di far ricorso ai mezzi
più idonei ed utili alla restaurazione della capacità lavorativa
(artt. 86 segg. testo unico); norme che – sottolineava l’Istituto –
costituiscono attuazione del principio costituzionale di tutela della
salute, configurato dall’art. 32 Cost. non solo come diritto
dell’individuo, ma anche come interesse della collettività. Qualora
per effetto degli interventi riabilitativi ivi previsti si riduca
l’entità del danno, il sistema prevede che si faccia luogo –
attraverso l’istituto della revisione della rendita (art. 83 testo
unico) fondato anche su principi di carattere generale – ad una
corrispondente riduzione dell’indennizzo. Ma se lo stesso obiettivo
(restaurazione della capacità lavorativa) può essere conseguito
“attraverso mezzi più semplici e meno gravosi per il lavoratore che
non il doversi esso sottoporre a speciali trattamenti sanitari” – ed in
particolare attraverso l’abbandono della lavorazione nociva di cui
all’articolo 136 testo unico – ciò sarà certamente preferibile. Né
la contrazione dell’indennizzo ivi prevista per il caso di rifiuto del
lavoratore ad abbandonare l’attività svolta viola – ad avviso
dell’INAIL – il principio di corrispondenza tra danno e risarcimento.
Questo risulta infatti limitato proprio dal fatto del continuare il
lavoratore ad espletare le precedenti mansioni ed a percepire quindi il
solito guadagno; mentre, ove egli si induca ad abbandonare il lavoro
specifico, la percezione della rendita integrale varrà a compensarlo
dell’eventuale minor guadagno conseguito con la rioccupazione in
attività diversa. D’altra parte – rileva l’Istituto – l’art. 136
corrisponde, per le malattie professionali, a quanto disposto per gli
infortuni dall’art. 87, quarto comma, testo unico, che prevede una
riduzione della rendita in caso di rifiuto ingiustificato
dell’infortunato a sottoporsi alle cure. Non potendosi, in entrambi i
casi, disporre coattivamente le misure idonee al recupero della
capacità lavorativa (rispettivamente, cure e distacco dall’agente
morbigeno) la riduzione dell’indennizzo corrisponderebbe “all’esigenza
ineluttabile che per un comportamento volontario dell’assicurato, che
incide negativamente sulle possibilità di diminuzione del danno, non
si alteri a tutto vantaggio del soggetto inadempiente – la esposta
correlatività dei risarcimento; per cui quella riduzione costituisce
la conseguenza del mancato adempimento, da parte dell’assicurato
dell’onere (o obbligo?) posto dalla legge a suo carico”.
In tale prospettiva, esulano, ad avviso dell’INAIL, dalla
problematica dell’art. 136 testo unico le considerazioni fatte
nell’ordinanza di rimessione circa la rilevanza che in proposito
avrebbe il principio (enunciato dall’art. 74 testo unico e ormai
consolidato in dottrina e giurisprudenza) della riduzione della
capacità lavorativa generica e non di quella specifica. Sovvertendo
tale principio, “potrebbe incorrersi in una violazione in senso inverso
del precetto costituzionale che garantisce l’uguaglianza dei
cittadini”. Se infatti l’indennizzo dovesse essere commisurato alla
diminuita capacità specifica del soggetto, questi verrebbe ad
aggiungere, a quanto percepito a titolo di rendita per il mancato
guadagno connesso alla sua particolare attitudine lavorativa, altra od
altre remunerazioni connesse ad eventuali diverse attività; con
vantaggio quindi nei confronti di chi, continuando ad esplicare
l’attività specifica corrispondente alla propria preparazione
professionale, non può dedicarsi ad altre.
Parimenti infondate sono infine, ad avviso dell’INAIL, le
argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione attraverso il
richiamo dell’istituto della “rendita di passaggio” (art. 150 testo
unico) corrisposta – peraltro solo per un anno – come incentivo al
lavoratore affetto da silicosi ed asbestosi affinché abbandoni
l’attività morbigena e si dedichi ad altra non morbigena. Trattasi
infatti di norma eccezionale introdotta in quanto tali gravissime
tecnopatie sono allo stato insensibili ai più disparati trattamenti
sanitari, sicché un’efficace opera di profilassi e prevenzione –
idonea peraltro solo a stabilizzare le condizioni dell’individuo e non
a restaurarne la capacità lavorativa – può in pratica conseguirsi
solo con l’abbandono della lavorazione, non essendo sempre tecnicamente
realizzabile “l’allontanamento della polvere dall’operaio”.
Per tutte le altre malattie professionali, invece l’abbandono del
lavoro è solo uno dei mezzi – ed anzi, quello meno gravoso – per la
restaurazione della capacità lavorativa; ed ove esso “non si
verifichi, soccorreranno ugualmente gli altri mezzi che la legge
prescrive, e cioè quelli di natura meramente curativa”.
Entrambe le parti costituite insistevano nelle rispettive deduzioni
con memorie aggiunte.
1. – Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 136 e “di riflesso” dell’art. 74 del testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, prospettandone il contrasto con gli artt. 3, secondo
comma, 35, 36 e 38 Cost., nonché, in relazione all’art. 150 del testo
unico medesimo, con l’art. 3, primo comma, Cost.; censura quest’ultima
da ritenersi riferita al solo art. 136 del testo unico e che, comunque,
non e riprodotta nel dispositivo.
2. – Le questioni sono, entrambe, inammissibili, per difetto
assoluto di motivazione sulla rilevanza.
Invero, il Tribunale di Reggio Emilia non spende una sola parola
che possa suonare ottemperanza al disposto del secondo comma dell’art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In particolare, per quanto concerne il denunziato art. 136 del
testo unico, non è dato in alcun modo desumere come il giudice a quo
possa considerarsi tenuto a farne applicazione per la definizione di un
giudizio, nel quale non si rinviene alcun provvedimento adottato
dall’Istituto assicuratore ai sensi del medesimo art. 136.
In relazione, poi, alle censure mosse all’art. 74 dello stesso
testo unico, nulla il Tribunale dice né sulla rilevanza della
questione né sulla non manifesta infondatezza di essa. Risulta,
perciò incerta, quale interpretazione della norma denunziata sia stata
presupposta dal giudice a quo e appare per lo meno aleatoria la
comprensione dei motivi per cui i profili di illegittimità
costituzionale svolti a proposito dell’art. 136 si “riflettono” anche
sull’art. 74 del medesimo testo legislativo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inanimissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 74 e 136 del testo unico delle disposizioni
per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124,
sollevate con riferimento agli artt. 3, secondo comma, 35, 36 e 38
Cost. dal Tribunale di Reggio Emilia con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere