Sentenza N. 126 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
10/07/1981
Data deposito/pubblicazione
10/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/06/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI,
Giudici,
della legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi per
i ricoveri ospedalieri), e 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748
(Disciplina delle funzioni dirigenziali nelle Amministrazioni dello
Stato, anche ad ordinamento autonomo), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 marzo 1976 dal TAR per il Lazio nel
procedimento civile vertente tra Andreani Francesco ed altri e
l’Università degli Studi di Roma ed altro, iscritta al n. 581 del
registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 274 del 13 ottobre 1976;
2) ordinanza emessa il 14 luglio 1977 dal TAR dell’Umbria nel
procedimento civile vertente tra Larizza Paolo ed il Ministro della
pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 511 del registro ordinanze
1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del
18 gennaio 1978;
3) ordinanza emessa il 22 marzo 1979 dal TAR per la Lombardia nel
procedimento civile vertente tra Burgio Giuseppe ed altri e
l’Università degli Studi di Pavia ed altri, iscritta al n. 594 del
registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 291 del 24 ottobre 4979;
4) ordinanze emesse il 22 febbraio 1979 dal TAR della Liguria nei
procedimenti civili vertenti tra Giampalmo Antonio ed altri, De Toni
Ettore ed altro, Scopinaro Domenico ed altro ed il Ministero della
pubblica istruzione ed altri, iscritte ai nn. 713, 714 e 715 del
registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 345 del 19 dicembre 1979.
Visti gli atti di costituzione di Andreani Francesco ed altri, del
Pio Istituto di S. Spirito, di Larizza Paolo e dell’Università degli
Studi di Roma, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 15 ottobre 1980 il Giudice relatore
Guglielmo Roehrssen;
uditi gli avvocati Aldo Sandulli per Andreani Francesco ed altri,
Mario Nigro per il Pio Istituto di S. Spirito, Rinaldo Ricci per
Larizza Paolo e l’avvocato dello Stato Renato Carafa per l’Università
degli Studi di Roma e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – A seguito dell’impugnativa proposta dal prof. Francesco
Andreani e da altri docenti della Facoltà di medicina e chirurgia
dell’Università di Roma avverso il diniego opposto dall’Università
alla richiesta di percepire, in aggiunta alla retribuzione di
professore universitario, quella inerente alle funzioni di primario
ospedaliero a tempo definito da essi espletate oltre ai compiti
didattici e scientifici, il TAR del Lazio, con ordinanza 17 marzo 1976,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento
agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dell’art. 4, commi secondo,
terzo e quarto, della legge 25 marzo 1971, n. 213.
L’ordinanza rileva che, a norma dell’art. 1 del d.P.R. n. 129 del
1969 “l’ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e
degli istituti universitari di ricovero e cura deve essere adeguato
all’ordinamento interno dei servizi ospedalieri e deve prevedere
un’organizzazione analoga a quella dei corrispondenti servizi
ospedalieri”, mentre l’art. 3 del medesimo d.P.R. n. 129, prevede che
“i professori universitari di ruolo, i professori aggregati, i
professori incaricati, in quanto responsabili di un servizio speciale
di diagnosi e cura assumono, a tali effetti, la qualifica di primari
ospedalieri e conseguentemente, nei confronti dell’ente ospedaliero, i
diritti e i doveri dei primari, in quanto applicabili”. Analoga
disposizione è prevista per gli aiuti e gli assistenti universitari
dal successivo comma dello stesso art. 3.
Nell’ambito di questa disciplina l’art. 4 della legge 25 marzo
1971, n. 213, dopo avere soppresso con l’art. 1 i compensi fissi e
addizionali per i ricoveri ospedalieri previsti dall’art. 82 del r.d.
30 settembre 1938, n. 1631, che stabilisce che, a decorrere dal 1
gennaio 1971, al personale medico universitario che svolge attività
assistenziale negli istituti clinici gestiti direttamente dalle
Università o gestiti dagli enti ospedalieri sia corrisposta una
indennità, non utile ai fini previdenziali, che non potrà essere
superiore a quella necessaria per equiparare il trattamento economico
del detto personale medico universitario a quello del personale medico
ospedaliero di pari funzione e anzianità.
Il TAR del Lazio osserva che la suddetta normativa comporta per i
professori universitari, i quali in qualità di primari prestano anche
servizio ospedaliero, lo svolgimento di una attività sanitaria, in
aggiunta a quella didattica e di ricerca che essi sono tenuti a
svolgere in base al loro status, secondo quanto prevedono l’art. 62 del
testo unico n. 1592 del 1933, sull’istruzione superiore, e l’art. 6
della legge n. 311 del 1958, con un compenso che, globalmente
considerando entrambe le attività, non può superare il trattamento
economico dei primari ospedalieri con pari funzioni e anzianità.
Tale situazione normativa, inoltre, – secondo quanto ritenuto dal
TAR del Lazio – risulta aggravata dall’art. 12 del d.l. 1 ottobre 1973,
n. 580 (convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n.
766), il quale, nel prevedere il trattamento economico del personale
docente universitario, e nello stabilire la corresponsione di un
assegno (sostitutivo dell’indennità di ricerca scientifica) nonché di
altri assegni speciali, precisa, all’ottavo comma, che “il personale
medico universitario che fruisce degli assegni previsti dal presente
articolo, continua a beneficiare dell’indennità di cui all’art. 4
della legge 25 marzo 1971, n. 213, per la parte eccedente gli assegni
medesimi”. Con la conseguenza che, o l’indennità, o gli assegni di cui
sinora si è detto, risultano, in buona parte, reciprocamente
assorbiti.
Ne deriva – secondo l’ordinanza di rimessione – che con le
disposizioni anzidette si sarebbe operata una sostanziale equiparazione
del trattamento economico dei medici docenti universitari a quello dei
medici ospedalieri, senza che si sia tenuto conto della essenziale
diversità degli status funzionali delle due categorie ed in
particolare che in base al r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, i professori
universitari medici hanno compiti essenzialmente didattici e di ricerca
scientifica, nei confronti dei quali l’attività assistenziale si
atteggia come funzione strumentale, mentre i medici ospedalieri hanno
come funzione istituzionale la cura e l’assistenza degli infermi.
Sulla base di tali considerazioni, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 è
sollevata innanzi tutto sotto il profilo della violazione del principio
di uguaglianza, in quanto detto articolo porrebbe in essere una
disparità di trattamento a danno dei professori universitari:
1) nei confronti dei primari ospedalieri (medici ospedalieri), i
quali percepiscono lo stesso compenso per l’assolvimento degli obblighi
di sola assistenza, con esclusione degli obblighi di didattica e di
ricerca, compenso totalmente utile sotto il profilo previdenziale e
assistenziale, che in aggiunta viene aumentato ove i detti primari
ospedalieri vogliano svolgere attività didattica;
2) nei confronti degli altri professori universitari, ai quali è
consentito il cumulo dei diversi rapporti di lavoro, che viene
retribuito, anche se con una decurtazione prevista ex lege (r.d.l. n.
2960 del 1923, art. 99 e d.P.R. n. 19 del 1956, art. 16).
Inoltre, secondo il TAR del Lazio, il suddetto art. 4 si porrebbe
in contrasto anche con l’art. 36 della Costituzione, non essendo la
retribuzione che ne deriva per i professori universitari primari
ospedalieri proporzionata alla qualità e quantità del loro lavoro,
nonché con l’art. 38 della Costituzione, nella parte in cui prevede
che la indennità di che trattasi non sia utile ai fini previdenziali e
assistenziali.
2. – Dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri e si è costituita l’Università degli Studi di Roma,
entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata non fondata.
Nelle difese si rileva che l’art. 4 ha funzione perequativa fra
primari ospedalieri che non siano professori universitari e primari
ospedalieri che siano anche professori universitari e si osserva che la
“duplicità” di funzioni di questi ultimi è più apparente che
sostanziale in quanto il legislatore ha statuito (art. 3 d.P.R. n.
129/1969) che la loro attività didattico-scientifica ed assistenziale
si svolga nei limiti della compatibilità e col necessario
contemperamento. Si richiamano altresì i lavori parlamentari sulla
legge n. 213 del 1971, dai quali si evincerebbe la razionalità della
ratio dell’art. 4, diretta a parificare i trattamenti economici di
tutti coloro che abbiano la qualifica di primari ospedalieri, per
evitare esodi dalle università o dagli ospedali verso l’attività
meglio retribuita.
Quanto alla violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione,
secondo l’Avvocatura dello Stato né il primo viene vulnerato dalla
norma impugnata, una volta che l’attività assistenziale e didattica
viene considerata nella sua globalità, né il secondo una volta che
non è precluso al legislatore ordinario attribuire una “indennità”
non utile ai fini previdenziali e assistenziali ad un pubblico
dipendente che già gode di un suo trattamento previdenziale ed
assistenziale.
Si è costituito pure il Pio Istituto di S. Spirito ed OO.RR. di
Roma, chiedendo anch’esso che la questione sia ritenuta non fondata.
Nelle deduzioni depositate si osserva che la disparità di
trattamento non esiste perché l’indennità ex art. 4 ha soltanto il
fine di compensare l’attività che i professori universitari che si
trovano in questa situazione svolgono in più rispetto a tutti gli
altri professori universitari per il fatto di essere preposti ad una
unità ospedaliera.
Professori universitari preposti ad unità ospedaliere e primari
per così dire “puri” non si trovano – secondo le note depositate –
sotto il profilo dello svolgimento dell’attività di assistenza, in
posizione paritaria, perché i secondi fanno soltanto i primari mentre
i professori universitari preposti ad unità ospedaliere svolgono anche
ed, anzitutto, le attività cui li obbligano le leggi universitarie
(art. 84 testo unico n. 1592/1933; art. 6 legge n. 311/1958), cosicché
i professori universitari svolgono come tali e solo in forma e misura
dipendenti dall’attività didattica e di ricerca compiti di assistenza;
pertanto la retribuzione che percepiscono quali professori varrebbe
anche a compensarli della attività di assistenza.
Neppure sarebbero comparabili la posizione del professore
universitario primario, per il quale la duplicità di funzioni è
istituzionale, e quella del primario che occasionalmente assuma un
incarico universitario.
Quanto alla disparità di trattamento nei confronti degli altri
professori universitari, ai quali è consentito il cumulo di più
rapporti di lavoro con retribuzioni decurtate in misura prevista dalla
legge, si deduce che l’art. 4 ha proprio la funzione di compensare il
professore universitario del di più di lavoro che gli deriva dalla
contemporanea qualifica di primario, essendosi fuori dal campo di
cumulo d’impieghi, tanto è vero che l’assegno ex art. 4 viene
corrisposto dall’Università (e non dall’ospedale).
La questione non sarebbe fondata neppure in relazione agli artt. 36
e 38 della Costituzione, non essendo dimostrato che la retribuzione dei
professori universitari-primari non sia proporzionata alla qualità e
quantità del loro lavoro e godendo essi di trattamento previdenziale
ed assicurativo sulla base dello stipendio di professori.
3. – Si sono costituiti anche i docenti universitari che avevano
proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, chiedendo che l’art. 4 della
legge n. 213 del 1971 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo “in
quanto esclude che i docenti universitari investiti anche delle
funzioni di primario ospedaliero abbiano il diritto di ottenere, in
aggiunta al trattamento ad essi spettante – in corrispondenza della
qualifica, del coefficiente e della anzianità di ciascuno – in quanto
professori universitari, altresì la retribuzione dovuta ai primari
ospedalieri di pari anzianità, o, quanto meno, quella ridotta parte di
essa che risulti corrispondente alle ulteriori (prevalenti) prestazioni
che i ricorrenti sono tenuti ad effettuare (in aggiunta all’attività
di professori universitari) in quanto preposti a reparti ospedalieri in
qualità di primari, con decorrenza dalla entrata in vigore della legge
n. 213/1971, e comunque dal cumulo dei due servizi da parte di
ciascuno”.
Si osserva nelle note depositate che dall’art. 7 del decreto
interministeriale 24 giugno 1971 (Gazzetta Ufficiale 20 luglio 1971, n.
182) risulta che il tempo che il cattedratico responsabile del reparto
è tenuto a dedicare alla direzione di esso deve corrispondere (dato
che il responsabile è lui: art. 3 d.P.R. n. 129/1969) a quello di un
primario ospedaliero a tempo definito.
Comunque – si deduce – l’attività sanitaria si aggiunge
all’attività di insegnamento e tale aspetto addizionale appare ancora
manifesto quando si raffronti la posizione dei cennati professori con
quella dei professori di altre facoltà e degli stessi professori delle
facoltà mediche che non abbiano responsabilità ospedaliera.
Detta attività addizionale, in forza dell’art. 4, resterebbe
sostanzialmente priva di retribuzione, tenuto anche conto che in base
alla sentenza n. 129 del 1975 di questa Corte, essendo stati i
professori universitari della classe più alta di stipendio (parametro
825) agganciati ai dirigenti generali della qualifica A) con
trattamento omnicomprensivo, tale trattamento comporta per i professori
universitari della classe più alta di stipendio che nessuna indennità
viene percepita ex art. 4.
Ne deriverebbe lesione dell’art. 3 della Costituzione, per
l’ingiustificato trattamento deteriore fatto ai professori universitari
primari ospedalieri rispetto ai docenti universitari che non siano
anche primari ospedalieri, in quanto l’impugnato art. 4:
– o esclude ogni compenso (come per i professori che abbiano
diritto al trattamento di dirigenti generali di qualifica A) per
l’attività ospedaliera;
– o prevede un compenso, il quale, anziché commisurarsi alla
qualità e quantità del lavoro addizionale prestato (e riferirsi
perciò alla retribuzione dei sanitari ospedalieri, in correlazione col
tempo – aggiuntivo – effettivamente dedicato all’attività di cui
trattasi), è invece pari alla differenza per portare il trattamento
complessivo ad un livello che non superi quello dei sanitari
ospedalieri di pari funzioni (sanitarie) e anzianità.
Ulteriore sperequazione deriverebbe – secondo le parti private –
dal fatto che l'”indennità” prevista dalla legge n. 213/1971 non è
utile ai fini previdenziali e assistenziali.
A sostegno della fondatezza della questione si sostiene altresì
che, per quanto riguarda il servizio sanitario, fra i professori
universitari – impiegati statali – e le Università, si instaura un
nuovo rapporto di servizio, diverso da quello esistente fra professori
e Stato. La duplicità e diversità di tali rapporti, renderebbe
pertinente il richiamo, a fondamento della dedotta illegittimità
costituzionale della norma impugnata, della giurisprudenza di questa
Corte in materia di cumulo d’impieghi e di retribuzioni (sentenze n.
152/1970; n. 10/1973; n. 11 del 1973) secondo la quale il legislatore,
in caso di cumulo d’impieghi, non può ridurre la retribuzione della
seconda attività senza attenersi a criteri ragionevoli, come invece
avrebbe fatto la norma impugnata.
Altra disparità di trattamento deriverebbe da tale norma nei
confronti dei primari ospedalieri che, pur non cumulando gli obblighi
didattici e di ricerca dei professori universitari, riceverebbero un
pari trattamento e, se titolari di incarico universitario,
riceverebbero anche una distinta retribuzione per tale incarico.
Altra disparità di trattamento sarebbe ancora da ravvisarsi fra
professori universitari che siano anche primari ospedalieri, perché
l’indennità prevista per l’attività ospedaliera varia a seconda del
maggiore o minore stipendio del docente sino ad annullarsi per i
professori più anziani.
La questione, infine, sarebbe fondata anche sotto il profilo della
violazione dell’art. 36 della Costituzione, comportando la norma
impugnata una retribuzione non corrispondente alla qualità e quantità
del lavoro prestato.
4. – il TAR dell’Umbria, con ordinanza emessa il 14 luglio 1977 nel
corso di un giudizio promosso dal prof. Paolo Larizza nei confronti del
Ministero della pubblica istruzione per far dichiarare l’illegittimità
del provvedimento col quale era stato disposto il recupero delle somme
corrispostegli a titolo d’indennità ex art. 4 legge n. 213/1971, non
ostante che egli godesse del trattamento dirigenziale omnicomprensivo,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972,
n. 748, nella parte in cui il principio della omnicomprensività è
riferito anche ai professori universitari con trattamento dirigenziale
ed operanti in unità ospedaliere.
Il TAR, ritenuta la preclusione del cumulo fra trattamento
dirigenziale omnicomprensivo e l’indennità su detta, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo, innanzi tutto, che
“darebbe vita ad una irragionevole rottura con la logica volta ad
assoggettare il sanitario universitario agli stessi obblighi di
servizio e, quindi, allo stesso trattamento economico dei medici
ospedalieri un regime, qual è quello della omnicomprensività,
destinato ad assicurare ai clinici universitari in posizioni di vertice
un trattamento economico deteriore rispetto a quello riconosciuto ai
medici ospedalieri, ai quali i sanitari universitari risultano, per i
profili passivi, interamente assimilati”.
Ulteriore vizio di illegittimità costituzionale emergerebbe
ponendo a raffronto la posizione dei clinici universitari al vertice
della scala retributiva con quella dei clinici universitari collocati
in posizione parametrale inferiore; mentre per i primi la disciplina
dirigenziale comporta l’assegnazione del solo trattamento tabellare
(corrispondente al livello A) della dirigenza statale) ai secondi
risulta, invece, accordata la indennità integrativa prevista dall’art.
4 della legge n. 213 del 1971, destinata a condurre al raggiungimento
del trattamento economico proprio del sanitario ospedaliero di
corrispondente qualifica.
Una disciplina siffatta condurrebbe all’irragionevole risultato di
non assicurare al medico universitario di maggiore livello un
trattamento economico proporzionatamente maggiore a quello riservato ai
clinici universitari di parametro inferiore, determinando un
irragionevole sconvolgimento del sistema di sviluppo dei livelli
retributivi connessi al diverso parametro posseduto.
Davanti a questa Corte si è costituito il prof. Larizza chiedendo
che la questione sollevata sia dichiarata fondata.
5. – Questione analoga alla precedente è stata sollevata anche dal
TAR della Liguria nel corso di giudizi promossi da professori
universitari avverso provvedimenti i quali attribuivano loro lo
stipendio dirigenziale di livello A) e statuivano il contemporaneo
assorbimento di tutte le altre indennità già da essi percepite,
comprese quelle di cui all’art. 4 della legge n. 213/1971.
Il TAR della Liguria con ordinanze del 22 febbraio 1979, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli
artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, degli artt. 50 del d.P.R. 30
giugno 1972, n. 748 e 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
Secondo tali ordinanze, la disciplina della omnicomprensività
stabilita dall’art. 50 del d.P.R. n. 748, riferita ai sanitari
universitari pervenuti all’ultima classe di stipendio, i quali svolgano
attività assistenziale in unità ospedaliere clinicizzate o
convenzionate, sarebbe in contrasto con i detti articoli della
Costituzione, in quanto i professori con parametro 825, che svolgono
attività assistenziale sanitaria, verrebbero ad avere un trattamento
ingiustificatamente indiscriminato non soltanto nei confronti degli
altri docenti con eguale parametro e dei sanitari ospedalieri, ma anche
nei confronti dei sanitari universitari con parametro inferiore a 825,
i quali, continuando a percepire l’indennità ex art. 4 della legge n.
213/1971 ed i compensi per altre prestazioni aggiuntive, si
troverebbero ad avere un trattamento economico globale superiore a
quello attribuito ai docenti con le stesse funzioni e con qualifica
superiore.
Unitamente a tale questione e subordinatamente alla declaratoria
d’illegittimità costituzionale dell’art. 50 anzidetto, il TAR della
Liguria ha sollevato anche questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4 della legge n. 213 del 1971, in relazione agli artt. 3,
36, 38 e 97 della Costituzione, con motivazione identica a quella del
TAR del Lazio.
In tale giudizio non vi è stata costituzione di parti.
6. – Questione di legittimità costituzionale, analoga alle
precedenti, dell’art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, in
riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, è stata sollevata
anche dal TAR della Lombardia, con ordinanza 22 marzo 1979.
Neanche nel giudizio di legittimità costituzionale così promosso
vi sono state costituzioni di parte.
1. – Con le ordinanze di rimessione di cui in epigrafe sono state
sottoposte all’esame della Corte due questioni riguardanti l’art. 4
della legge 25 marzo 1971, n. 213 (recante: “Soppressione dei compensi
fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all’art. 82 del regio decreto
30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di
cui al decreto-legge 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17
gennaio 1968, n. 4”) ed una terza questione riguardante l’art. 50 del
d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 (recante: “Disciplina delle funzioni
dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo”): tali questioni attengono tutte al trattamento economico dei
professori universitari delle facoltà di medicina e chirurgia che
operino in unità ospedaliere ed involgono l’esame di problemi analoghi
o connessi. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con
unica sentenza.
2. – Con la prima questione (prospettata dal TAR della Liguria) si
denuncia la illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 25
marzo 1971, n. 213, con riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della
Costituzione, in quanto in forza di esso ai professori universitari, i
quali abbiano anche la qualifica di primari ospedalieri, spetterebbe
una retribuzione non proporzionata alla quantità e qualità del loro
lavoro, nonché una ingiustificata disparità di trattamento nei
confronti:
a) dei primari che non siano anche professori universitari,
percependo i professori universitari per una (doppia attività,
assistenziale e didattica uno stipendio non maggiore di quello dei
primari non professori, i quali esplicano solo attività assistenziale;
b) nei confronti dei primari che abbiano un incarico universitario,
perché costoro sono retribuiti per tale seconda attività;
c) nei confronti degli altri professori universitari, essendo per
essi consentito il cumulo delle retribuzioni in relazione al cumulo dei
rapporti di lavoro.
La seconda questione (sollevata dal TAR del Lazio) denuncia l’art.
4 della legge n. 213 del 1971, per violazione dell’art. 38 della
Costituzione, nella parte in cui statuisce che l’indennità in esso
prevista non è utile ai fini previdenziali ed assistenziali.
Con la terza questione, infine (sollevata dai TAR dell’Umbria,
della Liguria e della Lombardia) si dubita, in riferimento agli artt. 3
e 36 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 50
del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui stabilisce che il
principio dell’omnicomprensività retributiva si riferisce anche ai
professori universitari con trattamento dirigenziale operanti in unità
ospedaliere, in quanto l’applicazione ad essi di tale principio
comporterebbe:
a) un deteriore trattamento per i clinici universitari rispetto ai
medici ospedalieri;
b) una ingiustificata differenza di trattamento fra clinici
universitari, a seconda che usufruiscano del trattamento dirigenziale e
omnicomprensivo ovvero non ne usufruiscano, potendo in tale ultimo caso
usufruire di altre indennità;
c) una ingiustificata differenza di trattamento rispetto a tutti
gli altri professori universitari, che hanno uguale trattamento e non
svolgono attività di assistenza sanitaria;
d) una retribuzione non proporzionata alla qualità e quantità del
lavoro.
3. – La prima delle questioni sottoposte alla Corte investe l’art.
4, secondo comma, della legge 213 del 1971, partendo dal presupposto
che i professori universitari operanti nelle cliniche universitarie
sarebbero titolari di un duplice rapporto d’impiego o, quanto meno,
sarebbero tenuti ad una pluralità di prestazioni lavorative la quale
imporrebbe una retribuzione diversa e maggiore di quella posta con la
norma in parola.
Ciò richiede che la Corte accerti preliminarmente la reale
situazione giuridica dei professori universitari che siano anche
direttori di cliniche universitarie o più in generale, dei professori
universitari che operino nelle cliniche stesse.
Questa Corte, con la sentenza n 103 del 1977 ha già riconosciuto
che l’attività che viene svolta dai docenti universitari nelle
cliniche e negli istituti di ricovero e cura non solo non è
incompatibile con l’attività didattico-scientifica, ma, al contrario,
che esse sono “suscettibili di ottimale collegamento o addirittura
compenetrazione”. Ed infatti, come è noto, le cliniche annesse alla
Facoltà di medicina e chirurgia forniscono i mezzi necessari per lo
svolgimento delle lezioni e delle esercitazioni universitarie nonché
per le indagini scientifiche alle quali è tenuto il personale
insegnante ed assistente delle Facoltà medesime, sicché loro
caratteristica è la preminenza del fine didattico-scientifico su
quello meramente assistenziale. Da ciò discende che le cliniche
costituiscono organi delle Università e che l’attività assistenziale
dei docenti predetti si inquadra senz’altro nella attività propria dei
docenti universitari.
Sulla base di questa premessa sia l’art. 84 del r.d. 31 agosto
1933, n. 1592 (“Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore”),
sia l’art. 6, ultimo comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311 (recante:
“Norme sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari”)
hanno chiarito che fra gli obblighi dei professori universitari
rientrano anche quelli di attendere alla direzione o alla esplicazione
della propria attività di collaborazione nei gabinetti, istituti,
cliniche, laboratori e simili, cioè in tutte quelle istituzioni che
concorrono in vario modo allo svolgimento delle attività proprie delle
Università: in altri termini, il servizio prestato dai docenti
universitari nei reparti clinico-ospedalieri fa parte integrante dei
doveri inerenti al loro status, alla pari di qualsiasi altra forma di
partecipazione alla vita universitaria in genere (laboratori, istituti,
ecc.). Di conseguenza tale servizio non può non essere ricompreso
nella normale retribuzione spettante ai docenti medesimi.
Il carattere proprio delle cliniche universitarie e la natura
dell’opera ivi espletata dai professori addetti non è stata mutata
dalla riforma ospedaliera del 1968.
L’art. 1, terzo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132,
infatti, si limita a constatare che l’assistenza ospedaliera viene
svolta anche nelle cliniche universitarie, aggiungendo che ad esse si
applicano le norme di detta legge “limitatamente all’esercizio della
attività assistenziale”.
Come questa Corte ha osservato nella citata sentenza n. 103 del
1977, con le disposizioni in parola il legislatore ha inteso
mobilitare, per l’assolvimento del servizio in cui si concreta
l’assistenza ospedaliera pubblica, anche gli istituti di ricovero e
cura a carattere scientifico, le cliniche e gli istituti universitari,
dichiarandoli soggetti, per la parte assistenziale, alla disciplina
unitaria posta dalla stessa legge di riforma: ma ciò se ha inciso
sull’ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche, non
ha operato sulla posizione giuridica dei docenti universitari
incaricati nei cennati istituti e cliniche, posizione giuridica la
quale rimane soggetta alle norme precedentemente ricordate.
Di conseguenza modifiche non sono state apportate, su questo punto,
neppure dalle norme contenute nel d.P.R. 27 marzo 1969, n. 129
(recante: “Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche
e degli istituti universitari di ricovero e cura”), emanato in
attuazione della delega di cui agli artt. 40 e 42 della legge n. 132
del 1968 e destinato a dare applicazione al principio affermato
nell’art. 1, terzo comma, già citato.
In particolare l’art. 3, quando stabilisce che i professori
universitari di ruolo (nonché gli aggregati e gli incaricati) in
quanto responsabili di una divisione o di un servizio speciale di
diagnosi e cura, assumono “a tali effetti”, la qualifica di primari
ospedalieri e, conseguentemente, nei confronti dell’ente ospedaliero, i
diritti ed i doveri dei primari “in quanto applicabili”, altro non fa
che meglio chiarire e precisare la posizione del professore in rapporto
alla attività assistenziale che si svolge nell’ambito della clinica,
non essendo da dubitare che anche prima della riforma detti docenti
fossero soggetti agli obblighi ed alle responsabilità inerenti
all’esercizio delle relative funzioni.
Non diversamente dispone il secondo comma del medesimo art. 3 per
quel che riguarda gli aiuti e gli assistenti.
Il concetto è stato ripreso integralmente dall’art. 102, primo
comma, del d.P.R. il luglio 1980, n. 382 (recante: “Riordinamento
della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché
sperimentazione organizzativa e didattica”), aggiungendosi che
dell’adempimento dei doveri inerenti alle funzioni assistenziali il
personale universitario “risponde alle autorità accademiche
competenti”, il che sottolinea la unicità del rapporto di impiego dei
detti professori.
Consegue da quanto si è detto che gli stessi professori
universitari inseriti nelle cliniche ed istituti di ricovero e di cura
non sono soggetti ad un duplice rapporto di impiego e neppure che essi,
in quanto operino in dette cliniche ed istituti, svolgano una attività
la quale abbia caratteristiche diverse da quella loro propria.
Al più è possibile parlare di un’attività la quale può rendere
e di fatto rende più oneroso il lavoro dei docenti addetti agli
istituti in parola ed è certamente in considerazione di ciò che il
legislatore, fin ab antiquo, ha rivolto una particolare attenzione a
questa situazione prevedendo qualche speciale compenso. Ne è già
parola nel r.d. 13 novembre 1859, n. 3725 (comunemente conosciuto come
“legge Casati”): nella nota alla tabella B) ivi allegata si dice
infatti che “i professori i quali oltre le lezioni hanno od una clinica
o uno stabilimento cui prestar la loro cura e sorveglianza godranno
dell’aumento determinato dalla relativa pianta”.
Contrariamente a quanto si afferma dalle parti private, il testo
unico n. 1592 del 1933, non parla espressamente di compensi del genere
(limitandosi, nell’art. 59, che prevede prestazioni a pagamento, a
rinviare al regolamento di esecuzione circa la loro utilizzazione: e
l’art. 133 del r.d. 6 aprile 1924, n. 674, che approvò il regolamento
generale universitario, a sua volta, parla genericamente della
destinazione delle somme provenienti da dette prestazioni, fra l’altro,
a compensi al personale). Invece con l’art. 82 del r.d. 30 settembre
1938, n. 1631 (recante: “Norme generali per l’ordinamento dei servizi
sanitari e del personale sanitario degli ospedali”) si introdusse la
facoltà di imporre un compenso fisso per ogni ricoverato in corsia
comune a carico di enti mutualistici, compenso che sarebbe stato poi
devoluto ai sanitari curanti.
Ma con la legge 25 marzo 1971, n. 213, il legislatore, nella sua
discrezionalità e per scopi chiaramente perequativi, ha ritenuto di
mutare sistema, sopprimendo i compensi fissi previsti dal r.d. n. 1631
del 1938 e stabilendo con l’art. 4 (ora riprodotto nell’art. 31 del
d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, recante: “Stato giuridico del
personale delle unità sanitarie locali”) che gli enti ospedalieri
versino alle Università la somma corrispondente al costo necessario
per dotare di personale medico ospedaliero a tempo definito ogni unità
a direzione universitaria. È poi l’Università che destina tale somma
alla corresponsione al personale medico universitario che svolga
comunque attività assistenziale di una indennità che non può essere
superiore, nel suo ammontare, a quanto occorrente per equiparare il
trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari
funzioni ed anzianità; in tal modo si è voluto fondamentalmente
addivenire alla equiparazione economica fra sanitari ospedalieri e
docenti universitari che operino nelle cliniche universitarie, ma
rispettando la posizione dei docenti universitari i quali ricevono la
indennità non dall’ente ospedaliero ma dalla Amministrazione
universitaria.
Il legislatore, pertanto, ha preso in considerazione la posizione
degli universitari inseriti nelle cliniche, ma ha più volte variato il
criterio in base al quale calcolare l’emolumento: da ultimo ha ritenuto
di dovere seguire il criterio, certo non irrazionale, di equiparare,
nei limiti del possibile, la posizione economica dei sanitari
ospedalieri e dei docenti universitari operanti nelle cliniche.
4. – Da tutto quanto si è venuto fin qui esponendo emerge, ad
avviso della Corte, che per i docenti universitari dei quali si tratta
non è possibile parlare di un duplice rapporto di impiego né di un
lavoro supplementare o aggiuntivo che sia da considerare al di fuori
dei doveri inerenti allo status di professore universitario: il
compenso per il più oneroso svolgimento della loro attività trova
tradizionalmente base in una valutazione discrezionale del legislatore,
la quale soprattutto non deve trascurare la posizione dei professori a
tempo pieno.
Ma se così è, nessuno dei profili di incostituzionalità
denunciati dalle ordinanze di rimessione risulta fondato.
Infatti per quanto attiene alla pretesa violazione del principio di
uguaglianza (art. 3 Cost.) si osserva che:
a) non può parlarsi di disparità di trattamento con gli
ospedalieri che non siano docenti universitari e che percepiscono il
medesimo stipendio pure svolgendo solo attività assistenziale, poiché
per i professori dei quali qui si tratta la attività assistenziale si
compenetra con quella didattico-scientifica;
b) non esiste possibilità di operare un confronto fra i professori
in parola e gli ospedalieri cui sia conferito un qualsiasi incarico di
insegnamento universitario, in quanto questi ultimi svolgono in effetti
due lavori separati e distinti e sono titolari di due distinti rapporti
di impiego;
c) infine non può parlarsi di disparità di trattamento con i
docenti universitari appartenenti ad altre facoltà ai quali sia
consentito il cumulo di più rapporti di impiego, sempre perché per i
docenti in questione non si ha alcun cumulo ma, ripetesi, soltanto la
esplicazione di una attività sostanzialmente unitaria.
Né può ritenersi violato l’art. 36 della Costituzione, poiché,
come si è veduto, la legge riconosce ai professori in parola, proprio
per il maggior lavoro al quale essi sono assoggettati, uno speciale
compenso, la cui entità rientra, come già detto, nell’apprezzamento
discrezionale del legislatore.
Quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 97 della
Costituzione, l’ordinanza di rimessione non precisa in alcun modo il
contenuto della violazione stessa.
5. – Fondata, invece, appare la seconda questione sottoposta
all’esame della Corte.
Invero la indennità che viene corrisposta a norma dell’art. 4
costituisce pur sempre una componente del complessivo trattamento
economico spettante al professore universitario quando svolga attività
assistenziale sanitaria e come tale essa non può non essere utile ai
fini assistenziali e previdenziali, in applicazione dell’art. 38 Cost.:
il divieto all’uopo posto nell’art. 4 viola, di conseguenza, tale norma
costituzionale, tanto più che gli enti assistenziali, nel versare alle
Università le somme di cui al ripetuto secondo comma dell’art. 4, vi
comprendono anche i contributi previdenziali, i quali non possono poi
rimanere nelle casse universitarie e non produrre, quindi, alcun
benefico effetto nei riguardi dei soggetti ai quali si riferiscono.
Deve, di conseguenza, dichiararsi la illegittimità costituzionale
del citato art. 4, secondo comma, nella parte nella quale stabilisce
“non utile ai fini previdenziali ed assistenziali” la indennità de
qua.
6. – In conseguenza della declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 4, secondo comma, nella parte or ora citata,
la Corte, avvalendosi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
deve dichiarare la illegittimità costituzionale anche dell’art. 31,
primo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui
stabilisce che la indennità ivi preveduta, identica a quella già
preveduta dall’art. 4 suddetto, non e utile ai fini previdenziali ed
assistenziali.
7. – Fondata è, infine, anche la terza delle questioni sottoposte
a questa Corte, che investe il disposto dell’art. 50 del d.P.R. 30
giugno 1972, n. 748.
Questa disposizione, come è noto, ha posto il divieto di
corrispondere ai “funzionari dirigenti”, oltre all’indennità di
funzione, ulteriori “indennità, proventi o compensi a qualsiasi titolo
in connessione con la carica, salvo che abbiano carattere di
generalità per tutti gl’impiegati civili dello Stato”. Tale divieto,
in conseguenza di quanto statuito nella sentenza n. 219 del 1975 di
questa Corte, si applica anche ai professori universitari con parametro
825, ancorché prestino la loro opera in cliniche universitarie,
cosicché essi non possono usufruire dell’indennità prevista dall’art.
4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
Ma il suddetto divieto, nei limiti in cui si estende all’indennità
prevista dall’art. 4 sopra citato, appare irragionevole, ove si tenga
conto della particolare finalità della indennità in questione,
diretta a perequare il trattamento dei professori universitari con
quella dei medici ospedalieri di pari funzioni e anzianità.
La circostanza che un professore universitario raggiunga il
parametro 825, non elimina l’esigenza di perequazione, ove per
qualunque ragione il suo stipendio venga ad essere inferiore a quello
del medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità.
L’art. 50 del d.P.R. 50 giugno 1972 va pertanto dichiarato
costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, nella parte in cui esclude che ai docenti universitari
che operino in cliniche universitarie ed abbiano raggiunto il parametro
825 possa essere corrisposta l’indennità prevista già dall’art. 4
della legge 25 marzo 1971, n. 213 ed ora dall’art. 31 del citato d.P.R.
20 dicembre 1979, n. 761.
Rimane assorbita la dedotta violazione dell’art. 36 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge
25 marzo 1971, n. 213 (recante: “Soppressione dei compensi fissi per i
ricoveri ospedalieri di cui all’art. 82 del regio decreto 30 settembre
1938, n. 1631, e della Cassa nazionale di conguaglio di cui al
decreto-legge 18 novembre 1967, n. 1044, convertito nella legge 17
gennaio 1968, n. 4”), nella parte in cui stabilisce che l’indennità in
esso prevista non è utile ai fini assistenziali e previdenziali;
b) dichiara altresì d’ufficio, ai sensi dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87 e negli stessi limiti, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761
(recante: “Stato giuridico del personale delle unità sanitarie
locali”);
c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 50 del d.P.R.
30 giugno 1972, n. 748 (recante: “Disciplina delle funzioni
dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo”), nella parte in cui esclude che ai docenti universitari i
quali operino in cliniche universitarie ed abbiano raggiunto il
parametro 825 possa essere corrisposta l’indennità prevista dall’art.
4 della legge 25 marzo 1971, n. 213 e dall’art. 31 del d.P.R. 20
dicembre 1979, n. 761;
d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, sollevata dai TAR del
Lazio e della Liguria, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della
Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere