Sentenza N. 127 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
14/07/1977
Data deposito/pubblicazione
14/07/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/07/1977
OGGIONI – Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO
VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. LEOPOLDO
ELIA – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI, Giudici,
comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni
legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali),
promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1974 dal tribunale di
Modena, nel procedimento civile vertente tra Sacchetti Gino e la ditta
SERISCREEN, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 1975 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 5 marzo 1975.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 1977 il Giudice relatore
Leopoldo Elia;
adito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Sacchetti Gino conveniva innanzi al tribunale di Modena
Corradi Giorgio, titolare della ditta Seriscrecn corrente in Carpi ed
operante nel campo delle pellicole rifragenti per segnaletica stradale,
e, premesso che egli nel corso del rapporto di lavoro con il detto
Corradi aveva elaborato una nuova formula idonea a consentire la
produzione di pellicole di elevata e particolare capacità rifrangente,
chiedeva che il medesimo fosse condannato nei suoi confronti al
pagamento di un premio commisurato all’importanza dell’invenzione.
Il convenuto eccepiva incompetenza del giudice adito, dovendo la
controversia essere invece sottoposta al collegio arbitrale previsto
dall’art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, recante:
“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di brevetti per
invenzioni industriali”.
Il tribunale, rilevato che, secondo la costante giurisprudenza, il
collegio arbitrale di cui all’art. 25, primo comma, r.d. n. 1127 del
1939 citato è competente non solo in ordine alle questioni inerenti al
quantum sibbene anche in ordine a quelle relative all’an, che
l’istituto è qualificato dalla giurisprudenza come arbitrato
obbligatorio e necessario, sollevava questione di costituzionalità
relativamente alla norma suddetta, dubitando contrastasse con quanto
dispongono gli articoli 24, primo comma, 25, primo comma, 102, primo
comma, della Costituzione.
Il collegio arbitrale in discussione non potrebbe qualificarsi
giudice speciale, essendo composto di privati ed esercitando solo
occasionalmente le sue funzioni. La sua competenza esclusiva in materia
di premi conseguenti ad invenzioni elaborate nel corso di rapporto di
lavoro verrebbe allora a contrastare con i principi del giudice
naturale sanciti dall’articolo 25, primo comma, della Costituzione. La
circostanza poi che i componenti del collegio arbitrale vendono
nominati dopo che la controversia è insorta sarebbe incompatibile con
il principio di precostituzione del giudice per legge stabilito dalla
medesima disposizione.
Sarebbe poi violato l’art. 102, primo comma, della Costituzione,
dato che la esclusiva competenza in materia viene attribuita ad organo
non composto da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme
dell’ordinamento giudiziario. La impossibilità nel procedimento
arbitrale di chiedere ed ottenere provvedimenti cautelari, la limitata
possibilità di impugnare la sentenza arbitrale medesima
costituirebbero infine elementi tali da indurre a dubitare seriamente
circa la idonea tutela del diritto di agire.
2. – Interveniva nel giudizio innanzi a questa Corte il Presidente
del Consiglio dei ministri rappresentato dall’Avvocatura dello Stato il
quale chiedeva si pronunziasse sentenza di rigetto. Dovrebbe
escludersi la pertinenza del richiamo al divieto di istituire giudici
speciali contenuto nell’art. 102 della Costituzione, non potendosi
considerare l’arbitrato obbligatorio una forma di giurisdizione
speciale. Tale arbitrato, d’altra parte, finirebbe con il convogliare
le controversie nell’ambito della giurisdizione ordinaria, attraverso
il controllo in sede di omologazione, attraverso l’impugnazione per
nullità ed attraverso il possibile intervento della Corte suprema n
sede di ricorso avverso le sentenze pronunziate su tale impugnativa.
Il collegio arbitrale, inoltre, dovrebbe considerarsi, come organo,
precostituito rispetto alle singole regiudicande che insorgono, anche
se la nomina dei componenti avviene successivamente; dovrebbe quindi
essere esclusa ogni violazione dell’art. 25, primo comma, della
Costituzione, così come interpretato costantemente dalla Corte
costituzionale.
Poiché, infine, il diritto di agire, secondo l’insegnamento della
stessa Corte costituzionale, potrebbe essere diversamente regolato in
rapporto ai diversi tipi di procedimento, le particolari
caratteristiche del processo arbitrale non comporterebbero una
violazione della norma costituzionale che lo tutela.
Nell’udienza di discussione l’Avvocatura dello Stato si riportava
all’atto di intervento.
1. – Questa Corte esamina per la prima volta una questione di
legittimità costituzionale in tema di arbitrato rituale obbligatorio o
necessario, e la esamina sulla base di una ordinanza di rimessione che
(con compiutezza di riferimenti alle norme costituzionali – parametro)
ha indicato la possibilità di contrasto tra l’art. 25, primo comma,
del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 e gli artt. 24, primo comma, 25, primo
comma, e 102, primo comma, della Costituzione.
Né potrebbe contestarsi la rilevanza della questione sollevata,
poiché, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione,
il collegio arbitrale previsto dal citato art. 25, primo comma, del
r.d. n. 1127 del 1939 è competente a decidere le controversie non
soltanto sul quantum, ma anche sull’an, vale a dire su qualsiasi
controversia giuridica inerente al compenso spettante al dipendente
inventore.
La questione, per ciò che concerne il contrasto della norma
impugnata con il combinato disposto degli artt. 24, primo comma, e 102,
primo comma, Cost., deve ritenersi fondata.
Infatti, se la Costituzione garantisce ad ogni soggetto il diritto
di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi, ne deriva che, fuori delle ipotesi previste dall’art. 103
Cost., tale diritto deve potersi esercitare dinanzi agli organi
giudiziari ordinari. Ciò non toglie che, “rispetto ad una o anche a
più controversie determinate o determinabili, i soggetti possono
esercitare un potere di disposizione che è strettamente collegato al
potere di azione, seppure non ne è addirittura un aspetto e uno
svolgimento” convenendo con una controparte di deferire una o più
questioni al giudizio di un arbitro o di un collegio arbitrale (sent.
n. 35 del 1958).
In altre parole, a seguito del congiunto disposto degli articoli
24, primo comma, Cost. (diritto di azione in giudizio e correlativo
esercizio, costituzionalmente garantiti) e 102, primo comma, Cost.
(riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari, salve le
eccezioni di cui all’articolo seguente), il fondamento di qualsiasi
arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché
solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di
disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24,
primo comma, Cost.) può derogare al precetto contenuto nell’art. 102,
primo comma, Cost. Ciò corrisponde al criterio di interpretazione
sistematica del testo costituzionale (nel quale la portata di una norma
può essere circoscritta soltanto da altre norme dello stesso testo o
da altre ancora ad esse parificate); e corrisponde anche alla garanzia
costituzionale dell’autonomia dei soggetti (sottolineata con
particolare vigore nella sent. n. 2 del 1963 di questa Corte),
autonomia, che, mentre ad altro proposito è tutelata dagli artt. 41-44
Cost., nella materia che ne occupa e per le situazioni di vantaggio
compromettibili è appunto garantita dall’art. 24, primo comma, della
Costituzione.
Sicché la “fonte” dell’arbitrato non può più ricercarsi e porsi
in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà
autoritativa: ed il principio fissato nell’art. 806, primo comma,
(prima parte), del codice del rito civile (“Le parti possono far
decidere da arbitri le controversie tra loro insorte…”), assume il
carattere di principio generale, costituzionalmente garantito,
dell’intero ordinamento.
Questa interpretazione ha un chiarissimo riscontro nei lavori
preparatori dell’Assemblea Costituente, ed in particolare nelle
dichiarazioni del Presidente della Commissione incaricata di preparare
il progetto di Costituzione, il quale ebbe a distinguere nettamente la
sorte dei collegi da riconoscere come vere e proprie giurisdizioni
speciali da quella degli arbitrati “in materia civile, che si formano
per volontà delle parti, e si basano su loro facoltà e sul loro
diritto, che non può essere disconosciuto” (A.C. pag. 2339, seduta del
21 novembre 1947). Dunque o giurisdizioni speciali (quando sia
possibile ravvisarne l’esistenza) oppure arbitrato volontario o
facoltativo, fondato sulla libera opzione delle parti: non si dà
spazio per un terzo tipo di deroga al principio dell’unità della
giurisdizione, e cioè per gli arbitrati imposti dalla legge.
Questa conclusione, suggerita dai lavori preparatori, trova saldo
fondamento nel testo stesso della Carta costituzionale ed è avvalorata
dall’art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in
Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2. – La legittimità costituzionale degli arbitrati obbligatori o
necessari è stata sostenuta, più o meno esplicitamente, con la
ragione del “coinvogliamento” dell’arbitrato rituale obbligatorio
nonché di quello volontario, secondo lo schema di disciplina contenuto
negli artt. 806 e segg. c.p.c., nell’ambito del giudizio ordinario
attraverso l’impugnazione di nullità, oltreché attraverso il
controllo in sede di decreto di omologazione.
Senonché la opinione del coinvogliamento, dominante nella
giurisprudenza e prevalente in dottrina, appare fondata su un equivoco:
e cioè sulla circostanza che leggi, corti e giuristi tendono a
fornire, entro certi limiti, talune garanzie fondamentali (quella del
contraddittorio in primo luogo) anche alle parti che, in base a
clausola compromissoria o a compromesso, scelgono la via della
giustizia arbitrale, intendendo di avvalersi del lodo con gli effetti
propri della decisione giurisdizionale. Ma ciò non toglie che,
malgrado l’exequatur del giudice statale, l’attività degli arbitri non
sia fungibile con quella del giudice togato: o meglio, risulti pur
sempre irriducibile ad essa, anche se l’ordinamento, rispettoso
dell’autonomia dei soggetti per le materie compromettibili, opera ex
post assimilazione delle decisioni nella loro efficacia ed i giudici
statali, una volta consumatasi la scelta delle parti, considerano
valida l’eccezione di incompetenza fondata sulla clausola
compromissoria o sul compromesso.
In effetti, chi consideri la differenza dei poteri attribuiti ai
giudici ed agli arbitri (fanno difetto a questi ultimi quelli
coercitivi e quelli cautelari) non può restringere le conseguenze
della scelta favorevole all’arbitrato soltanto alla celerità del
giudizio, anche in conseguenza della limitazione del contraddittorio, o
alle maggiori probabilità di approfondimento degli aspetti tecnici di
una questione: salvo a considerare la decisione arbitrale come avulsa
dall’attività che la precede, è innegabile che essa rappresenta il
risultato di un procedimento che si svolge al di fuori del regime della
sovranità statuale. Ed è inutile richiamare i margini di giudizio
piuttosto ristretti in cui si muovono il giudice che omologa il lodo ed
i giudici investiti a seguito della impugnazione per nullità prevista
dall’art. 829 del codice di procedura civile. Né del resto si
potrebbero ravvicinare troppo i due tipi di procedimento, senza mettere
a rischio il significato, l’originalità e l’utilità stessa della
giustizia per arbitri.
È necessario riconoscere che il costituente ha voluto tutelare la
concentrazione della funzione giurisdizionale sia nei confronti delle
giurisdizioni speciali sia contro altri congegni di sostanziale
svuotamento. Sarebbe stato del resto contraddittorio richiedere il
ricorso al procedimento di revisione costituzionale per l’istituzione
di nuove giurisdizioni speciali e consentire nello stesso tempo che con
nuove leggi ordinarie si potessero sottrarre sistematicamente al
giudice statuale intere serie di controversie; di guisa che fosse più
facile erodere l’unità della giurisdizione con l’istituzione di
arbitrati obbligatori ex lege anziché con la creazione di nuovi
giudici speciali.
Tanto ciò è vero che l’art. 47 del nuovo capitolato generale di
appalto per le opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori
pubblici (approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) contiene una
normativa che consente sia alla parte attrice che alla parte convenuta
di escludere la competenza arbitrale. Si è così affermata, anche su
questo piano, la necessità di tutelare l’autonomia delle parti.
D’altro lato la legge sul nuovo processo del lavoro (artt. 4 e 5
della legge 11 agosto 1973, n. 533), mentre consente arbitrati rituali
e irrituali nelle già precluse controversie di cui all’art. 409
c.p.c., prescrive che ciò avvenga, in sede di contratti e accordi
collettivi “senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire
l’autorità giudiziaria”.
Comunque, a seguito del carattere rigido della Costituzione, la
legge ordinaria od altri atti autoritativi possono soltanto
predisporre, non già disporre gli arbitrati tra le parti.
Spetterà al legislatore, con la previsione di procedure
preliminari di carattere amministrativo (sent. n. 62 del 1968), con la
istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari
ordinari (art. 102, secondo comma, Cost.) e con altri modi di
intervento non contrastanti con la Costituzione, di ovviare agli
eventuali inconvenienti cui si è inteso di far fronte con
l’imposizione di arbitrati ex lege.
3. – La questione di legittimità dell’art. 25, primo comma, del
r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, è senz’altro da ricomprendere nella più
ampia questione della conformità a Costituzione degli arbitrati
obbligatori o necessari, poiché, secondo costante giurisprudenza, il
collegio arbitrale in esso previsto non potrebbe mai considerarsi una
giurisdizione speciale.
Si tratta, anzi, di un arbitrato tra privati particolarmente
incongruo, in quanto si applica ad una situazione che può degenerare
dall’esercizio di un diritto di prelazione dell’imprenditore ad una
effettiva espropriazione a favore di un privato: correndo il rapporto
giuridico, che dà occasione all’arbitrato obbligatorio, tra due
soggetti di forza economica assai diversa. Mentre, come è noto, la
giustizia per arbitri dà risultati particolarmente soddisfacenti
quando le parti si trovino in posizione di relativo equilibrio.
È anche opportuno rilevare che, con l’entrata in vigore della
Costituzione repubblicana, si è creata tra le due disposizioni
dell’art. 25 del r.d. n. 1127 del 1939 una rilevante disarmonia:
poiché nell’ipotesi prevista dal secondo comma dell’articolo (se
l’inventore è un dipendente di Amministrazione statale…), la
deliberazione del Ministro, che in luogo del collegio di arbitri,
provvede a stabilire il premio, il canone o il prezzo e le relative
modalità, non può più considerarsi insindacabile, ma risulta
senz’altro e senza limiti impugnabile a norma dell’art. 113 Cost. (la
inderogabilità dei rimedi giurisdizionali è riaffermata anche nella
citata sent. n. 62 del 1968). Questa interpretazione è poi confermata
dal testo dell’art. 34 dello Statuto per gli impiegati civili
(approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), il quale, a proposito
dei diritti derivanti da invenzione industriale del dipendente statale,
non dichiara insindacabile il decreto ministeriale che stabilisce il
premio, il canone o il prezzo e le relative modalità di
corresponsione. Se dunque l’arbitrato previsto nel primo comma
dell’art. 25 non avesse carattere facoltativo, vi sarebbe, nel rapporto
tra l’imprenditore e il dipendente, tenuto pur conto della impugnazione
per nullità, una comparativamente attenuata tutela giurisdizionale.
Risulta superfluo, a questo punto, l’esame della censura in ordine
all’art. 25, primo comma, della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, primo comma,
del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative
in materia di brevetti per invenzioni industriali) nella parte in cui
non riconosce la facoltà dell’inventore e del datore di lavoro di
adire l’autorità giudiziaria ordinaria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
NICOLA REALE – LEONETTO AMADEI –
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO ELIA –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI.
GIOVANNI VT TALE – Cancelliere