Sentenza N. 128 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
10/07/1981
Data deposito/pubblicazione
10/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/06/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO –
Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
comma primo, del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento della cassa
di previdenza per le pensioni agli impiegati degli Enti locali)
promossi con le ordinanze emesse il 17 novembre 1976 dalla Corte dei
conti – Sezione III giurisdizionale, sui ricorsi proposti da Galanti
Cesare contro la Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali
e da Lombardi Giovanni contro la Direzione Generale degli Istituti di
previdenza, rispettivamente iscritte ai nn. 231 e 232 del registro
ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 228 del 1978
Visti gli atti di costituzione di Galanti Cesare e di Lombardi
Giovanni;
udito nell’udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore
Edoardo Volterra;
uditi gli avvocati Cesare Galanti e Giovanni Lombardi.
1. – Con due ordinanze di identica motivazione, in data 17 novembre
1976 – emesse su ricorsi proposti rispettivamente da Cesare Galanti e
Giovanni Lombardi, dipendenti del Comune di Roma con la qualifica di
avvocato di 2 classe – l’adita sezione III giurisdizionale della Corte
dei conti, ritenutane la rilevanza ai fini del decidere, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, primo comma,
dell’Ordinamento della Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali (CPDEL),
approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, nella parte in cui la suddetta norma, secondo la
sua retta interpretazione, non riconosce, in favore degli impiegati
iscritti alla Cassa predetta, la facoltà di riscattare, a fini di
pensione, oltre gli anni di studio corrispondenti alla durata legale
dei corsi universitari od equiparati, anche gli anni corrispondenti
all’esercizio della pratica forense e alla iscrizione agli albi
professionali, quando e nella misura in cui tali requisiti siano
richiesti come condizione necessaria per l’ammissione in carriera.
Dopo aver ritenuto non conferente nella specie il riferimento fatto
dai ricorrenti anche agli artt. 36 e 38 della Costituzione (dacché
l’art. 69 del r.d. 680/1938 “non esclude il diritto a pensione ma in
tutta ipotesi escluderebbe solo il diritto al massimo pensionabile”, il
che non coinvolge il principio dell’adeguatezza del trattamento alle
esigenze di vita), la Corte a quo ha puntualizzato il sospetto di
illegittimità della norma denunziata in una violazione appunto
dell’art. 3 della Costituzione, in relazione ad una possibile
situazione di disuguaglianza che verrebbe a crearsi “tra gli
appartenenti alla medesima Amministrazione comunale” e “nell’ambito
della stessa carriera direttiva”, per il diverso trattamento tra coloro
che accedono all’impiego mediante partecipazione a concorso per cui è
richiesto, come titolo di ammissione, la sola laurea, e coloro che vi
accedono previo conseguimento, oltre che della laurea, di altri titoli
di preparazione professionale comportanti un preliminare e non breve
tirocinio. Infatti, mentre i primi avrebbero, per evidenti ragioni di
età, la possibilità di realizzare il massimo periodo di servizio,
così conseguendo la più elevata pensione possibile, lo stesso
vantaggio, sempre per ragioni di età, sarebbe invece precluso “a
coloro che accedono alla carriera tardivamente proprio perché, per
partecipare al concorso di ammissione, devono acquisire una più vasta
preparazione professionale che si matura nel corso di alcuni anni dopo
la laurea”.
La stessa Corte ha considerato invece manifestamente infondati gli
altri prospettati profili di diseguaglianza:
a) nell’ambito degli iscritti alle Casse pensioni amministrate
dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza, fra impiegati e
salariati degli Enti locali da un canto e sanitari dall’altro;
b) tra gli iscritti alle Casse suddette, quali dipendenti di Enti
locali, e dipendenti dello Stato.
Ritenendo non comparabili le situazioni sub a), “sia perché il
servizio prestato dagli assistenti volontari ospedalieri (riscattabile
limitatamente a due anni ai sensi dell’art. 23 della legge 11 giugno
1954, n. 409) è reso direttamente e gratuitamente all’Istituzione
ospedaliera mentre l’esercizio forense, non necessariamente gratuito,
è reso dai praticanti o a se stessi o alle dipendenze di privati
(comunque non all’Amministrazione cui, poi, accedono); sia perché la
frequenza a corsi di specializzazione si compendia nella
partecipazione a corsi di studio o di perfezionamento a carattere
universitario cui consegue il conferimento di un diploma di
specializzazione, al che non può assimilarsi la pratica forense
l’esercizio della quale si svolge al di fuori dell’ordine degli studi
universitari e non vale ad attribuire ai praticanti un titolo di
specializzazione”.
E, rilevando, quanto al profilo sub b), che “non può invocarsi la
violazione del principio di eguaglianza in presenza di diverso
trattamento conferito a dipendenti da ordinamenti diversi e per ciò
stesso differentemente disciplinati, quanto allo stato giuridico, alla
progressione di carriera, al trattamento di quiescenza, ecc.”.
2. – Nel giudizio innanzi a questa Corte, si sono costituiti il
Lombardi ed il Galanti, sottolineando il carattere “emblematico” della
questione sollevata dalla Corte dei conti (“giacché sorge dalla
sopravvivenza nella sua originaria stesura di una norma che, emanata
nel 1938, non sarebbe stata adeguata ai precetti costituzionali e
risulterebbe ormai non più al passo con l’evoluzione legislativa della
previdenza dei pubblici impiegati”), e concludendo, quindi, per una
declaratoria di incostituzionalità dell’art. 69 citato, “con riguardo
tanto agli aspetti enunciati dal giudice a quo, quanto, più in
generale, all’ampio raffronto della diversità di trattamento che,
senza una razionale giustificazione, verrebbe fatta ai dipendenti
“professionali” degli Enti locali rispetto a quelli degli altri settori
del pubblico impiego (Stato e “parastato”) e anche nell’ambito degli
Enti locali, fra i dipendenti dell’una e dell’altra carriera
professionale”.
3. – Le parti costituite hanno presentato memorie, ribadendo con
ampie argomentazioni le conclusioni già esposte.
1. – In riferimento all’art. 3 della Costituzione, il giudice a quo
dubita della legittimità costituzionale dell’art. 69 r.d.l. 3 marzo
1938, n. 680, nella parte in cui non prevede la facoltà di riscattare,
oltre al periodo corrispondente alla durata legale dei corsi
universitari, anche gli anni di iscrizione agli albi professionali, ove
tale iscrizione costituisca necessario requisito all’ammissione in
carriera. La lamentata disparità di trattamento deriverebbe infatti
dalla circostanza che nell’ambito della stessa amministrazione comunale
e della medesima carriera direttiva solo ad alcuni dipendenti sarebbe
possibile conseguire il massimo periodo di servizio, mentre ad altri lo
stesso vantaggio sarebbe precluso proprio perché costretti a
partecipare tardivamente al concorso di ammissione, essendo richiesta
una più vasta preparazione professionale che si matura nel corso di
alcuni anni dopo il conseguimento della laurea.
2. – La questione è fondata.
La legislazione in materia di riscatto è andata via via
evolvendosi nel senso di concedere alla preparazione professionale
acquisita ogni considerazione ai fini di quiescenza, onde poter
immettere, in vista del dettato dell’art. 97 Cost., nelle carriere
direttive personale idoneo per preparazione e cultura, altrimenti
svantaggiato per l’ingresso nelle pubbliche amministrazioni. Simile
evoluzione che risale all’art. 67 del testo unico 21 febbraio 1895, n.
70, e che trova le sue fasi nell’art. 2 della legge 14 luglio 1907, n.
482, nell’articolo unico della legge 19 giugno 1913, n. 692, nell’art.
6 del r.d. 8 marzo 1923, n. 688, nell’art. 6 del r.d. 21 novembre 1923,
n. 2480, nell’art. 69 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 690, nell’art. 62
della legge 6 luglio 1939, n. 1035, e nell’art. 7 della legge 15
febbraio 1958, n. 46, culmina, per il personale dello Stato, nell’art.
13 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo cui se per
l’ammissione in servizio sia stato richiesto, come condizione
necessaria, un determinato periodo di iscrizione ad albi professionali,
è ammesso anche il riscatto totale o parziale di detto periodo nonché
dei periodi di pratica necessari per il conseguimento dell’abilitazione
professionale.
In vista di tale evoluzione normativa, risulta discriminatorio,
anche nell’ambito dell’amministrazione comunale, il mancato adeguamento
della disposizione denunciata. La circostanza che l’art. 69 del r.d.l.
n. 680 del 1938 non preveda la facoltà di riscattare gli anni di
iscrizione agli albi professionali, ove questa costituisca necessario
requisito all’immissione in carriera, non è ormai sorretta da alcun
fondamento razionale, valendo anche per i dipendenti in questione la
ratio, già richiamata, di una vasta ed idonea preparazione
professionale, ratio che ben si armonizza con l’art. 97 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 r.d.l. 3
marzo 1938, n. 680, nella parte in cui non prevede la facoltà di
riscattare gli anni di iscrizione agli albi professionali, ove tale
iscrizione costituisca necessario requisito all’immissione in carriera.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1981
F.to: GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
GIUSEPPE FERRARI
GIOVANNI VITALE – Cancelliere