Sentenza N. 13 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/03/1965
Data deposito/pubblicazione
12/03/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/03/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA
JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Prof.
ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof.
COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10
febbraio 1964 dal Pretore di Imola nel procedimento penale a carico di
Linari Renato, iscritta al n. 46 del Registro ordinanze 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 91 dell’11
aprile 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 16 dicembre 1964 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
udito il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il 23 gennaio 1964 Linari Renato si presentava all’Ufficio di
pubblica sicurezza di Imola confessandosi autore di lesioni volontarie
poco prima commesse in danno di tale Minganti Ezio. Ritenuta la
flagranza, il Linari fu arrestato e denunciato al Pretore di Imola.
Mentre questi procedeva ad accertamenti istruttori relativamente
alla entità delle lesioni subite dal Minganti, la difesa dell’imputato
sollevò questione di legittimità costituzionale, in riferimento
all’art. 13, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 236 del
Codice di procedura penale, che disciplina l’arresto facoltativo in
flagranza ad opera degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria e
della forza pubblica.
Con decreto del 5 febbraio 1964 il Pretore concesse all’imputato la
libertà provvisoria; e, con ordinanza in data 10 febbraio successivo,
avendo ritenuta la questione di legittimità non manifestamente
infondata, sospese il giudizio e rimise gli atti alla Corte
costituzionale.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 91 dell’11 aprile 1964. Si è
costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri,
assistito dall’Avvocatura generale dello Stato, con atto di intervento
depositato il 30 aprile 1964.
Ad avviso del Pretore mancherebbero nella ipotesi disciplinata
dall’art. 236 quei caratteri di eccezionalità, di necessità e urgenza
ai quali l’art. 13 della Costituzione subordina l’applicazione di
misure restrittive della libertà personale da parte dell’autorità di
pubblica sicurezza. Farebbe difetto il carattere della eccezionalità
essendo la flagranza e la quasi flagranza fatti tutt’altro che
infrequenti nella pratica; e la facoltà di arresto ai sensi della
norma impugnata non muoverebbe da una assoluta esigenza di applicazione
immediata di provvedimenti restrittivi, come sarebbe invece se tale
facoltà fosse limitata ai soli casi, per esempio, di pericolo di fuga
dell’imputato o di sottrazione dei corpi di reato.
Altri due addebiti sono dall’ordinanza mossi alla norma impugnata:
questa mancherebbe di una tassativa indicazione dei casi nei quali può
procedersi all’arresto in flagranza, come è invece richiesto dall’art.
13 della Costituzione; e quindi lascerebbe, tra l’altro, una piena
discrezionalità in materia agli organi di pubblica sicurezza. Inoltre
attribuendo la facoltà di arresto anche agli agenti di polizia
giudiziaria e della forza pubblica, violerebbe i limiti segnati
dall’art. 13, il quale, parlando solo di “autorità di pubblica
sicurezza”, sembrerebbe negare agli agenti la potestà di procedere a
provvedimenti restrittivi della libertà personale.
L’Avvocatura dello Stato, premesso che il Pretore sarebbe caduto in
un errore materiale riferendosi al secondo piuttosto che al terzo comma
dell’art. 13 della Costituzione, rileva che il procedimento penale nel
corso del quale è stata sollevata la questione era in fase
istruttoria. Non contesta che in tale sede possa promuoversi una
questione di legittimità costituzionale, sempre però che ciò avvenga
ad opera del giudice istruttore. Nella ordinanza invece non è dato
individuare se il Pretore si sia pronunciato nella qualità di giudice
istruttore ovvero in quella di pubblico ministero.
L’Avvocatura, inoltre, eccepisce il difetto di rilevanza della
questione, non avendo l’ordinanza indicato in alcun modo quale
influenza potrebbe avere la dedotta questione di legittimità sulla
definizione del giudizio.
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato esprime l’avviso che la
flagranza non sia affatto priva di quei caratteri di eccezionalità e
di necessità e urgenza alla presenza dei quali l’art. 13 della
Costituzione subordina i provvedimenti restrittivi della libertà
personale da parte dell’autorità di pubblica sicurezza; e rammenta che
in questo senso si è espressa anche la opinione della maggioranza in
seno all’Assemblea costituente. Inoltre la norma impugnata non manca di
indicare, con vario criterio, i reati per i quali può procedersi
all’arresto in flagranza; sicché sembrerebbe senz’altro rispettato il
disposto costituzionale che esige la tassativa indicazione dei casi nei
quali l’arresto può aver luogo.
A proposito dell’ultimo rilievo mosso dal Pretore, l’Avvocatura si
sofferma infine a considerare i vari sensi nei quali può intendersi la
espressione “autorità di pubblica sicurezza”, per pervenire alla
conclusione che l’art. 13 non può non essersi riferito anche agli
agenti di polizia giudiziaria e della forza pubblica, soprattutto in
relazione al carattere di necessità ed urgenza dei provvedimenti in
questione, che sembrerebbe escludere una potestà limitata ai soli
organi gerarchicamente più elevati.
La Corte osserva che, dopo l’arresto in flagranza, era stata dal
Pretore concessa all’imputato la libertà provvisoria. La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 236 del Codice di procedura
penale era stata poi sollevata senza alcun accenno alla rilevanza della
questione stessa.
Deve ritenersi pertanto fondata l’eccezione relativa al difetto di
rilevanza.
L’ordinanza si diffonde in varie argomentazioni sul merito della
questione, cercando di dar fondamento alla dedotta illegittimità
costituzionale dell’art. 236 del Codice di procedura penale; ma è
priva di qualsiasi accenno in ordine al rapporto che dovrebbe correre
fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in
corso, non contenendo neanche una sommaria indicazione del perché il
giudizio di cui è stata disposta la sospensione non potrebbe, ai sensi
del secondo comma dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
trovare la sua definizione senza che prima sia risolta la questione di
legittimità costituzionale. Non si tratta di insufficienza o vaghezza,
bensì di assoluto difetto del giudizio di rilevanza, del quale manca
qualsiasi enunciazione. Lo stato di detenzione dell’imputato,
conseguente all’arresto in flagranza, si era risoluto con la
concessione della libertà provvisoria, e per quanto riguarda il merito
del sospeso procedimento, concernente una imputazione di lesioni
personali volontarie, nessun dato emerge dall’ordinanza di rimessione
che possa comunque farlo apparire in connessione con la dedotta
questione di legittimità costituzionale: ve n’è abbastanza per
stabilire che nel caso attuale, trattasi di un difetto di rilevanza
risultante prima facie dal testo dell’ordinanza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione sulla legittimità
costituzionale dell’art. 236 del Codice di procedura penale, sollevata
con ordinanza del 10 febbraio 1964 dal Pretore di Imola, in
riferimento, all’art. 13 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.