Sentenza N. 13 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
04/02/1970
Data deposito/pubblicazione
04/02/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/01/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. – GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
15 settembre 1923, n. 2090 (regolamento per l’esecuzione della legge
sulla riscossione delle imposte dirette) e dell ‘art. 198 del D.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle imposte dirette),
promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1968 dalla Corte di
cassazione – sezione prima civile nel procedimento civile vertente tra
la società Gestione appalti pubblici (S.A.G.A.P.), Gianni Livigni
Giovanni ed altri e la Amministrazione finanziaria dello Stato,
iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968.
Visti gli atti di costituzione della S.A.G.A.P. e
dell’Amministrazione finanziaria dello Stato;
udito nell’udienza pubblica del 26 novembre 1969 il Giudice
relatore Francesco Paolo Bonifacio;
uditi gli avvocati Carmelo Fortino e Leopoldo Ermetes, per la
S.A.G.A.P., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Vito Cavalli,
per l’Amministrazione finanziaria.
1. – Con ordinanza del 13 marzo 1968 – emessa nel procedimento
civile pendente tra la società p.a. Gestione appalti pubblici
(S.A.G.A.P.), Giannilivigni Giovanni ed altri e l’Amministrazione
finanziaria dello Stato – la prima sezione della Corte di cassazione ha
proposto di ufficio una questione di legittimità costituzionale
concernente l’art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 (regolamento
per l’esecuzione della legge sulla riscossione delle imposte dirette) e
l’art. 198 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, sulle imposte
dirette.
Le citate disposizioni vengono denunziate nella parte in cui esse
“dispongono che nello sgravio dai ruoli sono compresi soltanto gli aggi
dell’esattore, con conseguente esclusione dell’indennità di mora”. Ad
avviso della Corte di cassazione siffatta esclusione violerebbe il
principio di eguaglianza affermato nell’art. 3 della Costituzione:
poiché il legislatore – come questa Corte ha precisato in precedenti
occasioni – è tenuto, nel rispetto di quel principio, a non
assoggettare ad identico trattamento situazioni che siano
obiettivamente diverse, l’illegittimità delle disposizioni impugnate
discenderebbe dal fatto che esse stabiliscono, relativamente
all’indennità di mora, una piena equiparazione fra coloro che sono
effettivamente soggetti passivi del rapporto tributario e coloro che
non lo sono affatto. Questa uniformità di disciplina per situazioni
che sono non soltanto diverse, ma addirittura opposte non trova,
secondo l’ordinanza di rimessione, alcuna giustificazione. Ed infatti
la configurazione dell’indennità di mora come mezzo di coazione a
carattere sanzionatorio ovvero l’efficacia costitutiva autonoma che la
dottrina e talvolta anche la giurisprudenza hanno riconosciuto
all’iscrizione nei ruoli non possono indurre a ritenere che
quest’ultima sia svincolata dal rapporto fondamentale fino al punto da
legittimare la mancata restituzione dell’indennità di mora a coloro
che risultino del tutto estranei al rapporto stesso; né, d’altra
parte, la regola del c.d. “non riscosso per riscosso” può costituire
una valida ragione per riversare su chi abbia ottenuto lo sgravio le
conseguenze degli obblighi che l’esattore ha assunto verso l’ente
impositore.
2. – L’ordinanza, notificata alle parti in causa ed al Presidente
del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere,
è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 10 agosto 1968.
Innanzi a questa Corte si sono costituiti la S.A.G.A.P. (atto di
deduzioni del 22 luglio 1968) e l’Amministrazione finanziaria dello
Stato (atto di deduzioni del 26 agosto 1968). Si sono anche costituiti,
ma fuori del termine massimo previsto dalle norme vigenti, i signori
Giovanni e Giuseppe Giannilivigni, Gaetano Patinella, Salvatore,
Francesco, Giovanna, Pasqua e Ninfa Puccio (atto depositato il 26
ottobre 1968).
3. – La difesa della S.A.G.A.P. sostiene che, ai fini della
questione proposta dalla Corte di cassazione, importanza decisiva deve
riconoscersi alla regola secondo la quale l’iscrizione a ruolo di una
imposta attribuisce di per sé all’erario il diritto di esigere il
pagamento del tributo, diritto fondato sulla legge e derivante da
quella esecutorietà del ruolo che trova la sua ragion d’essere nel
principio generale secondo il quale l’atto amministrativo è assistito
dalla presunzione di legittimità: in effetti il cittadino, come è
tenuto a rispettare e a dare esecuzione ad un atto amministrativo
finché questo non venga sospeso o dichiarato illegittimo dal giudice
competente, così è tenuto a pagare l’imposta iscritta nei ruoli ed a
corrispondere, se inadempiente, l’indennità di mora. Richiamati
ampiamente i principi affermati dalla Corte in materia tributaria ed
esattoriale, la difesa rileva che ad essi è conforme l’obbligo del
contribuente di versare il tributo e, in caso di ritardo, l’indennità
di mora, sicché l’esclusione del rimborso di quest’ultima ove risulti
che il primo non era dovuto è giustificata “stante il carattere di
efficacia costitutiva autonoma di tale indennità rispetto al debito di
imposta e dato il carattere sanzionatorio dell’indennità stessa”. Ad
ulteriore giustificazione delle disposizioni denunziate si deve tener
conto – così concludono le deduzioni – della circostanza che
l’esattore è obbligato a versare all’ente impositore anche i tributi
non pagati dal contribuente moroso, di tal che è giusto che, ove venga
disposto lo sgravio, egli non sia tenuto a restituire quella indennità
che rappresenta il costo del danaro da lui anticipato in luogo del
contribuente moroso.
In una successiva memoria depositata il 13 novembre 1969 la difesa
della S.A.G.A.P., dopo aver eccepito l’inammissibilità della
costituzione delle controparti private, sostiene che innanzi a questa
Corte non possono discutersi questioni inerenti all’interpretazione ed
all’applicazione delle norme al caso concreto; nega ogni fondamento
alla tesi secondo la quale l’art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n.
2090 sia da considerare abrogato ed osserva che, ad ogni modo, l’art.
198 del testo unico vigente assicura di per sé il diritto
dell’esattore di percepire e di trattenere l’indennità di mora anche
in caso di sgravio (principio affermato dalla Cassazione ed
indirettamente confermato dalla motivazione della sent. n. 58 del 1968
di questa Corte); rileva, infine, che sulla questione in esame non
spiega nessuna influenza l’illegittimità costituzionale del c.d. solve
et repete e che l’indennità di mora non ha carattere accessorio del
tributo, ma ha natura sanzionatoria e perciò è da considerare
indipendente e distinta dall’obbligazione principale, anche se da
questa essa prende occasione. Dopo aver precisato che l’attuale
questione di legittimità costituzionale va esaminata nei limiti in cui
essa è stata proposta dal giudice a quo e che pertanto deve essere
presa in corisiderazione solo la denunziata violazione dell’art. 3
della Costituzione, la difesa mette in evidenza che le disposizioni
impugnate rispondono all’esigenza di non incrinare la presunzione di
legittimità del ruolo e di assicurare all’erario la possibilità di
imporre a tutti i contribuenti il tempestivo pagamento delle imposte.
4. – Anche la difesa dell’Amministrazione finanziaria dello Stato
chiede che la questione sia dichiarata non fondata. Nell’atto di
deduzioni l’Avvocatura rileva, in linea preliminare, che la disciplina
normativa in esame si riferisce esclusivamente alle conseguenze del
provvedimento di sgravio, sicché manca la possibilità di raffrontarla
con la situazione, del tutto estranea alle norme denunziate, di chi non
ha diritto al rimborso dell’imposta. Nel merito l’Avvocatura osserva
che nessuna norma costituzionale garantisce al contribuente che abbia
ottenuto il riconoscimento del suo diritto a non pagare l’imposta la
piena reintegrazione nella posizione in cui egli si sarebbe trovato ove
non fosse avvenuta l’iscrizione a ruolo: giacché si tratta di
risolvere un problema di eguaglianza, è importante la circostanza che
anche il codice civile, nel disciplinare la ripetizione dell’indebito,
non prevede la totale restitutio in integrum di chi abbia pagato ciò
che non doveva. Ad ogni modo – così prosegue l’Avvocatura – il sistema
di riscossione delle imposte dirette, basato su quel principio di
esecutorietà dell’atto amministrativo che nella materia in esame
assicura una pronta realizzazione dei crediti tributari, comporta un
dovere di prestazione che prescinde dall’accertamento definitivo ed
irrevocabile dell’obbligazione: in considerazione di tale dovere
l’indennità di mora trova la sua autonoma ragion d’essere nel
ritardato adempimento dell’obbligo derivante dall’iscrizione nei ruoli,
di tal che si tratta di una situazione che è comune sia a coloro che
siano iscritti nei ruoli per imposte definitivamente accertate o che
successivamente si accertino esser dovute, sia a coloro che, invece,
possano successivamente esser riconosciuti non debitori. D’altra parte
– conclude l’Avvocatura – il c.d. obbligo dell’esattore del non
riscosso per riscosso dimostra che l’indennità di mora, compensativa
di tale onere, non è accessoria al rapporto di imposta, ma è oggetto
di un’obbligazione che si collega al rapporto tra esattore e
contribuente, con la conseguenza che, trattandosi di un rapporto
autonomo, è indifferente la sorte definitiva dell’accertamento
tributario.
Tali tesi sono state ulteriormente illustrate in una memoria
depositata il 6 novembre 1969. In essa, tra l’altro, si mette in
evidenza che, a causa dell’esecutorietà del ruolo, la relativa
iscrizione da una parte attribuisce all’Amministrazione il diritto di
esigere le somme poste a carico del contribuente, dall’altra impone a
quest’ultimo il corrispondente obbligo di pagamento: il sistema,
dunque, necessariamente comporta un dovere di prestazione che è
indipendente dall’accertamento definitivo dell’obbligazione tributaria,
e perciò manca quella diversità di situazioni che avrebbe reso
necessario un trattamento differenziato.
5. – Nella discussione orale la difesa della S.A.G.A.P. e
l’Avvocatura dello Stato hanno esposto le argomentazioni a sostegno
della tesi della non fondatezza della questione di legittimità
costituzionale proposta dall’ordinanza di rimessione.
1. – L’art. 198 del testo unico sulle imposte dirette (D.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645), dopo aver stabilito (primo comma) che quando
risulta che siano iscritte a ruolo somme non dovute l’ufficio ne
dispone lo sgravio, aggiunge (secondo comma) che in questo sono
compresi – tranne i casi previsti dagli artt. 61 e 68 – “anche gli aggi
di riscossione”. La Corte di cassazione, muovendo dall’esatto
presupposto che la disposizione debba essere interpretata nel senso che
dallo sgravio è esclusa l’indennità di mora, dubita della sua
legittimità costituzionale, perché, a suo avviso, essa
assoggetterebbe, per quanto si riferisce alla predetta indennità, allo
stesso trattamento sia “coloro che sono effettivamente soggetti passivi
del rapporto tributario” sia “coloro che non lo sono affatto e
risultano solo formalmente iscritti nei ruoli quali debitori di
imposta”: questa uniformità di disciplina per situazioni del tutto
diverse determinerebbe, secondo l’ordinanza di rimessione, un contrasto
fra la legge impugnata e l’art. 3 della Costituzione.
2. – L’avvocatura dello Stato preliminarmente obietta che la norma
denunziata non consente un confronto fra le posizioni del contribuente
al quale sia dovuto il rimborso delle somme iscritte a ruolo e pagate
ed il contribuente al quale tale rimborso non sia dovuto, e ciò
perché quella norma, in quanto disciplina gli effetti dello sgravio,
riguarda esclusivamente la prima ipotesi.
Tale dubbio sulla corretta proposizione della questione appare
privo di fondamento. Ed infatti, pur essendo vero che l’art. 198 si
riferisce solo allo sgravio delle somme non dovute, l’effetto della
disposizione è precisamente quello di rendere irrilevante sulla sorte
dell’indennità di mora il successivo riconoscimento
dell’illegittimità dell’iscrizione a ruolo: vale a dire, come in
sostanza rileva il giudice a quo, di parificare, a quel riguardo, la
situazione del contribuente che quel riconoscimento ottenga e la
situazione del contribuente che delle somme iscritte a ruolo sia
effettivo debitore.
3. – Definita la questione di legittimità costituzionale nei
suddetti termini, l’indagine deve essere volta a verificare se fra le
indicate situazioni ci sia quella netta diversità che renderebbe
necessaria, nel rispetto del principio di eguaglianza, una disciplina
corrispondentemente differenziata.
A sostegno di una conclusione negativa entrambe le parti costituite
invocano in primo luogo l’esecutorietà che assiste il ruolo di
imposta. In sostanza esse sostengono che se di fronte all’iscrizione a
ruolo ed indipendentemente dalla legittimità di questa il contribuente
deve tempestivamente pagare le singole rate di imposta e, in caso di
ritardo, è tenuto a corrispondere l’indennità di mora prevista dalla
legge (art. 194 t.u.), non gli si può riconoscere, in caso di
successivo sgravio, il diritto al rimborso di tale indennità, perché
comunque egli deve subire le conseguenze del ritardato adempimento di
un obbligo che discendeva direttamente ed autonomamente dall’iscrizione
nel ruolo.
La Corte ritiene che tale tesi non possa essere condivisa. Esatta
nelle premesse, essa giunge a conseguenze che non appaiono conciliabili
col principio di legalità che è un cardine del vigente ordinamento
costituzionale.
Non c’è dubbio che il ruolo di imposte, secondo le regole proprie
dei provvedimenti amministrativi, si caratterizza per gli attributi
dell’autoritatività e dell’esecutorietà. Tale regime giuridico,
predisposto ad assicurare alla pubblica amministrazione la pronta e
regolare disponibilità dei mezzi economici necessari per far fronte ai
suoi compiti, soddisfa una fondamentale esigenza della vita dello Stato
e trova perciò giustificazione costituzionale in un preminente,
pubblico interesse. Gli scopi ai quali esso è preordinato rendono
legittimo il potere di riscuotere i tributi iscritti a ruolo senza che
sia necessario un previo accertamento della legittimità della loro
imposizione, ed autorizzano, in caso di mancato adempimento,
l’esecuzione forzata nei modi previsti dalla legge. È perciò esatto
che finché non intervenga, in via amministrativa o giurisdizionale, un
riconoscimento dell’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, non v’è da
distinguere secondo che il contribuente sia o non sia effettivo
debitore dell’imposta: in ogni caso egli legittimamente soggiace alla
pretesa della pubblica amministrazione, alle conseguenze che si
connettono al ritardo nei pagamenti, all’eventuale esecuzione. Ma
l’irrilevanza della legittimità o illegittimità dell’iscrizione a
ruolo deve arrestarsi a questo punto. Autoritatività ed esecutorietà
dell’atto, compatibili con la Costituzione nei limiti in cui
costituiscono strumento essenziale per il soddisfacimento del pubblico
interesse al quale innanzi si è accennato, non sono idonee a
giustificare il permanere di effetti sanzionatori a carico del soggetto
nei cui confronti e nei modi previsti dall’ordinamento venga accertata
l’illegittimità del ruolo. Ed invero nel momento in cui, in
conseguenza di tale accertamento, si dispone lo sgravio, la situazione
del contribuente a carico del quale erano state iscritte somme
risultate poi non dovute si differenzia nettamente dalla situazione del
contribuente che allo sgravio non abbia diritto, ed esige una
regolamentazione giuridica che tenga indenne l’interessato dalle
sanzioni che discendono dall’inadempimento di un obbligo che
illegittimamente gli era stato imposto. A questo proposito non ha
alcuna rilevanza la disputa intorno all’esatta individuazione della
fonte genetica dell’obbligazione tributaria. Quel che conta è che
l’amministrazione finanziaria ha il dovere di agire nell’ambito e nei
limiti della legge (art. 23 Cost.), sicché, ove risulti
l’illegittimità del ruolo, deve necessariamente venir meno il diritto
a pretendere o a trattenere, per le rate scadute prima dello sgravio,
quella indennità di mora che è sanzionatoria di un dovere di
prestazione che era stato imposto fuori dei casi consentiti dalla
legge.
Tale diritto non potrebbe trovare giustificazione, contro quanto
sostengono le difese dell’Amministrazione finanziaria e della
S.A.G.A.P., neppure in base alla considerazione che la predetta
indennità svolge una funzione compensativa dell’obbligo dell’esattore
di versare all’ente impositore le somme iscritte nei ruoli anche se
alle scadenze fissate egli non le abbia ancora riscosse. E difatti,
poiché il contribuente è terzo rispetto al rapporto di esattoria,
sarebbe del tutto arbitrario, quando risulti che le somme iscritte non
erano dovute, addossare a lui le conseguenze svantaggiose che
all’esattore derivano da quel rapporto.
4. – In base a quanto si è detto si deve concludere che la legge
impugnata, escludendo l’indennità di mora dagli effetti del
provvedimento di sgravio, ha sottoposto, per quella parte, ad una
medesima disciplina il contribuente effettivo debitore delle somme
iscritte a ruolo ed il contribuente che risulti non esserlo: vale a
dire, ha trattato allo stesso modo due situazioni nettamente
differenziate ed è incorsa perciò, secondo i principi costantemente
affermati da questa Corte, nella violazione dell’art. 3 della
Costituzione.
L’art. 198, secondo comma, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, deve
essere dichiarato, pertanto, parzialmente illegittimo.
5. – L’ordinanza di rimessione ha denunziato anche l’articolo 98
del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090, che nel terzo comma egualmente
esclude dallo sgravio “le multe per ritardati pagamenti”. Ma poiché si
tratta di un regolamento e, quindi, di un atto non avente forza di
legge, la relativa questione deve essere dichiarata inammissibile.
Rientra nei poteri del giudice ordinario, al fine dell’eventuale
disapplicazione, verificarne la compatibilità con il testo della legge
quale risulta a seguito della pronunzia di parziale illegittimità.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 198, secondo
comma, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (contenente il testo unico
delle leggi sulle imposte dirette) nella parte in cui esclude dallo
sgravio l’indennità di mora;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 98 del R.D. 15 settembre 1923, n. 2090 (contenente il
regolamento per l’esecuzione della legge sulla riscossione delle
imposte dirette), proposta dall’ordinanza indicata in epigrafe in
riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 gennaio 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.