Sentenza N. 131 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
26/05/1976
Data deposito/pubblicazione
26/05/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/05/1976
OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA
REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO
VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof.
ANTONINO DE STEFANO, Giudici,
secondo comma, e 143, primo e secondo comma, del d.P.R. 15 dicembre
1959, n. 1229 (ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti
ufficiali giudiziari), promosso con ordinanza emessa il 20 luglio 1973
dal tribunale dell’Aquila nel procedimento civile vertente tra Pezza
Armando ed altri e il Ministero di grazia e giustizia, iscritta al n.
101 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 119 dell’8 maggio 1974.
Visti gli atti di costituzione del Ministro di grazia e giustizia e
d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 1976 il Giudice relatore
Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Ministro di grazia e giustizia e per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Con atto di citazione del 22 maggio 1972, Armando Pezza ed altri
due aiutanti ufficiali giudiziari dell’ufficio unico di Teramo
esponevano di avere eseguito nell’interesse dello Stato numerose
notificazioni, per le cui spese ed indennità il recupero in molti casi
non è consentito ovvero è ripartito nell’ambito dell’ufficio unico,
anziché tra coloro che ebbero ad eseguirle; e chiamavano in giudizio,
dinanzi al tribunale dell’Aquila, il Ministro di grazia e giustizia,
per il pagamento delle relative somme, previa dichiarazione di
illegittimità costituzionale degli artt. 140, 142 e 143
dell’Ordinamento degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali
giudiziari, di cui al d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229.
Con ordinanza 20 luglio 1973 il tribunale ha ritenuto non
manifestamente infondata, in riferimento all’art. 36 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt.
140, 142, secondo comma (fino alla parola “procedimenti”) e 143, primo
comma (limitatamente all’inciso “i diritti spettanti all’ufficiale
giudiziario sono prenotati a debito”) e secondo comma, del citato
d.P.R.
Dopo aver precisato che le norme denunziate, pur concernendo gli
ufficiali giudiziari, si applicano, per l’art. 167, terzo comma,
dell’Ordinamento, anche agli aiutanti, il tribunale, in via
preliminare, afferma essere pacifico che sia gli uni sia gli altri non
sono né impiegati dello Stato né lavoratori autonomi assimilabili ai
liberi professionisti, ma organi dipendenti dalla pubblica
amministrazione, investiti di poteri certificativi ed esecutivi.
Nel merito il tribunale osserva che la non ripetibilità dei
diritti e delle indennità di trasferta, rappresentanti la retribuzione
delle notificazioni a cui si riferiscono, renderebbe il compenso non
proporzionato alla quantità del lavoro svolto. Trattandosi, poi, non
di insufficienza della retribuzione, ma della sua non proporzionalità
al lavoro effettivamente prestato, non si potrebbe tener conto
dell’indennità integrativa della retribuzione, prevista dall’art. 169
dell’Ordinamento.
Per quanto concerne, infine, i diritti e le indennità recuperate
(art. 140), il tribunale censura che il loro ammontare non sia
ripartito tra coloro che hanno espletato la relativa attività.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri e si è costituito il Ministro di grazia e
giustizia, rappresentati e difesi entrambi dall’Avvocatura generale
dello Stato.
Deduce l’Avvocatura che il tribunale avrebbe omesso qualsiasi cenno
sulla rilevanza, non essendosi preventivamente dato carico di
pronunziarsi sulla sua giurisdizione, la cui carenza, peraltro,
risulterebbe implicitamente dal riconoscimento che gli ufficiali
giudiziari e gli aiutanti sono da considerare dipendenti dalla pubblica
amministrazione.
Nel merito sostiene che il compenso degli aiutanti sarebbe da
considerare con riferimento all’intero sistema retributivo, costituito,
oltre che dai proventi, dalla corresponsione dell’indennità
integrativa e da una serie di altri interventi economici (l’assegno
integrativo speciale, l’aggiunta di famiglia, l’indennità di sede, i
contributi per le pensioni).
Per quanto concerne le somme recuperate, l’Avvocatura osserva che
se queste non vengono corrisposte al soggetto che ha notificato l’atto
non sono neppure computate ai fini del minimo garantito. Ed aggiunge
che il criterio di ripartizione seguito consegue al fatto che la
liquidazione delle somme recuperate avviene a distanza di molti anni,
quando non è agevole o addirittura non è possibile stabilire chi
abbia eseguito la notificazione, dato che il personale può non essere
più in servizio nell’ufficio.
1. – Vengono sottoposte alla Corte le seguenti questioni:
a) se nelle ipotesi di non ripetibilità di diritti, spese ed
indennità di trasferta per notificazioni in materia penale, civile e
amministrativa, gli artt. 142, secondo comma, e 143, primo comma
(limitatamente all’inciso “i diritti spettanti all’ufficiale
giudiziario sono prenotati a debito”) e secondo comma, del d.P.R. 15
dicembre 1959, n. 1229, violino l’art. 36, primo comma, della
Costituzione, per la non proporzionalità della retribuzione al lavoro
prestato;
b) se contrasti con lo stesso precetto costituzionale l’art. 140
del citato d.P.R., il quale non prevede che l’importo, eventualmente
recuperato, dei diritti e delle indennità sia ripartito tra coloro che
abbiano svolto la relativa attività.
2. – Va preliminarmente esaminata la richiesta, avanzata
dall’Avvocatura generale dello Stato, di restituzione degli atti al
giudice a quo, che avrebbe omesso di pronunziarsi sulla propria
giurisdizione.
Vero è, per altro, che nell’ordinanza di rimessione si è tenuto
espressamente conto, disattendendola, della eccezione di carenza di
giurisdizione: ed il problema esula dal sindacato di questa Corte
(sentenze n. 65 del 1962, n. 1 del 1963, nn. 124 e 201 del 1975).
3. – È da avvertire che alcune modifiche sono state apportate
all’Ordinamento di cui al d.P.R. n. 1229 del 1959, con successive norme
legislative, tra le quali, da ultimo, le leggi 29 novembre 1971, n.
1048, 12 giugno 1973, n. 349, 15 novembre 1973, n. 734, e 12 luglio
1975, n. 322.
Tuttavia, le innovazioni non spostano i termini delle sollevate
questioni.
4. – Le norme censurate concernono specificamente spese, indennità
di trasferta e diritti per notificazioni in materia penale (art. 142),
civile ed amministrativa (art. 143), a richiesta del pubblico
ministero, di un’amministrazione dello Stato, di una parte ammessa al
gratuito patrocinio, e la ripartizione delle somme, nel caso che siano
recuperate (art. 140).
Si lamenta che questa disciplina sia costituzionalmente illegittima
in riferimento al ridetto art. 36, primo comma, Cost. sotto il profilo
della non proporzionalità della retribuzione al lavoro prestato.
Tali questioni, nei termini in cui sono proposte, non sono fondate.
5. – Per quanto attiene all’art. 142 dell’Ordinamento, è da
precisare che, in materia penale, non restano senza rimborso di spese
le comunicazioni che, a norma del codice di procedura penale, devono
aver luogo a mezzo del servizio postale; e non restano senza compenso
(diritti e indennità) gli atti richiesti dalle parti private non
ammesse al gratuito patrocinio (art. 419 cod. proc. pen.) e gli atti
relativi al rinvio concesso (a carico della parte) prima del
dibattimento.
6. – Quanto agli atti in materia civile ed amministrativa (art.
143):
a) le indennità di trasferta oppure le spese di posta, se la
notificazione avviene a mezzo del servizio postale, vengono anticipate
dallo Stato, allorché richiedenti siano il pubblico ministero o un
amministrazione dello Stato o una parte ammessa al gratuito patrocinio
(o un’autorità estera); solo i diritti sono prenotati a debito;
b) i diritti e le indennità di trasferta non sono dovuti per atti
compiuti nell’interesse dello Stato, ma sono ripetibili a carico dei
privati che vengano condannati alle spese del giudizio.
La lettera e la logica della legge, dunque, distinguono gli atti
richiesti da un organo dello Stato (o da un privato ammesso al
beneficio della gratuita clientela o da un’autorità estera), per i
quali è previsto il pagamento delle trasferte e il rimborso delle
spese di posta (con l’eventuale recupero per i diritti), e gli atti
compiuti nell’interesse dello Stato che vanno eseguiti gratuitamente
(salvo l’eventuale recupero per i diritti e anche per le indennità di
trasferta): si ha un differente trattamento, sul piano retributivo
delle prestazioni, per le due categorie di atti.
7. – In sostanza, v’è, sì, un’alea per il realizzo di taluni
diritti e spese, ma quest’alea – preventivamente accettata da chi si
dedica all’attività di aiutante ufficiale giudiziario – è compensata,
come ha rilevato l’Avvocatura, sia dall’indennità integrativa che è a
carico dell’erario, allorché con i diritti effettivamente percepiti
non sia raggiunto lo stipendio e l’assegno perequativo dell’impiegato
statale della carriera esecutiva amministrativa avente qualifica di
coadiutore (art. 169, primo comma, dell’Ordinamento, modificato
dall’art. 4 della legge n. 1048 del 1971); sia da altre provvidenze
(aggiunta di famiglia, contributo pensioni ecc.).
Sussistono, indubbiamente, nella vigente disciplina, delle
anomalie, ma non sono di entità tale da ledere il precetto
costituzionale di cui si assume in questa sede la violazione: anomalie
che è auspicabile siano eliminate ad opera del legislatore.
8. – Ancor meno pertinente, in riferimento all’art. 36 Cost., è la
censura all’art. 140 dell’Ordinamento, che, per comprensibili ragioni
d’ordine pratico, istituisce per gli aiutanti ufficiali giudiziari (e
per gli ufficiali giudiziari) una specie di pool delle somme relative a
spese e a proventi recuperati, ammettendo al riparto chi è in
attualità di servizio, con esclusione degli altri: il che comporta che
taluni percepiscano, all’inizio del servizio in una sede, la
percentuale per un’attività non espletata, mentre la perdono, al
termine del servizio nella stessa sede, per un’attività espletata. Si
tratta di un espediente pratico, a carattere forfettario, che risulta
plausibile; e la norma che lo prevede non va contro il precetto
costituzionale invocato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 140, 142, secondo comma, e 143, primo e secondo comma, del
d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 (Ordinamento degli ufficiali
giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari), sollevate, in
riferimento all’art. 36, primo comma, della Costituzione, dal tribunale
dell’Aquila, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – LEONETTO
AMADEI – GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere