Sentenza N. 132 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
primo, secondo e quarto, e 2, comma primo, del D.L.C.P.S. 29 luglio
1947, n. 804, ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561, concernente
il riconoscimento giuridico degli istituti di patronato e assistenza
sociale, promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1966 dal Tribunale
di Ferrara nel procedimento penale a carico di Vaccari Giuseppino,
iscritta al n. 115 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 18 ottobre 1967 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel corso del procedimento penale a carico di Vaccari Giuseppino,
imputato del reato di malversazione continuata, il Tribunale di
Ferrara, dopo aver constatato che tale imputazione presuppone la
sussistenza della qualità di pubblico ufficiale e che tale qualità
appare logicamente dipendente dalla natura del Patronato A.C.L.I. del
quale l’imputato è impiegato, nonché dalla natura delle funzioni
attribuite a tale istituto, ha ritenuto che gli istituti di patronato
ed assistenza sociale – così come regolati dal D.L.C.P.S. 29 luglio
1947, n. 804 – possano essere considerati pubblici uffici sia perché,
essendo previsto il concorso dello Stato nella spesa attraverso
l’attribuzione di una aliquota dei contributi versati agli istituti di
previdenza, viene assegnato agli istituti di patronato un vero e
proprio tributo e cioè una entrata di diritto pubblico; sia perché
è punita con l’arresto e con l’ammenda l’attività di assistenza e di
tutela dei lavoratori svolta dai privati in concorrenza con quella dei
patronati.
Ciò posto il Tribunale, con ordinanza del 5 aprile 1966, ha
sollevato di ufficio eccezione di illegittimità costituzionale del D.
L. C. P. S. n. 804 del 1947 in riferimento a varie norme
costituzionali. Il provvedimento è in particolare censurato nella
disposizione contenuta nell’art. 2, comma primo, secondo la quale i
patronati sono costituiti da associazioni private di lavoratori, a
norma degli statuti delle medesime, rilevandosi che tale disposizione
si pone in contrasto con l’art. 97 della Costituzione a tenore del
quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge
(e non secondo gli statuti di enti privati). La violazione dell’art.
97 risulterebbe altresì dal fatto che i patronati hanno una
organizzazione privatistica essendo emanazione di associazioni di
lavoratori, necessariamente ispirate e cementate dalla convergenza di
interessi particolaristici propri di qualsiasi associazione tra
privati, mentre il richiamato precetto costituzionale sancisce
l’obbligo specifico dell’imparzialità dell’Amministrazione pubblica.
Del pari evidente sarebbe il contrasto fra il decreto legislativo ed il
terzo comma del citato art. 97 della Costituzione in quanto i
funzionari dei patronati non debbono essere necessariamente nominati
mediante pubblico concorso.
Si denuncia inoltre la violazione dell’art. 98, comma primo, della
Costituzione per il fatto che gli impiegati dei patronati, quali
dipendenti di associazioni private di lavoratori, sono necessariamente
al servizio delle stesse e non a quello esclusivo della intera nazione;
nonché la violazione dell’art. 51, comma primo, della Costituzione,
che garantisce la pari possibilità di ciascun cittadino di accedere
agli uffici pubblici, dato che i funzionari dei patronati sono scelti
fra i partecipanti alle associazioni di lavoratori e devono quindi
possedere requisiti particolari, comuni a tutti i consociati, ma non
necessariamente comuni a tutti i cittadini.
Il Tribunale denuncia, infine, l’illegittimità costituzionale
dello art. 1, commi primo e quarto, del decreto legislativo che,
proibendo a chiunque, anche agli esercenti le professioni legali, di
tutelare in via stragiudiziale, in sede amministrativa, gli interessi
previdenziali dei lavoratori, istituirebbe una limitazione ad una
libera attività professionale non giustificata ai sensi dell’art. 41,
secondo comma, della Costituzione, considerate le fortissime garanzie
che circondano l’esercizio della professione forense.
L’ordinanza ritualmente comunicata e notificata è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27
agosto 1966.
Nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha depositato in cancelleria atto di intervento e deduzioni
in data 16 settembre 1966.
Sostiene in via preliminare l’Avvocatura che la proposta questione
di legittimità costituzionale va dichiarata inammissibile, sia perché
nell’ordinanza di rinvio manca qualsiasi motivazione sul requisito
della rilevanza, sia per l’assoluta erroneità della valutazione di
tale requisito da parte del Tribunale. osserva in proposito che la
qualità di pubblico ufficiale, necessaria per la sussistenza del reato
di malversazione, non dipende tanto dal fatto di essere impiegato dallo
Stato o di un ente pubblico, bensì dalla natura pubblica delle
funzioni in concreto esercitate dal dipendente. Orbene anche a voler
ritenere, come ritiene il giudice a quo, che un pubblico ufficio come
l’istituto di patronato sia malamente organizzato, che i suoi
dipendenti non siano al servizio esclusivo della nazione, che
appartengano solo a una certa categoria o siano illegittimamente
assunti senza concorso, che l’attività dell’istituto violi l’art. 41
della Costituzione e che pertanto le disposizioni impugnate siano
incostituzionali, nessuna conseguenza da ciò deriverebbe alla
imputazione contestata al Vaccari.
Venendo poi all’esame delle varie censure di incostituzionalità
l’Avvocatura nega anzitutto che sia ipotizzabile un contrasto tra
l’art. 1 del decreto legislativo e l’art. 41, primo e secondo comma,
della Costituzione, rilevando che il divieto per mediatori e
procaccianti di tutelare in via amministrativa gli interessi
previdenziali dei lavoratori si configura come limitazione non
arbitraria che trova giustificazione nella evidente utilità sociale di
assicurare una valida e sostanziale assistenza del lavoratore.
L’Avvocatura contesta, inoltre, la fondatezza delle censure mosse
all’art. 2 del decreto impugnato osservando che l’art. 51 della
Costituzione garantisce l’accesso di tutti i cittadini ai “pubblici
uffici” ma non già all’ufficio di un ente pubblico, che è anche
“pubblico ufficio” ai fini della legge penale, ma non ai fini della
tutela costituzionale; che la norma di cui all’art. 97 della
Costituzione – a prescindere dalla questione se sia o meno applicabile
agli Enti pubblici diversi dallo Stato – non è violata né nella
previsione di cui all’ultimo comma, riguardando questo le
Amministrazioni statali e, comunque, tollerando il principio ivi
sancito delle deroghe legislative, né nella previsione di cui al primo
comma, in quanto è da rilevare che l’organizzazione degli istituti in
questione è stata determinata con legge e che l’apprezzamento sulla
idoneità delle relative disposizioni volte ad assicurare il buon
andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, rientra
nell’esercizio del potere discrezionale del legislatore, nell’ambito
delle norme della Costituzione (sent. 9 marzo 1959, n. 9); che, infine,
l’art. 98 della Costituzione, prescrivendo che i pubblici impiegati
sono al servizio esclusivo della nazione, si riferisce soltanto agli
impiegati dello Stato e perciò è stato malamente invocato dal
tribunale in relazione agli impiegati di un ente pubblico.
L’Avvocatura, pertanto, conclude chiedendo che la questione di
legittimità sollevata sia dichiarata non fondata.
L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità per difetto di
rilevanza della proposta questione, sollevata dalla Avvocatura dello
Stato, è fondata. L’ordinanza di rimessione si dilunga sul merito
della questione di costituzionalità, ma non contiene alcuna
motivazione in ordine al rapporto che intercorre fra la soluzione
della questione stessa e la definizione del giudizio pendente, né
spiega in alcun modo perché il giudizio sospeso non possa essere
deciso senza che prima sia risolta la questione di legittimità
costituzionale.
Ma, a parte l’assoluta mancanza di enunciazione di un qualsiasi
giudizio sulla rilevanza, la Corte ritiene che dal testo dell’ordinanza
risulti, prima facie, l’insussistenza del requisito di rilevanza. Il
D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804, ratificato con legge 17 aprile 1956,
n. 561, concernente il riconoscimento giuridico degli istituti di
patronato e assistenza sociale, viene in particolare censurato dal
Tribunale di Ferrara per le disposizioni contenute negli artt. 1, commi
primo, secondo e quarto, e 2, comma primo. Sull’art. 1 si osserva che
la riserva agli istituti di patronato delle attribuzioni in materia di
assistenza e tutela, in sede amministrativa, dei lavoratori ed il
conseguente divieto, penalmente sanzionato, per agenzie private e
singoli procaccianti, di esplicare opera di mediazione nella stessa
materia, sarebbero in contrasto con l’art. 41 della Costituzione per
l’ingiustificata limitazione che deriverebbe alla libertà
dell’iniziativa economica privata. Dalla norma dell’art. 2, comma
primo, secondo la quale i patronati “possono essere costituiti e
gestiti soltanto da associazioni nazionali di lavoratori che annoverino
nei propri statuti finalità assistenziali”, il tribunale ritiene di
poter dedurre che i patronati non sono organizzati in base a
disposizioni di legge, ma secondo statuti di enti privati e perciò non
sono tenuti all’obbligo dell’imparzialità; che gli impiegati dei
patronati sono scelti, senza necessità di pubblico concorso, fra gli
iscritti alle associazioni e sono perciò anche al servizio di queste e
non già al servizio esclusivo della nazione. Da ciò il contrasto
della richiamata disposizione con gli artt. 51, comma primo, 97, commi
primo e terzo, e 98, comma primo. Ora è evidente che tutte queste
eccezioni di incostituzionalità sono estranee e non hanno incidenza
nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale che verte su una imputazione
di malversazione prevista e punita dall’art. 315 del Codice penale. Ed
invero, quand’anche in via di mera ipotesi dovesse dichiararsi
l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, nessuna
influenza tale pronuncia potrebbe avere sulla natura del servizio
prestato dall’imputato e sulla conseguente qualificazione del reato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione sulla legittimità
costituzionale degli artt. 1, commi primo, secondo e quarto, e 2, comma
primo, del D.L.C.P.S. 29 luglio 1947, n. 804, ratificato con legge 17
aprile 1956, n. 561, concernente il “Riconoscimento giuridico degli
istituti di patronato e assistenza sociale”, sollevata con ordinanza
del 5 aprile 1966 del Tribunale di Eerrara, in riferimento agli artt.
41, comma primo, 51, comma primo, 97, commi primo e terzo, e 98, comma
primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.