Sentenza N. 132 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
22/06/1971
Data deposito/pubblicazione
22/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
primo comma, del d.l. 11 dicembre 1967, n. 1150 (proroga dei termini
per l’applicazione delle agevolazioni tributarie in materia edilizia),
convertito con modificazioni nella legge 7 febbraio 1968, n. 26,
promossi con ordinanze emesse il 28 aprile, il 13 giugno ed il 16
ottobre 1969 dalla Corte d’appello di Genova nei procedimenti civili
vertenti tra l’Amministrazione finanziaria dello Stato e Pesce Gabbiani
Melchiorre, la società A. Carena e figli e la società Teriche,
iscritte rispettivamente ai nn. 338 e 349 del registro ordinanze 1969
ed al n. 13 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 256 dell’8 ottobre 1969, n. 269 del 22
ottobre 1969 e n. 50 del 25 febbraio 1970.
Visti gli atti di costituzione delle società Carena e Teriche e
d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 1971 il Giudice relatore
Giuseppe Verzì;
uditi l’avv. Ignazio Granelli, per la società Teriche, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Con tre ordinanze (del 28 aprile 1969, 13 giugno 1969 e 16 ottobre
1969), di identico contenuto, emesse nei procedimenti civili vertenti
rispettivamente fra Pesce Gabbiani Melchiorre, la società A. Carena e
figli, la società Teriche e l’Amministrazione delle finanze dello
Stato, la Corte di appello di Genova ha denunziato per violazione
dell’art. 3 della Costituzione la norma contenuta nell’art. 5, primo
comma, del d.l. 11 dicembre 1967, n. 1150, convertito con modificazioni
nella legge 7 febbraio 1968, n. 26, limitatamente alla statuizione che
l’obbligo di ultimare il fabbricato entro il biennio dall’inizio dei
lavori, di cui agli artt. 13 e seguenti della legge 2 luglio 1949, n.
408, deve intendersi abolito, anche ai fini dell’applicazione dei
benefici tributari in materia di tasse ed imposte indirette sugli
affari, con l’entrata in vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35,
cioè dall’8 marzo 1960.
Secondo le ordinanze, il suindicato art. 5, limitando alla data
dell’8 marzo 1960 l’effetto retroattivo dell’abolizione del termine
biennale ai fini dell’applicazione dei benefici tributari in materia di
tasse ed imposte indirette sugli affari, avrebbe determinato una
disparità di trattamento fra contribuenti che si trovano nelle stesse
condizioni soggettive: a) di avere precedentemente acquistato nello
stesso momento aree per erigere fabbricati non di lusso e godere così
delle agevolazioni della legge 2 luglio 1949, n. 408, sempre prorogata;
b) di non avere terminato le relative costruzioni entro il biennio. Ed
invero, coloro che hanno terminato le costruzioni in ritardo, ma prima
dell’8 marzo 1960, non beneficiano dell’abolizione del termine biennale
e delle agevolazioni tributarie, mentre coloro che non abbiano ultimato
le costruzioni alla ripetuta data, o addirittura non le abbiano neppure
iniziate, trovandosi sotto l’impero della nuova legge, godono della
abolizione del termine e delle agevolazioni tributarie.
Nei giudizi davanti a questa Corte si sono costituite le società
A. Carena e Teriche, ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Secondo la difesa della società Carena, l’art. 3 della legge n.
35 del 1960 fissava per le agevolazioni previste in materia di tasse ed
imposte indirette sugli affari una proroga pura e semplice al 31
dicembre 1967 (proroga successivamente rinviata al 31 dicembre 1970)
del requisito della data di inizio dei lavori, stabilita, dalla legge
n. 408 del 1949, al 31 dicembre 1953. Relativamente a detto requisito,
la disciplina della agevolazione tributaria si presenta con carattere
di continuità dal 31 dicembre 1953 al 31 dicembre 1970. Con la norma
impugnata è stato abolito retroattivamente l’altro requisito temporale
richiesto per la concessione dei benefici; cioè la ultimazione della
costruzione entro un biennio dall’inizio dei lavori. Consegue che di
tale abolizione si avvantaggiano soltando i fabbricati ai quali è
applicabile la legge n. 35 del 1960, e cioè quelli iniziati dopo la
sua entrata in vigore (8 marzo 1960). Ne è derivato il diverso non
giustificato trattamento rilevato dalle ordinanze di rimessione.
La difesa della società Teriche osserva che l’accoglimento della
dedotta questione potrebbe concretarsi esclusivamente nella
dichiarazione di illegittimità dell’inciso “con l’entrata in vigore
della legge 2 febbraio 1960, n. 35”, di cui all’art. 5 sopraindicato.
Ciò determinerebbe il ripristino del termine biennale rispetto alle
costruzioni iniziate dopo l’8 marzo 1960, ma prima dell’entrata in
vigore del d.l. n. 1150 del 1967 e non dispiegherebbe alcun effetto per
le ipotesi (come nella specie) in cui l’inizio della costruzione
risalga ad epoca anteriore all’8 marzo 1960. Conseguentemente la
risoluzione della questione di legittimità costituzionale diventerebbe
irrilevante per la definizione del giudizio principale.
Occorrerebbe, invece, dichiarare viziati di illegittimità non
soltanto l’art. 5 impugnato ma anche gli artt. 13 e 14 della legge n.
408 del 1949, perché solo dal combinato disposto delle tre norme
emergerebbe la violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, con la legge n. 35 del
1960 si è inteso stabilire la graduale soppressione delle agevolazioni
in materia di imposta sui fabbricati e di imposta di consumo sui
materiali da costruzione, previste dalla legge del 1949. Gli artt. 1 e
5 pertanto abolirono l’onere di condurre a termine la costruzione entro
un biennio dall’inizio dell ‘opera e fissarono, per contro, come
termine di riferimento, l’anno della ultimazione dei lavori. In tema di
imposte indirette sugli affari, la legge stessa, all’art. 3, prorogava
al 31 dicembre 1967 i termini per le agevolazioni fiscali. Senonché la
formula di detto articolo dava luogo a varie interpretazioni, non
essendo chiaro se l’onere di condurre a termine la costruzione entro un
biennio dall’inizio fosse stato abolito anche per le imposte indirette.
Con la norma dell’art. 5 del d.l. 1150 del 1967, il legislatore ha
inteso interpretare autenticamente la ripetuta disposizione, stabilendo
che il requisito della ultimazione della costruzione entro il biennio
deve intendersi abolito, anche ai fini dell’applicazione dei benefici
tributari in materia di tasse ed imposte indirette sugli affari, con
l’entrata in vigore della legge n. 35 del 1960.
Ciò posto, consegue che la decorrenza della ripetuta abolizione è
soltanto apparentemente retroattiva, coincidendo con il momento nel
quale è entrata in vigore la norma autenticamente interpretata. Con
che risulterebbe dimostrata l’infondatezza della questione di
legittimità costituzionale.
Osserva inoltre la stessa Avvocatura che la Corte d’appello di
Genova avrebbe dovuto, se mai, denunziare la disparità di trattamento
creata dalla legge n. 35 del 1960, perché è stata questa ad abolire
il requisito del biennio dall’inizio della costruzione. Comunque, sia
la legge n. 408 del 1949, sia quella n. 35 del 1960, siccome recanti
agevolazioni tributarie, sono leggi eccezionali, determinate dalla
eccezionalità di situazioni da fronteggiare. E la valutazione di dette
situazioni è atto di politica legislativa che ha dato luogo, nel
tempo, alla successione delle due ripetute leggi, successione che anche
se relativamente alla cronologia può avere inciso su posizioni
soggettive, ha comunque inciso su posizioni di fatto; ove non voglia
ritenersi – come sembra evidente – che è diversa la posizione dei
destinatari delle due norme. Onde la inesistenza della violazione
dell’art. 3 della Costituzione.
La società A. Carena e la società Teriche hanno presentato
memorie nelle quali, sostanzialmente, ribadiscono le argomentazioni
svolte in precedenza.
1. – Le tre ordinanze di rimessione prospettano una identica
questione di legittimità costituzionale, che può quindi essere decisa
con unica sentenza, previa riunione dei procedimenti.
2. – Secondo tali ordinanze, la norma dell’art. 5, primo comma, del
d.l. 11 dicembre 1967, n. 1150, convertito con modificazioni nella
legge 7 febbraio 1968, n. 26 – disponendo che l’obbligo di ultimare la
costruzione entro il biennio dall’inizio dei lavori deve intendersi
abolito, anche ai fini dell’applicazione dei benefici tributari in
materia di tasse ed imposte indirette sugli affari, con l’entrata in
vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35 (8 marzo 1960) – avrebbe
creato una ingiustificata disparità di trattamento fra i contribuenti
che hanno acquistato aree edificabili nello stesso tempo e nelle stesse
condizioni: coloro che alla data dell’8 marzo 1960 hanno ultimato la
costruzione, sia pure con ritardo avendo lasciato trascorrere il
biennio, vengono esclusi dai benefici tributari; mentre coloro che,
alla stessa data, non abbiano ultimato la costruzione, oppure non
l’abbiano neppure iniziata, godono delle agevolazioni fiscali. L’avere
stabilito una data fissa per l’abolizione del biennio avrebbe cagionato
la suindicata disparità, che non si sarebbe invece verificata se la
norma impugnata avesse semplicemente abolito l’onere del biennio, senza
alcuna data di decorrenza.
3. – Occorre premettere che le due agevolazioni tributarie per
l’incremento delle costruzioni edilizie, previste dalla legge 2 luglio
1949, n. 408 (sia la esenzione venticinquennale della imposta sui
fabbricati e la esenzione dal pagamento della imposta sui materiali da
costruzione, sia la riduzione della imposta di registro e della imposta
ipotecaria sugli acquisti di aree fabbricabili), venivano concesse a
coloro che iniziavano la nuova costruzione entro l’anno e la ultimavano
entro il biennio dall’inizio dei lavori. Negli anni successivi i
termini suindicati di inizio e di fine della costruzione vennero
prorogati numerose volte, fino a quando la legge 2 febbraio 1960, n.
35, ha mutato la precedente disciplina, eliminando il requisito del
biennio e concedendo l’esenzione della imposta erariale sui fabbricati
e delle relative sovraimposte comunali e provinciali alle nuove
costruzioni, se ultimate entro il 31 dicembre di ciascuno degli anni
dal 1961 al 1969, in modo da ridurre gradualmente la durata della
esenzione fino a cinque anni per i fabbricati ultimati nel 1969 e negli
anni successivi. Per le agevolazioni in materia di tasse ed imposte
indirette sugli affari, invece, non ha seguito, come per il passato, i
medesimi criteri della imposta sui fabbricati, ma ha disposto soltanto
che “i termini… sono prorogati dal 1 gennaio 1960 al 31 dicembre
1967” (art. 3). Essendo sorti dei dubbi di interpretazione di questa
norma, il d.l. 11 dicembre 1967, n. 1150, ha chiarito che l’obbligo del
biennio “deve intendersi abolito, anche ai fini della applicazione dei
benefici tributari in materia di tasse ed imposte indirette sugli
affari, con l’entrata in vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35” (8
marzo 1960).
4. – La questione è infondata.
Il legislatore, quando ad una norma voglia dare effetti anteriori
alla sua pubblicazione, si richiama o genericamente ad una data come
puro e semplice momento del tempo o a un avvenimento particolare che
può anche consistere nella precedente emanazione di una legge; ed
allora potrà discutersi se quella norma abbia effetto
innovativo-retroattivo o piuttosto dichiarativo-interpretativo della
legge precedente, ma è indiscutibile che essa coglierà situazioni
quali erano al momento dell’entrata in vigore di quest’ultima.
Dimodoché, anche se (anzi proprio perché ) la legge successiva è
dichiarativa di quella anteriore, l’eventuale illegittimità della
seconda, non espressamente denunciata, indurrebbe pur sempre a
dichiarare illegittima la prima. Perciò il risultato dell’indagine sul
valore retroattivo o dichiarativo della norma posteriore non sarebbe di
per sé decisivo.
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte, la legge del 1967 ha
negato l’obbligo di compiere la costruzione entro due anni dall’inizio
e perciò ha riconosciuto l’esenzione dalla tassa sugli affari anche a
coloro che non abbiano adempiuto a questo obbligo dopo 1’8 marzo 1960.
Avrebbe potuto rifarsi ad una data precedente, per esempio a quella con
cui si è introdotta l’esenzione fiscale a favore di chi compisse la
costruzione entro il biennio; ma non lo ha fatto per ragioni di
politica legislativa che sono, qui, insindacabili. Ora, l’8 marzo 1960,
giorno in cui si era rinnovato il beneficio d’esenzione preesistente,
alcuni ne avevano perduto il diritto per non aver ultimato la loro
costruzione entro due anni, altri non l’avevano perduto dato che non
era trascorso il biennio dall’inizio della loro edificazione o perché
non si era neanche iniziata.
Ma chi non l’aveva ancora cominciata né l’8 marzo 1960 né prima
della legge del 1967 non ha contravvenuto ad alcun precetto legislativo
e perciò la sua posizione è diversa da quella di chi vi aveva
contravvenuto lasciando decorrere inutilmente il biennio prima dell’8
marzo 1960. Dunque per lui la discriminazione è più che giustificata.
Restano coloro che, dopo l’8 marzo 1960 e anteriormente all’11
dicembre 1967, abbiano lasciato decorrere i due anni senza compiere la
costruzione iniziata. Costoro beneficiano dell’esenzione per effetto
della legge 11 dicembre 1967 nonostante che abbiano contravvenuto a un
obbligo (rectius, non adempiuto ad un onere) posto da una legge
precedente. Non ci si nasconde che il loro contegno sia stato analogo a
quello di chi era caduto nello stesso inadempimento avanti l’8 marzo
1960; ma si deve rilevare, nel contempo, che ciò non basta ad imporre,
a livello costituzionale, un’eguale disciplina nei due casi. Infatti,
da un canto c’è una differenza temporale fra chi non ha adempiuto
prima di quel giorno e chi non ha adempiuto dopo quel giorno;
dall’altro, la data dell’8 marzo 1960 non era stata scelta a caso, ma
era quella d’una legge di proroga dell’esenzione: sicché il
legislatore ha ritenuto, nella sua discrezionalità, di negare il
beneficio a chi in quel momento non potesse vantare più pretese e lo
ha ritenuto probabilmente perché, a suo giudizio, solo a datare dal
1960 le esigenze dell’edilizia consigliassero l’esenzione in tutti i
casi; questa sembra proprio la ragione per cui la legge del 1960 è
apparsa già innovativa al legislatore del 1967, che, perciò,
togliendo l’onere dell’edificazione nel biennio ha inteso interpretare
la normazione del 1960, non di modificarla (v. relazione al disegno di
legge: “l’art. 5 con interpretazione autentica…”). Se ciò è vero,
estendere l’esenzione anche a chi aveva perduto il diritto prima dell’8
marzo 1960 non sarebbe stato giusto: infatti avrebbe esteso, molto
all’indietro nel tempo, cioè agli anni 50, un beneficio che il
legislatore dell’epoca aveva espressamente negato.
In conclusione anche se c’è stato diverso trattamento di
situazioni analoghe esso non appare aberrante rispetto a quanto accade
di norma con la successione temporale di leggi: fenomeno, questo, che,
fatalmente e proprio per differenze di tempo, porta spesso al
sacrificio di interessi simili a quelli favoriti dalla norma
posteriore.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, primo comma, del d.l. 11 dicembre 1967, n. 1150 (proroga
dei termini per l’applicazione delle agevolazioni tributarie in materia
edilizia, convertito con modificazioni nella legge 7 febbraio 1968, n.
26, questione sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione
dalle ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI- ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – NICOLA REALE –
PAOLO ROSSI.