Sentenza N. 133 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
20/12/1968
Data deposito/pubblicazione
20/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
della legge 16 giugno 1932, n. 973, concernenti gli orari dei negozi ed
esercizi di vendita, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 29 settembre 1966 dal pretore di Palmanova
nel procedimento penale a carico di Cressati Manlio, iscritta al n. 234
del registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967;
2) ordinanza emessa il 19 gennaio 1968 dal pretore di Firenze nel
procedimento penale a carico di Ranfagni Mario e Bertini Valerio,
iscritta al n. 38 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 113 del 4 maggio 1968.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione di Ranfagni Mario e Bertini Valerio;
udita nell’udienza pubblica del 6 novembre 1968 la relazione del
Giudice Luigi Oggioni;
uditi l’avv. Paolo Barile, per Ranfagni e Bertini, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Con ordinanza emessa in udienza il 29 settembre 1966 nel
procedimento penale a carico di Cressati Manlio, imputato della
contravvenzione di cui agli artt. 2 e 3 della legge 16 giugno 1932, n.
973, per non essersi attenuto alle norme di chiusura infrasettimanale
del suo negozio di stoffe, in violazione del decreto prefettizio 51303,
III, del 13 ottobre 1950, il pretore di Palmanova ha sollevato
questione di legittimità costituzionale delle norme suddette della
legge del 1932 “per la parte attualmente in vigore”, in relazione agli
artt. 39 e 41 della Costituzione.
Osserva il pretore nell’ordinanza che la norma dell’art. 2 della
citata legge, affidando al prefetto il compito di stabilire gli orari
di apertura e chiusura degli esercizi su concorde richiesta delle
organizzazioni sindacali, demanderebbe la disciplina dell’esercizio
dell’iniziativa privata alla discrezionalità dell’autorità
amministrativa, e si porrebbe quindi in contrasto con la riserva di
legge sancita al riguardo dall’art. 41, ultimo comma, della
Costituzione, mentre, per altro verso, “condizionando il detto potere
discrezionale alla richiesta delle organizzazioni sindacali, oggi prive
di personalità giuridica, nell’attuale carenza di una legge generale
in materia” si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 39 della
Costituzione.
L’ordinanza, notificata il 12 ottobre al Presidente del Consiglio e
comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, è stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 12 del 14 gennaio 1967.
Avanti alla Corte costituzionale si è costituito il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie
deduzioni il 3 febbraio 1967.
L’Avvocatura obbietta che la legge impugnata si ricollega alla
legge 7 luglio 1907, n. 489, ed al R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692
(convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 413), sull’orario massimo
normale di lavoro, perché proprio lo stesso art. 2 in esame fa
espressamente salvo “quando dispongano altre leggi” chiarendo che la
legge del 1932 opererebbe “nell’ambito del sistema normativo stabilito
dalle precedenti leggi, le quali, d’altra parte, conterrebbero una
dettagliata disciplina tendente ad assicurare le finalità sociali cui
deve corrispondere l’attività economica”. La legge avrebbe così
inteso solo provvedere riguardo alle mutevoli particolarità delle
situazioni locali, valutabili solo in sede esecutiva. La censura
rivolta alle disposizioni impugnate in relazione all’art. 41, ultimo
comma, della Costituzione sarebbe quindi infondata perché la
disciplina in esame, mentre, da un lato, si limiterebbe ad indicare
l’organo amministrativo attraverso il quale vanno attuate le
limitazioni stabilite dalla legge, dall’altro, disponendo
l’acquisizione preventiva dei prescritti pareri e richieste
determinerebbe anche la fisionomia dell’iter procedurale del
provvedimento di competenza del prefetto e la sfera di attribuzioni del
medesimo.
Quando all’altra censura, l’Avvocatura rileva che non potrebbe
configurarsi in alcun modo un vizio di legittimità costituzionale nel
fatto che la legge disponga l’obbligo preventivo, per
l’Amministrazione, di sentire il parere di associazioni di fatto o di
esperti in materia prima dell’adozione di determinati provvedimenti.
Chiede pertanto dichiararsi infondate le questioni come sopra
sollevate.
Con ordinanza emessa in udienza il 19 gennaio 1968 nel procedimento
penale a carico di Ranfagni Mario e Bertini Valerio, imputati di reato
analogo a quello sopra menzionato per avere protratto l’orario di
chiusura serale dell’esercizio di libreria, in violazione del decreto
del prefetto, il pretore di Firenze ha sollevato questione di
legittimità costituzionale del citato art. 2 della legge 973 del 1932,
in relazione agli artt. 41, 39 e 3 della Costituzione.
Quanto al primo profilo il pretore, rilevato che la legge impugnata
deve ritenersi ancora vigente, pur dopo la soppressione
dell’ordinamento corporativo, dato che i riferimenti alle
organizzazioni sindacali corporative contenuti nelle leggi del tempo
andrebbero pacificamente intesi come riferimenti alle attuali
organizzazioni sindacali, ripropone la censura contenuta nella
precedente ordinanza in relazione all’art. 41 della Costituzione,
precisando che il prefetto resterebbe arbitro di disciplinare nell’an e
nel quomodo l’orario dei negozi pur dopo la prescritta richiesta ed il
parere del sindaco, col solo limite legislativamente precostituito che
il provvedimento possa essere attivato solo dalle associazioni.
Ma anche se la richiesta stessa potesse ritenersi vincolante, e
perciò esclusiva di ogni discrezionalità, secondo il pretore si
incorrerebbe nella violazione del principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 della Costituzione, poiché il provvedimento, efficace per
tutti i datori di lavoro e lavoratori interessati, verrebbe emanato a
richiesta di organizzazioni sindacali carenti di rappresentatività
generale, quali appunto sono le attuali organizzazioni
post-corporative, e quindi porrebbe in essere una ingiustificata
discriminazione fra gli iscritti ed i non iscritti alle organizzazioni,
i quali ultimi, a differenza dei primi, non avrebbero il potere di
intervenire comunque nel procedimento di formazione del provvedimento
prefettizio.
Infine il pretore considera che, se la materia in esame fosse
oggetto di contrattazione collettiva ai fini della concorde richiesta
al prefetto, dall’applicazione della legge conseguirebbe l’efficacia
obbligatoria dei relativi accordi per tutti gli appartenenti alle
rispettive categorie, e ciò in contrasto con l’art. 39 della
Costituzione, che prevede l’efficacia erga omnes dei contratti
collettivi solo alle condizioni dettate dallo stesso articolo, ma non
ancora realizzate. Onde si attribuirebbero alle attuali associazioni
sindacali poteri di rappresentanza collettiva in violazione della norma
costituzionale invocata.
L’ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il
15 febbraio 1968 ed agli imputati il 5 marzo successivo, è stata
comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 113 del 4 maggio 1968.
Si sono costituiti il Ranfagni ed il Bertini, rappresentati e
difesi dagli avvocati prof. Paolo Barile e Elia Clarizia, che hanno
depositato le deduzioni il 24 maggio 1968.
La difesa sottolinea le argomentazioni contenute nell’ordinanza di
rinvio a sostegno della non manifesta infondatezza della questione,
insistendo particolarmente nell’affermare, peraltro, che l’art. 2
impugnato sarebbe ormai di impossibile applicazione. Invero, a dire
della difesa, il sistema previsto dalla legge in esame poggerebbe sulla
personalità di diritto pubblico attribuita all’epoca ai sindacati dei
datori di lavoro e dei lavoratori, che avevano ex lege la
rappresentanza della intera categoria. Disciolte le organizzazioni
sindacali fasciste ed a causa della perdurante mancanza delle previste
leggi di attuazione dell’art. 39 della Costituzione repubblicana, le
attuali organizzazioni sindacali difetterebbero di tale potere di
rappresentanza, e mancherebbero quindi oggi gli organi giuridicamente
qualificati per esprimere quella concorde richiesta che, quale atto
iniziale del procedimento previsto dalla legge, costituirebbe il
presupposto di fatto e di diritto per l’emanazione dei decreti
prefettizi in discorso. Questi provvedimenti, aggiunge la difesa,
sarebbero altresì vincolati alle intese sindacali espresse nella
concorde richiesta prevista dalla norma impugnata, il che confermerebbe
l’inapplicabilità della stessa giacché il prefetto, provvedendo in
difetto della detta richiesta, usufruirebbe di una discrezionalità che
la legge invece non gli concede.
Da quanto premesso deriverebbe tra l’altro, secondo la difesa, il
contrasto della norma impugnata con l’art. 41 della Costituzione che
pone la riserva di legge in tema di limitazioni alla libertà di
iniziativa economica, giacché tale riserva non si potrebbe
“considerare rispettata là dove si sia in presenza di una legge
sicuramente inapplicabile”.
Conclude pertanto chiedendo dichiararsi l’illegittimità
costituzionale della legge denunziata per contrasto con gli articoli 3,
39 e 41 della Costituzione.
La difesa delle parti private costituite ha depositato, nei
termini, una memoria illustrativa con cui ribadisce e sviluppa le
censure di illegittimità di cui all’ordinanza di rinvio. In
particolare, per l’ipotesi che la “concorde richiesta” di cui alle
norme impugnate possa considerarsi non vincolante per il prefetto,
desume la violazione della riserva di legge posta dall’art. 41 della
Costituzione rifacendosi analiticamente ai criteri interpretativi che
avrebbe stabilito in materia la giurisprudenza della Corte
costituzionale circa la inconciliabilità di una troppa ampia
discrezionalità amministrativa con l’osservanza della detta riserva di
legge, discrezionalità che nella specie non sarebbe in nessun modo
limitata neppure dalle norme della legge 7 luglio 1907, n. 489,
abrogata, e del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, troppo generiche e
dettate comunque per disciplinare l’orario di lavoro, cioè con
finalità che solo indirettamente atterrebbero alla materia in esame.
Svolgendo poi le argomentazioni prospettate a sostegno della
attuale inapplicabilità della norma impugnata per la mancanza delle
organizzazioni sindacali di diritto pubblico generalmente
rappresentative su cui poggerebbe il meccanismo delle norme impugnate,
precisa che, ove si addivenisse a simile onclusione verrebbe
conseguentemente meno la competenza della Corte, giacché si farebbe
questione di applicabilità delle norme, e non già della loro
legittimità costituzionale.
Data l’identità delle questioni prospettate con le due ordinanze
di rinvio, di cui in epigrafe, può disporsi la riunione delle cause
per la loro decisione con unica sentenza.
1. – Entrambe le ordinanze muovono dal riconoscimento e dalla
premessa che per “organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei
lavoratori” interessate a richiedere la determinazione degli orari dei
negozi ed esercizi di vendita, secondo detta l’art. 2 della legge 16
giugno 1932, n. 973, debbano attualmente intendersi le odierne
organizzazioni sindacali post-corporative, pur mancanti di personalità
giuridica e di rappresentatività generale.
Posta tale premessa, le ordinanze prospettano due questioni di
costituzionalità.
2. – La prima questione, con riferimento agli artt. 3 e 39 della
Costituzione, si basa sul concetto che, ove la richiesta delle
associazioni debba ritenersi determinante, anche nel merito, dei
provvedimenti prefettizi, l’incostituzionalità colpirebbe nel suo
complesso il sistema normativo, in quanto gli imprenditori non
appartenenti ad alcuna associazione sindacale, verrebbero ad essere
sottoposti ugualmente ad iniziative ed a vincoli provenienti da
associazioni sindacali libere, non registrate e sprovviste di capacità
di provvedere erga omnes.
La Corte osserva che esatta è la premessa concernente la posizione
da assegnarsi alle odierne organizzazioni sindacali, nell’ambito della
legge sottoposta al controllo di costituzionalità, in confronto a
quelle organizzazioni, di tipo corporativo, esistenti al momento
dell’emanazione della legge.
Posto che l’intervento dei sindacati è stato introdotto in
funzione di tutela degli interessi collettivi di categorie produttive o
professionali, ne consegue che, in pendenza di sviluppi attuativi
dell’art. 39 della Costituzione, tale funzione, immanente per sua
origine e natura, ben può considerarsi oggi continuativamente
esercitata dalle attuali associazioni sindacali che perseguono anche
esse finalità di pubblico interesse e sono legislativamente
riconosciute, in più di un caso e sia pure a limitati effetti, come
dotate di poteri ordinati alla tutela di tali finalità.
Un effetto particolare alla materia in esame è appunto quello di
riconoscere agli odierni sindacati la capacità di rendersi portatori
degli interessi di categorie commerciali nella fissazione degli orari
dei negozi, in veste di necessari collaboratori dei prefetti.
Tale necessità di collaborazione non può, tuttavia, spingersi
sino al punto, ipotizzato in ispecie nell’ordinanza del pretore di
Firenze, che l’intervento delle associazioni sindacali condizioni,
anche nel merito, i provvedimenti prefettizi, che ad esso dovrebbero
essere pedissequamente conformi. Non sarebbe razionale configurare il
prefetto quale strumento passivo della volontà dei sindacati: ciò è
confermato dallo stesso art. 2 della legge in esame che testualmente
dispone: “Il prefetto potrà determinare l’orario”.
Condizione necessaria e sufficiente è che i sindacati siano posti
in grado di rendersi portatori, esteriorizzandoli a chi di dovere,
degli interessi di categoria. Il che si risolve nella loro
consultazione, doverosa e non eliminabile, allo scopo di consentire
l’emanazione di informati provvedimenti, consoni alle situazioni
locali: non diversamente dall’obbligo di consultazione delle
organizzazioni sindacali interessate, inserito nella legge 22 febbraio
1934, n. 370, sul riposo domenicale e festivo.
Correlativo alla surrogazione, nei sensi suesposti, delle odierne
organizzazioni sindacali alle precedenti, è che il requisito della
“concorde richiesta” di cui all’impugnato art. 2 della legge in esame,
spiegabile in regime di concentrazione bipartita delle organizzazioni
sindacali del tempo, deve adattarsi, secondo l’odierna situazione di
pluralismo sindacale: così che deve ora intendersi devoluto agli
organi prefettizi l’identificazione, nella sfera degli interessi da
tutelare, delle organizzazioni, qualificate ad esprimere le istanze
delle collettività particolari, in funzione dei preminenti interessi
generali della collettività.
Ne consegue l’infondatezza della questione, sia in rapporto
all’art. 3 della Costituzione (poiché i non iscritti ad associazioni
sindacali non vengono posti, data la situazione sopra rilevata, su di
un piano diverso dagli iscritti) sia in rapporto all’art. 39 (poiché,
a parte che manca la coincidenza, sul piano della stipulazione di
contratti collettivi obbligatori erga omnes, tra l’attuale situazione
sindacale e quella considerata nella legge in esame, la legge stessa
non conferisce in alcun modo detta obbligatorietà in quanto,
viceversa, la vincolatività della disciplina oraria deriva per tutti
dal provvedimento prefettizio).
3. – La seconda questione, con riferimento all’art. 41 della
Costituzione e particolarmente al comma terzo, si basa sul rilievo che
provvedimenti incidenti ai fini di utilità sociale sull’esercizio
della libera iniziativa economica privata, non troverebbero qui alcun
appoggio in leggi che ne precisino il contenuto ed i limiti.
La questione non è fondata.
In primo luogo, va tenuta presente la giurisprudenza di questa
Corte, costante nel giudicare che la riserva di legge di cui al citato
articolo non esige che la disciplina della libera iniziativa economica
venga, tutta e per intero, regolata da atti normativi, bastando la
predeterminazione di criteri direttivi che, avendo per fine l’utilità
sociale, delineino, circoscrivendola, l’attività esecutiva della
pubblica amministrazione, così da togliere ad essa carattere di
assoluta, illimitata discrezionalità.
In secondo luogo, tale predeterminazione, sempre secondo la
giurisprudenza di questa Corte (sent. 9 marzo 1967, n. 24), può
ricavarsi da norme, valutate nel loro complesso, soprattutto secondo il
principio informatore che le ha dettate.
Ciò premesso, la Corte osserva che l’art. 2 della legge in esame
risponde a queste esigenze sotto più di un aspetto.
A quanto si è detto circa l’indispensabilità della consultazione
delle associazioni, affinché siano rappresentati gli interessi di
categoria, si aggiunge la pari esigenza che, sullo stesso piano ed a
necessaria integrazione dell’esame, sia sentito anche il sindaco in
nome degli interessi generali della popolazione e della tutela dei
consumatori in rapporto ai vari tipi di esigenze di località.
La norma si inserisce poi, con proprio oggetto, anche nel quadro
generale della regolamentazione del riposo dei lavoratori.
Sicché il decreto prefettizio viene a costituire la risultante
della coordinazione e del contemperamento tra i predetti fini ai quali
può, ovviamente, aggiungersi anche l’altro di evitare il verificarsi
di una disordinata concorrenza tra esercenti.
Ciò basta ad escludere, nel caso, l’ipotesi di una illimitata
discrezionalità autoritativa del decreto prefettizio e per assicurare,
a rimedio di ogni eventuale vizio rilevabile nell’atto, la
presentazione di ricorsi nelle vie ordinarie di impugnazione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 della legge 16 giugno 1932, n. 973, concernente gli orari
dei negozi ed esercizi di vendita, questione proposta con le ordinanze
di cui in epigrafe in relazione agli artt. 3, 39 e 41, comma terzo,
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.