Sentenza N. 135 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
22/06/1971
Data deposito/pubblicazione
22/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
a) degli artt. 60, primo e secondo comma, 61, primo comma, 62,
primo e terzo comma, 63, primo comma, e 65 della legge 10 agosto 1950,
n. 648, recante norme sul “Riordinamento delle disposizioni sulle
pensioni di guerra”;
b) degli artt. 48, primo, secondo e terzo comma, 49 primo e secondo
comma, 50, primo, terzo e sesto comma, 51, primo comma, 55 e 59, quarto
comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313, recante norme sul
“Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra”;
c) degli artt. 12 e 18 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, recante
“Nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato”;
d) dell’art. 40, secondo comma, della legge 11 aprile 1955, n.
379, recante norme sui “Miglioramenti dei trattamenti di quiescenza e
modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il
Ministero del tesoro”, modificato dall’art. 27, primo comma, della
legge 26 luglio 1965, n. 965, e dall’art. 8 della legge 5 febbraio
1968, n. 85;
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 aprile 1969 dalla Corte dei conti – sez.
5ª giurisdizionale per le pensioni di guerra – sul ricorso di
Mastrocola Maria Domenica, iscritta al n. 35 del registro ordinanze
1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4
marzo 1970;
2) ordinanza emessa il 25 novembre 1969 dalla Corte dei conti –
sez. 3ª giurisdizionale per le pensioni civili – sul ricorso di Raneri
Gaetano, iscritta al n. 36 del registro ordinanze 1970 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1970;
3) ordinanza emessa il 21 gennaio 1969 dalla Corte dei conti – sez.
3ª giurisdizionale per le pensioni civili – sul ricorso di De Flora
Antonietta, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 1970 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 del 20 maggio 1970;
4) ordinanza emessa il 25 giugno 1970 dalla Corte dei conti – sez.
3ª giurisdizionale per le pensioni civili – sul ricorso di Caserta
Agatina, iscritta al n. 373 del registro ordinanze 1970 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 10 febbraio 1971.
Visti gli atti di costituzione di Mastrocola Maria Domenica e di
Raneri Gaetano;
udito nell’udienza pubblica del 21 aprile 1971 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi;
udito l’avv. Silvio Paolucci, per la Mastrocola.
1. – Con due decreti del 28 maggio 1956 il Ministero del tesoro
respingeva perché prodotta fuori termine la domanda di pensione di
guerra di Maria Domenica Mastrocola, quale orfana dei genitori,
deceduti il 2 febbraio 1944 per asserito evento bellico.
Con altri due decreti del 12 aprile 1963 lo stesso Ministero
respingeva nuovamente la detta domanda, perché l’istante, divenuta
maggiorenne, aveva avanzato la richiesta senza essere inabile a
proficuo lavoro e nubile.
Nel giudizio instaurato davanti alla Corte dei conti
dall’interessata, il Procuratore generale concludeva per l’accoglimento
dei ricorsi con la dichiarazione del diritto alla pensione di guerra
fino alla data del matrimonio.
La Corte dei conti, sez. 5ª giurisdizionale per le pensioni di
guerra, dopo avere richiamato le disposizioni della legge 10 agosto
1950, n. 648, e della legge 18 marzo 1968, n. 313 (entrata in vigore
nelle more del giudizio), che considerano legittimate a conseguire la
pensione di guerra ovvero a concorrere a determinare l’integrazione
della pensione spettante al genitore superstite, le figlie dei militari
morti per causa del servizio di guerra e dei civili deceduti per fatto
bellico, solo se nubili, e rilevato che le stesse disposizioni non
richiedono invece per i figli la condizione del celibato, con ordinanza
del 26 aprile 1969 sollevava la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 60, commi primo e secondo, 61, comma primo,
62, commi primo e secondo (recte: terzo), 63, comma primo, e 65 della
legge n. 648 del 1950, e degli artt. 48, commi primo, secondo e terzo,
49, commi primo e secondo, 50, commi primo, terzo e sesto, 51, comma
primo, 55, comma primo (recte: unico), e 59, comma quarto, della legge
n. 313 del 1968, limitatamente alla parte in cui escludono dal diritto
alla pensione di guerra le figlie non nubili, in riferimento all’art.
3, comma primo, della Costituzione.
La questione era considerata rilevante, perché dalla dichiarazione
di incostituzionalità delle disposizioni denunciate in parte qua
sarebbe potuto derivare per la ricorrente il conseguimento della
pensione a vita e non soltanto fino alla data del contratto matrimonio.
Ed appariva non manifestamente infondata, perché la
discriminazione non era giustificata da diversità obiettiva delle
rispettive situazioni ed era basata esclusivamente sull’appartenenza
del soggetto all’uno o all’altro sesso. Secondo la Corte dei conti,
l’obbligo di mantenere i figli, infatti, grava sull’uomo e sulla donna
coniugati ed in proporzione delle rispettive sostanze; e quello
gravante sopra ciascuno dei coniugi nei confronti dell’altro coniuge
diviene di solito attuale proprio quando il marito è inabile a
proficuo lavoro e quindi in condizioni di conseguire la pensione, quale
orfano di guerra, anche dopo raggiunta la maggiore età.
Davanti a questa Corte si costituiva la Mastrocola, e per essa il
tutore provvisorio Dante Seccia, il quale con le deduzioni e la
memoria, chiedeva che la questione fosse dichiarata fondata. Non
spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
All’udienza del 21 aprile 1971 l’avv. Silvio Paolucci, per la parte
costituita, insisteva nelle precedenti conclusioni.
2. – Con istanza del 22 dicembre 1958 Gaetano Raneri, quale orfano
maggiorenne inabile del dott. Francesco Raneri, magistrato deceduto in
quiescenza il 30 ottobre 1907, chiedeva al Ministero di grazia e
giustizia la riversibilità della pensione a suo tempo goduta dal
padre. La domanda veniva respinta sotto il profilo che il richiedente
non era inabile al lavoro al momento della morte del padre né a quello
del raggiungimento della maggiore età come prescritto dagli artt. 12 e
13 della legge 15 febbraio 1958, n. 46. Il Raneri proponeva ricorso
alla Corte dei conti ed essendo stata accertata in sede istruttoria la
sua inabilità alla data di entrata in vigore della legge (1 gennaio
1958), eccepiva l’illegittimità costituzionale della norma (art. 18)
secondo cui le orfane nubili maggiorenni hanno titolo alla pensione di
riversibilità a condizione che l’inabilità sussistesse al 1 gennaio
1958, e analogo beneficio non è dato agli orfani.
La Corte dei conti, sez. 3ª giurisdizionale per le pensioni civili,
con ordinanza del 25 novembre 1969, considerava rilevante e non
manifestamente infondata la questione. A questo ultimo riguardo,
osservava che la previsione, sia pure transitoria, del beneficio
soltanto per le orfane, dà luogo ad una disparità di trattamento tra
orfani di sesso diverso che non può trovare giustificazione nelle
diversità fisico-biologiche ed appare fondata esclusivamente sulla
diversità di sesso, dato che la generica attitudine o inabilità al
lavoro è indipendente dal sesso, ed è quindi contrastante con l’art.
3 della Costituzione.
Davanti a questa Corte si costituiva il Raneri il quale, con le
deduzioni, concludeva per la dichiarazione di illegittimità
costituzionale della disposizione denunciata. Non spiegava intervento
il Presidente del Consiglio dei ministri.
3. – Antonietta De Flora, vedova Testa, premesso che quale sorella
di Angiolina De Flora, già insegnante elementare deceduta il 19 aprile
1957, aveva chiesto alla Direzione provinciale del tesoro di Salerno la
pensione di riversibilità e che la domanda era stata respinta sotto il
profilo che non sussisteva la condizione della convivenza della
richiedente a carico della dante causa, proponeva ricorso avverso il
relativo decreto.
La Corte dei conti, sez. 3, giurisdizionale per le pensioni civili,
con ordinanza del 21 gennaio 1969, in contrasto con le richieste del
Procuratore generale, per il quale non era necessario che la convivenza
si fosse protratta per oltre un quinquennio antecedentemente alla morte
della dante causa riteneva di dover confermare il proprio indirizzo
giurisprudenziale secondo cui per la concessione della pensione alle
collaterali si richiede anche la condizione dello stato nubile o di
quello vedovile con almeno cinque anni di convivenza a carico
dell’impiegato (o pensionato) statale dopo la morte del marito. E posto
che codesta condizione è prevista dall’art. 12, comma secondo, della
legge 15 febbraio 1958, n. 46 (di cui la giurisprudenza necessariamente
ha dovuto tener conto nel determinare il proprio indirizzo), per detta
norma sollevava la questione di legittimità costituzionale per
contrasto con l’art. 3 della Costituzione, non sembrando ad essa Corte
conforme al principio della parità tra i due sessi la distinzione che
il legislatore pone tra i soggetti di sesso diverso, quando limita il
beneficio pensionistico alle sole orfane nubili ed a queste equipara
soltanto le vedove che risultino conviventi a carico del dipendente
civile di ruolo o del pensionato da almeno cinque anni dopo la morte
del marito, mentre nessuna limitazione e nessuna esclusione prevede nei
confronti dell’orfano di sesso maschile coniugato. Ora, se la pensione
ha una funzione di rimedio economico nei confronti dell’orfano di sesso
maschile coniugato che comunque sia stato a carico del dipendente
statale (o pensionato) e si trovi in condizioni di inabilità fisica e
di nullatenenza, non si vede – secondo la Corte dei conti – perché la
stessa ratio non possa operare nei confronti dell’orfana che, se pur
coniugata, versi nelle identiche condizioni, e come possa essere
giustificata la limitazione del beneficio pensionistico alle sole
orfane nubili o vedove conviventi con il genitore per almeno un
quinquennio dopo la morte del marito.
Davanti a questa Corte la De Flora non si costituiva, e non
spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
4. – Agatina Caserta nata Grasso, orfana maggiorenne di Francesca
Santoro vedova Grasso, ex dipendente del Comune di Laureana, chiedeva
al Ministero del tesoro, Direzione generale degli Istituti di
previdenza, la riversibilità della pensione fruita dalla madre.
L’istanza veniva respinta nella considerazione che la richiedente non
si trovava, alla data di morte della dante causa, nelle condizioni di
stato nubile o vedovile richieste dall’art. 40, comma secondo, della
legge 11 aprile 1955, n. 379. Proponeva allora ricorso alla Corte dei
conti l’interessata, sostenendo che pur essendo essa coniugata, doveva
essere equiparata, ai fini della concessione della pensione, alle
orfane vedove, in quanto il di lei marito, emigrato all’estero fin dal
19 maggio 1930, non aveva più dato notizie di sé.
La Corte dei conti, sez. 3ª giurisdizionale per le pensioni civili,
riteneva di potersi e doversi porre preliminarmente il quesito circa la
legittimità costituzionale del detto comma secondo dell’art. 40 della
citata legge n. 379 del 1955 (modificato, per ciò che concerne la data
a cui è da riferire l’accertamento dei requisiti della invalidità e
della nullatenenza, dall’art. 27, comma primo, della legge 26 luglio
1965, n. 965, e dall’art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85); e
della norma così modificata sollevava questione di legittimità
costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Osservava la Corte che, ponendo la detta norma come condizione per
il diritto a pensione dell’orfana che la medesima sia nubile o vedova,
si instaura una discriminazione nei riguardi delle orfane (coniugate) e
non anche degli orfani, per i quali la citata disposizione non richiede
la condizione di celibato o di vedovanza, pur a parità, per le une e
per gli altri, dei requisiti di convivenza a carico del dante causa, di
inabilità permanente a qualsiasi lavoro e di nullatenenza. E tale
disparità di trattamento, basata esclusivamente sull’appartenenza del
soggetto all’uno o all’altro sesso, appare in contrasto con l’art. 3
della Costituzione.
Nessuna delle parti si costituiva e non spiegava intervento il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con le quattro ordinanze indicate in epigrafe, la Corte dei
conti denunzia, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, le norme
di cui agli artt. 60, commi primo e secondo, 61, comma primo, 62, commi
primo e secondo (recte: terzo), 63, comma primo, e 65 della legge 10
agosto 1950, n. 648, e agli artt. 48, commi primo, secondo e terzo, 49,
commi primo e secondo, 50, commi primo, terzo e sesto, 51, comma primo,
55, comma primo (recte: unico), e 59, comma quarto, della legge 18
marzo 1968, n. 313; le norme di cui agli artt. 12, comma secondo, e 18
della legge 15 febbraio 1958, n. 46; ed infine, le norme di cui
all’art. 40, comma secondo, della legge 11 aprile 1955, n. 379
(modificato dall’art. 27, comma primo, della legge 26 luglio 1965, n.
965, e dall’art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85).
Le norme denunziate concernono il diritto a pensione (di guerra,
ordinaria a carico dello Stato, e a carico degli Istituti di previdenza
presso il Ministero del tesoro) di determinate categorie di soggetti, e
tra le stesse operano distinzioni sulla base del sesso.
Avendo per ciò, identico o analogo oggetto, i giudizi, che dalle
quattro ordinanze sono derivati, vanno riuniti e decisi con unica
sentenza.
2. – Relativamente alla prima denunzia, che si riferisce alla
legislazione pensionistica di guerra, è dato preliminarmente di
osservare che le questioni, per una parte, sono carenti di rilevanza.
La Corte dei conti prospetta il dubbio di legittimità
costituzionale a proposito delle norme che riguardano specificamente il
diritto a pensione dei figli di militari e civili deceduti per fatti di
guerra, e che, direttamente o meno, sono applicabili alla specie
considerata, al caso cioè di un’orfana di genitori deceduti per
asserito evento bellico.
Ma sottopone anche all’esame di questa Corte, altre norme che
prevedono la maggiorazione o l’integrazione della pensione vedovile in
caso di coesistenza di figli (artt. 60, commi primo e secondo, e 61,
comma primo, della citata legge n. 648 del 1950 e artt. 48, commi
primo, secondo e terzo, e 49, commi primo e secondo, della citata legge
n. 313 del 1968) o dettano il trattamento dovuto alle vedove ed agli
orfani di invalidi deceduti per cause diverse dall’invalidità di
guerra (art. 59, comma quarto, della citata legge n. 313 del 1968).
Ora, la risoluzione delle questioni relative a questo secondo
gruppo di norme appare ictu oculi non pregiudiziale per la decisione
del merito: e per tanto non può non constatarsene l’evidente mancanza
di rilevanza.
3. – In base al disposto degli artt. 62, commi primo e terzo, e 63,
comma primo, della legge n. 648 del 1950 e degli artt. 50, commi primo,
terzo e sesto, e 51, comma primo, della legge n. 313 del 1968, il
diritto alla pensione di guerra è riconosciuto ai figli e alle figlie
minorenni di genitori morti per causa del servizio di guerra o
attinente alla guerra, o deceduti per dati fatti di guerra, qualora, in
caso di morte del padre, siano altresì privi della madre o questa, per
qualunque motivo, non possa conseguire la pensione o la perda per
passaggio a nuove nozze, ovvero venga a mancare dopo la morte del
marito, e qualora, in caso di morte della madre, siano altresì privi
del padre o questo, essendo comunque inabile a qualsiasi proficuo
lavoro e trovandosi in date condizioni economiche, non possa, per
qualunque motivo, conseguire la pensione o la perda; e a detti figli
minori sono equiparati gli orfani maggiorenni iscritti ad Università e
ad Istituti superiori, per tutta la durata del corso legale degli
studi, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età.
Hanno diritto alla detta pensione anche i figli e le figlie
maggiorenni divenuti comunque inabili a qualsiasi proficuo lavoro prima
di avere raggiunto la maggiore età o prima della data di cessazione
del diritto a pensione da parte del genitore.
Le norme sopra richiamate richiedono che le figlie, minorenni o
maggiorenni, siano nubili.
Analogamente agli artt. 65 della legge n. 648 del 1950 e 55 della
legge n. 313 del 1968 dispongono che la pensione si perde dagli orfani
che raggiungono il ventunesimo anno di età, salvo quanto previsto per
gli orfani studenti universitari e per i casi di inabilità a lavoro; e
solo dalle orfane, anche di età minore, che contraggono matrimonio.
Codesta disciplina mette in evidenza che le condizioni necessarie
per l’acquisto e la conservazione del diritto alla pensione di guerra
sono sostanzialmente eguali per tutti gli orfani, ma che per quelli di
sesso femminile è richiesta inoltre la condizione di nubile.
Si ha perciò per le orfane non nubili un trattamento giuridico
diverso da quello riservato agli orfani non celibi.
Le condizioni richieste dalla legge per l’acquisto e la
conservazione della pensione e comuni a tutti gli orfani, non è
pensabile che si possano atteggiare diversamente a seconda del sesso
del singolo avente diritto.
D’altronde è innegabile che dette condizioni possono
indifferentemente concorrere sia nei confronti dell’orfano che
dell’orfana, ancorché essi abbiano contratto matrimonio. In
particolare, ciò è dato notare a proposito dello stato di bisogno,
connaturale alla portata assistenziale o alimentare della pensione, e
che in concreto può sussistere qualunque sia, in relazione al
matrimonio, la posizione del soggetto legittimato.
Nella previsione delle norme impugnate non è possibile perciò
scorgere alcuna razionale giustificazione del trattamento differenziato
nei confronti delle orfane non nubili. Di tal che appare fondata la
questione come sopra sollevata, e ne discende la illegittimità
costituzionale delle ripetute norme nella parte in cui, sull’esclusiva
base dell’appartenenza del soggetto legittimato all’uno o all’altro
sesso, dispongono l’esclusione del diritto a pensione per la figlia non
nubile e non anche per il figlio non celibe.
4. – Alla stessa conclusione e sulla base delle medesime
considerazioni è consentito di pervenire a proposito dell’art. 40,
comma secondo, della citata legge n. 379 del 1955, modificato nei sensi
sopra specificati.
Agli orfani minorenni dei dipendenti degli enti locali iscritti
alle relative casse per le pensioni sono equiparati, ai fini del
trattamento di quiescenza “gli orfani maggiorenni e le orfane nubili o
vedove maggiorenni”, i quali alla data di morte dell’iscritto siano a
di lui carico, inabili permanentemente a qualsiasi lavoro e
nullatenenti.
Anche in questa particolare ipotesi, le condizioni essenziali
(vivenza a carico, inabilità permanente e nullatenenza) sono comuni a
tutti gli orfani. Eppure viene operata l’anzidetta discriminazione che
non è giusticabile con la differenza di sesso: anche le orfane
coniugate come gli orfani coniugati possono infatti trovarsi
identicamente in quelle condizioni.
Ne discende l’evidente violazione del principio di eguaglianza,
perché a situazioni eguali e senza che ricorra una razionale
giustificazione della diversità, non corrisponde trattamento giuridico
uniforme. E deve pertanto dichiararsi la illegittimità costituzionale
della norma nella parte in cui riconosce il diritto a pensione al
soggetto di sesso femminile solo se in stato di nubilato o di
vedovanza.
5. – Risulta ancora fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 12, comma secondo, della citata legge n. 46
del 1958, applicabile, per il giudice a quo, anche al caso in cui, in
mancanza di altri aventi diritto, la pensione spetta alle sorelle e ai
fratelli inabili permanentemente a qualsiasi proficuo lavoro conviventi
a carico dell’impiegato.
La norma denunciata richiede inoltre per i figli e per le figlie
nubili la nullatenenza e per le figlie vedove la convivenza a carico da
almeno cinque anni dopo la morte del marito. Di modo che solo per le
figlie devono ricorrere particolari condizioni e requisiti (condizione
di nubile o di vedova, e per le vedove una qualificata convivenza).
Tale trattamento differenziato riposa esclusivamente sulla
diversità di sesso e pertanto dà vita ad una evidente violazione
dell’art. 3 della Costituzione, che va rimossa con la dichiarazione di
illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui limita il
beneficio pensionistico alle “nubili” o “vedove… che risultino
conviventi a carico del dipendente civile di ruolo o del pensionato da
almeno cinque anni dopo la morte del marito”.
6. – Ricorre infine la denunciata disparità di trattamento, in
violazione del principio di eguaglianza, a proposito dell’art. 18 della
citata legge n. 46 del 1958.
Trattasi di una norma di favore dettata per i figli dell’impiegato
o del pensionato deceduto prima del 1 gennaio 1958, data di entrata in
vigore della legge. Di regola, in base agli artt. 12 e 13 della stessa
legge, le condizioni per la concessione della pensione e quindi anche
quella dell’inabilità al lavoro proficuo e della nullatenenza debbono
sussistere al momento del decesso del dipendente o del pensionato. Con
il detto art. 18, invece, si considera sufficiente che l’inabilità e
la nullatenenza sussistano alla data del 1 gennaio 1958; ma questa
disciplina transitoria è limitata agli orfani di sesso femminile non
coniugati.
Ora siffatto trattamento non ha riscontro in situazioni o posizioni
differenti: è di tutta evidenza che l’inabilità a proficuo lavoro e
la nullatenenza sono situazioni di fatto indipendenti in modo assoluto
dal sesso, e non sono ravvisabili ragioni peculiari e diverse che
abbiano potuto indurre il legislatore a dover considerare tali
inabilità e nullatenenza, alla data del 1 gennaio 1958, come
condizioni necessarie e sufficienti per l’acquisto del diritto per le
donne e non anche per gli uomini. La discriminazione appare quindi
operata solo in dipendenza della diversità di sesso.
La norma per ciò, in quanto in contrasto con il principio di
eguaglianza, va dichiarata illegittima costituzionalmente nella parte
in cui, nel concorso di tutte le altre condizioni, non concede il
diritto a pensione anche ai figli maschi non coniugati che alla data
anzidetta risultino inabili al lavoro proficuo e siano nullatenenti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 60, commi primo e secondo, e
61, comma primo, della legge 10 agosto 1950, n. 648, sul riordinamento
delle disposizioni sulle pensioni di guerra, e degli artt. 48, commi
primo, secondo e terzo, 49, commi primo e secondo, e 59, comma quarto,
della legge 18 marzo 1968, n. 313, sul riordinamento della legislazione
pensionistica di guerra, sollevata con l’ordinanza del 26 aprile 1969
dalla Corte dei conti in riferimento all’art. 3, comma primo, della
Costituzione;
b) dichiara l’illegittimità costituzionale:
1) degli artt. 62, commi primo e terzo, e 63, comma primo, della
citata legge 10 agosto 1950, n. 648, degli artt. 50, commi primo, terzo
e sesto, e 51, comma primo, della citata legge 18 marzo 1968, n. 313, e
dell’art. 12, comma secondo, della legge 15 febbraio 1958, n. 46
(contenente nuove norme sulle pensioni ordinarie a carico dello Stato)
nella parte in cui dispongono che le orfane hanno diritto alla pensione
solo se nubili;
2) degli artt. 65 della citata legge 10 agosto 1950, n. 648, e 55
della citata legge 18 marzo 1968, n. 313, nella parte in cui dispongono
che la pensione si perde dalle figlie o che le stesse decadono dal
diritto quando contraggono matrimonio;
3) dell’art. 40, comma secondo, della legge 11 aprile 1955, n. 379
– modificato dall’art. 27 della legge 26 luglio 1965, n. 965, e
dall’art. 8 della legge 5 febbraio 1968, n. 85 – (contenente
miglioramenti dei trattamenti di quiescenza e modifiche agli
ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del
tesoro), nella parte in cui ammette al trattamento di quiescenza le
orfane solo se nubili o vedove;
4) dell’art. 18 della citata legge 15 febbraio 1958, n. 46, nella
parte in cui, nel concorso di tutte le altre condizioni, esclude dal
diritto a pensione i figli maschi celibi che alla data del 1 gennaio
1958 siano inabili al lavoro proficuo e siano nullatenenti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.