Sentenza N. 135 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
24/04/2002
Data deposito/pubblicazione
24/04/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/04/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE;
a 271 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il 5 luglio 2000 dal giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Alba nel procedimento penale a carico di Di Sarno
Giovanni, iscritta al n. 645 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 1ª serie speciale, n. 45,
dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
indagini preliminari del Tribunale di Alba ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 14 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale “degli artt. 189 e 266 – 271 del codice
di procedura penale e, segnatamente, dell’art. 266, comma 2, del
codice di procedura penale”, nella parte in cui “non estendono la
disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra presenti nei
luoghi indicati dall’art. 614 del codice penale alle riprese visive o
videoregistrazioni effettuate nei medesimi luoghi”.
L’ordinanza, emessa nell’udienza preliminare, premette che
nell’ambito di un procedimento penale relativo a delitti di
favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, il giudice per le
indagini preliminari aveva autorizzato – “anche ai sensi
dell’art. 266, comma 2, cod. proc. pen.”, qualora il luogo dovesse
considerarsi di privata dimora – l’intercettazione di comunicazioni
tra presenti all’interno di un locale notturno, ove si presumeva
svolgersi l’attività criminosa.
Nello stabilire le modalità delle operazioni, il pubblico
ministero aveva peraltro disposto, con proprio decreto, che nel
locale venissero installate anche delle videocamere: e mentre
l’intercettazione delle conversazioni non era stata di fatto
eseguita, in quanto ostacolata dall’elevato volume della musica;
l’apparato di ripresa visiva, occultato dalla polizia giudiziaria in
una plafoniera sita in una saletta appartata, aveva consentito di
registrare immagini di rapporti sessuali tra i clienti e le ballerine
dell’esercizio.
Anche sulla base di tali registrazioni, il gestore del locale era
stato quindi sottoposto ad arresti domiciliari; misura confermata, in
sede di riesame, dal Tribunale di Torino, la cui decisione era stata
tuttavia annullata dalla Corte di cassazione, sul rilievo che le
riprese visive avrebbero dovuto essere, nel frangente – in quanto
effettuate in luogo qualificabile come di privata dimora – anch’esse
specificamente autorizzate a norma dell’art. 266, comma 2, cod. proc.
pen., rimanendo in difetto inutilizzabili.
Nella richiesta di rinvio a giudizio (formulata prima che
intervenisse la decisione della Corte di cassazione nel procedimento
incidentale de libertate), il pubblico ministero aveva peraltro
indicato fra le fonti di prova a carico anche i nastri delle
videoregistrazioni: nastri dei quali, nell’udienza preliminare, la
difesa aveva quindi eccepito l’inutilizzabilità.
Ciò premesso, il rimettente osserva come – in assenza di
specifica disciplina processuale – la giurisprudenza di legittimità
si sia espressa in modo contrastante riguardo alla possibilità di
effettuare riprese visive a fini di indagine in luoghi di privata
dimora: avendo essa affermato ora che l’operazione resta preclusa in
radice, fuori dei casi in cui risulti strettamente funzionale alla
intercettazione di comunicazioni non verbali tra presenti, dal
principio dell’inviolabilità del domicilio sancito dall’art. 14
Cost; ora, invece, che la videoregistrazione deve essere autorizzata
a norma dell’art. 266, comma 2, cod. proc. pen., e cioè in
conformità della disciplina prevista per le intercettazioni
ambientali; ora, infine, che è necessario e sufficiente, in base
agli artt. 189 cod. proc. pen. e 14 Cost., un atto motivato
dell’autorità giudiziaria e, dunque, anche un provvedimento del
pubblico ministero.
Ad avviso del giudice a quo la prima tesi non potrebbe essere
condivisa, in quanto lo stesso art. 14 della Costituzione prevede
“limiti e deroghe” al principio di inviolabilità del domicilio a
salvaguardia di altri valori costituzionali, tra i quali
l’accertamento e la repressione dei reati; e neppure la seconda, non
sussistendo i presupposti per estendere analogicamente alle riprese
visive le disposizioni in tema di intercettazioni di comunicazioni
tra presenti, stante anche la previsione dell’art. 189 cod. proc.
pen. (in tema di prove non disciplinate dalla legge).
La lettura corretta del quadro normativo sarebbe pertanto la
terza (sufficienza dell’atto motivato dell’autorità giudiziaria):
lettura a fronte della quale, tuttavia, la disciplina del mezzo di
ricerca della prova in questione verrebbe a porsi in contrasto tanto
con il principio di uguaglianza – avuto riguardo, quale tertium
comparationis all’ipotesi regolata dall’art. 266, comma 2, cod. proc.
pen. – quanto con lo stesso art. 14 Cost.
L’effettuazione di riprese visive comporterebbe, difatti, una
limitazione della inviolabilità del domicilio equivalente, se non
addirittura maggiore, rispetto all’intercettazione di comunicazioni
fra presenti: sarebbe pertanto irragionevole che a quest’ultima possa
procedersi solo in base a provvedimento del giudice ed entro precisi
limiti, tanto di ammissibilità che temporali, mentre per le riprese
visive basti un provvedimento, sia pur motivato, del pubblico
ministero.
L’art. 14 Cost., d’altro canto, non si limita a richiedere, ai
fini della compressione della libertà di domicilio, un provvedimento
motivato dell’autorità giudiziaria, ma postula altresì che tale
provvedimento sia adottato “nei casi e nei modi stabiliti dalla
legge”: imponendo, così, una compiuta disciplina legislativa delle
ipotesi e delle modalità di limitazione di detto diritto
fondamentale, nella specie mancante.
Quanto, infine, alla rilevanza della questione, il rimettente
rimarca come nel procedimento a quo le riprese visive siano state
eseguite in forza di un provvedimento motivato del solo pubblico
ministero ed in un luogo che, per le sue caratteristiche, doveva
considerarsi di privata dimora: con la conseguenza che il quesito di
costituzionalità risulterebbe decisivo ai fini dell’utilizzabilità
delle riprese stesse.
2. – Nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la
declaratoria di infondatezza della questione.
L’Avvocatura erariale nega la sussistenza del preteso contrasto
con l’art. 14 Cost., ritenendo soddisfatto, nella specie, il livello
minimo di garanzie previsto dal precetto costituzionale, il quale
richiede, ai fini della limitazione del “diritto alla riservatezza”,
un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria (e, quindi,
anche del pubblico ministero): sarebbe, poi, la motivazione di tale
provvedimento a dover rendere conto degli scopi perseguiti e
dell’esistenza di esigenze investigative ricollegabili al fine,
costituzionalmente protetto, di prevenzione e repressione dei reati.
Non sarebbe del pari compromesso l’art. 3 Cost., in quanto la
valutazione del carattere più o meno “invasivo” della captazione di
immagini rispetto all’intercettazione di comunicazioni fra presenti
costituirebbe apprezzamento discrezionale del legislatore, il quale,
nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 14 Cost., rimarrebbe
libero di dosare le garanzie che assistono ciascun mezzo di ricerca
della prova.
dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3
e 14 Cost., “degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale
e, segnatamente, dell’art. 266, comma 2, del codice di procedura
penale”, nella parte in cui “non estendono la disciplina delle
intercettazioni delle comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati
dall’art. 614 cod. pen. alle riprese visive o videoregistrazioni
effettuate nei medesimi luoghi”.
Dopo aver ricordato come, in assenza di una specifica disciplina
processuale di tale mezzo di ricerca della prova, la giurisprudenza
di legittimità si sia espressa in modo contrastante riguardo alle
condizioni ed ai limiti di liceità della captazione di immagini in
luoghi di privata dimora a fini investigativi, il rimettente pone a
premessa del quesito di costituzionalità l’adesione all’orientamento
in forza del quale, nell’attuale panorama normativo, risulterebbe
“necessario e sufficiente”, per l’effettuazione delle anzidette
riprese visive, un atto motivato dell’autorità giudiziaria (e,
dunque, nella fase delle indagini preliminari, anche un semplice
provvedimento del pubblico ministero).
Tale assetto normativo contrasterebbe, peraltro, con l’art. 3
Cost., in quanto al carattere egualmente, o addirittura maggiormente
“invasivo” delle riprese visive, rispetto alle intercettazioni
ambientali, corrisponderebbe irragionevolmente un più ridotto
“livello di garanzie” (le intercettazioni di comunicazioni fra
presenti sono possibili, infatti, solo in base a provvedimento del
giudice ed entro precisi limiti, di ammissibilità e temporali). Esso
contrasterebbe altresì con l’art. 14 Cost., il quale non si limita a
richiedere, ai fini della compressione della inviolabilità del
domicilio, un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, ma
postula altresì che tale provvedimento sia adottato “nei casi e nei
modi stabiliti dalla legge”: imponendo, con ciò, una compiuta
disciplina legislativa delle ipotesi e delle modalità di limitazione
della libertà fondamentale in discorso, nella specie non
rinvenibile.
2.1. – Il quesito di costituzionalità formulato dal giudice per
le indagini preliminari del Tribunale di Alba – tendente
all’ottenimento di una pronuncia additiva che allinei la disciplina
processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella
delle intercettazioni di comunicazioni fra presenti nei medesimi
luoghi – impone a questa Corte una verifica pregiudiziale: occorre
stabilire, cioè, se l’operazione investigativa sulla quale il
quesito stesso verte non risulti, in realtà, vietata in modo
assoluto dal sistema costituzionale, a prescindere dal “livello di
garanzie” dal quale la normativa ordinaria eventualmente la circondi.
Ad una simile conclusione parte della giurisprudenza e della
dottrina perviene, in effetti, sul rilievo che la captazione di
immagini rappresenterebbe un tipo di limitazione dell’inviolabilità
del domicilio, diverso ed ulteriore rispetto a quelli contemplati
dall’art. 14, secondo comma, Cost., il quale consente bensì
invasioni per fini di giustizia della sfera domiciliare, ma solo
nella forma delle ispezioni, delle perquisizioni e dei sequestri.
Rimarcato come le ipotesi di limitazione dei diritti
costituzionalmente garantiti debbano considerarsi, in via di
principio, di stretta interpretazione, stante il loro carattere di
eccezionalità, i fautori della tesi in questione osservano come le
riprese visive non soltanto non figurino nell’elenco delle forme di
interferenza sulla libertà domiciliare espressamente contemplate
dalla Costituzione; ma segnino, altresì, un “salto qualitativo”
rispetto ad esse sul piano dell'”invasività”, tale da precludere
qualsiasi tentativo di assimilazione (e, in particolare, la
possibilità di ricondurre le riprese visive al paradigma concettuale
dell’ispezione): giacché mentre le ispezioni, le perquisizioni ed i
sequestri sarebbero forme di intrusione palesi, la captazione di
immagini a fini investigativi avrebbe, di necessità, carattere
occulto.
A tale ricostruzione va peraltro obiettato, per un verso, che il
riferimento, nell’art. 14, secondo comma, Cost., alle “ispezioni,
perquisizioni e sequestri” non è necessariamente espressivo
dell’intento di “tipizzare” le limitazioni permesse, escludendo a
contrario quelle non espressamente contemplate; poiché esso ben può
trovare spiegazione nella circostanza che gli atti elencati
esaurivano le forme di limitazione dell’inviolabilità del domicilio
storicamente radicate e positivamente disciplinate all’epoca di
redazione della Carta, non potendo evidentemente il Costituente tener
conto di forme di intrusione divenute attuali solo per effetto dei
progressi tecnici successivi. Per un altro verso, va osservato che la
citata disposizione costituzionale, nell’ammettere “intrusioni” nel
domicilio per finalità di giustizia, non prende, in realtà, affatto
posizione sul carattere – palese od occulto – delle intrusioni
stesse: la configurazione di queste ultime, e delle ispezioni in
particolare, come atto palese emerge, difatti, esclusivamente a
livello di legislazione ordinaria.
L’attribuzione all’elenco delle limitazioni alla libertà di
domicilio, di cui all’art. 14, secondo comma, Cost., di un carattere
“chiuso” e storicamente “cristallizzato” sulla fisionomia impressa
dalla legge processuale del tempo ai singoli atti invasivi richiamati
provocherebbe, d’altro canto, un evidente squilibrio nell’assetto
costituzionale dei diritti di libertà.
nel sistema delle libertà fondamentali, difatti, la libertà
domiciliare si presenta strettamente collegata alla libertà
personale, come emerge dalla stessa contiguità dei precetti
costituzionali che sanciscono l’una e l’altra (artt. 13 e 14 Cost.),
nonché dalla circostanza che le garanzie previste nel secondo comma
dell’art. 14, Cost., in rapporto alle limitazioni dell’inviolabilità
del domicilio, riproducono espressamente quelle stabilite per la
tutela della libertà personale. Il domicilio viene cioè in rilievo,
nel panorama dei diritti fondamentali di libertà, come proiezione
spaziale della persona, nella prospettiva di preservare da
interferenze esterne comportamenti tenuti in un determinato ambiente:
prospettiva che vale, per altro verso, ad accomunare la libertà in
parola a quella di comunicazione (art. 15 Cost.), quali espressioni
salienti di un più ampio diritto alla riservatezza della persona.
Ciò posto, l’adesione alla tesi contrastata implicherebbe che il
domicilio trovi tutela nella Carta costituzionale – quanto alla
tipologia delle interferenze da parte della pubblica autorità – in
modo più energico, non solo rispetto alla libertà e alla segretezza
delle comunicazioni (l’art. 15, secondo comma, della Costituzione fa
generico riferimento, infatti, a possibili “limitazioni” di essa,
senza alcuna restrizione quanto ai tipi); ma altresì rispetto alla
stessa libertà personale, di cui l’inviolabilità del domicilio
costituisce espressione in certo senso sotto-ordinata (l’art. 13,
secondo comma, Cost., infatti, consente, a determinate condizioni,
oltre alla “detenzione”, “ispezione” e “perquisizione personale”,
“qualsiasi altra forma di restrizione della libertà personale”). Una
simile ricostruzione appare tanto meno plausibile ove si consideri
che nel terzo comma dell’art. 14 della Costituzione – per quanto
attiene ai motivi ed ai modi della limitazione – la protezione
costituzionale del domicilio risulta, viceversa, più debole di
quella degli altri diritti di libertà dianzi menzionati; si ammette
infatti in tale comma, in termini ampi, che “leggi speciali”
consentano di eseguire “accertamenti e ispezioni” domiciliari anche
per motivi “di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e
fiscali”.
Giova soggiungere che l’ipotizzata restrizione della tipologia
delle interferenze della pubblica autorità nella libertà
domiciliare non troverebbe riscontro né nella Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(art. 8), né nel Patto internazionale sui diritti civili e politici
(art. 17); né, infine, nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000 (artt. 7 e
52), qui richiamata ancorché priva di efficacia giuridica per il suo
carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei.
2.2. – Escluso che l’attività investigativa in argomento si
scontri con un divieto costituzionale assoluto, l’odierna questione
si palesa infondata.
Al riguardo, va invero osservato che la captazione di immagini in
luoghi di privata dimora ben può configurarsi, in concreto, come una
forma di intercettazione di comunicazioni fra presenti, che si
differenzia da quella operata tramite gli apparati di captazione
sonora solo in rapporto allo strumento tecnico di intervento, come
nell’ipotesi di riprese visive di messaggi gestuali: fattispecie
nella quale già ora è applicabile, in via interpretativa, la
disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di
privata dimora. Stabilire quando la ripresa visiva possa ritenersi
finalizzata alla captazione di comportamenti a carattere comunicativo
e determinare i limiti entro i quali le immagini concretamente
riprese abbiano ad oggetto tali comportamenti è, d’altra parte, una
questione che spetta al giudice a quo risolvere.
Il problema di costituzionalità si configura solo ove si
fuoriesca dall’ipotesi della videoregistrazione di comportamenti di
tipo comunicativo, venendo allora in considerazione soltanto
l’intrusione nel domicilio in quanto tale. In questo caso, il modello
normativo evocato dal giudice a quo come tertium comparationis è
inconferente, stante la sostanziale eterogeneità delle situazioni
poste a confronto: la limitazione della libertà e segretezza delle
comunicazioni, da un lato; l’invasione della sfera della libertà
domiciliare in quanto tale, dall’altro. Sebbene, infatti, come già
accennato, libertà di domicilio e libertà di comunicazione
rientrino entrambe in una comune e più ampia prospettiva di tutela
della “vita privata” – tanto da essere oggetto di previsione
congiunta ad opera dei citati artt. 8 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 17
del Patto internazionale sui diritti civili e politici; nonché, da
ultimo, ad opera dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea – esse restano significativamente differenziate
sul piano dei contenuti. La libertà di domicilio ha una valenza
essenzialmente negativa, concretandosi nel diritto di preservare da
interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui
si svolge la vita intima di ciascun individuo. La libertà di
comunicazione, per converso – pur presentando anch’essa un
fondamentale profilo negativo, di esclusione dei soggetti non
legittimati alla percezione del messaggio informativo – ha un
contenuto qualificante positivo, quale momento di contatto fra due o
più persone finalizzato alla trasmissione di dati significanti.
L’ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di
intercettazione di comunicazioni potrebbe perciò essere disciplinata
soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali
dell’art. 14 Cost; ferma restando, per l’importanza e la delicatezza
degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo
della materia da parte del legislatore stesso.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
“degli artt. 189 e 266-271 del codice di procedura penale e,
segnatamente, dell’art. 266, comma 2, del codice di procedura
penale”, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 14 della
Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Alba con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Flick
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 24 aprile 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola