Sentenza N. 137 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1968
Data deposito/pubblicazione
28/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE, Giudici,
1923, n. 2657, che approva la tabella delle occupazioni alle quali non
è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1 del
R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, promosso con ordinanza emessa il 7
gennaio 1967 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra
Di Palma Giovanni e Pane Giuseppe, iscritta al n. 67 del registro
ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 102 del 22 aprile 1967.
Udita nella camera di consiglio del 24 ottobre 1968 la relazione
del Giudice Giuseppe Verzì.
Nel corso di un giudizio civile fra Giovanni Di Palma e Giuseppe
Pane in merito al pagamento di indennità di lavoro straordinario
prestato in un albergo con mansioni di facchino ai piani, il Tribunale
di Roma, con ordinanza del 7 gennaio 1967, ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo unico del R.D. 6 dicembre
1923, n. 2657, che approva la tabella indicante le occupazioni che
richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle
quali non è applicabile la limitazione dell’orario sancita dall’art. 1
del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692. Poiché questo decreto non fissa
quale sia per i lavoratori indicati in detta tabella (nella quale è
incluso il personale di servizio negli alberghi) il numero massimo di
ore in cui deve essere giornalmente contenuto il loro obbligo di
prestazione di opera, sarebbe violato il secondo comma dell’art. 36.
della Costituzione, che dispone che la durata massima della giornata
lavorativa è stabilita dalla legge.
L’ordinanza rileva che l’art. 16 del contratto collettivo del 22
settembre 1959 stipulato per il personale salariato dipendente da
alberghi, pensioni e locande, fissa in nove ore l’orario giornaliero di
lavoro per il personale operaio non ausiliario, e non addetto al
guardaroba, ma ritiene che il contratto stesso non sia applicabile
nella specie non essendo il datore di lavoro iscritto a nessuna delle
associazioni sindacali che lo hanno stipulato. Pertanto la decisione
circa la fondatezza della pretesa dell’attore del compenso per lavoro
straordinario deve essere presa necessariamente in base al disposto
della norma impugnata.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22
aprile 1967.
Non essendovi stata costituzione di parti, la causa è stata decisa
in camera di consiglio.
Potrebbe prospettarsi in primo luogo una inammissibilità del
giudizio per manifesta irrilevanza della questione.
Il Tribunale avrebbe potuto, infatti, definire il giudizio
principale tenendo presente che il contratto collettivo 22 settembre
1959 per il personale salariato dipendente da alberghi, pensioni e
locande ha efficacia erga omnes in virtù del D.P.R. 2 gennaio 1962, n.
771, emesso entro i termini stabiliti dalla legge 14 luglio 1959, n.
741, contenente norme transitorie per garantire minimi di trattamento
economico e normativo ai lavoratori, termini prorogati dall’art. 2
della legge 1 ottobre 1960, n. 1027.
Comunque la inammissibilità sussiste sicuramente per un altro
motivo, essendo stata impugnata una norma che non ha forza di legge.
Il R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, fissa la durata massima del lavoro
giornaliero effettivo in otto ore giornaliere e quarantotto ore
settimanali, specificando che, nella dizione lavoro effettivo, non sono
comprese quelle occupazioni, che richiedono per loro natura, o nella
specialità del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa o
custodia. Ed il regolamento approvato con R.D. 10 settembre 1923, n.
1955, ha disposto, all’art. 6, che “le occupazioni che richiedono una
prestazione discontinua o di semplice attesa o custodia saranno
indicate in apposita tabella emanata e modificabile con decreto reale
promosso dal Ministro per l’economia nazionale”. In esecuzione di
questa norma regolamentare, il regio decreto n. 2657 del 1923 ha
approvato la tabella.
Non vi è dubbio, quindi, che la norma impugnata fa parte di un
regolamento, che, non avendo forza di legge, non poteva essere
sottoposto al giudizio di questa Corte ai sensi dell’art. 134 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo unico del R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657, sollevata con
ordinanza del Tribunale di Roma del 7 gennaio 1967.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.