Sentenza N. 137 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
15/07/1969
Data deposito/pubblicazione
15/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272,
come modificato dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218
(determinazione dell’ammontare della pensione annuale
nell’assicurazione obbligatoria per invalidità e vecchiaia), promosso
con ordinanza emessa il 21 marzo 1968 dal tribunale di Arezzo nel
procedimento civile vertente tra Lippi Elena, Gerioni Maria e
l’I.N.P.S., iscritta al n. 74 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 1 giugno 1968.
Visti gli atti di costituzione di Lippi Elena, di Gerioni Maria e
dell’I.N.P.S.;
udita nell’udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
uditi l’avv. Franco Agostini, per Lippi e Gerioni, e l’avvocato
Giorgio Cannella, per l’I.N.P.S.
Lippi Elena e Gerioni Maria convenivano l’Istituto nazionale della
previdenza sociale dinanzi il tribunale di Arezzo, sostenendo che la
pensione di anzianità loro spettante a norma dell’art. 13 della legge
21 luglio 1965, n. 903, doveva essere liquidata nella stessa misura
prevista per i lavoratori, e non secondo le aliquote dell’art. 12 del
R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall’art. 2 della legge 4
aprile 1952, n. 218, fissate per le donne lavoratrici in misura
inferiore a quelle degli uomini. Qualora dal tribunale fosse stata
ritenuta applicabile la detta norma dell’art. 12, ne denunziavano la
illegittimità costituzionale in quanto essa stabilendo per la donna
lavoratrice un trattamento pensionistico diverso da quello contemplato
per il lavoratore, violerebbe il principio di parità di diritti in
materia di lavoro di cui agli artt. 3 e 37 della Costituzione.
Con ordinanza del 21 marzo 1968, il tribunale – dopo di avere
riconosciuta la applicabilità dell’art. 12 suindicato – ha rilevato
che, poiché i contributi, calcolati sulla base delle retribuzioni
percepite, vengono corrisposti nella stessa misura sia dagli uomini che
dalle donne, non è affatto giustificato il trattamento differenziato
nella pensione, che dovrebbe essere uguale a parità di contribuzione;
ed ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del
ripetuto art. 12, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione.
L’ordinanza è stata notificata, comunicata e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 1 giugno 1968. Nel
giudizio innanzi questa Corte si sono costituiti la Lippi, la Gerioni e
l’I.N.P.S.
Con la comparsa di costituzione, la difesa delle due donne osserva
che, con la riforma pensionistica prevista dalla legge 18 marzo 1968,
n. 238, il Governo è delegato a modificare il sistema di
determinazione della pensione, stabilendo un rapporto diretto, per i
lavoratori di entrambi i sessi, tra la retribuzione contributiva ed il
trattamento previdenziale; ma solo nel caso che questo ultimo sia
liquidato con decorrenza dal 1 marzo 1968. Tale legge, inoltre, dà
facoltà di opzione tra il vecchio ed il nuovo trattamento. Perciò,
per coloro i quali siano andati in pensione anteriormente a tale data,
continua ad essere rilevante la questione di legittimità
costituzionale, così come sollevata nel giudizio principale.
L’I.N.P.S. ritiene invece che sia giustificato il differente
trattamento, in quanto le situazioni oggettive non sono identiche. La
donna, infatti, consegue il diritto a pensione cinque anni prima
dell’uomo (art. 9 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636) e
ciò, se può tradursi in uno svantaggio nella liquidazione della
pensione, è tuttavia un vantaggio compensatore, sotto il profilo
dell’anticipato conseguimento della medesima.
In ogni caso, ove la donna, come è in sua facoltà (art. 12 del
R.D.L. n. 636 del 1939) differisce la liquidazione della pensione dal
55 al 60 anno di età, percepirebbe, a parità di contribuzione con un
uomo, una somma maggiore di quella spettante a quest’ultimo, pur
essendo diverse le modalità di calcolo.
Osserva, infine, che la legge 18 marzo 1968, n. 238 ha modificato
il sistema di determinazione della pensione, e che il D.P.R. n. 488 del
1968 ha abrogato (art. 41) l’art. 13 della legge 21 luglio 1965, n.
903, e cioè ha abolito la pensione di anzianità. Ciò posto, sarebbe
quanto meno frustraneo dichiarare la illegittimità della norma
impugnata per una questione sorta ai fini della determinazione della
pensione di anzianità, prevista da una norma non più in vigore.
Nelle more del presente giudizio è stata pubblicata la legge 30
aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme
in materia di sicurezza sociale) la quale dispone che la pensione va
rapportata alla retribuzione media annua pensionabile. Viene così
eliminata la denunziata disparità di trattamento tra uomo e donna.
Con memoria depositata il 4 giugno 1969, la difesa di Lippi Elena e
Gerioni Maria rileva che la nuova legge, avendo realizzato la
parificazione nel trattamento tra uomini e donne, costituisce
riconoscimento della ingiustizia perpetrata in precedenza ai danni
delle donne lavoratrici, ed implicita conferma della fondatezza della
questione sollevata. Tuttavia, le nuove disposizioni non fanno venir
meno la rilevanza della questione, perché: 1) la parificazione ha
effetto soltanto dal 10 gennaio 1969, e, pertanto, poiché le attrici
nel giudizio principale vantano il diritto alla maggiore pensione dalla
data della costituzione di essa, il problema resta rilevante per i
periodi di godimento antecedente a detta data; 2) la parificazione
stessa ha per oggetto soltanto le pensioni di anzianità, di vecchiaia
ed invalidità, con esclusione delle pensioni di riversibilità. La
nuova legge, modificando i criteri delle pensioni dirette influisce
sulle future pensioni di riversibilità, ma non già su quelle
precostituite, che restano pertanto inferiori, nel caso di decesso di
donna pensionata, rispetto agli aventi causa per morte di un uomo,
antecedente al 1 gennaio 1969.
1. – La legge 18 marzo 1968, n. 238, che ha fissato nuovi termini
per la emanazione dei provvedimenti delegati di cui all’art. 39 della
legge 21 luglio 1965, n. 903, per l’avviamento alla riforma e per il
miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale; il
D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, relativo all’aumento ed al nuovo sistema
di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale
obbligatoria, e la legge 30 aprile 1969, n. 153, per la revisione degli
ordinamenti pensionistici, hanno modificato interamente la disciplina
delle pensioni della previdenza sociale. Hanno stabilito, fra l’altro,
che:
a) l’importo annuo delle pensioni, da liquidare con decorrenza
posteriore al 30 aprile 1968 a carico dell’assicurazione generale dei
lavoratori dipendenti è rapportato alla retribuzione contributiva
media annua pensionabile desumibile dalle ultime 156 settimane di
contribuzione effettiva in costanza di lavoro o figurativa (art. 6,
lett. b, legge n. 238 del 1968);
b) le pensioni di anzianità, vecchiaia ed invalidità da liquidare
alle donne lavoratrici assicurate in base alle disposizioni vigenti
anteriormente al 1 maggio 1968 sono determinate con gli stessi criteri
di calcolo stabiliti per i lavoratori, con effetto dalla data di
entrata in vigore della legge. Quelle già liquidate sono riliquidate
con effetto dal 1 gennaio 1969 (art. 10 della legge n. 153 del 1969).
Non essendo più applicabili le aliquote stabilite dall’art. 12 del
R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall’art. 2 della legge 4
aprile 1952, n. 218, è stata eliminata, per le pensioni della donna
lavoratrice, la disparità di trattamento denunziata dalla ordinanza di
rimessione.
Tuttavia, la questione di legittimità costituzionale, nei termini
in cui è stata prospettata, è tuttora rilevante per le pensioni
liquidate in base alle disposizioni vigenti anteriormente al 1 maggio
1968, dal momento che il nuovo sistema di calcolo per la riliquidazione
delle pensioni spettanti alle donne lavoratrici, si applica con effetto
dal 1 gennaio 1969.
2. – La questione non è fondata.
Secondo la norma impugnata, tanto per le donne quanto per gli
uomini, l’ammontare della pensione annua è determinato ugualmente
nella misura del venti per cento dello importo quasi totale dei
contributi versati: una differenza si verifica soltanto sulle prime
3.000 lire di contribuzione (45 per cento per gli assicurati e 33 per
cento per le assicurate sulle prime 1.500 lire; 33 per cento e 26 per
cento sulle altre 1.500 lire).
Questa normativa, sorta originariamente per la pensione di
vecchiaia e di invalidità, si è estesa a quella di anzianità. Per
effetto del criterio di determinazione fissato dalla suindicata norma,
allorquando, all’età di 55 anni la donna lavoratrice acquista il
diritto alla pensione di vecchiaia, percepisce una somma annua
inferiore a quella spettante all’uomo che abbia raggiunto l’età del
pensionamento di 60 anni. Tuttavia occorre tener conto della importanza
che, nella liquidazione della pensione, assume il maggiore periodo di
tempo di prestazione d’opera, in quanto per la donna si tratta di
pensione percepita a 55 anni e per l’uomo di pensione percepita a 60
anni, cioè dopo altri 5 anni di lavoro. Pur conseguendo
anticipatamente il diritto a pensione, la donna può continuare a
lavorare differendo la liquidazione ed usufruendo di una maggiorazione,
che, dal 55 al 60 anno, è calcolata in ragione di percentuale
progressiva, dal 3 al 22 per cento. Per effetto di tale magiorazione,
al 60 anno di età ogni disparità scompare; e successivamente, dal 60
al 65 anno le due pensioni aumentano in condizioni di parità, sulla
base di eguali percentuali. Quindi, il meccanismo di siffatto calcolo,
elimina la iniziale disparità, dovuta soltanto al fatto che la donna
anticipa al pensionamento ed il lavoratore si inserisce nella scala
degli importi di pensione a 60 anni. Ma l’ordinanza di rimessione non
muove lagnanza alcuna rispetto all’anticipato pensionamento della
donna, mentre la Corte ne ha già esaminata, sia pure indirettamente,
la legittimità con la sentenza n. 123 del 1969.
Comunque, non avendo l’uomo alcun diritto alla pensione di
vecchiaia dal 55 al 60 anno di età, il legislatore era libero di
fissare per la donna l’importo che riteneva più razionale, senza alcun
riferimento ad un analogo diritto non ancora sorto per l’uomo. E, per
di più, al diritto della donna ad un pensionamento anticipato di
cinque anni, corrisponde una obbiettiva diversa situazione, che rende
pienamente legittimo al minore importo della pensione.
3. – Valutati in tal modo i rapporti fra i diritti della donna
lavoratrice e quelli del lavoratore, rispetto alla pensione di
vecchiaia, che è l’evento di maggiore rilievo nella assicurazione
generale obbligatoria, siccome quello che normalmente si verifica più
spesso e maggiormente incide nell’equilibrio fra disponibilità di
mezzi economici e bisogni da soddisfare, la Corte ritiene di pervenire
alle medesime conclusioni anche per quanto riguarda le pensioni di
anzianità e di invalidità.
Ed invero, la posizione dell’uomo e della donna nella assicurazione
obbligatoria generale non va valutata in funzione di ogni singola
prestazione, ma va considerata globalmente per tutti gli eventi
protetti: come esattamente osserva l’I.N.P.S., il rapporto assicurativo
della previdenza sociale ha la caratteristica fondamentale della
unitarietà, in quanto la tutela si realizza attraverso una unica
assicurazione obbligatoria generale ed una uniforme disciplina rispetto
alle obbligazioni contributive.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6
luglio 1939, n. 1272, così come modificato dall’art. 2 della legge 4
aprile 1952, n. 218 (determinazione dell’ammontare della pensione annua
nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e vecchiaia) proposta
in riferimento agli artt. 3 e 37, primo comma, della Costituzione, con
ordinanza del tribunale di Arezzo del 21 marzo 1968.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.