Sentenza N. 138 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1999
Data deposito/pubblicazione
22/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42, 43, 50, 60 e 61 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 recante “Istituzione
dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione
di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della
disciplina dei tributi locali”, promosso con ricorso della Regione
Siciliana, notificato il 21 gennaio 1998, depositato in Cancelleria
il 29 successivo ed iscritto al n. 10 del registro ricorsi 1998;
b) nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del
decreto 24 marzo 1998 del Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica adottato di concerto con il Ministro delle
finanze, recante “Modalità di riversamento delle somme riscosse per
l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e per
l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446”, promosso con ricorso della Regione
Siciliana, notificato il 25 maggio 1998, depositato in Cancelleria il
2 giugno 1998 ed iscritto al n. 14 del registro conflitti 1998.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il giudice relatore
Valerio Onida;
Uditi gli avvocati Giovanni Pitruzzella e Francesco Castaldi per la
Regione Siciliana e l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
gennaio 1998 la Regione Siciliana ha promosso giudizio di
legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 36 dello statuto
speciale e alle relative norme di attuazione, nonché agli articoli
76 e 3 della Costituzione, del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività
produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle
detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a
tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali),
e in particolare degli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40,
41, 42, 43, 50, 60 e 61.
La ricorrente ricorda che il decreto legislativo impugnato è stato
emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 3, comma 143,
della legge n. 662 del 1996, relativa alla istituzione dell’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP) e dell’addizionale
regionale sull’IRPEF. L’IRAP nascerebbe dunque come “tributo
regionale”, mentre la disciplina adottata con il decreto legislativo
contraddirebbe tale natura del tributo, e contrasterebbe con la
particolare configurazione della potestà tributaria della Regione
Siciliana, alla quale spetterebbero, ai sensi dell’art. 36 dello
statuto, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate,
tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo
territorio. La Regione godrebbe di potestà legislativa esclusiva con
riguardo ai tributi propri, che essa può deliberare sia pure nei
limiti dei principi del sistema tributario dello Stato, costituendo
la deliberazione diretta da parte della Regione l’elemento che
definisce la nozione di tributo proprio; godrebbe poi di potestà
legislativa concorrente, sia pure nel limite del rispetto dei
principi generali recati nella materia dalle leggi dello Stato, per
quanto riguarda i tributi erariali il cui gettito è devoluto alla
Regione medesima.
La disciplina impugnata sembrerebbe invece negare qualsiasi
autonoma determinazione della Regione in ordine al nuovo tributo,
istituito dall’art. 1 del decreto, che agli artt. 2 e 4 ne definisce
nei particolari il presupposto e la base imponibile. L’art. 24, comma
2, stabilendo che le Regioni a statuto speciale provvedono con legge
all’attuazione delle relative disposizioni in conformità all’art. 3,
commi 158 e 159, della legge n. 662 del 1996, ometterebbe qualsiasi
riferimento alla peculiare posizione assegnata alla Regione Siciliana
dall’art. 36 dello statuto e dalle norme di attuazione, sicché
verrebbe meno qualsiasi clausola di salvaguardia della speciale
autonomia siciliana in materia finanziaria, e ciò costituirebbe un
passo indietro anche rispetto all’art. 3, comma 158, della legge n.
662 del 1996 – pure impugnato dalla Regione con altro ricorso (R.
ric. n. 18 del 1997) – ai cui sensi la Regione Siciliana provvede con
legge all’attuazione dei decreti legislativi delegati “con le
limitazioni richieste dalla speciale autonomia finanziaria
preordinata dall’art. 36 dello statuto regionale e dalle relative
norme di attuazione”.
A questo punto, secondo la ricorrente, si porrebbe un’alternativa:
se l’IRAP è un tributo proprio della Regione, dovrebbe riconoscersi
la competenza primaria della Regione stessa; se invece è un tributo
erariale il cui gettito è devoluto alla Regione, ad essa dovrebbe
comunque riconoscersi una potestà legislativa concorrente, non
limitata alla mera attuazione della dettagliata normativa statale.
2. – Altri più specifici profili di illegittimità sollevati dalla
ricorrente riguardano disposizioni del decreto legislativo che
disciplinano alcuni aspetti del nuovo tributo.
Anzitutto gli articoli 2, 4 e 15, che, nel definire presupposti,
base imponibile e spettanza dell’imposta, adottano come criterio
quello del territorio nel quale si esercita l’attività produttiva,
contrasterebbero con l’art. 36 dello statuto siciliano e con l’art.
2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, che attribuiscono alla Regione
le entrate riscosse nell’ambito del suo territorio, dando rilievo al
luogo di riscossione.
È censurato poi l’art. 24, comma 4, il quale prevede che le
attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell’imposta
possono essere affidate, sulla base di apposita convenzione, al
Ministero delle finanze: poiché l’art. 8 del d.P.R. n. 1074 del 1965
già stabilisce che per tutte le funzioni amministrative in materia
finanziaria la Regione si avvale degli uffici periferici
dell’amministrazione statale, ne deriverebbe che per l’effettuazione
di dette attività lo Stato non potrebbe pretendere alcun tipo di
rimborso per le spese sostenute.
L’art. 24, comma 7, il quale, ad avviso della ricorrente,
sembrerebbe escludere l’intera spettanza alla Regione delle somme
derivanti dalla irrogazione di sanzioni per la violazione della
relativa normativa, contrasterebbe con il combinato disposto degli
artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 1074 del 1965, da cui si desumerebbe che
spettano alla Regione anche le entrate tributarie accessorie e
derivanti dall’applicazione di sanzioni pecuniarie riscosse nel
territorio regionale.
Gli artt. 27 e 29, prevedendo la compartecipazione di comuni,
Province e Città metropolitane a quote del gettito IRAP stabilite
centralmente, farebbero venir meno qualsiasi discrezionalità della
Regione in materia, e disconoscerebbero la competenza esclusiva della
Regione in materia di enti locali, la quale, facendo sistema con
l’autonomia finanziaria, comporterebbe l’attribuzione alla Regione
stessa del potere di conformare l’intero sistema degli enti locali,
sia sotto il profilo dell’organizzazione e delle funzioni, sia sotto
quello della finanza.
3. – La ricorrente censura altresì le disposizioni degli artt.
24, 25 e 26 del decreto, che disciplinano la fase di prima attuazione
del nuovo tributo.
L’art. 24, comma 6, prevedendo che le leggi di attuazione delle
Regioni a statuto speciale potranno avere effetto solo a partire dal
periodo di imposta in corso al 1 gennaio 2000, paralizzerebbe del
tutto la competenza statutariamente spettante alla Regione.
A loro volta, gli artt. 25 e 26, che, nelle more dell’entrata in
vigore delle leggi regionali, affidano totalmente ed esclusivamente
allo Stato le attività di controllo, accertamento e riscossione
dell’imposta (con applicazione della relativa disciplina statale:
art. 30), prevedendo, a compensazione dei costi sostenuti dallo
Stato, l’attribuzione allo stesso di una quota del gettito,
produrrebbero un effetto paradossale: la competenza della Regione
resterebbe congelata, e per effetto di tale congelamento la Regione
sarebbe tenuta a versare allo Stato una quota del gettito per
compensarlo di attività che altrimenti essa potrebbe svolgere
direttamente. Inoltre, secondo la ricorrente, la riscossione dei
tributi in Sicilia comporterebbe, stando alla giurisprudenza
costituzionale, “soluzioni aperte”, che debbono essere identificate
dalla legislazione regionale concorrente.
L’art. 26, comma 2, che attribuisce allo Stato una ulteriore quota
del gettito IRAP a compensazione della perdita di gettito derivante
dall’abolizione dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese,
sarebbe irragionevole e in contrasto con l’art. 36 dello statuto
siciliano, in quanto l’imposta abolita era di carattere straordinario
e temporaneo.
Di contro, quando l’art. 36 del decreto prevede, contemporaneamente
all’introduzione dell’IRAP, l’abolizione di diversi tributi erariali,
il cui gettito regionalmente riscosso spettava per intero alla
Regione (salvo che per l’ILOR, ad essa devoluta solo per una quota,
e per l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, interamente
riservata allo Stato), non prevede alcuna compensazione a favore
della Regione stessa. Pertanto, secondo la ricorrente, essa si
troverebbe a subire una irragionevole diminuzione di entrate
tributarie, non compensata in alcun modo.
Viene inoltre censurato l’art. 40 del decreto, che prevede la
istituzione di conti correnti infruttiferi presso la tesoreria
centrale dello Stato, intestati alle Regioni, e di specifiche
contabilità di girofondi intestate alle stesse Regioni, presso le
sezioni di tesoreria provinciale dello Stato operanti nei capoluoghi
di Regione, rinviando ad un decreto ministeriale la individuazione
delle modalità di riversamento delle somme riscosse sui conti
predetti, a favore di Stato, comuni, Province, Fondo sanitario
nazionale, secondo percentuali indicate dalla legge o da successivi
decreti ministeriali, con la conseguenza che solo la parte residua
sarebbe attribuita alla Regione. Ciò comporterebbe per la Regione
una fortissima riduzione della capacità di manovra finanziaria ed
una notevole diminuzione di gettito, ulteriormente accentuata per
effetto degli artt. 41 e 42, che, per le Regioni a statuto speciale,
prevedono la compensazione delle eccedenze annuali, consistenti nella
differenza fra il gettito dell’IRAP, al netto delle quote riservate
allo Stato e di quella destinata al finanziamento del Servizio
sanitario, e l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali
soppressi, mediante variazioni delle quote del Fondo sanitario
nazionale, trasferimenti di funzioni, o acquisizione delle eccedenze
al bilancio dello Stato.
È denunciato altresì l’art. 50 del decreto, che istituisce
l’addizionale regionale sull’IRPEF, erroneamente indicata nel ricorso
come addizionale sull’IRAP: anch’esso predisporrebbe una disciplina
che esclude sostanzialmente qualsiasi possibilità di autonoma
legislazione regionale.
4. – Infine, altre censure investono gli artt. 60 e 61 del decreto,
concernenti l’attribuzione a comuni e Province del gettito di alcuni
tributi erariali e la contestuale riduzione dei trasferimenti statali
agli enti locali medesimi.
Tale soluzione normativa, ad avviso della ricorrente, mentre
potrebbe dirsi ragionevole per le altre Regioni, avrebbe conseguenze
paradossali in Sicilia, poiché il gettito dei tributi trasferiti
agli enti locali già era attribuito alla Regione: tale gettito
verrebbe sottratto alla Regione, mentre agli enti locali verrebbero
ridotti i trasferimenti da parte dello Stato. Inoltre il comma 4
dell’art. 60, secondo cui le Regioni speciali provvedono
all’attuazione dei primi due commi del medesimo articolo, sarebbe
quanto meno impreciso, perché si riferisce alla mera attuazione da
parte del legislatore regionale, che godrebbe invece, in materia, di
potestà legislativa concorrente. A sua volta sarebbe “sintomo
vistoso” della disattenzione del legislatore delegato nei confronti
del particolare regime finanziario della Sicilia l’art. 61, comma 4,
che fa riferimento al “recepimento” delle disposizioni degli artt. 60
e 61 da parte dello statuto siciliano, ignorando che esso ha forza di
legge costituzionale, e che quindi non può essere previsto un
obbligo di adeguamento dello stesso a disposizioni di legge
ordinaria. In definitiva, argomenta la ricorrente, il complesso
delle disposizioni impugnate produce da un lato una fortissima
compressione dell’autonomia finanziaria della Regione, dall’altro una
consistente diminuzione delle entrate regionali, non compensata in
alcun modo, con la conseguenza che verrebbero meno alla Regione i
mezzi per fare fronte al suo fabbisogno finanziario.
5. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura erariale osserva che le censure che coinvolgono l’intera
disciplina dell’IRAP muovono dalla configurazione di tale imposta
come tributo “regionale”, in relazione al quale la Regione avrebbe
competenza “esclusiva”. In realtà, nonostante la sua denominazione,
non si tratterebbe di un tributo proprio della Regione: un tributo
non sarebbe “regionale” sol perché, come nel caso dell’IRAP, di
spettanza delle singole Regioni, ma solo in quanto la sua istituzione
costituisca esercizio del potere impositivo dell’ente di autonomia
che, appunto, l’abbia deliberato: e questo non sarebbe il caso
dell’IRAP. Non avrebbero perciò consistenza le censure dirette agli
artt. 1, 2 e 4 del decreto, che istituiscono l’imposta e ne regolano
il presupposto e la base imponibile.
D’altra parte la ricorrente, secondo l’Avvocatura, nel lamentare un
preteso “arretramento” dell’art. 24, comma 2, del decreto rispetto
alla previsione di cui all’art. 3, comma 158, della legge n. 662 del
1996, trascurerebbe il fatto che quest’ultima disposizione,
espressamente richiamata dalla prima, fa appunto salva, ai fini
dell’attuazione delle disposizioni del decreto legislativo, la
speciale autonomia finanziaria configurata dall’art. 36 dello statuto
siciliano e dalle relative norme di attuazione. A loro volta gli
artt. 24, comma 6, e 25 del decreto, intesi a raccordare la normativa
regionale di attuazione e la temporanea gestione statale del tributo,
sarebbero in piena armonia col carattere erariale del tributo, alla
cui prima fase di applicazione sarebbero collegati delicati equilibri
finanziari, a salvaguardia dei quali è prevista l’attribuzione,
peraltro per soli due anni, di una quota del gettito allo Stato, a
compensazione dell’entrata derivante dalla soppressa imposta sul
patrimonio netto delle imprese. Sarebbe pure infondata la censura
rivolta all’art. 36 del decreto legislativo per non avere previsto
una compensazione a favore della Regione in relazione alla
soppressione di tributi erariali il cui gettito era attribuito alla
Regione stessa: uno strumento di compensazione, nel senso voluto,
andrebbe ravvisato, oltre che nello speciale criterio di
determinazione delle eccedenze di risorse finanziarie stabilito, per
le Regioni a statuto speciale, dai commi 2 e 3 dell’art. 41, nei
meccanismi di trasferimento previsti dall’art. 42, comma 7. In
relazione ai motivi di ricorso con i quali si lamenta la mancata
devoluzione di gettito non prodotto ma riscosso nel territorio
regionale e delle entrate derivanti dall’applicazione di sanzioni
pecuniarie, la difesa del Presidente del Consiglio osserva che, ove
il luogo di realizzazione della produzione netta imponibile non
ricada nel territorio siciliano, non appare ipotizzabile che il
tributo sia riscosso in tale ambito; che sul tema dell’interessamento
del territorio di più Regioni ad una medesima attività produttiva
l’art. 4, ultimo comma, prevede l’emanazione di atti generali sentita
la conferenza Stato-Regioni; che parimenti la ripartizione delle
entrate derivanti da sanzioni è rimessa ad emanande norme
regolamentari. Quanto agli artt. 27 e 29, in tema di devoluzione di
quote del gettito IRAP agli enti locali, l’Avvocatura osserva che la
competenza di cui all’art.14, lettera o, dello statuto siciliano in
tema di enti locali non comporta una competenza regionale esclusiva
in materie che non attengono direttamente all’organizzazione degli
enti locali ed ai loro rapporti con la Regione. Pure infondata
sarebbe la censura rivolta agli artt. 60 e 61, in tema di
attribuzione agli enti locali del gettito di tributi erariali e di
connessa riduzione dei trasferimenti agli stessi. Sostiene
l’Avvocatura che l’attribuzione in parola è demandata ad atti
normativi delle Regioni a statuto speciale da emanarsi in conformità
ai rispettivi statuti; e che anche la riduzione dei trasferimenti
erariali dovrebbe riconoscersi subordinata, in dette Regioni, alle
disposizioni legislative che queste emaneranno ai fini del
complessivo riequilibrio finanziario da realizzarsi nel rispetto dei
relativi statuti (così dovrebbe intendersi, secondo una
interpretazione logica, il comma 4 dell’art. 61, la cui formulazione
letterale – che si riferisce al “recepimento” delle disposizioni
degli articoli 60 e 61 negli statuti speciali – si riconosce
incongrua).
6. – Con ricorso notificato il 25 maggio e depositato il 2 giugno
1998 la Regione Siciliana ha proposto conflitto di attribuzioni
contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in relazione al
decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica in data 24 marzo 1998, recante “Modalità di riversamento
delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle attività
produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale all’IRPEF, ai sensi
del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”, per violazione
dell’art. 36 dello statuto speciale e delle relative norme di
attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074. La ricorrente,
premesso di aver proposto giudizio di legittimità costituzionale,
tuttora pendente, contro il decreto legislativo n. 446 del 1997
istitutivo dell’imposta regionale sulle attività produttive, osserva
che il decreto ora impugnato costituisce svolgimento del decreto
legislativo medesimo e quindi su di esso si riverberano le censure di
incostituzionalità nei confronti dello stesso sollevate. In
particolare, gli artt. 1 e 2 del decreto si collegano all’art. 40
del provvedimento legislativo, che prevede l’apertura di conti
infruttiferi presso la tesoreria centrale dello Stato e di
contabilità speciali di giroconto presso le sezioni di tesoreria
provinciale dello Stato, intestati alle Regioni, per il riversamento
delle somme accreditate a seguito della riscossione dell’IRAP e della
addizionale regionale sull’IRPEF. Ad avviso della ricorrente, tali
disposizioni potrebbero essere in contrasto con l’art. 36 dello
statuto speciale, come attuato dal d.P.R. n. 1074 del 1065, che
configura come entrate tributarie della Regione quelle derivanti dai
tributi deliberati dalla stessa Regione e dai tributi erariali
riscossi nel territorio regionale: con il sistema introdotto, le
imposte in questione non sarebbero né tributi deliberati dalla
Regione, né tributi erariali riscossi sul territorio regionale, onde
l’attribuzione del gettito alla Regione non sarebbe più necessaria
in base alla citata norma statutaria, ma sarebbe il frutto di
decisioni unilaterali dello Stato. Viene poi, in particolare,
censurato l’art. 2, comma 3, lettera B, punto IV, del decreto
impugnato, che prevede il versamento nelle contabilità di girofondo
presso le tesorerie provinciali dello Stato del gettito
dell’addizionale IRPEF e dell’IRAP corrisposte dai contribuenti
titolari di partita IVA che eseguono i versamenti unitari delle
imposte e dei contributi. Tale disposizione, oltre ad essere lesiva
delle prerogative regionali in quanto escluderebbe ogni autonomia
della Regione, sarebbe, secondo la ricorrente, in contrasto con gli
artt. 21 e 26 del d.lgs. n. 241 del 1997, che prevedono la
competenza della “Cassa regionale siciliana di Palermo” a raccogliere
l’immediato riversamento delle somme riscosse. A sua volta l’art. 3,
comma 3, del decreto, il quale prevede le modalità del riversamento
delle somme versate sul conto “IRAP-altri soggetti” (relativo ai
soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni), farebbe sì che lo
Stato determinerebbe direttamente e recupererebbe unilateralmente i
costi sostenuti per la gestione dei tributi in questione, mentre per
la Sicilia, ove le norme di attuazione prevedono che la Regione si
avvalga dell’amministrazione finanziaria dello Stato, non sarebbe
possibile, se non con inammissibili approssimazioni, distinguere fra
i costi sopportati dallo Stato per la riscossione dell’IRAP e
dell’addizionale IRPEF da un lato, e degli altri tributi erariali di
spettanza regionale dall’altro; vi sarebbe la possibilità di un
doppio rimborso per un’attività unitaria di riscossione e
versamento. Sempre in virtù dell’art. 3, comma 3, lo Stato
procederebbe alla diretta attribuzione a proprio favore delle
eccedenze di cui all’art. 41 del d.lgs. n. 446 del 1997: in tal modo
svanirebbe la possibilità, prevista dall’art. 42, comma 7, del
decreto legislativo, di realizzare un vantaggio finanziario per la
Regione mediante la destinazione di tali eccedenze alla variazione di
quote del fondo sanitario o al pagamento degli oneri derivanti dal
trasferimento di nuove funzioni.
7. – Resiste al ricorso, chiedendone il rigetto, il Presidente del
Consiglio dei Ministri. Secondo l’Avvocatura, la censura mossa
all’art. 1 del provvedimento impugnato si dimostrerebbe inammissibile
e inconsistente, una volta che si consideri che esso non fa che
ricalcare la formula dell’art. 40 del decreto legislativo n. 446 del
1997, e, per altro verso, che l’intestazione dei conti alle Regioni
è elemento sufficiente ad escludere la paventata perdita di aggancio
del gettito ai luoghi di riscossione. Sarebbe inammissibile ed
infondata altresì la censura all’art. 2, comma 3, lettera B, punto
IV, per la genericità della denuncia di lesione dell’autonomia
regionale e perché l’asserito contrasto con l’art. 21 del d.lgs. n.
241 del 1997 non potrebbe comunque fondare un conflitto di
attribuzioni. Quanto poi alla prima delle due censure rivolte
all’art. 3, comma 3, la difesa del Presidente del Consiglio osserva
che il titolo per il recupero a favore dello Stato dei costi di
riscossione dei tributi in parola sta nelle norme del decreto
legislativo n. 446 del 1997, cui il provvedimento in questa sede
impugnato si limita a dare attuazione; e che le norme di attuazione
statutaria invocate dalla ricorrente non escludono, ma al contrario
confermano, la legittimità del recupero, mentre la stessa “novità”
dei tributi istituiti con il d.lgs. n. 446 del 1997 comporterebbe
l’allestimento o l’adattamento delle strutture amministrative per la
riscossione, e giustificherebbe perciò il recupero separato dei
relativi costi.
In relazione, infine, alla seconda censura rivolta all’art. 3,
concernente il versamento all’erario delle eccedenze di risorse
verificatesi per le Regioni, si obietta che il riferimento all’art.
42 del d.lgs. n. 446 e alle ivi previste possibilità di
compensazione non suffragherebbe l’assunto della ricorrente, poiché
l’acquisizione delle eccedenze al bilancio statale è prevista dalla
stessa norma primaria invocata; del resto il provvedimento impugnato
sarebbe stato adottato previo parere della conferenza Stato-Regioni,
senza che in quella sede la Regione Siciliana formulasse rilievi di
sorta.
8. – Nell’imminenza dell’udienza hanno presentato memorie, nel
giudizio di legittimità costituzionale, la ricorrente Regione
Siciliana e il Presidente del Consiglio dei Ministri. Nella memoria
della Regione si afferma che i motivi di censura rivolti contro il
d.lgs. n. 446 del 1997 possono essere ricondotti a due distinti
ambiti: da un lato vi sono le censure che investono la struttura
stessa del tributo, sotto il profilo della violazione della delega e
dell’autonomia finanziaria della Regione; dall’altra, le censure che
riguardano la irragionevole sottrazione alla Regione di gettiti
tributari che le spettano. Il primo ordine di profili pone la
questione della natura del tributo: i margini di autonomia
riconosciuti alla Regione sarebbero così esigui da rendere evidenti
sia l’eccesso di delega sia la lesione dell’art. 36 dello statuto,
che attribuisce alla Regione, per i tributi propri, un’ampia
autonomia legislativa. Se però si qualifica l’imposta come tributo
erariale, occorrerebbe essere conseguenti e riconoscerne le
implicazioni. Così sarebbe senza giustificazioni l’attribuzione
allo Stato di una quota del gettito a rimborso dei costi di gestione
del tributo, trattandosi di un tributo obbligatorio, con un’aliquota
sostanzialmente predeterminata, il cui gettito riduce i trasferimenti
dallo Stato alle Regioni per finanziare il Servizio sanitario: tanto
più che in Sicilia già le norme di attuazione prevedono che la
Regione si avvalga degli uffici periferici dell’amministrazione
statale per le funzioni amministrative in materia finanziaria, onde
se al rimborso dovuto per i costi sostenuti da tali uffici per
l’esercizio di funzioni svolte nell’interesse della Regione si
aggiunge un rimborso specifico per l’IRAP, vi sarebbe il rischio per
la Regione di pagare due volte le stesse attività. I criteri
comunque non dovrebbero essere fissati unilateralmente dallo Stato.
La Regione osserva ancora che, poiché l’IRAP prende sostanzialmente
il posto dei contributi sanitari soppressi, la sua istituzione e la
contestuale soppressione di altri tributi si risolverebbero per la
Regione Siciliana in una significativa diminuzione delle entrate
tributarie.
Secondo la Regione, l’interpretazione offerta dall’Avvocatura degli
artt. 41 e 42, secondo cui le compensazioni di eccedenze potrebbero
operare anche a favore di essa, e non solo dello Stato, sarebbe
coerente con le esigenze prospettate dalla stessa ricorrente: ma il
principio di leale cooperazione richiederebbe la possibilità per la
Regione di controllare i dati su cui si effettua il calcolo, e la sua
partecipazione a tali attività.
Parimenti sarebbe una interpretazione adeguatrice quella offerta
dalla difesa del Presidente del Consiglio a proposito degli artt. 60
e 61, che eviterebbe l’immediata soppressione dei trasferimenti agli
enti locali a seguito dell’attribuzione agli stessi del gettito di
alcuni tributi erariali. In ogni caso, secondo la Regione, pure
accogliendo la costruzione dell’imposta come tributo erariale, non si
potrebbe negare la potestà concorrente della Regione, e si dovrebbe
riconoscere che in Sicilia non si applicano le ricordate norme del
decreto, immediatamente lesive dell’autonomia finanziaria della
Regione, e che quest’ultima ha la possibilità, nell’ambito dei
principi della disciplina del tributo, di adeguare tale disciplina
alle peculiarità regionali.
9. – Nella memoria del Presidente del Consiglio si ribadisce
anzitutto che l’IRAP non è un tributo proprio della Regione, anche
perché non ricorre a proposito di essa né una deliberazione
regionale di istituirlo, né la destinazione a specifiche esigenze
della comunità regionale: la nuova imposta, il cui gettito è
destinato a compensare quello dei tributi erariali soppressi, avrebbe
un fine anche di fiscalità generale e non potrebbe dunque dirsi
preordinata al finanziamento di esigenze peculiari delle comunità
locali. Il problema, che resta, di spiegare la qualificazione
“regionale” attribuita all’imposta sarebbe di natura essenzialmente
accademica.
Trattandosi di un nuovo tributo erariale, d’altra parte, la
temporanea riserva allo Stato di due quote del gettito, a
compensazione rispettivamente dei costi di gestione e della soppressa
imposta sul patrimonio netto delle imprese, sarebbe pienamente
giustificata alla luce della norma di attuazione, che consente tale
riserva purché la stessa legge che disciplina le nuove entrate ne
indichi la destinazione a finalità contingenti o continuative dello
Stato: nella specie, si tratterebbe delle contingenti finalità di
ripianamento dei costi e delle perdite sopra indicate. La memoria
prosegue osservando che la censura relativa al criterio di
attribuzione del gettito del tributo alle singole Regioni, e che
dovrebbe intendersi appuntata sul solo art. 15 del decreto, sarebbe
infondata, sia perché detto criterio risponde ad una esigenza di
razionalizzazione del meccanismo della riforma, necessariamente
unitario, sia perché l’art. 43, comma 2, del decreto impugnato eleva
a regola di sistema, e dunque a canone ermeneutico generale, la
conservazione del necessario equilibrio finanziario nei rapporti, in
particolare, fra lo Stato e le autonomie speciali. Quanto alla
disciplina dell’accertamento, della liquidazione e della riscossione
dell’imposta, prevista a regime e in via transitoria, la memoria
osserva che l’assetto delineato dal decreto si spiega in ragione del
carattere generale della riforma, connesso al criterio
dell’invarianza del gettito, e della esigenza di uniformità di
disciplina della nuova imposta: onde non potrebbe disconoscersi la
legittimità di un breve differimento dell’esercizio delle competenze
regionali e di un ripianamento del costo della transitoria gestione
dell’imposta. Rileva inoltre che la temporanea riserva allo Stato di
una quota di gettito a compensazione della soppressa imposta sul
patrimonio netto delle imprese è accompagnata da uno strumento di
tutela degli interessi regionali, rappresentato dall’audizione della
conferenza Stato-Regioni, e che, quanto alla mancanza di
compensazione per i tributi soppressi il cui gettito spettava alla
Regione, a salvaguardia delle spettanze della Regione stanno il
canone di invarianza di entrate fiscali ribadito nell’art. 41 del
decreto, i criteri per il calcolo delle eccedenze e il fondo di
compensazione interregionale istituito dall’art. 42. Infine, a
proposito degli artt. 60 e 61 la memoria rileva che dette norme
contemplano un intervento attuativo delle Regioni in conformità ai
rispettivi statuti di autonomia, e una regolamentazione dei rapporti
finanziari fra Stato, Regioni ed enti locali secondo il principio
della conservazione del necessario equilibrio finanziario.
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione
dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione
di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della
disciplina dei tributi locali), e in particolare gli articoli 1, 2,
4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40, 41, 42, 43, 50, 60, 61 del decreto
medesimo, per violazione dell’art. 36 dello statuto speciale e delle
relative norme di attuazione, nonché degli artt. 76 e 3 della
Costituzione (quanto a quest’ultimo senza peraltro espliciti sviluppi
argomentativi). Con il successivo ricorso (R. confl. n. 14 del 1998)
la stessa Regione solleva conflitto di attribuzioni, ancora una volta
per violazione dell’art. 36 dello statuto e delle relative norme di
attuazione, in relazione al decreto del Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998,
recante “Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale
regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446”, che detta le modalità di versamento e di ripartizione
del gettito dell’IRAP, in attuazione di quanto previsto, in
particolare, dall’art. 40 del citato d.lgs. n. 446 del 1997.
2. – Stante la stretta connessione di oggetto fra il giudizio di
legittimità costituzionale del d.lgs. n. 446 del 1997 e il giudizio
per conflitto di attribuzioni promosso contro un decreto attuativo
del medesimo, essi possono essere riuniti per essere decisi con unica
pronunzia.
3. – La prima e più generale censura mossa dalla ricorrente al
decreto legislativo n. 446 del 1997, e in particolare agli articoli
1, 2, 4 e 24, comma 2, del medesimo, muove dalla premessa che la
nuova imposta “regionale” sulle attività produttive sarebbe un
tributo proprio della Regione, in ordine al quale dunque dovrebbe
riconoscersi ad essa potestà legislativa esclusiva; e che in ogni
modo, se invece si configurasse come tributo erariale il cui gettito
è devoluto alla Regione, dovrebbe riconoscersi a questa una potestà
legislativa concorrente, sia pure vincolata ai principi del sistema
tributario statale, e non una potestà di mera attuazione, quale
sarebbe invece delineata nell’art. 24, comma 2, del decreto
legislativo impugnato. Quest’ultima disposizione, omettendo
qualsiasi riferimento alla speciale autonomia della Regione
Siciliana, costituirebbe un passo indietro rispetto all’art. 3, comma
158, della legge n. 662 del 1996 (pure impugnato dalla Regione con
precedente ricorso), che prevedeva l’attuazione, da parte della
Regione Siciliana, del decreto legislativo “con le limitazioni
richieste dalla speciale autonomia finanziaria preordinata dall’art.
36 dello statuto regionale e dalle relative norme di attuazione”:
sarebbe perciò in contrasto con le norme statutarie e di attuazione
che garantiscono tale autonomia, oltre che con la legge di delega, e
dunque con l’art. 76 della Costituzione.
4. – La questione è infondata.
Nella sentenza n. 111 del 1999 questa Corte ha avuto occasione di
ricordare come l’ordinamento finanziario della Regione Siciliana sia
stato costruito, in base alle norme di attuazione dello statuto, e
anche allontanandosi dal disegno originariamente sotteso alla formula
testuale dell’art. 36 dello statuto, non già sull’esercizio di una
potestà impositiva del tutto autonoma della Regione, in spazi
lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello Stato, bensì
sull’attribuzione alla Regione del gettito della maggior parte dei
tributi erariali, riscosso nel territorio regionale, e di una
potestà legislativa anche in ordine alla disciplina degli stessi
tributi erariali, fermo restando che, in assenza di diverse
disposizioni legislative regionali, si applicano nella Regione le
disposizioni delle leggi tributarie dello Stato (art. 6 del d.P.R. n.
1074 del 1965).
In questo quadro si colloca anche l’applicazione, nella Regione
Siciliana, della nuova imposta regionale sulle attività produttive,
istituita dall’art. 1 del d.lgs. n. 446 del 1997, sulla base della
delega contenuta nell’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996.
Essa si configura bensì come tributo proprio delle Regioni, nel
senso in cui tale nozione, in contrapposizione alle “quote di tributi
erariali”, è utilizzata dall’art. 119, secondo comma, della
Costituzione, cioè nel senso di tributo istituzionalmente destinato
ad alimentare la finanza della Regione nel cui territorio avviene il
prelievo a carico della rispettiva collettività: ma è pur sempre un
tributo “attribuito” alla Regione – come si esprime l’art. 119 –
dalla legge dello Stato, che ne definisce i caratteri e la disciplina
fondamentale quanto a soggetti colpiti, presupposti e materia
imponibile. La Regione Siciliana, nei riguardi di questo tributo,
gode dunque, in primo luogo, degli stessi spazi di autonomia
riconosciuti a tutte le Regioni, relativi alle “procedure
applicative” dell’imposta e all’eventuale variazione, entro certi
limiti, dell’aliquota (artt. 16, comma 3, 18, comma 3, 24, comma 1,
del d.lgs. n. 446 del 1997; e cfr. già art. 3, comma 144, lettere e
e i della legge n. 662 del 1996).
Ma, proprio perché in materia tributaria la Regione Siciliana gode
di una particolare autonomia legislativa, estesa a tutti i tributi
erariali il cui gettito regionalmente riscosso le è devoluto ai
sensi dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, il
legislatore del 1996 ha previsto una speciale clausola di
salvaguardia di tale autonomia, stabilendo, nell’art. 3, comma 158,
della legge n. 662 del 1996, che “la Regione Siciliana provvede con
propria legge all’attuazione” dei decreti legislativi delegati ivi
previsti con le “limitazioni richieste dalla speciale autonomia
finanziaria preordinata dall’art. 36 dello Statuto regionale e dalle
relative norme di attuazione”. A tale clausola – riguardo alla quale
questa Corte, nella citata sentenza n. 111 del 1999, ha ritenuto non
fondate le censure mosse dalla stessa Regione Siciliana con
precedente ricorso – fa espresso rinvio l’art. 24, comma 2, del
decreto in questa sede impugnato, ribadendo che le Regioni a statuto
speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano “provvedono,
con legge, all’attuazione delle disposizioni” del decreto medesimo in
tema di IRAP “in conformità delle disposizioni della legge 23
dicembre 1996, n. 662, articolo 3, commi 158 e 159” (il comma 159 si
riferisce alle Regioni ad autonomia speciale diverse dalla Sicilia).
Non si realizza, dunque, alcuna violazione o menomazione della
competenza legislativa della ricorrente in materia tributaria: il
decreto legislativo, ancorché non ripeta la formula dell’art. 3,
comma 158, della legge n. 662, ribadisce la stessa clausola di
salvaguardia della speciale autonomia siciliana, espressamente
richiamata: onde non sussiste nemmeno alcuna violazione dei principi
e criteri direttivi della delega.
Né sono qui in discussione i limiti che in concreto tale autonomia
incontra, e che verranno in considerazione solo se e quando la
Regione adotterà delle leggi nell’esercizio della potestà ad essa
riconosciuta.
La Corte non si nasconde le difficoltà e le incertezze che possono
derivare da una certa arretratezza o insufficienza del quadro
normativo costituito da norme di attuazione dell’autonomia
finanziaria della Regione Siciliana (fondata a sua volta su norme
statutarie particolarmente generiche e laconiche) che riflettono una
realtà ben diversa da quella odierna. È peraltro compito di Governo
e Regione, alla cui collaborazione l’art. 43 dello statuto affida la
formulazione delle norme di attuazione, attivare i processi necessari
per dare ad esse un assetto più adeguato alla situazione presente.
5. – La ricorrente denuncia altresì, sotto un profilo analogo a
quello finora esaminato, l’art. 50 del d.lgs. n. 446 del 1997, che
istituisce e disciplina l’addizionale regionale all’IRPEF
(erroneamente indicata nel ricorso come addizionale all’IRAP). Anche
a questo proposito si lamenta che il decreto legislativo predisponga
una disciplina che esclude sostanzialmente qualsiasi possibilità di
autonoma legislazione regionale.
6. – La questione è infondata, per le stesse ragioni ora esaminate
a proposito dell’IRAP. Anche l’addizionale IRPEF è un’imposta
“attribuita” alle Regioni, in ordine alla quale la Regione Siciliana,
oltre a compiere le scelte espressamente demandate (la fissazione, a
partire dall’anno 2000, dell’aliquota tra lo 0.50 e l’1 per cento:
art. 50, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997; e cfr. già l’art. 3,
comma 146, lettera b, della legge n. 662 del 1996), potrà esercitare
la propria potestà legislativa alla stessa stregua, e con gli stessi
limiti, di quanto avviene per i tributi erariali regionalmente
riscossi, il cui gettito è ad essa devoluto.
7. – Censure più specifiche sono poi mosse dalla ricorrente in
relazione a singoli aspetti della disciplina dell’IRAP. Gli articoli
2, 4 e 15 sono impugnati in quanto, nel definire i presupposti, la
base imponibile e la spettanza dell’imposta alle singole Regioni,
stabiliscono che l’imposta si applica sul valore della produzione
netta derivante dall’attività di produzione o scambio di beni o di
prestazione di servizi, esercitata nel territorio della Regione, ed
è dovuta alla Regione nel cui territorio tale valore è realizzato.
Apposite norme regolano la ripartizione del valore della produzione
netta nel caso in cui l’attività sia svolta nel territorio di più
Regioni; e si prevede l’adozione di atti generali concernenti
l’applicazione di tali norme, emanati dal Ministero delle finanze
sentita la conferenza Stato-Regioni (art. 4, commi 2 e 3). Secondo
la ricorrente, tali disposizioni violerebbero l’art. 36 dello statuto
siciliano e l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, che darebbero
rilievo, ai fini della attribuzione del gettito dei tributi alla
Regione, al luogo di riscossione.
8. – La questione è infondata.
L’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del
1965 (l’art. 36 dello statuto tace in proposito), che sancisce la
spettanza alla Regione delle entrate tributarie erariali “riscosse
nell’ambito” del territorio regionale, non va inteso nel senso che
sia sempre decisivo il luogo fisico in cui avviene l’operazione
contabile della riscossione. Esso tende infatti ad assicurare alla
Regione il gettito derivante dalla “capacità fiscale” che si
manifesta nel territorio della Regione stessa, quindi dai rapporti
tributari che hanno in tale territorio il loro radicamento, vuoi in
ragione della residenza fiscale del soggetto produttore del reddito
colpito (come nelle imposte sui redditi), vuoi in ragione della
collocazione nell’ambito territoriale regionale del fatto cui si
collega il sorgere dell’obbligazione tributaria. Lo conferma
testualmente l’art. 4 delle stesse norme di attuazione, il quale
precisa che nelle entrate spettanti alla Regione “sono comprese anche
quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate
nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad
uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione”; e lo
conferma altresì la previsione, nell’art. 37 dello statuto e
nell’art. 7 delle norme di attuazione in materia finanziaria, di
meccanismi di riparto dei redditi assoggettati a imposizione nel caso
di imprese operanti sia nel territorio siciliano, sia in altri
territori. Nel caso dell’IRAP, la base imponibile è costituita dal
valore della produzione netta dell’attività, e proprio per
consentire la localizzazione nel territorio di tale base imponibile
si fa riferimento non già alla residenza o alla sede del soggetto
giuridico dell’attività, bensì al luogo in cui l’attività è
esercitata; e nel caso di attività esercitate in più Regioni si
stabiliscono (analogamente a quanto prevedono le norme statutarie e
di attuazione da ultimo citate per l’imposizione sui redditi) criteri
convenzionali di ripartizione del valore della produzione netta,
collegati, a seconda del tipo di attività, all’entità delle
retribuzioni e dei compensi corrisposti agli addetti ai singoli
stabilimenti, uffici o altre “basi fisse”, o ad altri elementi come
l’entità dei depositi, degli impieghi e degli ordini per le banche e
le società finanziarie, l’entità dei premi raccolti per le imprese
di assicurazione, l’estensione dei terreni per le imprese agricole
(art. 4, comma 2). Stante la natura dell’imposta, tali criteri di
attribuzione del gettito appaiono conformi alla regola posta dalla
norma di attuazione: è infatti la realizzazione nel territorio
regionale del valore della produzione netta, su cui si applica
l’imposta medesima, che esprime la “capacità fiscale” riferibile
alla Regione.
9. – Altre più specifiche censure investono i commi 4 e 7
dell’art. 24 e gli artt. 27 e 29 del decreto: l’art. 24, comma 4, in
quanto, prevedendo che le attività di accertamento, liquidazione e
riscossione dell’imposta possano essere affidate con convenzioni (e,
s’intende, con il riconoscimento di somme a compensazione degli
oneri) al Ministero delle finanze, contraddirebbe l’art. 8 delle
norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, in forza del
quale la Regione si avvale per tutte le funzioni amministrative in
materia tributaria degli uffici periferici dell’amministrazione
statale; l’art. 24, comma 7, in quanto sembrerebbe escludere la
spettanza per intero alla Regione delle somme derivanti dalla
irrogazione di sanzioni, in contrasto con l’art. 3 delle citate norme
di attuazione; gli artt. 27 e 29, in quanto, prevedendo
l’attribuzione a comuni, Province e Città metropolitane di quote del
gettito dell’imposta stabilite al centro, disconoscerebbero la
competenza esclusiva che alla Regione spetterebbe anche in materia di
finanza locale.
10. – Le questioni sono infondate.
Quanto all’art. 24, comma 4, è da osservare che la facoltà di
prevedere convenzioni con il Ministero delle finanze per
l’espletamento delle attività di accertamento, liquidazione e
riscossione dell’IRAP è demandata alle leggi regionali emanate, per
quanto riguarda la Regione Siciliana, ai sensi e nei limiti dell’art.
3, comma 158, della legge n. 662 e dell’art. 24, comma 2, del decreto
impugnato, e dunque nel rispetto della speciale autonomia finanziaria
della Regione ricorrente. Per quanto riguarda l’art. 24, comma 7,
esso prevede – con riferimento all’intero territorio nazionale – una
“ripartizione delle somme riscosse” a titolo di sanzione solo “in
caso di concorso formale e di violazioni continuate rilevanti ai fini
dell’imposta regionale e di altri tributi”, dunque quando le sanzioni
non riguardino la sola IRAP: pertanto non ha fondamento il dubbio
della ricorrente che si possa avere una parziale avocazione allo
Stato dell’importo delle sanzioni irrogate in materia di IRAP. Ciò
senza dire che il meccanismo ivi contemplato prevede che le modalità
di detta ripartizione siano stabilite, a garanzia delle Regioni, con
regolamento ministeriale adottato “d’intesa con la conferenza
Stato-Regioni”: né, a questo proposito, la Regione Siciliana
potrebbe pretendere fondatamente un procedimento che la veda
interlocutrice esclusiva dello Stato, trattandosi di un problema
comune a tutte le Regioni, cui spetta la nuova imposta, mentre le
particolarità derivanti dal fatto che in Sicilia anche il gettito di
altri tributi erariali spetta alla Regione dovranno, evidentemente,
essere tenute in considerazione nella disciplina concreta della
ripartizione prevista. L’art. 27, che prevede l’obbligo di
devoluzione ai comuni e alle Province, da parte della Regione, di
quote del gettito regionale dell’IRAP, era destinato, nel testo
originario del d.lgs. n. 446 del 1997, a valere solo per il periodo
anteriore alla istituzione, da parte degli enti locali, sulla base di
apposita legge regionale, della addizionale comunale e di quella
provinciale sull’IRAP, prevista dall’art. 28 (cfr. art. 27, comma 5).
Abrogata, con l’art. 12 del d.lgs. n. 137 del 1998, la norma che
prevedeva tali addizionali, e abrogato, per conseguenza, anche il
comma 5 dell’art. 27 del decreto, la devoluzione obbligatoria di
quote dell’IRAP è divenuta istituto stabilmente destinato a regolare
i rapporti finanziari fra Regione, Province e comuni, in particolare
compensando mediante tali trasferimenti le perdite di gettito che si
verificano, nei confronti degli enti locali, a seguito della
soppressione delle tasse di concessione comunale e dell’imposta
comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni (cfr. art.
27, comma 1, in conformità al criterio di delega di cui all’art. 3,
comma 144, lettera q della legge n. 662 del 1996, come modificata
dall’art. 48 della legge n. 449 del 1997). Anche in questo nuovo
contesto, la previsione in esame si inquadra nella complessa
operazione di revisione del sistema tributario disegnata nell’art. 3,
comma 143, della legge n. 662, in cui istituzione di nuovi tributi e
contestuale abolizione di tributi preesistenti, nonché revisione di
altri tributi preesistenti, e modifiche al regime dei trasferimenti
dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, devono modularsi in modo
tale da “assicurare l’assenza di oneri aggiuntivi per il bilancio
dello Stato” e “l’assenza di effetti finanziari netti negativi per le
Regioni e gli enti locali” (art. 3, comma 151, della legge n. 662 del
1996), e da evitare, nella fase transitoria, “carenze e
sovrapposizioni nei flussi finanziari dello Stato, delle Regioni e
degli altri enti locali” (art. 3, comma 147, lettera a della legge n.
662). Non può negarsi al legislatore statale, nel momento in cui
dà attuazione a tale disegno, il potere di imporre alle Regioni un
vincolo di destinazione (cfr. art. 27, comma 2, terzo periodo, del
decreto impugnato) in ordine all’utilizzazione di una parte del
gettito dell’IRAP, ad esse spettante, al fine di compensare il venir
meno di altre fonti di alimentazione della finanza locale. Poiché
anche nella Regione Siciliana l’ordinamento della finanza locale, ivi
compresa la disciplina dei trasferimenti finanziari, fa tuttora capo
allo Stato, si giustifica che anche in Sicilia trovi applicazione il
vincolo di destinazione in esame, mentre in altre Regioni speciali
cui sono stati trasferiti maggiori poteri in tema di finanza locale
ciò è demandato alla normazione locale, fermo però restando
comunque il vincolo ad assicurare agli enti locali “le risorse
finanziarie per compensare gli effetti finanziari negativi
conseguenti all’attuazione” del decreto legislativo impugnato (art.
27, comma 6, del d.lgs. n. 446 del 1997). Analogamente, e a maggior
ragione, è infondata la questione sollevata in ordine all’art. 29
del decreto, che si limita a disporre che le Regioni, nell’attribuire
alle Città metropolitane le funzioni amministrative di competenza
provinciale o affidate ai comuni, ai sensi dell’art. 19 della legge
n. 142 del 1990 sull’ordinamento delle autonomie locali, provvedono
ad assegnare alle stesse quote del gettito (genericamente) di
“tributi regionali”, vincolando la Regione soltanto ad un principio
di equilibrio e di corrispondenza fra funzioni e risorse attribuite.
11. – Altre censure investono le disposizioni degli artt. 24, comma
6, 25, 26 e 30, relative alla fase di prima applicazione dell’IRAP,
per gli esercizi finanziari 1998 e 1999. La ricorrente lamenta che il
rinvio degli effetti delle leggi regionali di attuazione al periodo
di imposta in corso al 1 gennaio 2000 (art. 24, comma 6) paralizzi la
competenza statutariamente spettante alla Regione; che
l’applicazione, in questo frattempo, della disciplina statale
relativa alle imposte sui redditi, salva la sola partecipazione di
Regioni, Province e comuni all’attività di accertamento e
riscossione (art. 25), e della disciplina statale della riscossione e
del versamento in acconto (art. 30) violerebbe la competenza
regionale a disciplinare la riscossione dei tributi; che
l’attribuzione allo Stato di una quota del gettito IRAP, a
compensazione dei costi di riscossione (art. 26, comma 1), avrebbe
l’effetto paradossale di obbligare la Regione a versare allo Stato
somme a compenso di una attività che essa potrebbe svolgere
direttamente, e che le è impedito di svolgere; che l’attribuzione
allo Stato di una ulteriore quota del gettito IRAP, per due periodi
di imposta, a compensazione della perdita del gettito della soppressa
imposta sul patrimonio netto delle imprese sarebbe irragionevole e in
contrasto con l’art. 36 dello statuto, perché l’imposta abolita era
di carattere straordinario e temporaneo.
12. – Le questioni non sono fondate.
Il temporaneo impedimento all’efficacia delle leggi regionali
emanate nell’esercizio della potestà legislativa spettante in questa
materia alle Regioni (impedimento che riguarda anche le leggi della
Regione Siciliana: cfr. art. 24, comma 6, in relazione al comma 2)
costituisce indubbiamente, in particolare nei riguardi della
autonomia speciale della Regione Siciliana, una limitazione
eccezionale, che però si giustifica in vista dell’esigenza di
assicurare una uniforme applicazione del nuovo tributo, sotto il
profilo sia della disciplina sostanziale, sia delle procedure di
liquidazione, accertamento e riscossione, nella delicata fase di
passaggio in cui, sperimentandosi il nuovo prelievo, il cui gettito
va a sostituire quello dei tributi soppressi, si deve tuttavia
assicurare l’equilibrio dei conti pubblici e dei rapporti finanziari
fra i vari livelli di governo e fra le varie aree territoriali del
paese, anche attraverso i meccanismi di compensazione e di
riequilibrio previsti allo scopo (cfr. artt. 41, 42 e 43, comma 2,
del decreto legislativo impugnato): e in cui quindi qualsiasi deroga
a tale uniformità di applicazione potrebbe comportare difficoltà
operative e pericolo di squilibri. Peraltro la Regione può sin
d’ora porre mano alla propria legislazione di attuazione, con l’unico
limite di doverne differire l’efficacia al termine della fase
transitoria.
13. – Per le stesse ragioni si giustifica la disciplina transitoria
in tema di controllo, accertamento e riscossione dell’imposta, recata
dall’art. 25: ove peraltro si prevede, pur nella fase transitoria, la
partecipazione di Regioni, Province e comuni all’attività di
accertamento, anche mediante programmi di accertamento predisposti
con la collaborazione di apposite commissioni paritetiche, secondo
modalità definite dal Ministro d’intesa con la conferenza
Stato-Regioni (art. 25, comma 2).
14. – La riserva allo Stato, per il periodo transitorio, di una
quota del gettito IRAP a compensazione dei costi di gestione del
tributo non contrasta con l’art. 8 delle norme di attuazione di cui
al d.P.R. n. 1074 del 1965, ai cui sensi la Regione si avvale, per
l’esercizio delle sue funzioni amministrative in materia tributaria,
degli uffici periferici dell’amministrazione statale. Essa anzi
ricalca la stessa regola stabilita in generale dall’art. 9 delle
medesime norme, secondo cui la Regione rimborsa allo Stato le spese
relative ai servizi ed al personale di cui si avvale, “in proporzione
all’ammontare delle entrate tributarie di sua spettanza”. Né è
fondato il timore, espresso dalla ricorrente, che ciò possa
comportare un duplice esborso a carico della Regione per la stessa
attività svolta dagli uffici statali, già incaricati dell’attività
di applicazione degli altri tributi erariali il cui gettito spetta
alla Regione. Infatti la gestione del nuovo tributo comporta per lo
Stato nuovi oneri organizzativi, che ben possono giustificare un
compenso commisurato ad una quota del gettito: mentre la
contemporanea abolizione di altri tributi comporterà, ai sensi del
citato art. 9 del d.P.R. n. 1074 del 1965, il venir meno dei
rimborsi commisurati all’ammontare delle entrate soppresse già di
spettanza della Regione.
15. – Nemmeno contrasta con le norme statutarie e di attuazione la
previsione dell’art. 26, comma 2, del decreto, ma già contemplata
dall’art. 3, comma 144, lettera o, della legge n. 662 del 1996, di
una riserva allo Stato, per i primi due esercizi, di una quota del
gettito IRAP a compensazione della perdita del gettito della cessata
imposta sul patrimonio netto delle imprese: tributo erariale
istituito dall’art. 1 del d.l. 30 settembre 1992, n. 394, convertito
dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, per un periodo non eccedente
l’esercizio in corso alla data del 30 settembre 1994, la cui durata
di applicazione venne prorogata, da ultimo, fino all’esercizio in
corso alla data del 30 settembre 1997 (art. 3, comma 110, della legge
n. 549 del 1995), e il cui gettito venne riservato all’erario
dall’art. 16, comma 17, della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
Il fatto che si trattasse di un’imposta istituita con carattere di
temporaneità, e quindi, più che abolita, non confermata per effetto
dell’art. 3, comma 143, lettera a, n. 5, della legge n. 662 del 1996
e dell’art. 36, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 446 del 1997 (salvo
il raccordo temporale previsto dall’art. 37 del medesimo decreto),
non toglie che la nuova imposta regionale sulle attività produttive
sia stata configurata dal legislatore come tributo destinato (insieme
alla nuova addizionale regionale sull’IRPEF) a sostituire con il suo
gettito quello dei tributi erariali, regionali e locali soppressi a
norma delle disposizioni da ultimo citate, fra cui anche il gettito
dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, nel quadro dei
principi di invarianza del gettito e di mantenimento degli equilibri
finanziari, cui si ispira la riforma. Ciò giustifica dunque anche la
devoluzione diretta o indiretta di quote del gettito del nuovo
tributo agli enti ai quali affluiva il gettito dei tributi soppressi:
così gli enti locali (art. 27 del decreto), e così anche l’erario
per quanto riguarda il gettito, già ad esso riservato, dell’imposta
sul patrimonio netto delle imprese.
È del resto lo stesso art. 2, primo comma, delle norme di
attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 che prevede la
possibilità per la legge dello Stato di riservare all’erario nuove
entrate tributarie destinate a soddisfare finalità, contingenti o
continuative, dello Stato specificate nella stessa legge: e tra
queste finalità ben può ritenersi compresa quella, chiaramente
espressa nel decreto impugnato e ancor prima nella legge di delega,
di mantenere, nella fase di transizione, gli equilibri finanziari che
verrebbero altrimenti alterati dal venir meno di un tributo il cui
gettito era già riservato allo Stato.
16. – La ricorrente denuncia altresì gli articoli 36, 40, 41 e 42
del decreto. L’art. 36, nel disporre l’abolizione di vari tributi,
non prevederebbe alcuna forma di compensazione a favore della Regione
(come invece il decreto fa nei confronti dello Stato) per la perdita
del gettito di tributi ad essa prima spettanti. L’art. 40, prevedendo
la istituzione di conti presso le tesorerie statali per il versamento
delle somme riscosse a titolo di IRAP, e il loro riversamento a
favore dello Stato, dei comuni, delle Province, del Fondo sanitario
nazionale, e solo per la parte residua alla Regione, comporterebbe
una riduzione della capacità di manovra finanziaria della Regione
stessa e una diminuzione del gettito a suo favore. Tale diminuzione
sarebbe accentuata per effetto degli artt. 41 e 42, che prevedono il
calcolo delle così dette “eccedenze” annuali del gettito dell’IRAP e
il loro versamento ad integrazione del Fondo sanitario nazionale, a
copertura di nuove funzioni o in definitiva a favore del bilancio
statale.
Le questioni sono infondate.
Il complesso meccanismo di transizione dal precedente sistema a
quello contrassegnato dai nuovi tributi regionali è costruito dal
legislatore delegato con l’intento di disciplinare i rapporti fra
Stato, Regioni a statuto speciale ed enti locali “in modo da
mantenere il necessario equilibrio finanziario”, come esplicitamente
recita l’art. 43, comma 2.
A tal fine, poiché il gettito dei nuovi tributi è principalmente
destinato (come ricorda la stessa ricorrente) a sostituire, come
fonte di alimentazione del Servizio sanitario nazionale, i contributi
sanitari, l’art. 38 del decreto stabilisce anzitutto che, al fine
della determinazione del Fondo sanitario nazionale e delle quote di
esso da assegnare alle Regioni, “si considera come dotazione propria
delle medesime il gettito dell’addizionale regionale all’imposta sul
reddito delle persone fisiche (…) ed il 90 per cento del gettito
dell’imposta regionale sulle attività produttive al netto delle
quote attribuite allo Stato” (comma 1), insieme, per il 1998, ai
contributi sanitari arretrati riscossi nello stesso anno (comma 2).
Conseguentemente, la misura del concorso della Regione Siciliana al
finanziamento del Servizio sanitario, da ultimo elevata al 42,5 per
cento dall’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996, è
rapportata all’entità complessiva delle risorse del Fondo sanitario
(a carico del bilancio dello Stato) e dei gettiti costituenti la
“dotazione” propria della Regione (comma 3).
La ripartizione fra le Regioni del Fondo sanitario di parte
corrente viene fatta dal CIPE, su proposta del Ministro della sanità
d’intesa con la conferenza Stato-Regioni “tenuto conto dell’importo
complessivo presunto” del gettito dei nuovi tributi considerato
“dotazione propria” di ciascuna Regione (art. 39, comma 1): alla
copertura di eventuali differenze fra il gettito presunto e quello
effettivo si provvede mediante una integrazione del Fondo sanitario
“quantificata dalla legge finanziaria” (art. 39, comma 3).
Il meccanismo è dunque tale da garantire che la perdita da parte
delle Regioni del gettito dei contributi sanitari, già ad esse
spettanti, sia interamente compensata o dal gettito dei nuovi tributi
(per quanto riguarda l’IRAP, computato solo per il 90 per cento del
totale, al netto delle quote riservate allo Stato), o, in mancanza,
da nuovi apporti dello Stato al Fondo sanitario: ferma restando la
quota percentuale del complesso della spesa sanitaria posta a carico
della finanza regionale (per la Sicilia il 42,5 per cento, ai sensi
del citato art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996).
Stabilita la quota del gettito dei nuovi tributi destinata al
finanziamento della sanità, il decreto legislativo provvede poi a
disciplinare il calcolo e l’utilizzo delle così dette “eccedenze”
(artt. 41 e 42). Il sistema è differenziato in relazione alle
Regioni a statuto ordinario (art. 41, comma 1), a quelle a statuto
speciale che accedono al Fondo sanitario nazionale (art. 41, comma 2:
fra di esse la Sicilia), e infine agli enti ad autonomia speciale che
non accedono al Fondo sanitario nazionale (art. 41, comma 3), e cioè
che provvedono all’integrale autofinanziamento della spesa sanitaria.
Per quanto qui interessa, avendo la Regione Siciliana accesso al
Fondo sanitario nazionale, le “eccedenze annuali di risorse
finanziarie” derivanti dai nuovi tributi rispetto al fabbisogno
convenzionalmente calcolato sono costituite dalla differenza fra il
residuo 10 per cento del gettito dell’IRAP di spettanza regionale e
“l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali soppressi,
convenzionalmente incrementati del tasso di crescita del prodotto
interno lordo per il 1998 e il 1999, e tenendo anche conto degli
effetti indiretti derivanti dall’ampliamento delle basi imponibili
degli altri tributi compartecipati” (art. 41, comma 2) Si considerano
dunque “eccedenze” le eventuali entrate che superano quelle
necessarie per compensare le entrate venute meno per effetto della
soppressione dei tributi erariali al cui gettito le Regioni in
questione partecipavano. Per la Regione Siciliana, a cui era devoluto
l’intero gettito dei tributi erariali soppressi (ad eccezione di
quello dell’imposta sul patrimonio netto delle imprese, compensato
per i primi due anni dalla apposita quota del gettito IRAP riservata
allo Stato: art. 26, comma 2), le entrate da compensare saranno
evidentemente pari al totale, già devoluto alla Regione, dei tributi
soppressi, convenzionalmente indicizzato. La logica appare sempre
quella della compensazione, ad ogni livello, fra gettito perduto per
effetto della abolizione di certi tributi e gettito acquisito con i
nuovi tributi, e del mantenimento dell’equilibrio finanziario nei
rapporti fra Stato e autonomie speciali, secondo il principio sancito
dall’art. 43, comma 2.
Il calcolo delle eccedenze, per quanto riguarda le Regioni a
statuto ordinario, è finalizzato all’attuazione di un meccanismo di
compensazione interregionale, mediante un apposito Fondo, volto a
riequilibrare fra le Regioni gli effetti finanziari derivanti dalla
maggiore autonomia tributaria e dalla diversa “capacità fiscale”
delle varie Regioni (cfr. art. 3, comma 148, della legge n. 662 del
1996, e art. 42, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997). Ma in
questa sede interessa soltanto la diversa disciplina che delle
“eccedenze” è dettata, per le Regioni a statuto speciale, dall’art.
42, comma 7, del decreto. Secondo tale norma “le eccedenze positive o
negative” “vengono compensate per gli anni 1998 e 1999, nel rispetto
degli statuti di autonomia mediante variazioni delle quote del fondo
sanitario nazionale, trasferimenti di funzioni, modifica delle quote
variabili previste ai sensi degli statuti o acquisizione delle
eccedenze al bilancio dello Stato”. Invece “a partire dall’anno 2000
non si dà luogo a recupero delle eccedenze, ma si procede attraverso
il trasferimento di nuove funzioni amministrative, definite con le
procedure fissate dai rispettivi statuti di autonomia, fino
all’esaurimento delle eccedenze medesime”.
Nella fase transitoria, dunque, il sistema si avvale di una serie
di meccanismi di riequilibrio al fine di pervenire al risultato del
mantenimento dei precedenti livelli di partecipazione alle entrate
tributarie. Le eccedenze possono essere sia “positive” che
“negative”, cioè favorevoli o sfavorevoli per la Regione, e in
entrambi i casi ne è prevista la compensazione con strumenti
rispettosi degli statuti. In altri termini, per la Sicilia (il cui
statuto non prevede “quote variabili” di entrate trasferite dallo
Stato, ma solo il fondo di solidarietà di cui all’art. 38), nel caso
di eccedenze negative potranno apportarsi variazioni in aumento alla
quota del Fondo sanitario assegnata alla Regione; nel caso di
eccedenze positive, si potranno apportare variazioni in senso opposto
alla quota del Fondo sanitario assegnata alla Regione (accrescendo in
questo caso la partecipazione regionale al finanziamento della spesa
sanitaria), o attuare nuovi trasferimenti di funzioni senza
corrispondente trasferimento di nuove risorse, ovvero le eccedenze
potranno essere acquisite al bilancio dello Stato. In proposito è da
osservare che gli eventuali trasferimenti di funzioni dovranno
avvenire con i procedimenti previsti dall’art. 43 dello statuto, e
dunque con la partecipazione della Regione; mentre l’eventuale
acquisizione di eccedenze al bilancio dello Stato si inscriverebbe
nel sistema di riserva eccezionale allo Stato di nuove entrate
tributarie, previsto dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074
del 1965. Dopo i primi due anni, alle eventuali eccedenze potranno
corrispondere soltanto nuovi trasferimenti di funzioni, da
effettuarsi sempre con le procedure statutariamente previste, e
dunque con la garanzia della partecipazione della Regione. In
definitiva, il sistema è ispirato al criterio dell’equilibrio
finanziario, anche se con meccanismi di salvaguardia a favore delle
esigenze finanziarie statali più efficaci di quelli previsti a
favore della Regione. Non si può escludere, infatti, che
l’applicazione delle norme in questione comporti per la Regione,
specie nella fase transitoria, qualche diminuzione di entrate, vuoi
per l’ipotesi di gettito dei nuovi tributi inferiore alle
aspettative, vuoi per l’incidenza della quota del gettito IRAP che la
Regione dovrà obbligatoriamente devolvere agli enti locali, ai sensi
dell’art. 27, e della quale l’art. 41, comma 2, non fa parola quando
disciplina il calcolo delle “eccedenze” (benché, come si è
ricordato, l’art. 43, comma 2, sancisca in via di principio il
criterio del mantenimento del “necessario equilibrio finanziario” nei
rapporti fra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali).
Peraltro lo stesso art. 42, comma 7, stabilisce che la compensazione
delle eccedenze avviene “nel rispetto degli statuti di autonomia”, e
prevede, con una norma largamente “programmatica”, meccanismi
destinati ad essere eventualmente applicati con procedimenti dei
quali la Regione non potrebbe essere esclusa.
In ogni caso, ad escludere la illegittimità costituzionale delle
disposizioni denunciate vale la considerazione che le norme
statutarie e di attuazione non stabiliscono, a favore della Regione,
una rigida garanzia “quantitativa”, cioè la garanzia della
disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute
in passato: onde nel caso di abolizione di tributi erariali il cui
gettito era devoluto alla Regione, o di complesse operazioni di
riforma e di sostituzione di tributi, come quella realizzata sulla
base dell’art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996, possono
aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse
per la Regione, purché non tali da rendere impossibile lo
svolgimento delle sue funzioni. Ciò vale tanto più in presenza di
un sistema di finanziamento che non è mai stato interamente e
organicamente coordinato con il riparto delle funzioni, così da far
corrispondere il più possibile, come sarebbe necessario, esercizio
di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di
risorse, in termini di potestà impositiva (correlata alla capacità
fiscale della collettività regionale), o di devoluzione di gettito
tributario, o di altri meccanismi di finanziamento, dall’altro. Più
in generale, la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso che la
legge dello Stato possa, nell’ambito di manovre di finanza pubblica,
anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle
Regioni, purché appunto non tali da produrre uno squilibrio
incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (cfr.
sentenze n. 307 del 1983, n.123 del 1992 e n. 370 del 1993).
Quanto poi alle disposizioni dell’art. 40, sulle modalità per il
versamento su appositi conti, intestati alle Regioni, e per il
riversamento su altri conti delle somme riscosse a titolo di IRAP e
di addizionale IRPEF, va osservato che si tratta di semplici
modalità tecnico-contabili dirette a dare applicazione alle
previsioni di legge circa l’attribuzione e il riparto del gettito
delle nuove imposte: modalità che non possono che far capo ad una
disciplina uniforme, posto che non solo il gettito va attribuito alle
singole Regioni secondo i criteri e le regole stabiliti dall’art. 4,
ma inoltre, nella fase transitoria, il gettito, in particolare
dell’IRAP, è ripartito fra diversi enti e diverse destinazioni,
secondo le altre previsioni del decreto (artt. 26, 38, 41 e 42).
Senza dire che, in ogni caso, le modalità di riversamento delle
somme in questione sono stabilite dal Ministro sentita la conferenza
Stato-Regioni (come è logico, trattandosi di modalità che
interessano tutte le Regioni e i loro rapporti con lo Stato). Non
sussiste dunque alcuna violazione della autonomia finanziaria della
Regione.
17. – La ricorrente censura infine gli artt. 60 e 61 del decreto.
Il primo attribuisce, a far tempo dal 1 gennaio 1999, alle Province e
ai comuni, rispettivamente, il gettito dell’imposta sulle
assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori (con
riguardo alla Provincia in cui ha sede il pubblico registro
automobilistico nel quale il veicolo è iscritto), e il gettito delle
imposte di registro, ipotecarie e catastali riscosse sugli atti di
trasferimento a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e
sugli atti costitutivi o traslativi di diritti reali sugli stessi
(con riferimento al comune in cui l’immobile è ubicato). L’art. 61
dispone, dalla stessa data, la corrispondente riduzione dei
trasferimenti erariali a favore delle Province e dei comuni. La
ricorrente lamenta che, essendo già ad essa devoluto il gettito dei
tributi erariali ora “trasferiti” a Province e comuni, lo Stato
potrebbe ridurre i trasferimenti a favore degli enti locali siciliani
mentre il corrispondente gettito dei tributi trasferiti verrebbe
perduto dalla Regione, con complessiva riduzione delle risorse a
disposizione del sistema delle autonomie in Sicilia.
18. – La questione è infondata nei termini di seguito precisati.
Va in primo luogo notato che l’art. 60, comma 4, demanda alle
Regioni a statuto speciale l’attuazione, per il rispettivo
territorio, delle disposizioni sulla devoluzione dei tributi indicati
a Province e comuni, “in conformità dei rispettivi statuti”, e
prevede che “contestualmente” siano disciplinati “i rapporti
finanziari tra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali al
fine di mantenere il necessario equilibrio finanziario” (con formula
analoga a quella, più volte citata, dell’art. 43, comma 2).
È dunque escluso che si verifichi il trasferimento del gettito
tributario dalla Regione Siciliana alle Province e ai comuni, e
contemporaneamente la riduzione dei trasferimenti statali a Province
e comuni siciliani. Che poi si parli qui di “attuazione” e non di
potestà concorrente, non ha alcun rilievo, trattandosi proprio
dell’attuazione di un trasferimento di tributi erariali che la
Regione non avrebbe potuto autonomamente operare: e i limiti
dell’autonomia legislativa regionale in materia tributaria restano
impregiudicati.
A sua volta l’art. 61, comma 4, prevede che le riduzioni dei
contributi statali e i gettiti dei tributi trasferiti “sono
determinati con riferimento alle province e ai comuni delle regioni a
statuto ordinario”: mentre “per le Regioni a statuto speciale le
operazioni di riequilibrio di cui al decreto legislativo 30 giugno
1997, n. 244” – che detta le norme sul riordino del sistema dei
trasferimenti erariali agli enti locali per adeguarlo, al termine di
una lunga fase di transizione, a fabbisogni oggettivamente
determinati – “si applicano solo dopo il recepimento delle
disposizioni dell’articolo 60 e del presente articolo nei rispettivi
statuti”. Nonostante la formulazione impropria, che allude ad un
impossibile “recepimento” delle disposizioni in questione negli
statuti speciali, la norma va intesa nel senso che la regolazione dei
rapporti finanziari con i comuni avverrà, in conformità allo
statuto, in occasione della attuazione da parte della Regione delle
disposizioni dell’art. 60, commi 1 e 2, e in modo tale – come
espressamente stabilisce il comma 4 dello stesso art. 60 – da
“mantenere il necessario equilibrio finanziario”. Intesa in questo
senso, la norma non presta il fianco alle censure mosse dalla
ricorrente.
19. – Risulta impugnato anche l’articolo 43 del decreto, che rende
esplicito il riferimento delle disposizioni anche alle Province
autonome di Trento e Bolzano, e stabilisce che “i rapporti finanziari
tra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti locali devono essere
disciplinati in modo tale da mantenere il necessario equilibrio
finanziario”: ma la relativa questione non è in alcun modo motivata
né sviluppata nel ricorso, onde essa va dichiarata inammissibile.
20. – Il conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione
Siciliana ha ad oggetto il decreto del Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica in data 24 marzo 1998,
recante “Modalità di riversamento delle somme riscosse per l’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP) e per l’addizionale
regionale all’IRPEF, ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446”.
La Regione ammette che il decreto impugnato costituisce svolgimento
del decreto legislativo n. 446 del 1997, onde su di esso si
rifletterebbero le censure di incostituzionalità che investono
quest’ultimo provvedimento.
Più in particolare, la ricorrente afferma che il sistema di conti,
intestati alle Regioni, previsto dagli artt. 1 e 2 del decreto
farebbe sì che l’IRAP non sarebbe riscossa sul territorio regionale,
onde potrebbe sfuggire alla regola statutaria della devoluzione del
gettito alla Regione; che l’art. 2, comma 3, lettera B, punto IV,
escluderebbe illegittimamente la competenza della “Cassa regionale
siciliana di Palermo”, prevista dagli artt. 21 e 26 del d.lgs. n. 241
del 1997, a raccogliere l’immediato riversamento delle somme
riscosse; che l’art. 3, comma 3, il quale prevede le modalità del
riversamento delle somme versate sul conto “IRAP-altri soggetti”,
consentirebbe allo Stato di determinare unilateralmente le somme da
trattenere a compensazione dei costi di gestione del tributo, e di
attribuire direttamente a proprio favore le eccedenze di cui all’art.
41 del decreto legislativo, facendo venir meno la possibilità,
prevista dall’art. 42, comma 7, del decreto legislativo, di
“realizzare un vantaggio finanziario per la Regione mediante la
destinazione di tali eccedenze alla variazione di quote del Fondo
sanitario o al pagamento degli oneri derivanti dal trasferimento di
nuove funzioni”.
21. – Il conflitto è inammissibile.
Una volta riconosciute infondate le censure di illegittimità
costituzionale rivolte al decreto legislativo n. 446 del 1997, e in
particolare, fra l’altro, agli articoli 1, 2, 4, 15 (sulla
configurazione generale e sulla spettanza dell’imposta regionale
sulle attività produttive), 26, comma 1 (sulla riserva allo Stato di
una quota del gettito a compensazione dei costi di gestione), 40
(sulle modalità di versamento e riversamento del gettito), 41 e 42
(sulle così dette “eccedenze” e sulla loro compensazione), non può
riconoscersi alcuna consistenza autonoma alle censure mosse al
decreto ministeriale, emanato peraltro, come prevede l’art. 40, comma
2, del decreto legislativo, previo parere della conferenza
Stato-Regioni. Esso, infatti, non fa che dettare le modalità
applicative delle predette norme legislative.
In particolare, l’art. 1 disciplina la istituzione dei conti
previsti dall’art. 40, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, nonché
di un conto intestato all’erario per il versamento delle quote di
spettanza statale ai sensi dell’art. 26 e delle eccedenze di cui agli
artt. 41 e 42 del decreto legislativo. L’art. 2 disciplina le
modalità operative per l’afflusso delle somme sui conti; più in
particolare, la lettera B, punto IV, del comma 3 disciplina, in
coerenza con il sistema dei conti previsti dall’art. 40 del decreto
legislativo, l’afflusso delle somme derivanti dai versamenti unitari,
relativi ad una pluralità di tributi, effettuati dai contribuenti
titolari di partita IVA. L’art. 3, comma 3, disciplina, per il 1998 e
il 1999, il riversamento del gettito dell’IRAP sui vari conti (“conto
erario” per le quote o le eccedenze di pertinenza dello Stato, ai
sensi degli artt. 26, 41 e 42 del decreto legislativo; “conto
contributi sanitari” o “conto sanità”, intestato alla Regione, fino
a concorrenza dell’importo destinato al finanziamento del Servizio
sanitario nazionale, pari, ai sensi dell’art. 38, comma 1, del
decreto legislativo, al 90 per cento del gettito dell’imposta, al
netto delle quote riservate allo Stato; “conto ordinario”, anch’esso
intestato alla Regione, per le quote determinate a titolo di
compartecipazione degli enti locali, ai sensi dell’art. 27 del
decreto legislativo, nonché per la parte che residua dopo gli altri
versamenti). Il tutto in applicazione delle corrispondenti norme
sostanziali del decreto legislativo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli articoli 1, 2, 4, 15, 24, 26, 27, 30, 36, 40,
41, 42 e 50 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446
(Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive,
revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni
dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate
dalla Regione Siciliana, in riferimento all’art. 36 dello statuto
speciale e alle relative norme di attuazione, nonché agli articoli 3
e 76 della Costituzione, con il ricorso (R. ric. n. 10 del 1998) in
epigrafe;
b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale degli articoli 60 e 61 del
predetto decreto legislativo n. 446 del 1997, sollevata dalla Regione
Siciliana, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale e alle
relative norme di attuazione, nonché agli articoli 3 e 76 della
Costituzione, con il ricorso in epigrafe;
c) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 43 del predetto decreto legislativo n. 446
del 1997, sollevata dalla Regione Siciliana, in riferimento all’art.
36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione,
nonché agli articoli 3 e 76 della Costituzione, con il ricorso in
epigrafe;
d) dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di
attribuzioni (R. confl. n. 14 del 1998) promosso dalla Regione
Siciliana contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in
relazione al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica in data 24 marzo 1998, recante “Modalità di
riversamento delle somme riscosse per l’imposta regionale sulle
attività produttive (IRAP) e per l’addizionale regionale sull’IRPEF,
ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola