Sentenza N. 139 del 1979
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1979
Data deposito/pubblicazione
06/12/1979
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/11/1979
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN –
Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
secondo, della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Modifiche agli
ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del
tesoro) promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1976 dalla Corte
dei conti, sul ricorso di Graziadei Luciana, iscritta al n. 249 del
registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 208 del 26 luglio 1978. Visto l’atto di costituzione di
Graziadei Luciana;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore
Guido Astuti;
udito l’avv. Marco Vais per Graziadei Luciana.
1. – La Corte dei conti – sezione III giurisdizionale – con
ordinanza emessa il 15 dicembre 1976 nel corso del giudizio promosso
con ricorso di Graziadei Luciana avverso la decisione di reiezione (ai
sensi dell’art. 6 della legge 22 novembre 1962, n. 1646) della domanda
di pensione di riversibilità per essere stato il matrimonio con il
coniuge, già dipendente dell’Amministrazione provinciale di Venezia,
celebrato dopo la cessazione dal servizio senza che fosse nata prole e
per essere lo stesso durato meno di due anni, ha sollevato, su
eccezione della parte, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6 della legge n. 1646 per contrasto con l’art. 3 Cost.
La norma impugnata nel condizionare, tra l’altro, al trascorso
biennio di matrimonio la concessione del trattamento di riversibilità,
senza prendere in considerazione la particolare situazione di coloro
che hanno celebrato matrimoni successivamente allo scioglimento di
precedenti matrimoni (di uno dei coniugi) ma che non hanno soddisfatto
la predetta condizione per essere uno dei coniugi deceduto prima che
fosse trascorso il biennio, integrerebbe una illogica discriminazione
tra coloro che, provenienti da divorzio, sono soggetti alla disciplina
della legge n. 1646/1962 (Casse pensioni degli Istituti di previdenza
presso il Ministero del tesoro), e coloro il cui trattamento è
regolato dalle leggi 12 agosto 1962, n. 1338 e 30 aprile 1969, n. 153
nei cui confronti, per effetto dell’art. 32 della legge 3 giugno 1975,
n. 160, si prescinde dal biennio di durata del matrimonio a condizione
che lo scioglimento del precedente matrimonio sia intervenuto entro il
31 dicembre 1975.
Nella stessa ordinanza è stata prospettata l’opportunità di
estendere l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità, ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, alla norma di cui
all’art. 81, terzo comma, del t.u. approvato con d.P.R. 29 dicembre
1973, n. 1092, sul trattamento pensionistico degli impiegati civili e
militari dello Stato che non prescinde, al pari dell’art. 6 della legge
n. 1646, dalla generale condizione del biennio di durata del matrimonio
nei confronti di coloro che provengono da divorzio.
2. – Si è costituita nel presente giudizio la parte privata che ha
insistito perché la questione sia ritenuta fondata.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte dei conti
solleva, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, la questione di
legittimità della disposizione dell’art. 6, secondo comma, della legge
22 novembre 1962, n. 1646, che tra i requisiti per la concessione del
trattamento di riversibilità, pone quello che il matrimonio del
pensionato sia durato almeno due anni; e ciò in quanto detta
disposizione “non prescinde dalla condizione della durata del
matrimonio (biennio) quando trattisi di matrimoni successivi a
divorzio”.
Si osserva nell’ordinanza che l’art. 32 della legge 3 giugno 1975,
n. 160, riformando la disciplina delle pensioni erogate dall’Istituto
Nazionale per la previdenza sociale, (per le quali, ai fini della
concessione del trattamento di riversibilità è del pari richiesto che
il matrimonio sia durato almeno due anni), ha disposto che da quel
requisito si prescinde quando il matrimonio sia stato contratto dopo lo
scioglimento d’un precedente matrimonio a norma della legge 1 dicembre
1970, n. 898, purché entro il 31 dicembre 1975; e che pertanto, in
seguito a questa innovazione legislativa, si è verificata una illogica
discriminazione tra due categorie di soggetti versanti in condizioni
sostanzialmente ed obbiettivamente identiche, i provenienti da divorzio
il cui trattamento pensionistico è regolato dalla legge dianzi
ricordata, e quelli il cui trattamento pensionistico ricade sotto la
disciplina della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (Casse pensioni degli
Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro). L’ordinanza di
rimessione prospetta, conseguentemente, la opportunità che la
eventuale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 6 della legge
n. 1646 del 1962 venga estesa anche all’analoga disposizione dell’art.
81, terzo comma, del t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza
dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1092.
2. – La questione è fondata. Questa Corte, con sentenza 9 gennaio
1975, n. 3 ebbe già a dichiarare non fondata la questione di
legittimità dell’art. 6, secondo comma, della legge 22 novembre 1962,
n. 1646, e dell’art. 11, secondo comma, della legge 15 febbraio 1958,
n. 46 (modificato dall’art. 1 della legge 14 maggio 1969, n.252, e ora
sostituito dall’art. 81, terzo comma, del t.u. approvato con d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1092), questione allora prospettata sotto altri
profili e anche in riferimento a diversi parametri costituzionali; e
ciò osservando, in particolare, che “i criteri limitativi per le
pensioni di riversibilità derivanti da matrimoni conclusi da già
pensionati sono stati dettati in via generale, dal legislatore, come
remora all’ipotesi, non infrequente, di matrimoni contratti non per
naturale affetto, e quindi, in tal senso, sospettabili, sicché le
condizioni restrittive, volte a garantire, in qualche modo, la
genuinità e la serietà del tardivo coniugio, si risolvono anche nella
tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolenti iniziative”.
Ma quella pronuncia, anche nella ricordata motivazione, che qui si
conferma, circa la legittimità – in via generale – dei requisiti
limitativi per la concessione delle pensioni di riversibilità, non
osta alla odierna decisione di accoglimento, che si impone in relazione
alla denunciata disparità di trattamento, determinata dalla legge di
riforma delle pensioni erogate dall’INPS, con l’introduzione della
deroga al requisito della durata minima del matrimonio nella speciale
ipotesi di matrimonio successivo a divorzio di uno dei coniugi.
L’art. 32 della legge 3 giugno 1975, n. 160, (che sostituisce il
secondo comma dell’art. 7 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, nel
testo risultante dall’art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153),
dispone infatti che da quel requisito si prescinde “per i matrimoni
celebrati successivamente alla sentenza di scioglimento del precedente
matrimonio di uno dei due coniugi pronunciata a norma della legge 1
dicembre 1970, n. 898, ma non oltre il 31 dicembre 1975”. Questa
disposizione, intesa a consentire l’accesso alla pensione di
riversibilità nei casi non infrequenti in cui l’instaurazione d’un
regolare rapporto di coniugio in età avanzata dipendeva dalla
preesistente impossibilità giuridica, dovuta alla indissolubilità
d’un preesistente vincolo matrimoniale (e in questa prospettiva la
norma prevede un termine per la sua efficacia temporale, limitata ai
matrimoni celebrati non oltre il 31 dicembre 19751, ha prodotto una
ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle altre categorie
di aventi titolo a pensione di riversibilità, in base alle leggi
concernenti i pensionati assistiti dalle Casse degli Istituti di
previdenza del Ministero del tesoro, ed i pensionati civili e militari
dello Stato. La ratio della norma derogatrice ne esige la estensione
anche a beneficio delle ricordate categorie, non potendosi individuare
alcun elemento idoneo a giustificare una diversa disciplina del
requisito di cui è causa, per la concessione delle pensioni di
riversibilità.
Di conseguenza, deve dichiararsi la illegittimità costituzionale
dell’art. 6, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646,
nonché – a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 –
dell’art. 81, terzo comma, del t.u. approvato con d.P.R. 29 dicembre
1973, n. 1092.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 6, secondo
comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, in relazione al disposto
dell’art. 32 della legge 22 novembre 1975, n. 168, in quanto non
consente la deroga al requisito che il matrimonio contratto dal
pensionato sia durato almeno due anni, introdotta dall’art. 32 “per i
matrimoni celebrati successivamente alla sentenza di scioglimento del
precedente matrimonio di uno dei due coniugi pronunciata a norma della
legge 1 dicembre 1970, n. 898, ma non oltre il 31 dicembre 1975”;
dichiara, a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la
illegittimità costituzionale, nella stessa parte e nei medesimi
termini sopra indicati, dell’art. 81, terzo comma, del t.u. approvato
con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere