Sentenza N. 14 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/03/1965
Data deposito/pubblicazione
12/03/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/03/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici.
ricorso notificato il 26 ottobre 1964, depositato nella cancelleria
della Corte costituzionale il 31 successivo ed iscritto al n. 12 del
Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la
Regione Friuli-Venezia Giulia, sorto per effetto degli artt. 4, 10,
terzo comma, 23, secondo comma, e 49, secondo comma, del regolamento
del Consiglio regionale approvato nella seduta del 30 luglio 1964.
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Presidente della
Regione Friuli-Venezia Giulia;
udita nell’udienza pubblica del 20 gennaio 1965 la relazione del
Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l’avv.
Feliciano Benvenuti, per il Presidente della Regione Friuli-Venezia
Giulia.
1. – Con ricorso notificato il 26 ottobre 1964 e depositato nella
cancelleria della Corte costituzionale il successivo giorno 31, il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocato generale dello Stato, ha chiesto, ai sensi degli artt.
134 della Costituzione e 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la
risoluzione del conflitto di attribuzione fra lo Stato e la Regione
Friuli-Venezia Giulia, sorto per effetto di alcune norme del
regolamento del Consiglio regionale, approvato nella seduta del 30
luglio 1964 e trasmesso in copia al Presidente del Consiglio dei
Ministri con comunicazione del Commissario del Governo in data 27
agosto 1964.
Il ricorrente deduce che il Consiglio regionale con le disposizioni
contenute negli artt. 4, 10, terzo comma, 23, secondo comma, e 49,
secondo comma, del predetto regolamento ha esorbitato dai limiti della
competenza attribuitagli dallo Statuto (legge costituzionale, 31
gennaio 1963, n. 1), del quale risulterebbero violati gli artt. 18,
secondo comma, 14, ultimo comma, 16, primo comma, 4, 5, 8 e 29, con
conseguente invasione della sfera di competenza riservata allo Stato.
In particolare la difesa dello Stato osserva:
I) L’art. 18 dello Statuto consente che il Consiglio regionale
disciplini con suo regolamento interno la elezione del presidente, di
due vice presidenti e del segretario del Consiglio, ma precisa (secondo
comma) che l’elezione del presidente deve avvenire a maggioranza
assoluta dei componenti o, dopo la seconda votazione, a maggioranza
relativa dei voti validi espressi. Su quest’ultimo punto il Consiglio
non poteva emanare alcuna norma regolamentare e tanto meno una norma,
quale quella impugnata, che contrasta con la disposizione statutaria.
L’art. 4 del regolamento, infatti, statuisce che la maggioranza
relativa dei voti validi espressi si determina “computando fra questi
anche le schede bianche”, laddove la scheda bianca, in quanto non
contiene l’indicazione di alcuna persona, non può essere considerata
valida espressione di voto.
II) L’art. 10, terzo comma, del regolamento dispone che “allo
scadere del quadriennio, di cui all’art. 14 dello Statuto, l’ufficio di
presidenza rimane in carica fino alla nomina del nuovo ufficio di
presidenza”. Tale norma contrasta con l’art. 14 dello Statuto, il
quale, disponendo che il Consiglio dura in carica quattro anni e che la
presidenza provvisoria del nuovo Consiglio è assunta dal consigliere
più anziano di età, non lascia posto ad una disposizione
regolamentare, la quale, fra l’altro, prevedendo che continui ad
esercitare le funzioni di presidente, vice presidente o segretario,
chi, in ipotesi, non faccia più parte dell’Assemblea, viola i principi
fondamentali del sistema rappresentativo.
III) L’art. 23, secondo comma, del regolamento consente che un
gruppo consiliare sia costituito “anche da un solo consigliere, se
eletto in una lista della minoranza etnica slovena” e viola, con ciò,
la par condicio dei consiglieri; deroga ad altro principio
regolamentare, giacché ammette che lo stesso consigliere partecipi a
più commissioni; crea, infine, un inammissibile collegamento fra
consigliere e gruppo etnico, in contrasto con l’art. 16 dello Statuto
nel quale è consacrato il principio fondamentale che “i consiglieri
rappresentano l’intera Regione senza vincolo di mandato”.
IV) Il secondo comma dell’art. 49 del Regolamento statuisce che “la
forza pubblica non può entrare nell’aula se non per ordine del
presidente e dopo che sia sospesa o tolta la seduta”. Tale disposizione
esorbita dai limiti istituzionali della potestà regolamentare e dai
confini della competenza attribuita agli organi regionali, ai quali non
è conferita alcuna funzione in materia di polizia. Né sono invocabili
le corrispondenti disposizioni contenute nei regolamenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica, atteso che le assemblee
legislative dello Stato, come la Corte ha di recente affermato, godono
di una posizione costituzionale e di guarentigie che non competono alle
assemblee regionali.
Il ricorrente conclude chiedendo che la Corte annulli le
disposizioni impugnate.
2. – Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 13
novembre 1964 si è costituita nel giudizio la Regione Friuli-Venezia
Giulia, in persona del Presidente della Giunta (autorizzato con
deliberazione di questa in data 10 novembre 1964), rappresentata e
difesa dagli avvocati Feliciano Benvenuti e Giorgio Franco.
In linea pregiudiziale la Regione eccepisce la inammissibilità del
ricorso per il difetto di un atto nel quale possa ravvisarsi
l’invasione di una competenza costituzionale dello Stato: l’esame delle
singole censure mosse alle norme regolamentari impugnate (in
particolare quelle relative all’art. 4, all’art. 10, terzo comma, e
all’art. 23, secondo comma) dimostra, ad avviso della difesa della
Regione, che in nessun punto il ricorrente ha potuto indicare un
principio o una norma attributiva di competenza allo Stato; né per la
configurabilità del conflitto di attribuzione è sufficiente
l’asserito contrasto del regolamento con norme costituzionali, non
potendosi affermare che ogni violazione di legge costituzionale
costituisca anche violazione della competenza statuale.
Nel merito la Regione deduce:
I) la seconda disposizione dell’art. 4 del regolamento ha un
contenuto complesso. Giacché si parla di “maggioranza relativa”, era
indispensabile che si precisasse sia il modo di valutazione della
maggioranza dei voti sia il modo di valutazione del quorum: e perciò
la norma regolamentare ha stabilito che la maggioranza si calcola
tenendo conto del numero dei votanti e, quindi, computando non solo i
voti validi, ma anche le schede bianche. L’art. 18 dello Statuto
rendeva necessaria siffatta precisazione, senza della quale non avrebbe
senso parlare di una “maggioranza relativa” dei voti validi. Né
varrebbe obbiettare che la norma statutaria vada interpretata nel senso
che debba considerarsi eletto chi abbia riportato il maggior numero di
voti validi: in tal modo si consentirebbe, infatti, l’elezione del
presidente anche con un numero infimo di voti e, d’altra parte, ove
siffatta interpretazione fosse esatta, il computo delle schede bianche
non avrebbe alcun rilievo, con la conseguenza che la norma
regolamentare non apparirebbe illegittima, ma inutile.
II) Per quanto riguarda l’art. 10 del regolamento, è da tener
presente che può verificarsi la necessità che nel periodo
intercorrente fra la cessazione del vecchio consiglio e la riunione del
nuovo l’assemblea debba riunirsi (come può accadere per la scelta dei
rappresentanti regionali per la elezione del Presidente della
Repubblica), e ciò non sarebbe possibile ove non vi fosse un ufficio
di presidenza capace di convocare il consiglio. La obbiezione basata
sulla norma statutaria relativa alla decadenza del consiglio alla
scadenza del quadriennio trascura i principi costituzionali in tema di
prorogatio.
III) L’art. 18 dello Statuto stabilisce che le commissioni
permanenti sono istituite “a norma di regolamento” e demanda perciò al
regolamento la piena libertà di disciplinare la materia. L’art. 23 del
regolamento, ponendo una disposizione dettata da ovvi motivi di
opportunità, si muove nell’ambito dell’attribuita potestà e non
contravviene al principio secondo il quale i consiglieri rappresentano
l’intera Regione, giacché l’appartenenza ad un gruppo consiliare non
significa rappresentatività parziale.
IV) Il secondo comma dell’art. 49 del regolamento, letto in
connessione con il non impugnato primo comma, va interpretato nel senso
che, ove per la disciplina interna del consiglio si renda necessario
ricorrere alla forza pubblica, il relativo provvedimento spetta al
presidente.
La norma, così intesa, non intende precludere alla forza pubblica
l’ingresso in aula per l’esercizio delle sue funzioni di polizia di
sicurezza e non vi è quindi invasione della competenza statale.
L’identità di formulazione del secondo comma dell’art. 49 e delle
corrispondenti disposizioni contenute nei regolamenti delle assemblee
legislative dello Stato non vuoi comportare che identici siano i poteri
del presidente del consiglio regionale, giacché il primo comma
condiziona e limita la portata del secondo.
La Regione conclude chiedendo che la Corte dichiari
l’inammissibilità o, in subordine, l’infondatezza del ricorso.
3. – Nella memoria depositata l’11 dicembre 1964 l’Avvocatura dello
Stato, richiamata la sentenza n. 66 del 1964 di questa Corte, con la
quale vennero definiti natura e limiti della potestà regolamentare
riconosciuta ai consigli regionali, osserva che il regolamento spiega
una efficacia esterna ed è perciò suscettibile di invadere la
competenza statale. Le sfere di competenza regionale si muovono
nell’ambito della più ampia sfera di competenza dello Stato con la
conseguenza che ogni esorbitanza dalle prime si traduce in una
invasione della seconda. Il regolamento – si aggiunge – non ha la
efficacia formale della legge e perciò quando a suo mezzo si verifica
una violazione della competenza regionale con conseguente invasione di
quella statale sorge il conflitto di attribuzione, anche se nella
sostanza vi è questione di legittimità costituzionale.
Nel merito la difesa dello Stato ribadisce le considerazioni già
svolte nell’atto di costituzione, e in particolare aggiunge:
I) poiché l’art. 18 dello Statuto disciplina compiutamente il
punto in contestazione, il consiglio, ponendo l’art. 4 del regolamento,
ha per ciò solo esorbitato dai limiti della sua competenza. La norma
impugnata non sfugge al dilemma: o è conforme alla disposizione
statutaria, ed in tal caso è ultronea; o è difforme, ed in questo
caso è non solo fuori della competenza riconosciuta al consiglio, ma
è anche in contrasto con la norma costituzionale.
II) Anche per quanto riguarda l’art. 10, terzo comma, del
regolamento è da osservarsi che la fattispecie normativa è
compiutamente regolata dall’art. 14 dello Statuto, secondo il quale
allo scadere del quadriennio i consiglieri cessano ipso iure dalla
carica. Non vi è dunque posto per alcuna disposizione regolamentare e
tanto meno per quella impugnata, che risulta contraria ai principi del
sistema rappresentativo e non può trovare fondamento nell’istituto
della prorogatio che va applicato solo nelle ipotesi espressamente
previste.
III) In relazione al secondo comma dell’art. 23 del regolamento, è
esatta l’affermazione della Regione, secondo la quale il consiglio è
libero di provvedere in base all’art. 18 dello Statuto, ma è da
obbiettarsi che il consiglio è tenuto a rispettare i principi della
Costituzione (art. 3) e dello Statuto (art. 16).
IV) La norma contenuta nell’art. 49, secondo comma, del
regolamento, in quanto disciplina l’intervento in aula della forza
pubblica esorbita dai limiti del regolamento e della competenza degli
organi regionali e nessun raffronto è possibile fare fra i poteri del
presidente del consiglio regionale e i poteri dei presidenti dei due
rami del Parlamento. Non sembra esatta l’interpretazione restrittiva
che della norma impugnata dà la difesa della Regione, ma l’Avvocatura
aggiunge che si riterrebbe paga ove essa fosse avallata dall’autorità
della Corte.
L’Avvocatura dello Stato, infine, chiede che a norma dell’art. 27
della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte annulli anche l’art. 51 del
regolamento, nel quale è disposto che in caso di oltraggio al
consiglio o ad uno dei suoi membri il Presidente ordina l’arresto del
colpevole e la sua traduzione innanzi all’autorità competente. Tale
disposizione esula, ad avviso dell’Avvocatura, dal complesso dei
precetti regolamentari intesi a garantire il libero svolgimento dei
lavori consiliari, contrasta con l’art. 13 della Costituzione, e, in
quanto attribuisce al presidente poteri di polizia, invade la
competenza dello Stato.
In data 12 gennaio 1965, fuori del termine massimo previsto
dall’art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, la difesa della Regione ha depositato una memoria
illustrativa delle tesi esposte nell’atto di costituzione.
Nella pubblica udienza del 20 gennaio 1965 le parti hanno insistito
nelle rispettive tesi e conclusioni.
1. – La difesa della Regione assume che, avendo il Consiglio
regionale esercitato, con l’emanazione del suo regolamento interno, una
competenza che solo ad esso spetta, manca un atto che abbia invaso una
competenza costituzionalmente garantita della quale lo Stato possa
rivendicare la titolarità, ed eccepisce che, specie per quanto
riguarda gli artt. 4, 10 e 23 del regolamento, sono state sollevate
questioni non attinenti al rispetto delle sfere di attribuzione dei due
enti, ma di mera legittimità costituzionale: dal che deriverebbe
l’inammissibilità del ricorso.
L’eccezione è infondata.
Il Consiglio della Regione Friuli-Venezia Giulia, in forza
dell’art. 21 dello Statuto speciale (legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1), ha indubbiamente competenza esclusiva ad emanare il
proprio regolamento, ma il relativo potere – come qualunque altro
potere normativo attribuito alle Regioni – è circoscritto nei limiti
formali e sostanziali ricavabili dallo Statuto e dalla Costituzione.
L’inosservanza di tali limiti si risolve sempre in un vizio di
incompetenza dell’atto e comporta inevitabilmente invasione della
competenza dello Stato, che del potere costituente è unico titolare e,
come tale, è legittimato ad agire per la risoluzione dell’insorto
conflitto di attribuzione.
La coincidenza fra vizi di legittimità costituzionale e vizi di
incompetenza è stata dalla Corte affermata, con giurisprudenza
costante, a proposito dell’impugnativa diretta di leggi regionali da
parte dello Stato, riconoscendosi che la Regione eccede dalla propria
competenza non soltanto se legifera in materia non compresa
nell’elencazione statutaria, ma anche quando emana disposizioni
legislative in contrasto con la Costituzione (cfr. sentenze nn. 30 e 50
del 1959), con ciò stesso “incidendo sulla sfera di competenza dello
Stato” (cfr. sentenza n. 32 del 1960). E questa conclusione, in Quanto
deriva dalla posizione che è propria delle Regioni rispetto allo
Stato, è valida anche per i conflitti di attribuzione, nei quali lo
Stato, deducendo un vizio di incompetenza dell’atto regionale posto in
essere in violazione di un principio costituzionale, agisce per ciò
stesso a difesa della competenza che gli spetta nella sua unità
organica, a tutela dell’ordinamento costituzionale e, quindi, dei
poteri allo Stato stesso conferiti (cfr. sentenza n. 58 del 1959).
2. – Passando all’esame delle singole norme impugnate, risulta
fondata la denunzia dell’art. 4 del regolamento.
L’art. 18 dello Statuto F.-V.G. – a differenza di corrispondenti
disposizioni di altri Statuti speciali (art. 4 dello Statuto
siciliano; art. 19 dello Statuto sardo; art. 19 dello Statuto della
Valle d’Aosta) che demandano ai regolamenti interni l’intera disciplina
relativa all’elezione dell’ufficio di presidenza – detta, nel secondo
comma, espresse disposizioni riguardanti l’elezione del presidente del
consiglio, stabilendo che, dopo la seconda votazione, non è più
necessaria la maggioranza assoluta dei componenti del consiglio, ma è
sufficiente la “maggioranza relativa dei voti validi espressi”. L’art.
4 del regolamento non si limita a riprodurre tale norma, ma aggiunge
che tra i voti validi espressi vanno computate anche le schede bianche.
Secondo la difesa della Regione la disposizione regolamentare lungi
dal porsi in contrasto con quella costituzionale, ne rappresenterebbe
la necessaria integrazione: l’art. 18 dello Statuto, infatti, avrebbe
omesso di determinare il quorum al quale la maggioranza relativa dei
voti validi espressi debba essere rapportata.
Ma tale assunto è infondato. Nella norma statutaria il riferimento
ai voti validi espressi perentoriamente esclude che si debba tener
conto delle schede bianche, un problema di interpretazione potendosi
porre solo se la legge (come nei casi ai quali la difesa della Regione
a torto si richiama) parlasse di maggioranza di votanti o di voti. Né
sussiste alcuna lacuna, che il regolamento debba e possa colmare, dal
momento che, se è vero che il concetto di maggioranza relativa implica
un termine di paragone, questo termine risulta, implicitamente ma
inequivocabilmente, indicato nei voti riportati dagli altri, singoli
designati. L’art. 4 del regolamento, invece, stabilendo in definitiva
che la maggioranza deve essere calcolata, con la sola esclusione dei
voti invalidi, rispetto al numero dei votanti (voti validi espressi
più schede bianche), introduce una disciplina che nettamente diverge
da quella voluta dalla legge costituzionale. E se è da riconoscere che
quest’ultima comporta la possibilità che il presidente venga eletto
anche con un basso numero di voti, ciò significa solo che lo Statuto
ha considerata preminente su ogni altra l’esigenza che il consiglio
regionale, ove le prime due votazioni abbiano avuto esito negativo, sia
posto comunque in grado di eleggere il suo presidente: esigenza la cui
soddisfazione – per altri consigli regionali realizzata attraverso il
ballottaggio – è giustificata dalla considerazione che l’elezione del
presidente, costituendo per norma statutaria e per necessità di cose
il primo atto dell’assemblea, condiziona l’ulteriore attività del
consiglio.
3. – L’art. 10 del regolamento è stato impugnato nella parte
(comma terzo) in cui stabilisce che l’ufficio di presidenza, scaduto il
quadriennio fissato dall’art. 14 dello Statuto per la durata del
consiglio regionale, resta in carica fino alla nomina del nuovo ufficio
di presidenza.
Nei rispettivi scritti difensivi l’Avvocatura dello Stato e la
difesa della Regione hanno a lungo discusso sul se, in difetto di una
espressa statuizione costituzionale, sia ammissibile la prorogatio dei
poteri del consiglio nell’intervallo fra la scadenza del quadriennio e
la convocazione del nuovo consiglio. Ma è da ritenere che nel caso in
esame non ci sia ragione di porre un siffatto problema. La norma
impugnata, infatti, non riguarda la proroga del consiglio regionale, ma
si limita a disciplinare la durata in carica dell’ufficio di
presidenza, in riferimento ai compiti di carattere amministrativo
strumentali rispetto ai servizi dell’assemblea, che il precedente comma
gli affida (e che, ovviamente, nell’intervallo fra le due legislature
dovranno essere espletati nei limiti dell’ordinaria amministrazione).
Da ciò deriva che l’art. 10 del regolamento non si pone in
contrasto col primo comma dell’art. 14 dello Statuto, che, fissando la
durata del consiglio, disciplina materia ben diversa.
Non vi è, peraltro, neppure violazione del quarto comma dello
stesso articolo, secondo il quale la presidenza provvisoria del nuovo
consiglio regionale è assunta dal consigliere più anziano “fra i
presenti” e la segreteria dai due consiglieri più giovani (cfr. art. 2
del regolamento), essendo evidente che questa norma riguarda
esclusivamente la costituzione della presidenza della seduta del nuovo
consiglio: e se si considera che nel corso di questa, come primo suo
atto (art. 18 dello Statuto, art. 3 del regolamento), l’assemblea deve
procedere all’elezione del nuovo ufficio di presidenza – con il che
quello precedente cessa dalla carica – si può escludere che sussista
la dedotta illegittimità costituzionale.
L’art. 10, terzo comma, del regolamento, dettato nell’ambito della
potestà regolamentare del consiglio e diretto a disciplinare
l’organizzazione interna dei servizi, si sottrae pertanto ad ogni
censura.
4. – Il secondo comma dell’art. 23 del regolamento stabilisce che
un gruppo consiliare – per la formazione del quale è di regola chiesta
l’adesione di almeno tre consiglieri – può essere costituito da un
solo consigliere “se eletto in una lista della minoranza etnica
slovena”. Tale norma è stata impugnata dallo Stato in quanto
violatrice della par condicio fra i consiglieri e del principio,
espresso nell’art. 16 dello Statuto, secondo il quale i consiglieri
rappresentanto l’intera Regione senza vincolo di mandato.
La Corte ritiene che l’illegittimità dell’art. 23 del regolamento
derivi da un motivo di carattere preliminare, accolto il quale diventa
superfluo esaminare le argomentazioni svolte dall’Avvocatura dello
Stato e quelle dedotte dalla difesa della Regione.
Non è dubbio che rientra nella potestà regolamentare del
consiglio regionale (art. 21 dello Statuto) disciplinare la
costituzione e composizione dei gruppi consiliari e delle commissioni
permanenti (art. 18, ultimo comma, dello Statuto), secondo quei criteri
che, nella sua discrezionalità, il consiglio stesso reputi i più
idonei al regolare svolgimento dei lavori dell’assemblea. Ma è
altrettanto certo che la norma in esame, per il suo carattere
eccezionale, tende ad un fine ben diverso, che è da ravvisare in
quello di predisporre una particolare tutela in favore della minoranza
etnica slovena. E ciò al consiglio non era consentito. La Corte ha
più volte ribadito, fin dalla sentenza n. 32 del 1960, che spetta
unicamente allo Stato dettare norme sulla tutela delle minoranze
etnico-linguistiche, e questo potere, in difetto di espresse
statuizioni costituzionali, non può essere esercitato dalle Regioni.
Lo Statuto F.-V. G. non solo non conferisce alla Regione una
competenza in siffatta materia, ma afferma (art. 3) il principio
generale della parità di diritti e di trattamento di tutti i
cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale essi
appartengono. E ciò è sufficiente per concludere che l’art. 23 del
regolamento, nella parte impugnata, eccede dalla competenza del
consiglio regionale.
5. – L’art. 49, secondo comma, del regolamento dispone che la forza
pubblica non può entrare nell’aula consiliare se non per ordine del
presidente del consiglio e dopo che la seduta sia tolta o sospesa.
Se tale norma andasse interpretata nel senso che alle forze di
polizia vada precluso l’esercizio dei loro compiti istituzionali se non
intervenga il previo consenso del presidente del consiglio,
indubbiamente essa invaderebbe la sfera di competenza che in questa
materia è di esclusiva spettanza dello Stato; e nessun argomento, come
giustamente pone in luce l’Avvocatura dello Stato, potrebbe essere
tratto dalle corrispondenti norme del regolamento della Camera dei
Deputati (art. 58) e del Senato della Repubblica (art. 48), giacché
le assemblee legislative dello Stato godono di prerogative che, come la
Corte ha accertato (cfr. sentenza n. 66 del 1964), non competono ai
consigli delle Regioni.
Ma la Corte è d’avviso che alla norma in esame debba essere data
una diversa interpretazione, così come prospettata dalla difesa della
Regione, secondo la quale il secondo comma dell’art. 49 del regolamento
non rappresenta altro che una specificazione di quei poteri di polizia
del consiglio demandati, nel primo comma, al presidente dell’assemblea:
nel senso, cioè, che, appunto come mezzo per l’esercizio di tali
poteri, il presidente possa richiedere l’intervento della forza
pubblica e che ciò possa egli fare solo dopo aver tolto o sospeso la
seduta in corso. E in questi limiti la norma rientra nella sfera
regolamentare attribuita al consiglio e non viola alcun precetto
costituzionale.
6. – Il mancato accoglimento del ricorso dello Stato nella parte
relativa al secondo comma dell’art. 49 del regolamento rende inutile
decidere – ai fini dell’esame dell’illegittimità derivata dell’art. 51
del regolamento denunziata dall’Avvocatura dello Stato nella memoria –
se ed in quali limiti il potere conferito alla Corte dall’art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87, possa essere esercitato anche nei giudizi
relativi ai conflitti di attribuzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge l’eccezione di inammissibilità del ricorso;
dichiara che spetta alla Regione Friuli-Venezia Giulia stabilire,
nel regolamento interno del consiglio, che l’ufficio di presidenza
resti in carica fino all’elezione del nuovo ufficio (art. 10 del
regolamento) e, nei limiti di cui in motivazione, determinare i poteri
di polizia del consiglio demandati al presidente (art. 49, secondo
comma, del regolamento);
dichiara che non spetta alla Regione stabilire che, dopo la seconda
votazione, la maggioranza relativa richiesta per l’elezione del
presidente vada determinata calcolando fra i voti validi espressi anche
le schede bianche; e che non spetta alla Regione emanare una
disposizione eccezionale per la costituzione dei gruppi consiliari ai
quali aderiscano consiglieri eletti nelle liste della minoranza etnica
slovena;
annulla l’ultima parte del primo comma (“computando tra questi
anche le schede bianche”) dell’art. 4 del regolamento interno approvato
nella seduta consiliare del 30 luglio 1964;
annulla la seconda parte del secondo comma (“o anche da un solo
consigliere, se eletto in una lista della minoranza etnica slovena”)
dell’art. 23 del predetto regolamento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.