Sentenza N. 14 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
05/02/1999
Data deposito/pubblicazione
05/02/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/01/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
della legge 21 dicembre 1996, n. 665 (Trasformazione in ente di
diritto pubblico dell’Azienda autonoma di assistenza al volo per il
traffico aereo generale), in relazione all’art. 8, comma 7, del d.-l.
20 settembre 1996, n. 490 (Trasformazione in ente di diritto pubblico
dell’Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo
generale), promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1997 dal
Consiglio di Stato sui ricorsi riuniti proposti dall’Ente Nazionale
Assistenza al Volo ed altri contro Del Duca Vincenzo ed altri,
iscritta al n. 720 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale,
dell’anno 1997;
Visti gli atti di costituzione di Del Duca Vincenzo ed altro, di
Verdacchi Raffaele ed altri nonché l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 9 dicembre 1998 il giudice relatore
Cesare Ruperto;
Uditi gli avvocati Giulio Pizzuti per Del Duca Vincenzo ed altro,
Teodoro Klitsche De La Grange per Verdacchi Raffaele ed altri e
l’Avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
cui il Tribunale amministrativo regionale del Lazio aveva annullato,
su ricorsi di concorrenti pretermessi, altrettante delibere di nomina
di dirigenti nel comparto tecnico, operativo ed amministrativo,
adottate il 19 marzo 1993 dal consiglio di
amministrazione dell’Azienda autonoma di assistenza al volo e al
traffico aereo generale (ora Ente nazionale di assistenza al volo),
il Consiglio di Stato, con ordinanza emessa il 4 aprile 1997, ha
sollevato – in riferimento agli artt. 97, primo comma, 24, primo
comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione – questione
di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, della legge 21
dicembre 1996, n. 665 (Trasformazione in ente di diritto pubblico
dell’Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo
generale), in relazione all’art. 8, comma 7, del d.-l. 20 settembre
1996, n. 490 (Trasformazione in ente di diritto pubblico dell’Azienda
autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale).
(Il decreto-legge n. 490 del 1996 – recante la trasformazione in
ente pubblico economico, con la denominazione di Ente nazionale per
l’assistenza al volo, della soppressa Azienda autonoma assistenza al
volo e al traffico aereo generale – all’art. 8, comma 7, prevedeva la
convalida a tutti gli effetti delle “posizioni giuridiche ed
economiche attribuite al personale dell’A.A.A.V.T.A.G. in sede di
primo inquadramento intervenuto nell’anno 1983 e quelle intervenute
in forza degli accordi applicativi del contratto collettivo nazionale
di lavoro 1988-1990 di cui al decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri in data 20 ottobre 1988, intervenuti tra
l’A.A.A.V.T.A.G. e le organizzazioni sindacali in data 12-14 novembre
1988, 29 aprile 1989 e 3 aprile 1990, nonché quelle attribuite ai
sensi dell’art. 107, comma secondo, del regolamento del personale
dell’A.A.A.V.T.A.G., approvato con d.P.R. 7 aprile 1983, n. 279”. Non
essendo stato convertito in legge detto decreto, era stata approvata
la legge 21 dicembre 1996, n. 665, che, nel sancire la
trasformazione dell’Azienda autonoma in ente di diritto pubblico
all’art. 15, comma 1, così dispone: “Restano validi gli atti ed i
provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i
rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 25 novembre
1995, n. 497, 24 gennaio 1996, n. 29, 25 marzo 1996, n. 153, 25
maggio 1996, n. 284, 22 luglio 1996, n. 387 e 20 settembre 1996, n.
490”).
Ritiene, preliminarmente, il rimettente che fra gli effetti
prodottisi sulla base del combinato disposto delle norme censurate –
direttamente a livello normativo primario, e non già in virtù della
successiva delibera adottata nel 1996 dall’Ente, la quale avrebbe
natura meramente ricognitiva della sanatoria di legge – assume
rilevanza la convalida delle posizioni giuridiche ed economiche
attribuite al personale dirigenziale dell’ente, ai sensi dell’art.
107, comma secondo, del regolamento n. 279 del 1983, che disciplina
appunto il conferimento delle qualifiche dirigenziali al personale
direttivo, oggetto della procedura concorsuale annullata dal TAR con
le sentenze appellate nel giudizio a quo. Per cui, la rilevanza della
questione di costituzionalità è data dall’intervenuto
consolidamento ex tunc, in corso di causa, dell’atto impugnato,
diventato ormai inattaccabile sul piano amministrativo e intangibile
su quello giurisdizionale, ancorché possa aver inciso
sfavorevolmente su diritti soggettivi o interessi legittimi di altri
dipendenti.
Ripercorso l’iter dell’approvazione della legge n. 665 del 1996,
finalizzata alla dotazione di idonei mezzi gestionali atti a
garantire maggiore efficienza ed economicità all’attività di
controllo del traffico aereo, osserva il rimettente che la sanatoria
in oggetto non appare dettata da esigenze organizzative non
altrimenti fronteggiabili, né giustificata dall’esigenza naturale di
un consolidamento di situazioni protrattesi per lungo tempo, posto
che le nomine in questione risalgono al marzo del 1993 e riguardano
la posizione di un numero limitatissimo di dirigenti, operanti
oltretutto nel comparto amministrativo.
Secondo il Consiglio di Stato, pertanto, le denunciate norme si
pongono in contrasto:
a) con il principio di buon andamento e con i canoni “di una
razionale e coerente attività di amministrazione”, in mancanza di un
carattere “strategico” della censurata sanatoria, non potendosi
considerare le obiettive esigenze di un ordinato avvio dell’attività
del neoistituito Ente pubblico economico prevalenti rispetto agli
effetti ingiustificatamente premiali che dalla normativa in esame
derivano in favore dei beneficiari di provvedimenti già dichiarati
giurisdizionalmente illegittimi in primo grado;
b) con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, dato il conseguente
effetto di totale compromissione del diritto dei ricorrenti a
domandare la tutela degli interessi legittimi che essi ritengano lesi
da quegli atti della pubblica amministrazione che il legislatore ha
ritenuto di convalidare, così realizzandosi una violazione del
diritto di agire, nel contesto di una sostanziale vanificazione della
via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell’attuazione di
una preesistente posizione giuridica legalmente tutelata.
2. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l’inammissibilità della sollevata questione
e, in subordine, per la sua infondatezza.
Deduce, preliminarmente, l’Avvocatura il difetto di rilevanza della
questione, sostenendo che la mancata rituale impugnazione della
menzionata delibera di convalida a tutti gli effetti delle posizioni
giuridiche ed economiche attribuite al personale – adottata dall’Ente
nell’ottobre del 1996 in sede amministrativa ed avente, secondo
l’Avvocatura, natura non già meramente ricognitiva della normativa
censurata, come affermato dal rimettente, bensì provvedimentale e
costitutiva – ha reso ormai incontestabile l’assetto degli interessi
da essa statuito. Mentre, nel merito, osserva come i palesati dubbi
di legittimità costituzionale risultino superabili attraverso
un’interpretazione della sanatoria contenuta nell’art. 15 della legge
n. 665 del 1996, che riferisca tale previsione ai soli effetti
prodottisi legittimamente in base alla decretazione d’urgenza: unica
interpretazione, questa, coerente con i precetti costituzionali
altrimenti lesi.
In una memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, l’Avvocatura
rileva poi l’assenza di qualsiasi tentativo ermeneutico vo’lto a
ricercarne una più conforme ai princìpi costituzionali
asseritamente violati. Al di là dell’uso improprio del termine
“convalida”, secondo l’Avvocatura la ratio della norma è
esclusivamente quella di assicurare, nel momento in cui si operava la
trasformazione della soppressa Azienda autonoma in Ente pubblico
economico, la sopravvivenza di tutti i rapporti giuridici instaurati
sulla base della precedente normativa, seppure eventualmente superata
o incompatibile con la nuova personalità giuridica dell’Ente.
3. – Si sono costituiti i ricorrenti-appellati del giudizio a quo,
insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della
denunciata normativa; con riserva di spiegare ulteriori difese,
effettivamente svolte in una memoria depositata nell’imminenza
dell’udienza, in cui, precisando la loro posizione difensiva, hanno
concluso, in via principale, per l’inammissibilità della sollevata
questione, e solo in subordine per la declaratoria di illegittimità
costituzionale della denunciata norma.
In primo luogo, le parti deducono – a sostegno della tesi
dell’irrilevanza della questione – che la sanatoria de qua non
riguarda le posizioni dei controinteressati nel giudizio
amministrativo, poiché l’a’mbito di operatività della regola di cui
all’art. 77, terzo comma, della Costituzione concerne unicamente
quegli effetti giuridici sorti sulla base di un decreto-legge non
convertito, al fine di evitare che tali effetti vengano travolti
dalla caducazione retroattiva del decreto stesso. Pertanto, non
essendo sorto alcun rapporto giuridico in dipendenza del
decreto-legge n. 490 del 1996, gli effetti giuridici ed economici
connessi allo status dirigenziale, nella vicenda in esame, non
sarebbero ricollegabili alla norma di decretazione d’urgenza (che
riguarderebbe altre situazioni) né alla delibera adottata sulla base
di tale norma (avente natura meramente ricognitiva), derivando
viceversa dai relativi originari provvedimenti di nomina che, sebbene
annullati dalle varie sentenze del TAR, non hanno subìto soluzioni
di continuità.
In secondo luogo, le parti private contestano l’eccezione
d’inammissibilità della questione costituzionale, basata
sull’asserita irritualità dell’impugnazione della delibera del 1996,
adottata a seguito della sanatoria legislativa mediante la
proposizione di motivi aggiunti, facendo proprie le motivazioni
svolte in senso contrario nell’ordinanza di rimessione.
Nel merito, poi, esse rammentano la particolare eco suscitata nella
stampa da questa vicenda, nonché il travagliato iter parlamentare di
approvazione della denunciata norma di legge, ed osservano come la
verifica della sussistenza di esigenze organizzative e, segnatamente,
di ordinato avvio dell’attività dell’Ente pubblico economico
costituisca elemento imprescindibile di valutazione della
legittimità della norma. La quale, condotta sulla base di elementi
oggettivi, porta viceversa inevitabilmente ad escludere la
sussistenza delle asserite esigenze di ordinato avvio dell’Ente, ed
anche la prevalenza di tali esigenze rispetto agli effetti
ingiustificatamente premiali della normativa, che si traduce
nell’affermazione di un valore giuridico negativo, mediante una
legittimazione degli arbitrii commessi e nella sostanziale negazione
dei canoni di razionale e coerente attività di amministrazione
espressi dall’art. 97 della Costituzione.
Aggiungono le parti che la sanatoria, con conseguente
legittimazione ex tunc delle nomine illegittimamente attribuite,
determina indirettamente anche l’effetto di comprimere il diritto
degli originari ricorrenti di domandare ed ottenere la tutela degli
interessi legittimi lesi, sottraendo di fatto all’esame del Consiglio
di Stato le vertenze attualmente in corso.
4. – Si sono costituiti anche gli appellanti del giudizio a quo,
concludendo per l’inammissibilità ovvero per l’infondatezza della
sollevata questione. Osservano essi che il legislatore nella sua
discrezionalità ha operato – conformemente ai canoni di una
razionale e coerente attività di amministrazione – un bilanciamento
tra l’esigenza preminente di un ordinato avvio dell’attività del
nuovo ente, mediante l’eliminazione di questioni relative a vicende
aventi origini remote, e le posizioni, correttamente ritenute
recessive, di “un numero limitatissimo di aspiranti dirigenti” (quali
i ricorrenti in primo grado). Per cui, la prevalenza dell’interesse
pubblico rispetto alle situazioni di natura meramente privata, oltre
a comportare la inconfigurabilità del denunciato vulnus al canone
del buon andamento della pubblica amministrazione, consente di
ritenere altrettanto infondate le ulteriori censure riferite agli
artt. 24 e 113 della Costituzione.
Nell’imminenza dell’udienza gli stessi appellanti hanno depositato
memoria, in cui insistono nel chiedere la declaratoria di
inammissibilità o quantomeno di infondatezza della sollevata
questione, facendo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale la violazione dell’art. 97 della Costituzione, sotto
il profilo del buon andamento, non può essere lamentata se non
quando si assuma l’arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza
(nella specie insussistenti) rispetto al fine indicato nel precetto
costituzionale. La questione, dunque, avrebbe sostanzialmente ad
oggetto l’esistenza o meno di “esigenze organizzative non altrimenti
fronteggiabili”, l’esame delle quali comporterebbe un giudizio
consistente in una valutazione “esterna” del merito di scelte
legislative ampiamente discrezionali, come tale sottratto al
sindacato di costituzionalità.
Quanto alla conformità della denunciata normativa agli altri
parametri costituzionali evocati dal rimettente (artt. 24 e 113 della
Costituzione), esse osservano che il principio dell’inviolabilità
della tutela giurisdizionale non comporta necessariamente che il
cittadino possa conseguire la protezione giudiziaria sempre nella
medesima maniera, né vieta che la legge ordinaria possa regolarne il
modo di esercizio. In proposito, esse ricordano che questa Corte ha
affermato che (dovendo essere contemperato con altri valori
costituzionalmente rilevanti) il diritto di difesa può venire
legittimamente limitato dal legislatore, così come nella specie, in
cui appare assolutamente preminente la sussistenza dell’interesse
pubblico, che esclude la rilevanza di altri princìpi, recessivi
rispetto al primo in quanto istituzionalmente volti alla tutela di
interessi privati.
1. – Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 15, comma 1, della legge 21 dicembre 1996, n. 665, in
quanto dispone che restano validi gli atti ed i provvedimenti
adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti
giuridici sorti sulla base, tra l’altro, del decreto-legge 20
settembre 1996, n. 490 – che, a sua volta, nell’art. 8, comma 7,
prevedeva la convalida a tutti gli effetti, fra l’altro, delle
posizioni giuridiche ed economiche attribuite al personale
dirigenziale ai sensi dell’art. 107, comma secondo, del regolamento
del personale dell’Azienda autonoma di assistenza al volo e al
traffico aereo generale (A.A.A.V.T.A.G.), approvato con d.P.R. 7
aprile 1983, n. 279.
Secondo il rimettente, la denunciata normativa si pone in
contrasto:
a) con l’art. 97, primo comma della Costituzione, in mancanza di
un carattere “strategico” della censurata sanatoria, non potendosi
considerare le obiettive esigenze d’un ordinato avvio dell’attività
del neoistituito Ente pubblico economico prevalenti rispetto agli
effetti ingiustificatamente premiali che dalla normativa in esame
derivano a favore dei beneficiari di provvedimenti già dichiarati
giurisdizionalmente illegittimi in primo grado;
b) con gli artt. 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma
della Costituzione, stante la totale compressione del diritto dei
ricorrenti a domandare la tutela degli interessi legittimi che essi
pretendono lesi da quegli atti della pubblica amministrazione che il
legislatore ha ritenuto di convalidare, così realizzandosi una
violazione del diritto di agire, nel contesto di una sostanziale
vanificazione della via giurisdizionale.
2. – Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità
per irrilevanza della sollevata questione, che l’Avvocatura dello
Stato ha mosso assumendo la non rituale impugnazione, da parte dei
ricorrenti (appellanti incidentali nel giudizio a quo), della
delibera di convalida delle posizioni giuridiche ed economiche
attribuite al personale dirigenziale, adottata dall’Ente nel 1996, in
corso di causa ed a séguito dell’emanazione della normativa oggetto
del presente scrutinio di costituzionalità.
Il Consiglio di Stato, con ampia motivazione sullo specifico punto,
ha ritenuto:
a) che – in quanto sancita direttamente a livello normativo
primario – la convalida delle nomine in contestazione sia
suscettibile di spiegare effetto autonomo sulle posizioni economiche
e giuridiche degli interessati, indipendentemente dall’adozione in
sede amministrativa di qualsivoglia atto conseguenziale (avente
peraltro natura meramente ricognitiva);
b) che la sanatoria ex tunc renda l’atto, oggetto del giudizio in
corso, inattaccabile sul piano amministrativo e giurisdizionale, non
residuando pertanto alcun interesse concreto dei ricorrenti di
insistere per la conferma dell’annullamento delle nomine impugnate.
Trattasi di motivazione tutt’altro che priva di plausibilità e,
quindi, sottratta al sindacato di questa Corte, la quale ha
ripetutamente affermato che il controllo sull’ammissibilità della
questione potrebbe far disattendere la premessa da cui muove il
rimettente, nel ritenere applicabile la norma denunciata, soltanto se
tale premessa dovesse risultare palesemente arbitraria, ovvero
l’interpretazione accolta si palesasse del tutto non plausibile
(cfr., da ultimo, le sentenze n. 211 e n. 51 del 1998).
Alla stregua delle stesse considerazioni, è da ritenere infondata
anche l’ulteriore eccezione d’inammissibilità per irrilevanza della
questione, mossa dai ricorrenti-appellati (nel giudizio a quo), sotto
il diverso profilo che la denunciata normativa non produrrebbe alcun
effetto giuridico sulle posizioni dei controinteressati.
3. – Nel merito la questione è fondata.
3.1. – Prefiggendosi in via definitiva la privatizzazione
dell’A.A.A.V.T.A.G., destinata a divenire – secondo il disposto
dell’art. 2 della legge 3 agosto 1995, n. 251 – una società per
azioni, il legislatore ha ritenuto “indispensabile, ai fini di un
completo raggiungimento degli obiettivi di funzionalità e di
efficienza, procedere ad un passaggio intermedio rappresentato dalla
costituzione di un ente pubblico economico che (potesse assorbire) in
via transitoria le funzioni già svolte dall’Azienda ed (assicurare)
un graduale adeguamento delle procedure operative, tecniche ed
amministrative” (v. relazione al disegno di legge n. 2709, presentato
alla Camera dei deputati dal Ministro dei trasporti e della
navigazione in data 15 novembre 1996).
La temporanea trasformazione dell’Azienda autonoma in ente di
diritto pubblico economico era stata disciplinata da una serie di
decreti-legge (25 novembre 1995, n. 497, 24 gennaio 1996, n. 29, 25
marzo 1996, n. 153, 25 maggio 1996, n. 284, 22 luglio 1996, n. 387 e
20 settembre 1996, n. 490), tutti non convertiti ma reiterati
pressoché con identico contenuto dispositivo, fatta eccezione per i
due ultimi. Nel decreto-legge n. 387 del 1996, infatti, veniva per la
prima volta sancita la convalida a tutti gli effetti delle posizioni
giuridiche ed economiche attribuite al personale dell’A.A.A.V.T.A.G.
col primo inquadramento operato nell’anno 1983 e successivamente in
forza degli accordi applicativi del contratto collettivo nazionale di
lavoro 1988-1990 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri in data 20 ottobre 1988, intervenuti tra l’A.A.A.V.T.A.G. e
le organizzazioni sindacali il 12-14 novembre 1988, il 29 aprile 1989
e il 3 aprile 1990 (art. 8, comma 7). Nel decreto-legge n. 490 del
1996, poi, a tale previsione si aggiungeva la convalida delle
posizioni giuridiche ed economiche attribuite al personale
dirigenziale ai sensi dell’art. 107, comma secondo, del regolamento
del personale dell’A.A.A.V.T.A.G., approvato con d.P.R. n. 279 del
1983 (art. 8, comma 7).
La legge n. 665 del 1996, infine, dopo aver disciplinato la
summenzionata trasformazione, ha a sua volta disposto, col denunciato
art. 15, comma 1, la validità degli atti e dei provvedimenti
adottati nonché la salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti
giuridici sorti sulla base della pregressa decretazione d’urgenza, in
particolare – per quanto qui interessa – del decreto-legge n. 490 del
1996.
3.2. – Il rimettente ha ravvisato in detta disposizione una vera e
propria norma di sanatoria, incidente in modo diretto e immediato
sulle posizioni dei soggetti coinvolti nel giudizio a quo, con un
effetto di definitivo consolidamento dei provvedimenti oggetto
d’impugnazione, perciò considerati non più contestabili in sede
giurisdizionale.
A tale risultato egli è pervenuto attraverso un’interpretazione –
da lui ritenuta come unica possibile a stregua dei criteri
ermeneutici indicati dall’art. 12, primo comma, delle disposizioni
sulla legge in generale -, cui ha proceduto dando all’inequivoco
testo letterale un senso conforme all’intenzione del legislatore,
così come risultante anche dai lavori preparatori. Sulla base di
essa va dunque condotto il richiesto scrutinio di costituzionalità
della disposizione stessa.
3.3. – Questa Corte ha più volte avuto occasione di chiarire che
le leggi di sanatoria non sono costituzionalmente precluse in via di
principio ma che, tuttavia, trattandosi di ipotesi eccezionali, la
loro giustificazione dev’essere sottoposta a uno scrutinio
particolarmente rigoroso. Aggiungendo che l’intervento legislativo in
sanatoria può “essere ragionevolmente giustificato soltanto dallo
stretto collegamento con le specifiche peculiarità del caso”
(sentenza n. 94 del 1995), così da doversi “escludere che possa
risultare arbitraria la sostituzione della disciplina generale –
originariamente applicabile – con quella eccezionale successivamente
emanata” (sentenza n. 100 del 1987; cfr. anche sentenze n. 402 del
1993, n. 346 del 1991 e 474 del 1988, oltre alla già citata n. 94
del 1995).
Ebbene, la denunciata norma non è tale da superare codesto
scrutinio di legittimità costituzionale; cui questa Corte ritiene di
dover procedere muovendo dalla considerazione delle ragioni che
risultano dall’iter legislativo sboccato in essa.
3.4. – Da osservare anzitutto è che, secondo quanto sopra
riferito, la sanatoria in oggetto compare soltanto nell’ultimo della
serie di decreti non convertiti, in virtù di un’aggiunta all’art. 8,
comma 7, del precedente decreto-legge n. 387 del 1996. Come nota il
giudice a quo, la relativa disposizione riproduce il testo d’un
emendamento di iniziativa parlamentare riferito a quest’ultimo
decreto, ed è stata introdotta senza che la relazione al disegno di
legge di conversione ne chiarisse la ratio e la portata. In sede
referente dello stesso disegno di legge, tuttavia, la IX Commissione
permanente della Camera dei deputati approvò due emendamenti
soppressivi di essa, proponendoli all’Assemblea, che però non ebbe
modo di passare all’esame del provvedimento.
Durante i lavori parlamentari della legge n. 665 del 1996, poi,
venne presentato uno specifico emendamento (il n. 15221), accettato
dalla Commissione ma non anche dal Governo, per sopprimere la norma
di salvezza della convalida come sopra disposta. Esso, tuttavia,
nella seduta del 9 dicembre 1996 venne respinto, su conforme parere
del Governo, dall’Assemblea, che ha approvato definitivamente la
norma nel testo ora denunciato dal giudice a quo.
In proposito è da rilevare che alle numerose e puntuali critiche
provenienti da tutti gli schieramenti politici, oltre che dallo
stesso relatore, sull’opportunità di una sanatoria concernente anche
l’art. 8, comma 7, del decreto-legge n. 490 del 1996 (v., in
particolare, il verbale della seduta del 25 novembre 1996 della IX
Commissione permanente della Camera), venne contrapposta soltanto la
dichiarazione dell’intento di evitare – in ossequio ad un asserito
criterio generale, secondo cui si fanno sempre salvi gli effetti d’un
decreto-legge non convertito – che persone le quali avessero ottenuto
qualcosa in base alla decretazione d’urgenza dovessero
successivamente perderla (v. verbale della seduta della Camera del 9
dicembre 1996).
Trattasi, all’evidenza, di una motivazione cui rimane completamente
estranea la ricerca della realizzazione d’un interesse generale
correlato ad imprescindibili esigenze organizzative non altrimenti
fronteggiabili del neoistituito ente, o comunque connesso al
raggiungimento degli obiettivi di funzionalità e di efficienza. La
sola ratio rinvenibile nella normativa appare quella della sanatoria
per se stessa, concretantesi nella stabilizzazione di situazioni già
accertate come illegittime in via giurisdizionale, al di fuori d’ogni
rapporto strumentale con la struttura e le finalità dell’ente (cfr.
sentenza n. 1 del 1996). Una sanatoria non giustificata neppure
dalla necessità di consolidare posizioni acquisite o risalenti nel
tempo (cfr. sentenze n. 659 del 1994 e n. 236 del 1992), visto che –
come sottolinea il rimettente – datavano da soli tre anni le nomine
annullate dal TAR del Lazio, riguardanti “un numero esiguo di
dirigenti non apicali, oltretutto addetti a un comparto non
operativo”, ed affette da vizi non solo formali ma anche sostanziali.
Essa si connota, dunque, unicamente come legittimazione di quanto
attribuito in modo illegittimo a determinati soggetti, con effetti
premiali palesemente non giustificati: rimanendo, così, compromesso
in radice lo stesso scrutinio di cui s’è detto, poiché la
constatata negazione di una razionale e coerente attività di
amministrazione, oltre a costituire un esempio di “diseducazione
civile” (sentenza n. 16 del 1992), non può rappresentare un termine
di bilanciamento e comparazione con gli altri valori che essa
coinvolge ai fini della verifica del rispetto del principio di buon
andamento.
3.5. – La denunciata norma è pertanto da dichiarare contrastante
con l’art. 97 della Costituzione; restando assorbiti i profili
relativi agli altri parametri evocati dal rimettente.
4. – La conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale,
tuttavia, dev’essere limitata alla convalida delle posizioni
giuridiche ed economiche attribuite ex art. 107, secondo comma, del
regolamento approvato con d.P.R. n. 279 del 1983, delle quali si
controverte nel giudizio a quo. Tale convalida, infatti, operata
dall’art. 8, comma 7, del decreto-legge n. 490 del 1996, resta ferma,
nonostante la mancata conversione di detto decreto, solo in virtù
della clausola di salvezza contenuta nella denunciata norma della
legge n. 665 del 1996, la quale, appunto, va dichiarata
costituzionalmente illegittima in parte qua (cfr. anche sentenze n.
211 del 1997 e n. 84 del 1996).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1,
della legge 21 dicembre 1996, n. 665 (Trasformazione in ente di
diritto pubblico dell’Azienda autonoma di assistenza al volo per il
traffico aereo generale), nella parte in cui dispone che restano
validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli
effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del
decreto-legge 20 settembre 1996, n. 490, limitatamente alla convalida
– ivi prevista – delle posizioni giuridiche ed economiche attribuite
ai sensi dell’art. 107, comma secondo, del regolamento del personale
dell’A.A.A.V.T.A.G., approvato con d.P.R. 7 aprile 1983, n. 279.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola