Sentenza N. 140 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1977
Data deposito/pubblicazione
06/12/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/11/1977
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof.
LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
seguito:
a) della lettera 7 aprile 1975, n. 1/4C-91 del Commissario del
Governo per la Regione Friuli- Venezia Giulia, avente ad oggetto
“autorizzazione agli acquisti degli enti locali”,
b) dei decreti 20 luglio e 25 agosto 1976 del Comitato provinciale
di controllo, con i quali il Comune di Gorizia veniva autorizzato ad
acquistare due appezzamenti di terreno; giudizi promossi
rispettivamente con ricorsi del Presidente della Regione Friuli-Venezia
Giulia, notificato il 6 giugno 1975 e depositato in cancelleria il 23
successivo, e del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il
16 novembre 1976 e depositato in cancelleria il 26 successivo, iscritti
al n. 21 del registro 1975 e al n. 37 del registro 1976.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri e della Regione Friuli- Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 1977 il Giudice relatore
Livio Paladin;
uditi l’avv. Gaspare Pacia per la Regione Friuli- Venezia Giulia,
ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con atto notificato il 6 giugno 1975, il Presidente della
Regione Friuli-Venezia Giulia ha proposto ricorso per conflitto di
attribuzione, impugnando la nota del 7 aprile 1975, n. 1/4C-91, nella
quale il Commissario del Governo presso quella Regione sosteneva la
competenza statale in materia di autorizzazioni agli acquisti
effettuati, a titolo oneroso o gratuito, dai Comuni, dalle Province e
dai loro consorzi.
La nota precisava che la Presidenza del Consiglio dei ministri
aveva deciso di discostarsi dall’orientamento precedentemente assunto
in conformità del parere 30 agosto 1967, numero 1797, della I Sezione
del Consiglio di Stato, per cui si riconosceva la competenza della
Regione Friuli-Venezia Giulia ad adottare i provvedimenti
autorizzativi; e ciò a seguito della sentenza 16 maggio 1973, n. 62
della Corte costituzionale, che aveva affermato la spettanza allo Stato
del potere di autorizzare Comuni e Province ad acquistare beni immobili
e ad accettare lasciti e donazioni. Sebbene tale sentenza riguardasse
un conflitto fra lo Stato ed una Regione a statuto ordinario, la nota
sosteneva che le argomentazioni della Corte non potevano non applicarsi
nei confronti delle stesse Regioni a statuto speciale. Pertanto la nota
concludeva che l’esercizio del potere di autorizzare gli acquisti dei
Comuni, delle Province e dei loro consorzi doveva venire riassunto dai
competenti organi dello Stato, senza che occorresse integrare o
modificare le relative norme di attuazione dello Statuto regionale
(d.P.R 26 giugno 1965, n. 960).
A sostegno del suo ricorso, il Presidente della Giunta regionale
rileva viceversa che la Regione Friuli-Venezia Giulia ha
ininterrottamente esercitato il potere autorizzativo in questione,
sulla base degli artt. 5, nn. 4, 5, e 60 dello Statuto regionale (legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), nonché delle corrispondenti
norme di attuazione (d.P.R. nn. 959 e 960 del 1965), quali sono state
interpretate dal ricordato parere della I Sezione del Consiglio di
Stato. In particolare, il ricorso assume che la Regione Friuli-Venezia
Giulia si troverebbe in una posizione diversa da quella spettante alle
Regioni ordinarie: sia perché l’art. 60 St. le conferisce
genericamente il “controllo sugli atti degli enti locali”, senza fare
menzione dei controlli tipici “di legittimità” e “di merito”, cui si
riferisce invece l’art. 130 Cost.; sia perché la Regione
Friuli-Venezia Giulia dispone di altre peculiari competenze,
concernenti il regime dei Comuni e delle Province, sia, finalmente,
perché la normativa contenuta nei d.P.R. nn. 959 e 960 del 1965
sarebbe essenzialmente unica e tale da riservare allo Stato- secondo
l’espressa previsione dell’art. 8 del d.P.R. n. 959-le sole
autorizzazioni all’accettazione di lasciti e donazioni da parte delle
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Su questa base il
ricorso conclude chiedendo che si riaffermi la competenza regionale in
materia e che si annulli la nota impugnata.
2. – Si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, resistendo al ricorso della Regione. L’atto di costituzione
ribadisce che le motivazioni della sentenza n. 62 del 1973 sarebbero
inconciliabili con la tesi regionale della dimensione puramente locale
del fenomeno degli acquisti effettuati dai Comuni e dalle Province,
come pure con l’idea che le relative autorizzazioni siano riconducibili
agli ordinari controlli di merito. Al contrario, il potere
autorizzativo non avrebbe riguardo alla funzionalità degli enti
territoriali minori, bensì risponderebbe ad esigenze di carattere
generale, accomunanti persone giuridiche di ogni tipo ed estrazione; e
ricadrebbe perciò nella competenza istituzionale dello Stato.
La difesa della Regione ha quindi depositato una memoria, in cui si
argomenta che il d.P.R. n. 960 del 1965 avrebbe trasferito alla Regione
la generalità dei controlli, tipici ed atipici, ivi comprese le
autorizzazioni agli acquisti degli enti locali.
3. – Con atto notificato il 16 novembre 1976, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha proposto a sua volta ricorso per conflitto di
attribuzione, impugnando due decreti rispettivamente datati 20 luglio e
25 agosto 1976, pervenuti alla Presidenza del Consiglio il 17 settembre
ed il 5 ottobre del medesimo anno, con i quali il Comitato provinciale
di controllo autorizzava il Comune di Gorizia ad acquistare altrettanti
appezzamenti di terreno. Il ricorso assume l’invasione di una
competenza che dovrebbe ritenersi riservata allo Stato, secondo i
criteri fissati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 62 del
1973.
Si è costituita nel giudizio la Regione Friuli- Venezia Giulia,
insistendo anche a questi effetti nelle tesi già esposte.
1. – Tanto il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, quanto
quello proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, hanno per
oggetto la spettanza del potere di autorizzare gli acquisti di immobili
e le accettazioni di lasciti e donazioni da parte dei Comuni, delle
Province e dei loro consorzi, nell’ambito della Regione stessa.
Pertanto i due conflitti si prestano ad essere congiuntamente risolti.
2. – Nel merito, è incontestato che tali autorizzazioni sono state
finora concesse dagli organi della Regione esercitanti il controllo
sugli atti degli enti locali. In questo senso, infatti, il d.P.R. n.
960 del 1965, che ha dettato le norme di attuazione dello Statuto
speciale in materia di controlli sogli atti delle Province, dei Comuni
e dei loro consorzi, è stato interpretato sia dalla Regione sia dallo
Stato: dalla Regione, che sin dall’inizio ha proclamato – mediante
l’art. 38 legge reg. 2 marzo 1966, n. 3 – l'”esclusività dei controlli
regionali”, fatta eccezione per quanto altrimenti disposto dai decreti
presidenziali n. 959 e n. 960 del 1965; e dallo Stato stesso, non
appena la I Sezione del Consiglio di Stato, su richiesta della
Presidenza del Consiglio dei ministri, ha espresso il ricordato parere
30 agosto 1967, n. 1797.
Il problema che si pone a questo punto – per effetto della nota
commissariale del 7 aprile 1975, che ha dato origine agli attuali
conflitti – è se l’iniziale riparto delle attribuzioni sia stato
implicitamente contraddetto e superato dalla sentenza n. 62 del 1973,
con cui questa Corte ha riconosciuto alla competenza degli organi
statali le autorizzazioni degli acquisti effettuati dagli enti
territoriali minori, nell’ambito delle Regioni di diritto comune; o se
non si debba, viceversa, riconoscere in tal campo alla Regione
Friuli-Venezia Giulia una posizione particolare e privilegiata, tale
che quella giurisprudenza non potrebbe venirle riferita.
3. – Per affrontare la questione, non è determinante il ricorso
agli artt. 5, nn. 4 e 5, e 60 del relativo Statuto speciale, cui s’è
richiamata la difesa della Regione: dal momento che le generiche
previsioni statutarie di una competenza regionale propria, in tema di
“disciplina dei controlli previsti nell’articolo 60”, di “ordinamento e
circoscrizione dei Comuni”, di “controllo sugli atti degli enti
locali”, da un lato non valgono e dall’altro non bastano a definire la
sorte del potere autorizzativo in esame.
Risolutivo è invece il confronto fra le norme statali che hanno
rispettivamente regolato i controlli sugli enti locali, in attuazione
dell’art. 130 della Costituzione e dell’art. 60 dello Statuto del
Friuli-Venezia Giulia. Da una parte, gli articoli 59 e 60 della legge
10 febbraio 1953, n. 62, hanno affidato agli appositi organi regionali
“il controllo di legittimità deferito al Prefetto ed alla Giunta
provinciale amministrativa”, nonché la richiesta di riesame delle
deliberazioni già sottoposte all’approvazione della Giunta medesima;
sicché, su questa base, la Corte ha potuto affermare – nella sentenza
n. 62 del 1973-che alle Regioni sono stati conferiti i soli controlli
“per antonomasia”, aventi un carattere generale e tipico, ferma
restando allo Stato la spettanza dei controlli particolari ed atipici,
quali le autorizzazioni agli acquisti degli enti locali. D’altra parte,
l’art. 1 del d.P.R. n. 960 del 1965 ha invece stabilito il principio
che “i controlli sugli atti delle Province, dei Comuni e dei loro
consorzi” rientrino nella competenza dell’Amministrazione regionale,
sia che spettassero “al Prefetto, alla Giunta provinciale
amministrativa ed al Consiglio di prefettura”, sia che fossero svolti
dagli “organi governativi centrali”. E già da questo esordio si può
dunque desumere – come ha chiarito a suo tempo la I Sezione del
Consiglio di Stato – che nello speciale ordinamento della Regione
Friuli- Venezia Giulia non vi è spazio per una sistematica
contrapposizione fra controlli tipici e controlli atipici, gli
uniattribuiti alla Regione stessa, gli altri tuttora assegnati – per lo
meno in via di massima – alle competenti autorità dello Stato.
Che la generalità dei controlli sugli atti degli enti locali,
larghissimamente concepiti, ricada comunque fra le attribuzioni
regionali, è poi confermato dalle successive previsioni del d.P.R. n.
960. Nel configurare una serie di eccezioni al principio informatore
dell’art. 1, tali norme considerano infatti – con l’intento di colmare
ogni lacuna – non solo certe forme di controllo atipico, ma anche
talune funzioni di amministrazione attiva, in quanto collegate od
interferenti con i controlli regionali. Così, specialmente, l’art. 3,
primo comma, precisa che “gli organi statali continuano ad esercitare
il controllo sugli atti relativi ai servizi di interesse generale dello
Stato…”; l’art. 3, terzo comma, dispone che “restano ferme le
attribuzioni surrogatorie demandate al Prefetto per l’adozione delle
ordinanze contingibili ed urgenti in materia di edilizia, polizia
locale ed igiene”; l’art. 4, primo comma, ritiene addirittura
necessario ribadire che spettano agli organi dello Stato i controlli
sugli organi dei Comuni e delle Province; l’art. 5, secondo comma,
affida ancora allo Stato “i provvedimenti di costituzione,
modificazione ed estinzione” dei consorzi fra Comuni e Province; l’art.
6, secondo comma, fa salve “le attribuzioni che le leggi vigenti
demandano… alla Commissione centrale per la finanza locale”. Ed è
abbastanza evidente che queste ed altre simili riserve sarebbero state
superflue (o controproducenti) qualora il d.P.R. n. 960 si fosse
ispirato al criterio di conservare allo Stato – in linea di principio –
l’insieme dei controlli cosiddetti atipici.
D’altra parte, se l’autorizzazione agli acquisti dei Comuni e delle
Province non figura in questo dettagliato elenco di competenze statali
attinenti ai controlli sugli enti locali, ciò non è imputabile ad
un’accidentale dimenticanza del legislatore. Nell’art. 8 del d.P.R. 26
giugno 1965, n. 959, elaborato ed emanato contemporaneamente al d.P.R.
n. 960, si dispone in modo espresso, quanto alle istituzioni pubbliche
di assistenza e beneficenza operanti nella Regione Friuli-Venezia
Giulia, che “nulla è innovato circa le competenze degli organi statali
previsti dalla legge 21 giugno 1896, n. 218, e dal regolamento
approvato con regio decreto 26 luglio 1896, n. 361, per l’accettazione
di lasciti o donazioni”. Sicché la circostanza che le autorizzazioni
agli acquisti non vengano affatto menzionate, relativamente agli enti
territoriali ricompresi nella Regione medesima, concorre a far
concludere che le norme di attuazione dello Statuto speciale hanno
voluto coinvolgerle nel trasferimento dei poteri di controllo già
spettanti allo Stato.
4. – Né si può dire che le norme di attuazione, così ricostruite
ed applicate, trasferiscano alla Regione Friuli-Venezia Giulia poteri
che non le spetterebbero secondo i criteri seguiti da questa Corte
nella sentenza n. 62 del 1973. L’originaria ragion d’essere
dell’istituto dell’autorizzazione agli acquisti effettuati dagli enti
morali di qualunque specie consisteva, in verità, nel prevenire
fenomeni considerati pregiudizievoli di pubblici interessi, facenti
capo allo Stato ed all’intera collettività nazionale. Ma nei riguardi
degli enti territoriali minori (nonché delle istituzioni pubbliche di
beneficenza) la successiva evoluzione dell’istituto stesso ha avuto ed
ha di mira la soddisfazione di esigenze che sono almeno in parte
diverse e più specifiche, in quanto peculiari delle istituzioni
autorizzate: come si ricava con chiarezza dall’art. 2 del citato r.d.
26 luglio 1896, n. 361, per cui le amministrazioni interessate
all’acquisto di beni stabili a titolo corrispettivo sono tenute a
dimostrare – in particolar modo – “la sicurezza dell’acquisto”, “il
valore dello stabile da acquistare”, “la convenienza dell’acquisto e la
disponibilità dei mezzi”, anche in relazione all'”adempimento del fine
dell’ente”.
Coerentemente con tali premesse, la giurisprudenza della Corte si
è espressa nel senso che l’autorizzazione agli acquisti di immobili ed
all’accettazione di lasciti e donazioni da parte di enti locali, pur
essendo “qualitativamente diversa dagli ordinari controlli di merito”
cui si riferisce l’art. 130, secondo comma, Cost., rappresenti pur
sempre “una particolarissima figura di controlli” sugli atti degli enti
medesimi (secondo le affermazioni rispettivamente contenute nelle sent.
n. 62 del 1973 e n. 139 del 1972). Sotto questo aspetto, la funzione in
esame si trova pertanto in quel rapporto di “stretta connessione” con
altre funzioni di sicura spettanza regionale, in vista del quale si
giustifica l’integrazione delle competenze attribuite alle Regioni (ai
sensi del principio direttivo enunciato dall’art. 1, terzo comma, n. 1,
della legge 22 luglio 1975, n. 382). E le norme di attuazione del
relativo Statuto fanno appunto intendere che tale integrazione si è
verificata, limitatamente agli enti territoriali minori sottoposti al
controllo della Regione Friuli-Venezia Giulia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta alla Regione Friuli-Venezia Giulia il potere di
autorizzare i Comuni, le Province ed i loro consorzi all’acquisto di
beni immobili ed all’accettazione di lasciti e donazioni; ed in
conseguenza annulla la nota del 7 aprile 1975, n. 1/4C-91, con la quale
il Commissario del Governo presso la Regione stessa ha rivendicato il
predetto potere allo Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere