Sentenza N. 140 del 1979
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1979
Data deposito/pubblicazione
06/12/1979
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/11/1979
GIONFRTDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN –
Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
decreto legislativo luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 39 (Disciplina
del trattamento di riversibilità delle pensioni dell’assicurazione
obbligatoria per la invalidità e la vecchiaia) promossi con le
seguenti ordinanze:
1. – ordinanza emessa il 25 gennaio 1977 dal pretore di La Spezia
nel procedimento civile vertente tra Maggiani Miria e I.N.P.S.,
iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 107 del 20 aprile 1977;
2. – ordinanze emesse il 7 febbraio 1978 dal pretore di Brescia nei
procedimenti civili vertenti tra Bonichini Gemma e Bertoni Maria
Delfina e I.N.P.S., iscritte ai nn. 201 e 202 del registro ordinanze
1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del
21 giugno 1978;
3. – ordinanza emessa il 23 febbraio 1978 dal pretore di Ascoli
Piceno nel procedimento civile vertente tra Venegoni Teresa e I.N.P.S.,
iscritta al n. 256 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 215 del 2 agosto 1978;
4. – ordinanza emessa il 14 novembre 1978 dal pretore di Piacenza
nel procedimento civile vertente tra Cantarini Angela Maria e I.N.P.S.,
iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 80 del 21 marzo 1979;
5. – ordinanza emessa il 30 gennaio 1979 dal pretore di Grosseto
nel procedimento civile vertente tra Rotini Flavia e I.N.P.S., iscritta
al n. 293 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore
Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Angelini
Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Con numerose ordinanze di rimessione, emesse dai pretori di La
Spezia, di Brescia, di Ascoli Piceno, di Piacenza e di Grosseto ed
iscritte nel registro generale di questa Corte ai numeri 104 del 1977;
201,202,256 del 1978, e 35,293 del 1979, è stata sollevata, in
riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., questione incidentale di
legittimità costituzionale dell’art. 3, lett. a) del d.lg.luog. 18
gennaio 1945, n. 39, secondo cui le figlie del pensionato della
previdenza sociale perdono il diritto alla pensione di riversibilità
nel caso di susseguente matrimonio.
Premesso che la pensione di riversibilità spetta alle figlie
inabili al lavoro che al momento della morte dell’assicurato o del
pensionato risultino ancora a carico dei medesimi – l’ulteriore
requisito della condizione di nubile essendo stato dichiarato
illegittimo con sentenza di questa Corte n. 164 del 1975 – i giudici a
quibus censurano l’impugnato disposto normativo per la parte in cui
stabilisce, pur dopo la sentenza ora citata, che in caso di matrimonio
successivo alla morte del pensionato o dell’assicurato, la figlia perda
il già acquisito diritto alla pensione di riversibilità.
Osservano i giudici a quibus che gli argomenti svolti da questa
Corte nella citata decisione dovrebbero condurre alla declaratoria
d’illegittimità costituzionale della norma oggi impugnata, giacché in
quella occasione la Corte dichiarò l’illegittimità dell’art. 2 dello
stesso d.lg.luog. n. 39 del 1945, nella parte in cui escludeva dalla
pensione di riversibilità le figlie maritate, pur se riconosciute
inabili al lavoro ed ancora a carico del genitore al momento del
decesso di quest’ultimo. Analoga disposizione caducatoria non
sussisteva né sussiste per i figli titolari di pensione di
riversibilità, né sarebbe determinante, ai fini della censurata
revoca, il momento in cui le figlie abbiano contratto matrimonio, se
prima o dopo il decesso del genitore.
Alcune delle ordinanze di rimessione soggiungono che la norma è
conforme ad una realtà sociale e giuridica superata dal tempo, quella
secondo cui la figlia, sposandosi, perderebbe la pensione perché
l’obbligo del suo mantenimento passa a carico del marito; per converso
il figlio che, con il matrimonio, assumeva l’obbligo di mantenere la
moglie, conservava la pensione, concorrendo gli altri requisiti.
Con l’entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia, secondo cui
entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie
sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo,
a contribuire ai bisogni della famiglia, e della legge 903 del 1977,
recante norme sulla assoluta parità tra uomini e donne in materia di
lavoro, la disposizione impugnata non avrebbe più il suo fondamento
sociale e razionale, e risulterebbe illegittima perché la diversità
di disciplina che ne deriva, rispettivamente per i figli maschi o
femmine, contrasterebbe inevitabilmente con l’art.3 Cost. risultando
fondata soltanto sulla distinzione dei sessi.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato,
con atti di deduzioni depositati rispettivamente il 10 maggio 1977,
l’11 luglio 1978; il 17 agosto 1978; il 10 aprile 1979; 10 luglio 1979,
chiedendo dichiararsi l’infondatezza della questione proposta.
Osserva la difesa dello Stato che i mutamenti legislativi
richiamati da taluni dei giudici a quibus appaiono ininfluenti nel caso
di specie. L’art. 143 nuovo testo del c.c. fa riferimento alle sostanze
e alla capacità professionali dei coniugi, mentre il presupposto della
pensione di riversibilità è proprio l’assenza di sostanze e
l’inabilità al lavoro; per lo stesso motivo la legge 903 del 1977 non
è produttiva di effetti nella fattispecie che concerne i soli inabili
al lavoro.
La difesa dello Stato contesta che i motivi posti a fondamento
della decisione 164 del 1975 della Corte valgano a dimostrare
l’illegittimità della norma oggi impugnata. Invero nella specie allora
esaminata, la Corte rilevò che il matrimonio della figlia – permanendo
le altre condizioni per l’acquisto della pensione di riversibilità –
non poteva costituire elemento discriminativo diretto ad impedire il
diritto alla pensione perché inidoneo, in sé e per sé considerato,
ad escludere la vivenza a carico del genitore della figlia maritata,
che anzi, nonostante le precedenti nozze, a seconda delle condizioni
fisiche ed economiche del marito, poteva permanere a carico
dell’assicurato o del pensionato al momento del suo decesso.
In tal caso appariva non razionale “che il figlio abbia
riconosciuto il diritto e possa provare (la propria inabilità al
lavoro e) la detta vivenza a carico, e che invece lo stesso diritto sia
negato alla figlia e questa tale prova utilmente non possa fornire”
(cit. sentenza n. 164/75).
Prosegue l’Avvocatura Generale rilevando che, in ogni caso, è il
marito che deve provvedere al mantenimento della moglie inabile al
lavoro e priva di sostanze; che nella normalità dei casi, ancor oggi,
l’obbligo di contribuire alla necessità della famiglia grava
principalmente sul marito e non sulla moglie; che la citata sentenza
della Corte consente al massimo di distinguere tra i casi in cui il
susseguente matrimonio avvenga con un marito idoneo o non idoneo ad
assumere a suo carico la moglie. Da ciò l’infondatezza della questione
così come prospettata.
1. – Le sei ordinanze prospettano la medesima questione, sicché i
relativi giudizi vanno riuniti e definiti con unica sentenza.
2. – La Corte è chiamata a decidere se contrasti o meno con il
principio costituzionale d’eguaglianza, l’art. 3 lett. a) del
d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, secondo cui il diritto a pensione di
riversibilità dell’I.N.P.S., spettante, nel concorso dei requisiti di
legge, alle figlie dell’assicurato o del pensionato defunto, cessa per
effetto di susseguente matrimonio. Si dubita infatti che ciò realizzi
un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei figli
maschi, i quali, perdurandone i presupposti, mantengono la pensione di
riversibilità in caso di matrimonio.
3. – La questione è fondata.
Le ordinanze di rimessione richiamano, a sostegno della
illegittimità della norma oggi impugnata, le argomentazioni svolte
dalla Corte nella sentenza n. 164 del 1975, con la quale venne
dichiarata l’illegittimità dell’art. 2, secondo comma, del d.lg.luog.
18 gennaio 1945, n. 39, che richiedeva, ai fini dell’acquisizione della
pensione di riversibilità per la figlia maggiorenne l’ulteriore
qualità di nubile, oltre ai requisiti, comuni ai figli maschi, di
inabilità al lavoro e di vivenza a carico del genitore al momento del
suo decesso. Tale illegittimità è stata dichiarata dalla Corte
proprio per eliminare una condizione diversificatrice tra orfane ed
orfani, fondata esclusivamente sulla differenza di sesso.
La disposizione oggi censurata egualmente distingue tra orfani ed
orfane giacché, una volta che sia stata riconosciuta la titolarità
della pensione di riversibilità, commina la perdita di essa per
susseguente matrimonio a carico della figlia e non del figlio. La
norma, cosi discriminando, presuppone in maniera evidente che l’orfano,
inabile al lavoro, titolare di pensione di riversibilità, deve
conservare tale diritto ove si sposi per poter mantenere la moglie e la
famiglia che viene a costituire. Viceversa il legislatore dell’epoca
ritenne che l’orfana che fosse passata a nozze sarebbe stata mantenuta
dal marito e quindi dovesse perdere la precedente pensione. Tale
differenziazione non trova più giustificazione nella attuale realtà
giuridica e sociale. Dopo l’entrata in vigore del nuovo diritto di
famiglia e della legge 903 del 1977, i rapporti patrimoniali tra
coniugi sono radicalmente mutati, essendo improntati a criteri di
parità.
Comunque, ai fini del decidere assume rilievo determinante la
circostanza che il figlio che si sposa mantiene la pensione di
riversibilità, qualunque siano le capacità patrimoniali e lavorative
della moglie, mentre la figlia perde in ogni caso tale diritto per
susseguente matrimonio. È quindi evidente che la denunciata disparità
di trattamento, essendo fondata meramente sulla diversità del sesso,
risulta costituzionalmente illegittima, alla stregua della costante
giurisprudenza di questa Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 lett. a) del
d.lg.luog. 18 gennaio 1945, n. 39, nella parte in cui prevede la
perdita della pensione di riversibilità alle figlie quando contraggono
matrimonio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere