Sentenza N. 141 del 1979
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1979
Data deposito/pubblicazione
06/12/1979
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/11/1979
GIULTO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
terzo, del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito nella legge 30
novembre 1973, n. 766, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1978
dal TAR per il Friuli- Venezia Giulia, sul ricorso di Guglielmucci Lino
contro l’Università degli studi di Trieste, iscritta al n. 277 del
registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 1979 il Giudice relatore
Oronzo Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Il prof. Lino Guglielmucci, magistrato di tribunale, in servizio
presso il tribunale civile e penale di Trieste e, nel contempo,
professore incaricato di diritto commerciale presso la facoltà di
Economia e Commercio dell’Università della stessa città, – a far
tempo dall’anno accademico 1969-70 e ininterrottamente fino all’anno
accademico in corso – adiva il tribunale amministrativo regionale del
Friuli-Venezia Giulia con atto notificato all’Università di Trieste in
data 18 gennaio 1977.
Esponeva il docente che la detta Università non gli aveva mai
corrisposto l’assegno pensionabile previsto dall’art. 12, comma primo,
del d.l. n. 580 del 1973, poi convertito nella legge n. 766 del 1973,
pari a lire 1.300.000 annue lorde, e ciò in applicazione del terzo
comma dell’articolo citato, che prevede che il detto assegno non è
cumulabile con i trattamenti economici onnicomprensivi, quale quello di
cui esso deducente gode in ragione della sua qualifica di magistrato.
A sostegno della richiesta di corresponsione dell’assegno in
parola, il ricorrente adduceva la illegittimità costituzionale della
norma di cui al terzo comma dell’art. 12 del d.l. 1 ottobre 1973, n.
580, convertito nella legge 20 novembre 1973, n. 766, nella parte in
cui viene sancito il divieto di cumulo dell’assegno previsto nel primo
comma dello stesso articolo con i trattamenti economici onnicomprensivi
spettanti allo stesso soggetto, ma in virtù di diverso rapporto di
impiego, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 36 della
Costituzione.
La Università resistente non si costituiva e il ricorso passava in
decisione all’udienza del 13 luglio 1977.
Con ordinanza datata 13 luglio 1978, il tribunale amministrativo
adito sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale
dell’art. 12, comma terzo, del d.l. n. 580 del 1973, – previo positivo
accertamento della rilevanza della questione stessa nel giudizio
sottoposto al suo esame.
Ad avviso del Collegio a quo, la detta questione non appare
manifestamente infondata: in primo luogo viene posta in risalto
“l’inadeguatezza oggettiva” della retribuzione spettante al professore
universitario incaricato interno (cioè già vincolato da altro
rapporto di impiego), se non integrata dall’importo dell’assegno
pensionabile per cui è processo. La retribuzione stessa si ridurrebbe
infatti ad un importo lordo annuo oscillante fra un massimo di lire
2.170.700 – per il libero docente confermato e per il docente
dichiarato maturo in un concorso per cattedra universitaria (2/3 del
par. 443) – ed un minimo di lire 1.190.700 – per il cultore della
materia (2/3 del par. 243).
La ricordata inadeguatezza deve essere valutata in rapporto al
livello culturale, oltreché qualitativo e quantitativo, delle
prestazioni didattiche e scientifiche che si pretendono da un
professore universitario incaricato: ne risulta il contrasto tra la
norma censurata e l’art. 36 Cost. “nella parte in cui questo ultimo
sancisce che la retribuzione debba essere proporzionata alla qualità e
quantità del lavoro”.
Sempre secondo il tribunale remittente, la stessa norma
discriminerebbe – nell’ambito della categoria dei professori incaricati
universitari interni – tra coloro che godono e coloro che non godono,
nel diverso rapporto di impiego che li vincola, di trattamento
economico onnicomprensivo. La diversità di trattamento, siccome basata
su di un elemento (onnicomprensività del trattamento economico) che
riguarda esclusivamente un diverso rapporto di impiego, non attinente
all’insegnamento universitario e stabilito al solo fine della chiarezza
retributiva (nell’ambito del diverso rapporto) appare “ingiustificata
sul piano logico e razionale”, in quanto le due categorie di professori
devono svolgere prestazioni e possedere requisiti del tutto identici,
sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Da ciò consegue,
sempre secondo l’avviso del Collegio, il dubbio circa il contrasto tra
tale norma e l’art. 3 della Costituzione.
Si ritiene ancora che la discriminazione testé rilevata andrebbe
inevitabilmente ad assumere la funzione di un “ostacolo obiettivo”
all’accesso all’insegnamento universitario da parte dei dipendenti
pubblici dotati di trattamento economico onnicomprensivo. La norma
impugnata darebbe luogo ad un processo di selezione dei docenti
universitari che, “anziché fondarsi sul livello culturale e
scientifico dei docenti e sulla loro disponibilità a svolgere le
prestazioni didattiche e scientifiche connesse con la funzione”,
utilizzerebbe criteri del tutto incompatibili con la selezione stessa,
“quali la fruizione, o meno, di un trattamento economico
onnicomprensivo”.
In ciò sarebbe ravvisabile un contrasto tra la norma denunciata ed
il primo comma dell’art. 33 della Costituzione, secondo il quale l’arte
e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, posto che la
libertà di insegnamento “deve essere intesa in entrambi gli aspetti
che la costituiscono, e cioè, non soltanto come libertà del docente
di determinare il contenuto del proprio insegnamento, ma anche come
libertà di chiunque possiede i requisiti di idoneità e disponibilità
a svolgerlo di accedere alle strutture in cui deve essere impartito,
senza essere in esse discriminato dal punto di vista della retribuzione
conseguibile”.
L’ordinanza veniva ritualmente comunicata e notificata. Non si
costituiva alcuna parte privata, mentre spiegava intervento il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocato generale dello Stato.
Si osserva nell’atto di intervento che, in applicazione del terzo
comma dell’art. 12 del d.l. n. 580 del 1973, alla corresponsione
dell’assegno previsto nel primo comma dello stesso articolo osta non
soltanto il godimento di un trattamento economico onnicomprensivo, ma
anche il godimento di “altri assegni ed indennità di analoga natura”.
Secondo l’Avvocatura, tale espressione conterrebbe un non equivoco
riferimento all’assegno perequativo, previsto dall’art. 1 della legge
15 novembre 1973, n. 734; legge non ancora in vigore all’atto
dell’adozione del decreto legge ricordato, ma vigente al momento della
conversione del decreto stesso. Anche tale assegno è pensionabile,
utile ai fini dell’indennità di buonuscita e di licenziamento e di
esso non godono, oltre al personale insegnante dell’università, anche
i funzionari con qualifica di dirigente ed i magistrati, categorie
queste che fruiscono di uno stipendio che viene detto onnicomprensivo
appunto “perché si considera in esso compreso, tra l’altro, anche
l’assegno perequativo”. Tale assegno, del resto, fu previsto proprio
per restituire l’equilibrio ed il rapporto proporzionale tra i
trattamenti dei vari gruppi dei dipendenti dello Stato che erano stati
ritenuti turbati a seguito del trattamento differenziato introdotto per
le qualifiche dirigenziali.
Ora, la medesima ratio legis dell’esclusione del cumulo tra
l’assegno di cui all’art. 12 del d.l. n. 580 del 1973 e l’assegno
perequativo va ravvisata nell’esclusione del cumulo dell’assegno
previsto dal citato art. 12 con il trattamento onnicomprensivo (che
comprende l’assegno perequativo).
Tanto premesso, l’Avvocatura riteneva infondate le questioni di
legittimità costituzionale proposte.
Quanto al preteso contrasto con l’art. 36 Cost., questo potrebbe
caso mai ipotizzarsi in rapporto alle norme che sanciscono i livelli
retributivi dei professori incaricati e non già alla norma denunziata.
Né sussisterebbe violazione dell’art. 3 Cost., atteso che la norma
denunciata è tesa a conservare l’equilibrio, perseguito con la
concessione dell’assegno perequativo, tra coloro che, nel diverso
rapporto di impiego godono di tale assegno e coloro che fruiscono di
uno stipendio onnicomprensivo. In eguale maniera la corresponsione
dell’assegno previsto dal più volte citato art. 12 tende a garantire
l’equilibrio retributivo tra questi ultimi, i professori di ruolo, gli
incaricati esterni e gli assistenti, la cui retribuzione non comprende
l’assegno perequativo né altro assegno pensionabile.
Discenderebbe dalla esclusa disparità di trattamento che la norma
impugnata non pone alcun ostacolo all’accesso all’insegnamento
universitario dei dipendenti pubblici, siano essi dotati di trattamento
economico onnicomprensivo, o di assegno perequativo.
1. – Il giudice a quo dubita della costituzionalità del terzo
comma dell’art. 12 del d.l. 1° ottobre 1973, n. 580 (convertito nella
legge 30 novembre 1973, n. 766). Il citato articolo al primo comma
attribuisce al personale insegnante universitario di ruolo, fuori ruolo
e incaricato un assegno annuo pensionabile e utile ai fini
dell’indennità di buonuscita e al terzo comma stabilisce che il detto
assegno “non è cumulabile con altri assegni o indennità di analoga
natura né con trattamenti economici onnicomprensivi”.
Un primo profilo di incostituzionalità (per violazione dell’art. 3
della Costituzione) che il giudice a quo sottopone alla Corte è quello
della diversità di trattamento “nell’ambito delle categorie dei
professori incaricati universitari interni, fra coloro che godano e
coloro che non godano, nel diverso rapporto di impiego che li vincola,
di trattamento economico onnicomprensivo”, i quali tutti “devono
svolgere (nell’Università) prestazioni e possedere requisiti del tutto
identici”.
2. – La questione non è fondata.
La denunciata e soprariprodotta disposizione, infatti, esclude il
cumulo dell’assegno di cui trattasi non solo con i trattamenti
economici “onnicomprensivi”, ma anche “con altri assegni e indennità
di analoga natura”.
La generalità degli “interni”, cioè degli incaricati con altro
rapporto di impiego pubblico, o appartengono a categorie il cui
trattamento è onnicomprensivo (come i magistrati, fra i quali è il
ricorrente), oppure godono dell’assegno perequativo pensionabile
introdotto per gli statali dall’art. 1 della legge 15 novembre 1973, n.
734, o di altro trattamento equipollente. Il detto assegno perequativo
fu appunto introdotto – come osserva l’Avvocatura citando un parere del
Consiglio di Stato – per restituire l’equilibrio dei vari trattamenti
dei dipendenti statali dopo l’introduzione dei trattamenti
differenziati per le categorie dirigenziali. E infatti il secondo comma
del citato art. 1 della legge n. 734/1973 esclude dalla corresponsione
dell’assegno disposto nel primo comma i funzionari con qualifica di
dirigente e il personale di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392,
cioè i magistrati.
Ora, quando il citato d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, parla di “altri
assegni e indennità di analoga natura” è evidente che il riferimento
si estende all’assegno perequativo introdotto col disegno di legge
presentato alla Camera quasi contemporaneamente dallo stesso governo e
approvato (legge n. 734/1973) prima della conversione in legge del d.l.
n. 580.
Pertanto gli incaricati universitari “interni”, sia che
usufruiscano del trattamento onnicomprensivo, sia che godano
dell’assegno perequativo introdotto dalla legge n. 734/1973 o di altro
trattamento equipollente, sono esclusi, in virtù del terzo comma
dell’art. 12 del d.l. n. 580/1973 convertito nella legge n. 766/1973,
dal godimento dell’assegno annuo pensionabile concesso con il primo
comma del detto art. 12 al personale insegnante dell’Università. Non
esiste quindi la denunciata diversità di trattamento per le due
categorie di “interni”.
3. – Del pari non fondata è la questione sotto il profilo della
pretesa violazione dell’art. 36 della Costituzione, che si
verificherebbe – secondo il giudice a quo – per l’inadeguatezza della
retribuzione prevista per le prestazioni di un professore incaricato,
quando essa non sia integrata dall’assegno disposto dall’art. 12 del
d.l. n. 580. La invocata norma costituzionale, infatti, nel proclamare
il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata al suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e
dignitosa, non può essere riferita alle singole fonti della
retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalità (confr. sent. n. 88
del 1970). Ora il professore incaricato interno insieme e oltre alla
remunerazione per l’incarico, percepisce uno stipendio per il suo
rapporto di impiego pubblico: nella specie cui si riferisce la causa lo
stipendio di magistrato.
Non può quindi nemmeno ipotizzarsi una violazione dell’art. 36
della Costituzione.
4. – Egualmente è privo di fondamento il riferimento che il
giudice a quo fa all’art. 33 della Costituzione assumendo che la
“discriminazione” per i dipendenti pubblici dotati di trattamento
economico onnicomprensivo (rispetto agli altri non dotati di tale
trattamento) “assume inevitabilmente la funzione di un ostacolo
obiettivo all’accesso all’insegnamento universitario” distorcendo il
processo di selezione dei più meritevoli.
Poiché, come si è visto, il denunciato trattamento differenziale
tra gli incaricati interni (provvisti o no di trattamento
onnicomprensivo) non sussiste, il richiamo all’art. 33 della
Costituzione non ha ragion d’essere.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 12, terzo comma, del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, (convertito
nella legge 30 novembre 1973, n. 766), sollevate dal tribunale
amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia Con ordinanza
iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1979 in riferimento agli
artt. 3, 33 e 36 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere