Sentenza N. 142 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1968
Data deposito/pubblicazione
30/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI
– Dott. NICOLA REALE, Giudici,
legge 23 aprile 1966, n. 218, che approva il bilancio di previsione
dello Stato per l’anno finanziario 1966, e delle leggi 3 marzo 1949, n.
52 (artt. 12 e 13), 14 febbraio 1963, n. 60 (art. 10, primo comma,
lett. a e d), 18 luglio 1959, n. 555 (art. 10), 23 dicembre 1962, n.
1844 (art. 4), 27 ottobre 1951, n. 1402 (art. 2, ultimo comma), 14
novembre 1961, n. 1268 (art. 5, secondo comma), 9 febbraio 1963, n. 223
(art. 5, secondo comma), e 3 gennaio 1960, n. 15 (artt. 1 e 5),
promosso con ordinanza emessa il 25 luglio 1967 dalla Corte dei conti a
sezioni riunite nel giudizio di parificazione del rendiconto generale
dello Stato per l’esercizio finanziario 1966, iscritta al n. 188 del
registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 282 dell’11 novembre 1967.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 23 ottobre 1968 la relazione del
Giudice Vezio Crisafulli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 25 luglio 1967, la Corte dei conti a
sezioni riunite nel giudizio di parificazione del rendiconto generale
dello Stato e dei conti ad esso allegati per l’esercizio finanziario
1966, accogliendo l’istanza avanzata dal Procuratore generale,
sospendeva il giudizio in corso per la parte attinente ai risultati
della gestione dei capitoli n. 5131 (Ministero industria e commercio),
n. 2779 (Ministero tesoro), n. 5041 (Ministero tesoro), n. 5146
(Ministero tesoro), n. 5367 (Ministero lavori pubblici), n. 5502
(Ministero lavori pubblici), n. 1163 (Ministero marina mercantile), n.
1164 (Ministero marina mercantile), n. 1542 (Ministero industria e
commercio) e sollevava questione di legittimità costituzionale nei
confronti dell’art. 97 della legge 23 aprile 1966, n. 218, per
contrasto con la disposizione di cui all’art. 81, comma terzo, della
Costituzione nonché nei confronti delle leggi 3 marzo 1949, n. 52
(artt. 12 e 13), 14 febbraio 1963, n. 60 (art. 10, primo comma, lett.
a e d), 18 luglio 1959, n. 555 (art. 10), 23 dicembre 1962, n. 1844
(art. 4), 27 ottobre 1951, n. 1402 (art. 2, ultimo comma), 14 novembre
1961, n. 1268 (art. 5, secondo comma), 9 febbraio 1963, n. 223 (art. 5,
secondo comma), 3 gennaio 1960, n. 15 (artt. 1 e 5) per contrasto con
la disposizione di cui all’art. 81, comma quarto, della Costituzione.
Premesse alcune considerazioni sull’accentuarsi della tendenza ad
eludere la normativa dell’art. 81 della Costituzione attraverso la
ricerca di espedienti che andrebbero perfezionandosi sino ad ingenerare
il timore della creazione di un sistema autonomo e contrapposto a
quello costituzionalmente previsto, le sezioni riunite prospettano le
seguenti osservazioni circa la non manifesta infondatezza delle
questioni relative alle norme impugnate.
L’art. 97 della legge 23 aprile 1966, n. 218, che approva il
bilancio di previsione dello Stato per l’anno finaziario 1966,
autorizza l’erogazione di sussidi e premi diretti a promuovere e
sostenere iniziative intese all’ammodernamento delle produzioni
artigiane ed alla maggiore conoscenza e diffusione dei relativi
prodotti, richiamando per le modalità di erogazione l’art. 2 della
legge 30 giugno 1954, n. 358. Quest’ultima legge, a sua volta,
autorizzava all’art. 1 una spesa per le anzidette finalità, in
aggiunta alle spese previste dalla legge 8 luglio 1950, n. 484, ma
limitatamente all’esercizio finanziario 1953-1954. Cosicché, decorso
quell’esercizio, la predetta autorizzazione di spesa ha cessato di
esplicare ogni effetto e la successiva autorizzazione, contenuta nella
legge di approvazione del bilancio, avrebbe per conseguenza stabilito
una nuova spesa, tale dovendo considerarsi ogni spesa che non formi
oggetto di norme autorizzative distinte da quelle poste nella legge di
bilancio. L’accennata configurazione di essa come nuova spesa
riceverebbe anche conferma dall’esistenza nello stato di previsione
della spesa del Ministero dell’industria e commercio di due distinti
capitoli: l’uno (n. 1264) relativo alla spesa disposta dalla legge n.
484 del 1950 e l’altro (n. 5131) relativo alla spesa autorizzata con
l’art. 97 in questione. Di qui il dedotto contrasto con il precetto
dell’art. 81, comma terzo, della Costituzione, il quale vieta di
stabilire nuove spese con la legge di bilancio.
Per tutte le altre disposizioni impugnate l’ordinanza rileva un
contrasto rispetto alla norma di cui al quarto comma dello stesso art.
81 della Costituzione, in quanto, pur comportando esse oneri a carico
del bilancio dello Stato, non recherebbero alcuna indicazione circa i
mezzi per farvi fronte.
Si tratta in particolare: a) dell’art. 12 della legge 3 marzo 1949,
n. 52, che pone a carico dello Stato spese per il rimborso delle rate
di rendita, compresi gli accessori integrativi, pagate e da pagare
dall’I.N.A.I.L. ad invalidi permanenti ed a superstiti, in dipendenza
di infortuni determinati da rischio di guerra, nonché del successivo
art. 13, comma primo, che estende queste disposizioni alle Casse mutue
marittime tirrena, adriatica e mediterranea per gli infortuni e le
malattie: posto che l’art. 14 della stessa legge indica la copertura
solamente per i maggiori oneri a carico dello Stato relativi
all’aumento delle indennità per gli infortuni e le malattie
professionali dovute ai dipendenti dello Stato, ne deriverebbe una
carenza di indicazione dei mezzi di copertura per gli oneri che lo
Stato si è assunto nei confronti degli altri beneficiari; la spesa di
cui trattasi risulta iscritta ed erogata a carico del capitolo 2779
dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro;
b) dell’art. 2, ultimo comma, della legge 27 ottobre 1951, n. 1402,
che pone a carico dello stato di previsione della spesa del Ministero
dei lavori pubblici le spese occorrenti per la raccolta e la
elaborazione degli elementi necessari alla preparazione dei piani di
ricostruzione: la spesa è iscritta ed erogata a carico del capitolo
5502 di tale stato di previsione;
c) dell’art. 10 della legge 18 luglio 1959, n. 555, il quale –
aggiungendo due commi all’art. 24 della legge 29 luglio 1957, n. 634 –
pone a carico del tesoro dello Stato l’onere dei contributi concessi
dalla Cassa per il Mezzogiorno agli Istituto di credito indicati dalla
legge 11 aprile 1953, n. 298: la spesa è iscritta ed erogata a carico
del capitolo 5146 dello stato di previsione della spesa del Ministero
del tesoro;
d) degli artt. 1 e 5 della legge 3 gennaio 1960, n. 15, con i
quali viene autorizzata la spesa straordinaria di lire 2.500 milioni
per il completamento, l’aggiornamento e la pubblicazione della carta
geologica d’Italia e dei relativi studi illustrativi: la spesa è
iscritta ed erogata a carico del capitolo 1542 dello stato di
previsione della spesa del Ministero dell’industria e commercio;
e) dell’art. 5, secondo comma, della legge 14 novembre 1961, n.
1268, che autorizza il Ministro per la marina mercantile a
corrispondere un contributo annuale all’Ente autonomo del porto di
Palermo per gli oneri di avviamento e di organizzazione nei primi
cinque sercizi finanziari dell’Ente: la spesa è iscritta ed erogata a
carico del capitolo 1163 dello stato di previsione della spesa del
Ministero della marina mercantile;
f) dell’art. 4 della legge 23 dicembre 1962, n. 1844, concernente
la spesa a carico del bilancio dello Stato per la costruzione di
alloggi popolari nella città di Bari: la spesa è iscritta ed erogata
a carico del capitolo 5367 dello stato di previsione della spesa del
Ministero dei lavori pubblici;
g) dell’art. 5, secondo comma, della legge 9 febbraio 1963, n. 223,
che autorizza il Ministro per la marina mercantile a corrispondere un
contributo annuale al consorzio per il porto di Civitavecchia, per gli
oneri di avviamento ed organizzazione dei primi cinque esercizi
finanziari del consorzio: la spesa è iscritta ed erogata a carico del
capitolo 1164 dello stato di previsione della spesa del Ministero della
marina mercantile;
h) dell’art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, che prevede
per il finanziamento del programma decennale di costruzione di case per
lavoratori vari contributi, fra i quali risultano posti a carico dello
Stato “un contributo pari al 4,30 per cento del complesso dei
contributi indicati alle successive lett. b e c” (lettera a del primo
comma dell’art. 10 citato) ed “un contributo per ciascun alloggio
completato entro il 31 marzo 1973” (lettera d del primo comma dell’art.
10 citato): la spesa è iscritta ed erogata a carico del capitolo 5041
dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro.
Circa la rilevanza delle questioni prospettate, le sezioni riunite
della Corte dei conti fanno presente che nel giudizio di parificazione
sono da porre a riscontro, a norma dell’articolo 39 del T.U. 12 luglio
1934, n. 1214, i risultati del rendiconto con le leggi del bilancio e
quindi, nel caso in esame, le spese come sopra erogate con i
corrispondenti capitoli e con le norme di legge cui quelli si
riferiscono.
L’ordinanza, notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed
al Ministro per il tesoro, comunicata ai Presidenti delle due camere
del Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 282 dell’11 novembre 1967.
2. – Si è costituito in giudizio, con atto depositato il 30
novembre 1967, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocato generale dello Stato.
Nelle sue deduzioni, l’Avvocatura di Stato, premesse alcune
considerazioni sulla natura dell’attività svolta dalla Corte dei conti
che “delibera” sul rendiconto generale dello Stato a sezioni riunite
“con le formalità della sua giurisdizione contenziosa”, senza alcun
contraddittorio con l’Amministrazione, compiendo una operazione di
“verificazione” ed una di “parificazione”, nonché sul contenuto della
“relazione” che la stessa Corte svolge in ordine al rendiconto, esprime
il dubbio se nella fattispecie in esame ricorrano le condizioni
previste dalla legge costituzionale n. 1 del 1948 per la proposizione
di questioni di legittimità costituzionale. In questo ordine di idee
manifesta l’opinione che i due precedenti offerti dalle sentenze n. 165
del 1963 e n. 121 del 1966, con le quali questa Corte ha ritenuto
legittimata la Corte dei conti a proporre questioni di legittimità
costituzionale nell’esercizio della funzione di parificazione dei
rendiconti generali della Regione siciliana e della amministrazione
della Cassa depositi e prestiti e degli Istituti di previdenza,
concernendo casi differenti da quello ora in considerazione, non
sarebbero tali da precludere un riesame del problema. Ed allo stesso
fine invoca anche argomenti di ordine testuale e sistematico, tratti
dagli articoli 100 e 103 della Costituzione, dall’art. 13 e dall’intero
titolo secondo del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 per una distinzione fra
le varie attribuzioni della Corte dei conti in funzioni di controllo e
funzioni giurisdizionali, fra le quali ultime non potrebbe ritenersi
compresa l’attività di “parificazione”, “verificazione” e
“deliberazione” relativa al rendiconto generale. Da questo punto di
vista – ricorda la stessa Avvocatura – la parificazione dei rendiconti
effettuata sino a tutto il 1965 risulta “deliberata” e non “decisa”,
mentre solo dal 1966 viene adoperata quest’ultima terminologia, che non
sembrerebbe in armonia con le disposizioni di legge innanzi richiamate.
Infine, quanto alle “formalità della sua giurisdizione contenziosa”
prescritte dall’art. 40 del citato T.U. del 1934, esse non sarebbero
idonee ad imprimere da sole una sostanza giurisdizionale, a parte che
non erano previste dall’art. 32 della legge 14 agosto 1862, n. 800 e
potrebbe anzi costituire motivo di dubbio la loro introduzione in base
all’art. 35 della legge 3 aprile 1933, n. 255, di autorizzazione
all’emanazione di un testo unico.
Sotto altro profilo, l’Avvocatura propone il dubbio sulla rilevanza
delle questioni sollevate, in quanto la sorte del “giudizio” di
parificazione, e quindi anche la sua sospensione, non avrebbe alcuna
incidenza né sulla gestione del bilancio, che dà luogo a rapporti
(impegni, ordinazioni e pagamenti) non reversibili (e cioè effettuati
e comunque e quindi esauriti), né sull’iter previsto dalla legge per
la presentazione e l’esame del rendiconto generale dello Stato, sul
quale il Parlamento, in completa autonomia dal giudizio della Corte dei
conti, deve esprimere un suo voto, globale e politico, positivo o
negativo.
Nel merito viene poi sostenuta la infondatezza delle varie
questioni proposte.
L’art. 97 della legge 23 aprile 1966, n. 218, impugnata per
contrasto rispetto all’art. 81, terzo comma, della Costituzione, non
sarebbe illegittima, secondo l’Avvocatura dello Stato, in quanto – pur
riproducendo testualmente la formula impiegata dalla legge n. 385 del
1954, che introduceva spese nuove, ma relativamente al solo esercizio
1953-54 – si limiterebbe a sostanziare il quantum degli stanziamenti
già previsti dalla precedente legge n. 484 del 1950.
In ordine poi alle altre disposizioni, denunciate tutte per
violazione dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione, la
Avvocatura controdeduce:
1) per quanto riguarda gli artt. 12 e 13, primo comma, della legge
3 marzo 1949, n. 52, essi importerebbero un onere che avrebbe avuto
decorrenza a partire dal 1949-50 ed avrebbe trovato copertura con la
legge di variazione al bilancio 1950-51 (legge 4 novembre 1951, n.
1196, tab. B, cap. 495 ter, Ministero del tesoro);
2) per quanto concerne gli artt. 1 e 5 della legge 3 gennaio 1960,
n. 15 e l’art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, il relativo
onere avrebbe trovato copertura nel “fondo globale” compreso nel
bilancio di previsione dell’esercizio sul quale avrebbe gravato la
prima quota: bilancio che al momento della promulgazione di tali norme
era in corso di predisposizione od era stato da poco presentato al
Parlamento (v., rispettivamente, il cap. 538 dello stato di previsione
del Ministero del tesoro per l’esercizio 1960-61 ed il cap. 574 dello
stesso stato di previsione per l’esercizio 1963-64);
3) tutte le altre leggi implicherebbero oneri certi nel loro
verificarsi, ma indeterminati ed indeterminabili: come tali
insuscettibili di essere quantificati e conseguentemente di essere
oggetto di preventiva copertura. Si tratta, in particolare, dell’art.
2, ultimo comma, della legge n. 1402 del 1951 (spese relative alla
preparazione e compilazione dei piani di ricostruzione dei comuni
danneggiati dalla guerra, la cui competenza viene affidata al Ministero
dei lavori pubblici, ove i comuni stessi non provvedano entro il
termine stabilito, o dichiarino di non potere provvedere); dell’art. 10
della legge n. 555 del 1959 (che pone a carico dello Stato l’onere
derivante dalla Cassa del Mezzogiorno dalla erogazione dei contributi
agli istituti di credito per la concessione di mutui a tasso
agevolato); dell’art. 5, secondo comma, della legge n. 1268 del 1961
(contributo per i primi cinque esercizi all’Ente autonomo del porto di
Palermo nella misura che annualmente sarebbe stata riconosciuta
necessaria per le spese di avviamento e di organizzazione); dell’art.
5, secondo comma, della legge n. 223 del 1963 (norma analoga alla
precedente, in favore del consorzio per il porto di Civitavecchia);
dell’art. 4 della legge n. 1844 del 1962, che autorizza una spesa,
ripartita in più esercizi, per la costruzione di alloggi per la città
di Bari, affidata al locale istituto autonomo delle case popolari, cui
la Cassa depositi e prestiti era autorizzata ad anticipare le somme
occorrenti, anche in più annualità).
3. – Con memoria depositata il 10 ottobre 1968 l’Avvocatura dello
Stato ribadisce ed amplia le deduzioni già svolte nel precedente atto
di intervento.
In particolare, contesta la legittimazione della Corte dei conti a
sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di
parificazione del rendiconto generale dello Stato, sostenendo che
quest’ultima funzione non avrebbe carattere giurisdizionale, ma, come
si evince dalla sua previsione negli art. 38 e 43 del T.U. n. 1214 del
1934, sarebbe compresa fra le attribuzioni di controllo della Corte
stessa. Ulteriori argomenti a sostegno di questa tesi si trarrebbero
dall’assenza delle caratteristiche sostanziali di un giudizio; dalla
mancanza di un contraddittorio, considerata l’impossibilità giuridica
dell’Amministrazione ad interloquire prima, durante e dopo la
parificazione; dalla inesistenza, a differenza che nei procedimenti di
volontaria giurisdizione ed in quelli relativi ai ricorsi elettorali
pendenti davanti ai Consigli comunali e provinciali, di un diritto o di
un interesse legittimo privato, diretto ed attuale, leso da una legge.
In ordine alla rilevanza delle questioni sollevate, l’Avvocatura fa
rilevare che la parificazione del rendiconto, consistendo
nell’accertamento della gestione in conformità alla legge di bilancio,
non tanto può, quanto deve postulare anche e soprattutto la
legittimità costituzionale di quest’ultima legge, che sarebbe comunque
obbligatoria per l’Amministrazione dal momento della sua approvazione:
diversamente opinando, la eventuale dichiarazione di
incostituzionalità della legge di bilancio o delle leggi di spesa
importerebbe l’eliminazione del parametro base con il quale porre a
raffronto i dati del consuntivo ed impedirebbe, in definitiva, la
parificazione stessa. Né potrebbe mai ipotizzarsi, anche in astratto
ed in via generale, una irregolarità dell’azione amministrativa che si
sia conformata alle leggi di bilancio e di spesa, come pure in una
situazione del genere una responsabilità amministrativo-contabile.
L’eventuale irregolarità della gestione conseguente ad una
dichiarazione di incostituzionalità avrebbe, quindi, come unico
effetto, l’obbligo per il Parlamento di reperire una nuova “copertura”,
ma questa sarebbe, a sua volta, inutile, posto che le spese già
effettuate, con tutti i crismi della legalità amministrativa, compresa
in essi la registrazione, avrebbero dato luogo a rapporti ormai
esauriti anche sotto il profilo intersubiettivo.
L’esame e la motivazione sulla rilevanza, così come svolti
nell’ordinanza del giudice a quo, sarebbero inoltre superati, o quanto
meno incompleti, in relazione alla successiva avvenuta approvazione del
rendiconto da parte del Parlamento con la legge 8 marzo 1968, n. 257.
La fattispecie in esame sarebbe, del resto, secondo l’avviso
dell’Avvocatura, diversa da quelle decise con le sentenze n. 165 del
1963 e n. 121 del 1966, poiché in questi ultimi casi si trattava di
accertare la legittimità costituzionale di leggi che riguardavano la
competenza della Commissione speciale ad approvare i rendiconti della
Cassa depositi e prestiti o che incidevano, come l’istituto della
registrazione con riserva, sull’attività amministrativa della gestione
di bilancio, non già sulle leggi di bilancio o di spesa che
costituiscono il parametro per l’attività di parificazione: il
controllo della Corte dei conti, infatti, non può che essere pieno
sull’attività amministrativa di gestione, mentre non è ipotizzabile
rispetto alle leggi di bilancio e di spesa.
Nel merito l’Avvocatura insiste sulla infondatezza delle questioni
in esame, con argomenti già fatti valere nell’atto di intervento e
come tali precedentemente esposti.
Nell’udienza del 23 ottobre 1968 l’Avvocatura dello Stato ha
ribadito le deduzioni e le conclusioni già in precedenza formulate.
1. – L’Avvocatura generale dello Stato ha riproposto nel presente
giudizio l’eccezione, già disattessa con la sentenza 13 dicembre 1966,
n. 121, di inammissibilità per difetto di legittimazione della Corte
dei conti, stante la mancanza nel procedimento a quo del carattere
giurisdizionale, ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1, e dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In sostegno della eccezione non vengono però addotti argomenti nuovi,
tali da indurre questa Corte a mutare il proprio orientamento al
riguardo.
2. – Deve invece accogliersi l’altra eccezione di inammissibilità,
per manifesta irrilevanza delle questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Corte dei conti con l’ordinanza di cui
in epigrafe.
In proposito è da sottolineare preliminarmente la relazione
funzionale che collega il rendiconto generale consuntivo dello Stato,
sottoposto all’approvazione parlamentare nelle forme della legge, al
bilancio di previsione, approvato a sua volta, all’inizio
dell’esercizio finanziario, con legge del Parlamento.
La gestione dell’esercizio finanziario deve svolgersi, infatti,
sulla base ed entro i limiti del bilancio di previsione, e la specifica
funzione del rendiconto, presentato dal Governo al Parlamento a
chiusura dell’esercizio, consiste appunto – come si esprime l’art. 31
del R.D. 1923, n. 2440 – nel riassumere e dimostrare “i risultati della
gestione”, sia per gli aspetti propriamente finanziari (cosidetto
“conto del bilancio”), sia per gli aspetti propriamente patrimoniali
(cosidetto “conto generale del patrimonio”).
Investito dell’esame del rendiconto, il Parlamento è così messo
in grado di accertare annualmente, comparando previsioni e
realizzazioni, se le direttive, le autorizzazioni ed i limiti assegnati
all’attività dell’Esecutivo siano stati puntualmente osservati. Ed è
perciò che ogni eventuale problema concernente la legittimità
costituzionale delle leggi disciplinanti la azione amministrativa, ivi
compresa la stessa legge del bilancio di previsione, rimane a monte
della relazione bilancio-rendiconto e delle valutazioni politiche di
competenza del Parlamento all’atto dell’approvazione di quest’ultimo:
quel che unicamente rileva in quella sede, sono i modi e la misura in
cui le previsioni del bilancio sono state adempiute, i limiti in esso
prestabiliti rispettati nel corso dell’esercizio.
Ma lo stesso deve dirsi con riferimento al giudizio di
parificazione, traverso il quale la Corte dei conti si inserisce
obbligatoriamente nel rapporto Governo- Parlamento, conferendo certezza
ai dati risultanti dal rendiconto predisposto dall’Amministrazione ed
in tal guisa cooperando, in posizione di indipendenza, con le Assemblee
parlamentari, alle quali – secondo il dettato dell’art. 100, secondo
comma, della Costituzione – deve riferire “direttamente” ed alle quali
viene, infatti, trasmessa, con la relazione, la deliberazione di
parificazione del rendiconto. È dunque proprio dalla considerazione
dell’oggetto e della funzione del rendiconto che risultano determinati
per logica conseguenza i limiti del giudizio di parificazione, il quale
risulterebbe snaturato ove la Corte dei conti fosse autorizzata a
indagare sulla legittimità costituzionale delle leggi sostanziali di
spesa o di determinati capitoli della legge del bilancio, anziché
assumere questi ultimi quali punti di riferimento del giudizio di sua
competenza, secondo quanto si vedrà meglio più oltre. La Corte dei
conti non si porrebbe più, in tal caso, come organo ausiliario del
Governo, o meglio del Parlamento, ma verrebbe ad assumersi (sia pure al
limitato effetto di investire questa Corte del relativo giudizio)
compiti di controllo sull’esercizio della funzione legislativa, che
nessuna disposizione comunque le attribuisce e che non sarebbe
possibile riconoscerle per via di interpretazione, poiché la funzione
assolta dal giudizio sul rendiconto esclude, già per quanto si è ora
detto, che dubbi sulla conformità a Costituzione di leggi diverse da
quelle regolanti l’attività della Corte dei conti abbiano rilevanza ai
fini del giudizio medesimo.
Sotto questo profilo, si vede bene la diversità della presente
fattispecie rispetto a quelle sulle quali questa Corte ebbe in
precedenza a decidere con la sentenza 6 dicembre 1963, n. 165 e 13
dicembre 1966, n. 121: nel primo caso, la questione sollevata aveva ad
oggetto disposizioni attinenti alla attività della Corte dei conti nei
suoi rapporti con il Parlamento; nel secondo, disposizioni che
incidevano immediatamente sull’esercizio delle attribuzioni di
controllo della stessa Corte, cui veniva imposta la registrazione di
atti amministrativi che essa altrimenti avrebbe avuto il potere-dovere
di rifiutare.
Le considerazioni di ordine generale sopra esposte trovano più
particolare conferma, raffrontando le operazioni, in cui si sostanzia
il giudizio di parificazione, con i requisiti necessari affinché
questioni di legittimità costituzionale siano rilevanti in un
giudizio. Questi si riassumono nella esigenza minima, ma inderogabile,
che la questione abbia riferimento a leggi o disposizioni di legge
delle quali il giudice debba, in qualsiasi modo, direttamente o
indirettamente, fare applicazione nel processo dinanzi ad esso
svolgentesi. Senonché, all’atto di procedere alla parificazione del
rendiconto, la Corte dei conti non applica le leggi sostanziali di
spesa, riflettentisi nei capitoli del bilancio di previsione, e neppure
applica la legge di approvazione del bilancio.
Le prime, al pari di quest’ultima, essa ha già applicato, in corso
di esercizio, operando il riscontro di legittimità sui singoli atti
soggetti al suo controllo. Né il giudizio di parificazione implica
revisione e possibile riforma dei risultati, ormai acquisiti, del
riscontro effettuato; ché anzi – tutt’al contrario – in sede di
giudizio di parificazione, la Corte dei conti è vincolata alle
“proprie scritture”, in conformità delle quali viene formalmente
dichiarata nel dispositivo la “regolarità del rendiconto”, e nemmeno
in seguito a pronuncia di illegittimità costituzionale delle leggi su
cui gli atti ammessi a registrazione si fondavano la Corte stessa
potrebbe retroattivamente disconoscere quelle scritture, poiché la
illegittimità degli atti dell’Amministrazione, conseguenziale alla
dichiarata incostituzionalità della legge, non opera automaticamente,
ma dev’essere a sua volta dichiarata e fatta valere nelle condizioni
previste dall’ordinamento secondo le diverse possibili ipotesi.
E allorché poi la Corte dei conti prende a ragguagliare i dati del
rendiconto, quest’ultimo non si configura come legge da applicarsi a
concrete fattispecie, ma come un semplice documento contabile, a fronte
del quale sta quell’altro documento contabile che è il rendiconto
consuntivo. Ed è perciò che la “regolarità” che si tratta di
accertare prescinde completamente dagli eventuali vizi di legittimità
costituzionale del bilancio, non meno che delle leggi di spesa che ne
stanno a fondamento.
Deve quindi concludersi che, nel giudizio di parificazione, la
Corte dei conti non ha legittimazione a sollevare questioni di
legittimità costituzionale riflettenti la legge del bilancio e le
leggi di spesa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili per manifesta irrilevanza le questioni
sollevate dalla Corte dei conti, a sezioni riunite, nel giudizio di
parificazione del rendiconto generale dello Stato e dei conti ad esso
allegati per l’esercizio finanziario 1966, con ordinanza del 25 luglio
1967, relativamente all’art. 97 della legge 23 aprile 1966, n. 218, in
riferimento all’art. 81, comma terzo, della Costituzione, ed agli artt.
12 e 13, primo comma, della legge 3 marzo 1949, n. 52; 10, primo comma,
lett. a e della legge 14 febbraio 1963; n. 60; 10 della legge 18
luglio 1959, n. 555; 4 della legge 23 dicembre 1962, n. 1844; 2,
ultimo comma, della legge 27 ottobre 1951, n. 1402; 5, secondo comma,
della legge 14 novembre 1961, n. 1268; 5, secondo comma, della legge 9
febbraio 1963, n. 223; 1 e 5 della legge 3 gennaio 1960, n. 15, in
riferimento all’art. 81, comma quarto, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.