Sentenza N. 142 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
20/11/1969
Data deposito/pubblicazione
20/11/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/11/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
della Regione Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n. 5, recante
estensione a tutto il territorio della Provincia di Udine, compreso il
circondario di Pordenone, delle facoltà riservistiche della zona delle
Alpi, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 14 marzo 1968 dal pretore di Palmanova nel
procedimento penale a carico di Marconato Fulgido, iscritta al n. 93
del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 170 del 6 luglio 1968 e nel Bollettino Ufficiale della
Regione Friuli Venezia Giulia n. 22 del 27 giugno 1968;
2) ordinanza emessa il 3 maggio 1968 dal pretore di San Vito al
Tagliamento nel procedimento penale a carico di Foratti Gian Giacomo,
iscritta al n. 103 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 203 del 10 agosto 1968 e nel
Bollettino Ufficiale della Regione Friuli- Venezia Giulia n. 22 del 27
giugno 1968;
3) ordinanza emessa il 28 giugno 1968 dal pretore di Udine nel
procedimento penale a carico di Bovassi Gino Bruno e Zaramella
Giovanni, iscritta al n. 248 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell’8 gennaio 1969 e
nel Bollettino Ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 38 del
19 dicembre 1968.
Visti gli atti d’intervento del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 29 ottobre 1969 il Giudice relatore
Vezio Crisafulli;
udito l’avv. Carmelo Carbone, per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
1. – Con ordinanza emessa il 14 marzo 1968 nel corso di un
procedimento penale a carico di Marconato Fulgido, il pretore di
Palmanova ha sollevato questione di legittimità costituzionale
relativamente all’art. 1 della legge regionale 10 maggio 1966, n. 5,
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento all’art.
25, secondo comma, della Costituzione.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva che la norma impugnata ha esteso all’intero territorio della
provincia di Udine lo speciale regime giuridico della zona faunistica
delle Alpi, previsto ed anche penalmente tutelato dal testo unico
approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, che ne rimetteva la
determinazione dei confini ad un decreto del Ministro per l’agricoltura
e foreste, previo parere della Federazione italiana della caccia e del
Comitato centrale della caccia (poi sostituito quest’ultimo dalla III
sezione del Consiglio superiore dell’agricoltura e foreste ai sensi
degli artt. 15, lett. l, e 23 del regio decreto 29 maggio 1941, n.
489).
Premesso che la zona delle Alpi interessa il territorio nazionale
sia in relazione al bene oggetto della protezione così accordata che
è costituito dalla specialissima fauna ivi esistente, sia in relazione
alla sua estensione che comprende anche territori di numerose provincie
dell’Italia settentrionale non facenti parte della regione
Friuli-Venezia Giulia (cfr. il D.M. 15 aprile 1940 e successive
modifiche), l’ordinanza fa notare che la competenza legislativa
regionale in materia di caccia deve essere esercitata, in base all’art.
4 dello Statuto approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963 n.
1, in armonia con la Costituzione e, fra l’altro, nel rispetto degli
interessi nazionali per cui non potrebbe modificare i confini della
predetta zona faunistica: la legge regionale avrebbe, comunque, in
relazione ai luoghi cui estende il regime innanzi considerato, creato
un precetto giuridico nuovo penalmente sanzionato, in violazione del
principio della riserva di legge statale in materia penale, fissato
all’art. 25, comma secondo, della Costituzione.
Sotto il profilo della rilevanza, il pretore fa presente che il
giudizio in corso non può essere definito indipendentemente dalla
questione sollevata, in quanto l’imputato è stato tratto a giudizio
per un reato contravvenzionale, che sarebbe stato commesso nel
territorio del Comune di Carlino incluso nella zona delle Alpi proprio
ad opera della normativa impugnata.
2. – Con altra ordinanza, emessa il 3 maggio 1968 nel corso di un
procedimento penale a carico di Foratti Gian Giacomo, il pretore di San
Vito al Tagliamento ha sollevato questione di legittimità
costituzionale relativamente alla stessa normativa regionale, ma in
riferimento oltre che all’art. 25, secondo comma, anche agli artt. 3 e
5 della Costituzione.
Chiarite le ragioni a sostegno della rilevanza della questione
dedotta, il giudice a qrco fa valere nel merito per quanto concerne
l’art. 25, secondo comma, della Costituzione argomenti sostanzialmente
analoghi a quelli già esposti nella ordinanza che precede ed a cui
aggiunge, in riguardo alle altre due norme costituzionali invocate come
parametri del giudizio, ulteriori considerazioni tendenti a dimostrare
in particolare: a) che la legislazione regionale del Friuli-Venezia
Giulia in materia di caccia, da svolgere a norma dell’art. 4 dello
Statuto in armonia con la Costituzione e nel rispetto degli interessi
nazionali e dei princìpi che informano il nostro ordinamento
giuridico, non avrebbe potuto modificare i confini della zona delle
Alpi, essendo stati questi già determinati con il R.D. 5 giugno 1939
ed il D.M. 15 aprile 1940; b) che la legge regionale in questione non
avrebbe abrogato, ma anzi recepito mediante esplicito richiamo i
suddetti decreti ministeriali; c) che una eventuale potestà di
modifica o di abrogazione di quei decreti sarebbe stata in ogni caso
male esercitata dalla legge regionale, in mancanza dei pareri
obbligatori prescritti dall’art. 5 del regio decreto n. 1016 del 1939;
d) che la stessa legge regionale – cui deve darsi atto di non aver
esplicitamente modificato la dimensione territoriale dei confini, ma di
essersi limitata esclusivamente ad estendere ai territori in essa
considerati un regime giuridico che ad essi non spetta e non può
spettare in relazione al bene che si vuol tutelare – darebbe vita ad un
tentativo di costituire privilegi sotto l’osservanza formale ma non
sostanziale della legge; e) che essa non perseguirebbe il fine della
tutela di un tipo eccezionale di selvaggina, ma, come si evince dai
verbali di discussione e dalla relazione che ha accompagnato la
proposta di legge, il diverso obiettivo di favorire il sorgere di
riserve comunali previste per la “Zona delle Alpi”; f) che, infine, la
stessa legge regionale creerebbe un precetto giuridico, nuovo rispetto
ai luoghi, facendo ricorso ad una applicazione analogica in malam
partem vietata dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice
civile e violerebbe, pertanto, il principio di riserva penale in favore
dello Stato, già esaminato nella sentenza n. 21 del 1957 della Corte
costituzionale, che ha ribadito la preclusione alle regioni di un
potere legislativo penale operando esplicito riferimento agli artt. 3,
5 e 25 della Costituzione.
3. – Una terza ordinanza, emessa il 28 giugno 1968 dal pretore di
Udine nel corso di un procedimento penale a carico di Bovassi Gino
Bruno e di Zaramella Giovanni, propone a sua volta con analoga
motivazione in riferimento agli artt. 3, 5 e 25, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale della stessa
legge regionale, limitatamente alle parole “Lo speciale regime
giuridico… Viene esteso…”, che consentono l’applicazione di
sanzioni penali contenute nel testo unico sulla caccia a fatti commessi
fuori del territorio considerato zona delle Alpi.
Tutte e tre le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate,
risultano pubblicate rispettivamente la prima nella Gazzetta Ufficiale
n. 170 del 6 luglio 1968 e nel Bollettino Ufficiale della Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 27 luglio 1968; la seconda nella
Gazzetta Ufficiale n. 203 del 10 agosto 1968 e nel Bollettino Ufficiale
della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 22 del 27 giugno 1968; la terza
nella Gazzetta Ufficiale n. 6 dell’8 gennaio 1969 e nel Bollettino
Ufficiale della Regione Friuli- Venezia Giulia n. 38 del 19 dicembre
1968.
4. – In tutti e tre i giudizi si è costituita la difesa della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con atto di intervento e
deduzioni depositate il 25 luglio 1968, il 30 agosto 1968 ed il 28
gennaio 1969, chiedendo una declaratoria di infondatezza delle
questioni in oggetto.
Rileva la difesa della Regione che il testo unico sulla caccia non
delimita direttamente l’estensione della zona faunistica delle Alpi, ma
ne affida la determinazione dei relativi confini ad un decreto del
Ministro per l’agricoltura e le foreste. Per conseguenza, nel
territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia, quest’ultima che, ai
sensi dell’art. 4 dello Statuto, ha competenza legislativa esclusiva in
materia di caccia, non può non godere in sede amministrativa delle
attribuzioni che nella stessa materia competono al Ministro per
l’agricoltura per le altre regioni: e così come il Ministro non crea
con il suo decreto nuovi illeciti penali ma incide unicamente sul
presupposto del reato contravvenzionale considerato quando amplia i
confini di quella zona, allo stesso modo la Regione estendendo ad una
sua provincia quel regime giuridico non porrebbe in essere un nuovo
precetto penale e non violerebbe la riserva di cui all’art. 25,
secondo comma, della Costituzione. Se poi – prosegue la difesa della
Regione – alla violazione della legge regionale consegue l’applicazione
di una pena fissata in legge statale, si tratta di una questione che
deve essere risolta dal giudice penale come ha osservato la stessa
Corte costituzionale nella sentenza n. 68 del 1963.
Né sussisterebbe al riguardo alcun vizio di ordine procedurale per
la mancata audizione dei pareri obbligatoriamente richiesti dall’art. 5
del testo unico del 1939 per l’emanazione del decreto del Ministro per
l’agricoltura e foreste, in quanto la Regione esercita la sua
competenza esclusiva secondo la disciplina stabilita in Costituzione e
nello Statuto, senza che possano trovare applicazione le norme statali
già vigenti per gli atti amministrativi dello Stato ed ormai caducate
a seguito dell’avvenuto trasferimento di attribuzioni.
Le considerazioni innanzi svolte dovrebbero, infine, valere anche
contro il generico richiamo dell’ordinanza di rimessione agli artt. 3 e
5 della Costituzione, motivato con riferimento alla sentenza n. 21 del
1957 della Corte, probabilmente nel presupposto che il principio di cui
all’art. 25, secondo comma, della Costituzione discenda dai criteri
informatori consacrati in quelle norme.
Tali deduzioni sono state poi ulteriormente sviluppate in una
successiva memoria depositata il 16 ottobre 1969, sulla base anche di
argomenti tratti in favore della legittimità della normativa impugnata
dalla decisione n. 59 del 22 giugno 1965 della Corte costituzionale.
5. – All’udienza la difesa della Regione ha insistito nelle
conclusioni precedentemente formulate.
1. – I tre giudizi, promossi con le ordinanze dei pretori di
Palmanova, San Vito al Tagliamento e Udine, hanno ad oggetto analoghe
questioni concernenti la stessa disposizione di legge regionale e
possono pertanto essere decisi congiuntamente con unica sentenza.
2. – Nei suoi termini essenziali, comuni a tutte le ordinanze, la
questione di legittimità costituzionale della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia del 10 maggio 1966, n. 5, che nel suo art. 1 (ed
unico) estende “il regime giuridico della zona fannistica delle Alpi,
previsto dal testo unico regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016, e dalle
altre leggi dello Stato” alla intera Provincia di Udine, compreso il
circondario (oggi Provincia) di Pordenone, è prospettato sotto il
profilo della violazione dell’art. 25, secondo comma, della
Costituzione (cui le ordinanze dei pretori di San Vito al Tagliamento e
di Udine aggiungono di rincalzo i più generali princìpi degli artt. 3
e 5).
Secondo l’assunto delle ordinanze, poiché la disciplina della zona
faunistica delle Alpi è penalmente sanzionata dalla legge statale, la
legge regionale si risolverebbe nella introduzione di un precetto
penale nuovo in contrasto con la riserva assoluta di legge statale che
sarebbe posta dal secondo comma dell’art. 25 della Costituzione.
3. – La questione non è fondata. Per giungere a questa conclusione
non è necessario riprendere in esame il problema generale della
“riserva” istituita dal secondo comma dell’art. 25 della Costituzione
né quello dai limiti che ne derivano alla potestà legislativa delle
Regioni anche se a statuto speciale, con particolare riferimento a
materie (come quella in oggetto) la regolamentazione delle quali
consiste, per la loro intrinseca natura, di autorizzazioni, limiti e
devieti: che sarebbero vanificati se sprovvisti di adeguata sanzione.
Nella specie oggi sottoposta al giudizio della Corte, infatti, la
Regione altro non ha fatto se non esercitare la competenza legislativa
primaria ad essa attribuita dall’art. 4 della legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1, assoggettando l’intera Provincia di Udine e quella
di Pordenone alla disciplina giuridica sostantiva dettata dal testo
unico del 1939 per la zona faunistica delle Alpi. Per conseguire tale
risultato, la Regione ha operato mediante rinvio, facendo proprio il
contenuto della disposizioni legislative statali sulla zona delle Alpi.
Va da sé che le sanzioni penali continuano a ricevere applicazione,
per forza propria, ossia come sanzioni poste da leggi statali, in
qualsiasi luogo in cui sia legittimamente vigente il rispettivo regime
giuridico, e perciò anche nelle Provincie di Udine e Pordenone, dal
momento che a quel regime anch’esse sono state sottoposte.
Non fa differenza che la legge statale intervenga successivamente a
comminare sanzioni penali per l’inosservanza di norme regionali e che,
invece, come nel caso presente, tali sanzioni già esistano nella
legislazione statale, identicamente operando così nell’ipotesi di
trasgressioni delle norme poste dalle leggi dello Stato, come
nell’ipotesi di trasgressione di norme regionali posteriormente emanate
ed aventi – nella specie – lo stesso contenuto e lo stesso oggetto di
quelle (tratte come sono, per rinvio, secondo si è detto, dalle
disposizioni del testo unico del 1939). Tanto più che il testo unico
non determina esso stesso, direttamente, l’ambito territoriale della
zona faunistica delle Alpi, ma ne rimette la determinazione – nel
restante territorio nazionale – a decreti del Ministro per
l’agricoltura e foreste.
Né siffatta situazione viene a mutare allorché, versandosi in
materia di competenza della Regione e questa essendo stata esercitata,
sia la Regione ad operare quella determinazione. Se alla Regione fosse
vietato di legiferare, direttamente o mediante rinvio, in materia di
caccia sol perché le norme da essa emanate comportano l’applicazione
di pene predisposte da norme statali con riferimento alle stesse
fattispecie o a fattispecie comprensive anche di quelle risultanti
dalla legge regionale, alla Regione verrebbe in realtà sottratta una
competenza, che statutariamente le spetta.
4. – Del pari prive di fondamento sono le ulteriori censure,
adombrate nella motivazione dell’ordinanza del pretore di San Vito al
Tagliamento.
Così è del rilievo, secondo cui la legge regionale denunciata
avrebbe perseguito il fine di consentire ai comuni inclusi nei
territori delle Provincie di Udine e Pordenone la costituzione di
riserve comunali di caccia: giacché nessun argomento viene poi addotto
per dimostrare che un tale fine sarebbe costituzionalmente vietato alla
Regione, così che, anche ad ammettere che, in punto di fatto,
l’illazione del pretore risponda al vero, non ne seguirebbe per ciò
solo un vizio di legittimità costituzionale della legge regionale. È
da soggiungere al riguardo che l’applicazione dello speciale regime
della zona faunistica delle Alpi implica – oggettivamente – una maggior
tutela della fanna locale, ciò che senza dubbio è conforme
all’interesse nazionale (cui genericamente si richiama la stessa
ordinanza, come pure quella del pretore di Palmanova) che sta a
fondamento della legislazione statale in materia. Ne offre indiretta
conferma l’art. 21 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, contenenti norme
di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige, che fa obbligo a
questa Regione di non diminuire la protezione attualmente concessa alla
selvaggina in dipendenza dell’appartenenza del territorio alla zona
faunistica delle Alpi.
Quanto alla censura dei “principi che informano il nostro
ordinamento giuridico”, per avere la legge regionale modificato i
confini della zona delle Alpi senza i pareri prescritti dall’art. 5 del
testo unico del 1939, è sufficiente osservare che la Regione non ha
sostituito una propria legge ai concreti provvedimenti amministrativi
che sarebbero, fuori della Regione, di competenza del Ministro
dell’agricoltura e foreste; ma, legiferando per relationem, ha
sottoposto una parte del suo territorio alla medesima identica
disciplina prevista dalla legge statale per le località rientranti
nella zona faunistica delle Alpi.
La vera portata della legge regionale denunciata sta precisamente,
come già risulta dalle considerazioni sopra svolte al punto secondo,
in una equiparazione legale, ai fini della disciplina della caccia, del
territorio di Udine e Pordenone agli altri territori nei quali vige lo
speciale regime giuridico dettato per la zona delle Alpi. La Regione,
in altre parole, ha scelto e adottato, in relazione alle provincie
anzidette, la disciplina legislativa ritenuta più adeguata alle
particolari esigenze locali e perciò all’interesse della stessa
Regione; ma, anziché ex novo, ha manifestato la propria volontà
legislativa rinviando a quella parte della legislazione statale da cui
quella disciplina è posta. Per questo aspetto la situazione è analoga
a quella su cui ebbe già occasione di pronunciarsi questa Corte, sotto
altro profilo, con la sentenza n. 11 del 3 marzo 1959, punto primo
della motivazione, relativa alla legge regionale sarda 30 marzo 1957,
n. 30.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della legge della Regione del Friuli-Venezia Giulia 10 maggio 1966, n.
5, portante estensione a tutto il territorio della Provincia di Udine,
compreso il circondario di Pordenone, delle facoltà riservistiche
della zona delle Alpi, sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe,
in riferimento agli artt. 29, secondo comma, 3 e 5 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 novembre 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.