Sentenza N. 143 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1968
Data deposito/pubblicazione
30/12/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/12/1968
GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI –
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI Dott. NICOLA REALE,
Giudici,
comma, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 5 luglio 1965,
n. 9, che approva il bilancio di previsione della Regione per
l’esercizio finanziario 1965, promosso con ordinanza emessa il 15
luglio 1967 dalla Corte dei conti a sezioni riunite nel giudizio di
parificazione del rendiconto generale della Regione Friuli-Venezia
Giulia, iscritta al n. 202 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell’11 novembre 1967
e nel Bollettino Ufficiale regionale n. 34 del 14 novembre 1967.
Visto l’atto d’intervento del Presidente della Regione
Friuli-Venezia Giulia;
udita nell’udienza pubblica del 4 dicembre 1968 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
udito l’avv. Arturo Carlo Jemolo, per il Presidente della Regione.
1. – Nel corso del giudizio di parificazione del rendi-conto
generale della Regione Friuli-Venezia Giulia per l’anno 1966, la Corte
dei conti a sezioni riunite sollevava questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18, comma terzo, della legge regionale n. 9
del 5 luglio 1965 sospendendo il “giudizio in corso” sui capitoli 1-6
tit. 1 del bilancio regionale.
Per l’art. 58 dello Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia gli atti
amministrativi della Regione sono sottoposti a un controllo di
legittimità che deve essere svolto dalla Corte dei conti in
conformità alle leggi dello Stato. Secondo l’ordinanza di rinvio, da
queste leggi, e in particolare dall’art. 19 del T.U. 12 luglio 1934, n.
1214, sulla Corte dei conti, si ricava che al controllo è sottoposto
l’atto terminale d’attuazione delle previsioni del bilancio, cioè
quello con cui il pubblico danaro passa alla disponibilità di altri
soggetti. Nel Friuli-Venezia Giulia i fondi per le spese del Consiglio
al proprio Presidente. Su questo trasferimento interno la Corte dei
conti esercita il suo controllo; ma i successivi singoli pagamenti
(atti terminali) vengono fatti da quel Presidente, che ne porta il
rendiconto solo al Consiglio regionale: così stabilisce l’art. 18,
terzo comma, della citata legge regionale 1965 n. 9, che perciò,
sottraendoli al controllo della Corte dei conti, contrasterebbe con
l’art. 58 dello Statuto regionale; contrasto che, secondo l’ordinanza
di rinvio, non si giustifica col richiamo alle leggi vigenti per il
Parlamento nazionale, alla cui posizione d’autonomia non può
avvicinarsi quella dei Consigli regionali (sentenza 1964 n. 66 della
Corte costituzionale), tanto più che proprio questa Corte ha stabilito
il principio inderogabile dell’assoggettamento delle regioni al
controllo statale (sentenza 1966, n. 121).
Infine l’ordinanza osserva che la questione è rilevante poiché
per effetto della norma denunciata mancano quegli elementi, sulle
“spese ordinate e pagate”, che costituiscono l’essenza del raffronto
con le leggi del bilancio.
2. – Nell’atto e nella memoria depositati il 1 dicembre 1967 e il 5
ottobre 1968 la difesa regionale eccepisce la inammissibilità della
questione, innanzi tutto perché il giudizio di parificazione svolto
dalla Corte dei conti non avrebbe natura giurisdizionale. Benché
questa Corte abbia deciso diversamente in due precedenti sentenze, la
Regione sostiene che in quel giudizio non esistono né liti né
decisioni a favore d’una parte; e neanche vi è luogo a cosa giudicata
poiché si tratta d’una fase dell’iter attraverso cui si giunge
all’approvazione del Parlamento che, essa sì, rende intangibile il
rendiconto: e se l’art. 40 del R.D. 1934 n. 1214 esige “le formalità
della giurisdizione contenziosa” è per dare solennità al
procedimento, che, senza questa norma, si sarebbe svolto in forma
diversa. In verità, secondo la difesa regionale, soltanto nelle
materie ricordate nell’art. 103 della Costituzione, e non quando
esercita il controllo successivo del bilancio riferendo direttamente
alle Camere (art. 100), la Corte dei conti sarebbe organo
giurisdizionale.
Inoltre – prosegue la difesa regionale – la questione di
costituzionalità non poteva esser sollevata dalle sezioni riunite
della Corte dei conti poiché proprio l’art. 58 dello Statuto prevede
soltanto il “controllo”, che è esercitato dalla delegazione avente
sede a Venezia: perciò anche la parificazione (ammissibile nel
Friuli-Venezia Giulia solo se rientra nel concetto di “controllo”)
dovrebbe essere svolta dallo stesso organo, secondo un principio di
decentramento che si ricaverebbe dall’art. 125 della Costituzione (per
le regioni a statuto normale) e dal D. L. 1948, n. 655, per la Sicilia
(unica eccezione il Trentino-Alto Adige ma per effetto di norma
espressa): è questo un problema di competenza del giudice a quo che
la Corte costituzionale dovrebbe affrontare poiché si tratta della
interpretazione, non di leggi ordinarie, ma di norma costituzionale.
Inoltre la difesa regionale osserva che il giudizio di
parificazione, entro il quale si è sollevato l’incidente di
costituzionalità, è ormai concluso e il rendiconto è stato già
approvato, legittimamente, dal Consiglio: non si può più tornare al
preteso giudice di rinvio (alla Corte dei conti) e perciò la questione
sarebbe manifestamente e del tutto irrilevante. La rilevanza, se mai,
sussisterebbe rispetto a un futuro rapporto amministrativo-contabile
fra delegazione di Venezia e ufficio di presidenza del consiglio
regionale, rapporto estraneo al procedimento di parificazione.
Quanto al merito, la questione si riduce a stabilire se occorra
giustificare, mediante “pezze contabili” (ricevute), le spese relative
al funzionamento del Consiglio regionale, cioè all’attività
politico-legislativa del Consiglio (indennità del Presidente, dei
Consiglieri, ecc.). Ne deriva che esse, rientrando nello svolgimento di
questa attività, ne restano assorbite, come avviene, a parte la
diversa posizione costituzionale dell’organo, per le spese inerenti
alle funzioni delle Camere: cosicché non si tratterebbe di atti
amministrativi, gli unici che l’art. 58 dello Statuto sottopone al
controllo della Corte dei conti, e perciò la questione non sarebbe
fondata. Tanto più che la norma denunciata non urta contro un
principio di carattere assoluto, dato che la legge consente all’organo
di controllo di limitare il riscontro a taluni rendiconti (art. 60 del
R.D. 18 novembre 1923, n. 2440).
3. – Nella discussione orale la difesa della Regione ha insistito
soprattutto sull’inapplicabilità della “parificazione” al
Friuli-Venezia Giulia così come, in mancanza d’una legge che lo
preveda, è inapplicabile alla Val d’Aosta e alle regioni a statuto
ordinario: nato come atto preparatorio rispetto alla legge del bilancio
statale, l’istituto si ricollega a tutto un sistema che è connesso
soltanto alla funzione politica del Parlamento nazionale.
1. – La Corte dei conti a sezioni riunite, lungo il giudizio di
parificazione del rendiconto della Regione Friuli- Venezia Giulia per
il 1966 e in particolare dei capitoli 1- 6 (tit. I), ha denunciato
l’art. 18, terzo comma, della legge regionale 5 luglio 1965, n. 9: la
norma, sottraendo al controllo di legittimità della Corte dei conti
gli atti di spesa del Presidente del Consiglio regionale relativi al
funzionamento di quest’ultimo, violerebbe l’art. 58 dello Statuto, che
invece sottopone a quel controllo tutti gli “atti amministrativi” della
Regione.
La difesa regionale ha avanzato preliminarmente due eccezioni di
inammissibilità (carattere non giurisdizionale, incompetenza delle
sezioni riunite) che però devono essere respinte: infatti questa
Corte ha già deciso che nel corso del procedimento di parificazione si
possono proporre questioni di costituzionalità e non ha motivo di
cambiare indirizzo (sent. n. 165 del 1963, n. 121 del 1966 e n. 142 del
1968); né può fermarsi ad esaminare, in un giudizio di legittimità
costituzionale, se l’organo, che ha emesso l’ordinanza di rinvio, fosse
competente a decidere sul merito (da ultimo sent. n. 111 del 1963 e n.
58 del 1964), cioè nella specie, sul rendiconto generale della Regione
Friuli-Venezia Giulia.
Quanto poi alla rilevanza, posta in dubbio dalla difesa regionale,
essa è invece sufficientemente motivata dalla Corte di rinvio; se ne
desume che il procedimento di parificazione sui capitoli 1-6 del
bilancio non si è concluso proprio perché non si erano potuti
controllare, precedentemente e di volta in volta, gli atti di spesa del
Presidente del Consiglio regionale e che, dopo un’eventuale pronuncia
di incostituzionalità, il giudizio potrà essere riassunto e deciso,
per l’appunto, previo esame di tali atti: situazione ben diversa da
quella in cui il controllo preventivo degli atti in relazione alle
leggi di spesa si era già esplicato pienamente ed esaurito allorché
la questione di costituzionalità di tali leggi venne proposta, durante
la parificazione del rendiconto generale (cit. sent. n. 142 del 1968).
2. – Nel merito la questione è infondata.
Il controllo della Corte dei conti, com’è noto, si esercita, allo
scopo di assicurare il rispetto delle leggi, sull’azione del Governo e
dei rami della pubblica amministrazione che dipendono da esso (art. 100
della Costituzione e T.U. 12 luglio 1934, n. 1214). Ne è esente
l’attività di quegli organi, come il Capo dello Stato, il Parlamento e
questa Corte, la cui posizione, ai vertici dell’ordinamento
costituzionale, è di assoluta indipendenza: anche in materia di spese,
poiché esse sono necessarie al funzionamento dell’organo, un riscontro
esterno comprometterebbe il libero esercizio delle funzioni
politico-legislative o di garanzia costituzionale che gli sono
attribuite.
Perciò nell’art. 100 della Costituzione e nel T.U. delle leggi
sulla Corte dei conti è chiaro che il controllo investe gli atti non
in quanto siano amministrativi in senso sostanziale, ma per la loro
provenienza dal Governo o da altri organi della pubblica
amministrazione; tanto è vero che proprio per questa provenienza vi
sono soggetti anche i decreti-legge e le leggi delegate e che gli altri
decreti presidenziali vi sono sottoposti poiché “emanano” dai
“Ministeri” (art. 17 T.U.), cioè dal Governo: insomma è la natura
dell’organo, e non la natura dell’atto indipendentemente da quella, a
legittimare il c.d. riscontro. Cosicché, se è discutibile la
configurazione della Corte dei conti quale organo ausiliario “del
Governo”, non sembra dubbio che il suo controllo investa solo l’azione
dell’esecutivo, della quale appunto è diretto a garantire la
legalità: difatti l’art. 100 della Costituzione è posto entro il
titolo III, dedicato al Governo, e il T.U. non conosce che i Ministri e
le amministrazioni dipendenti (artt. 15, 16, 17, 21 e art. 1 legge 21
marzo 1953, n. 161). In particolare l’impiego di somme destinate ad uno
dei tre organi costituzionali è soggetto a sindacato fino a quando sia
atto del Governo; ma, appena esse siano giunte a disposizione
dell’organo, gli ulteriori atti di spesa, comunque si concretino, sono
atti interni di quest’ultimo e perciò sottratti al riscontro.
3. – Un’analoga situazione si produce, su un piano diverso ma
sempre a livello costituzionale, nell’ambito delle Regioni a statuto
speciale: ciascuna di esse ha organi di governo e, ben distinta,
un’assemblea politico- legislativa. Nel contesto del nostro
ordinamento, caratterizzato dalla pluralità dei poteri, la Regione si
colloca come ente dotato di autonomia politica pur nell’unità dello
Stato; autonomia che gli statuti in generale riconoscono ad essa quale
entità diversa da questo, ma che si è tradotta in precise potestà
attribuite alle assemblee legislative regionali da norme statutarie.
Quanto poi, in particolare, al Consiglio del Friuli- Venezia Giulia,
esso non solo è organo politico- legislativo ma, al pari di altre
assemblee regionali (sent. n. 66 del 1964), non ha funzioni esecutive
neanche di natura regolamentare (artt. 42 e 46 dello Statuto). Ne
discende che, corpo indipendente e situato fuori dell’ordine
amministrativo (v. anche art. 289, n. 2, del Codice di procedura penale
modificato da legge 30 luglio 1957, n. 655), i suoi atti non sono
sottoposti a riscontro esterno.
Non vi contraddice una precedente sentenza con cui questa Corte ha
negato l’assimilazione delle assemblee legislative regionali al
Parlamento nazionale e riconosciuto, tra l’altro, che le controversie
relative ai loro dipendenti sono sottoposte alla giurisdizione statale
(sent. n. 66 del 1964): infatti, con ciò si è inteso soprattutto
rilevare come l’azione di queste assemblee, prive del potere di
esprimere un indirizzo politico generale, soggiaccia al controllo di
merito del Parlamento nazionale (rispetto al quale pertanto si pongono
in una tale posizione che non consente l’estensione analogica di sue
prerogative) e sia sottoposta a quel controllo giurisdizionale che,
uniforme in tutto il territorio dello Stato, è garantito, nell’inte
resse dei singoli, dall’art. 24 della Costituzione. Con il che non si
è fatta derivare la competenza del giudice esclusivamente dalla natura
amministrativa degli atti, ma si è voluta soltanto riaffermare la
validità del precetto costituzionale, per cui “tutti possono agire in
giudizio”, in un campo nel quale mancano norme e principi che, come
sembrerebbe per il Parlamento, prevedano un diverso sistema di tutela;
né si è esclusa, anzi si è riconosciuta l’indipendenza
dell’assemblea regionale, posizione connaturata a precise attribuzioni
politiche e legislative, sia pure circoscritte nell’ambito del
territorio regionale, e perciò incompatibile col riscontro a cui è
sottoposta, indipendentemente dalla difesa di diritti soggettivi o di
interessi legittimi, la pubblica amministrazione.
Questo è il motivo per cui, secondo il D.L. 6 maggio 1948, n. 655
(art. 2 n. 1), il controllo della Corte dei conti si esercita in
Sicilia solo sugli “atti del governo e dell’amministrazione regionale”
e in Sardegna, come prescrive il D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (art.
23), sugli “atti della giunta e della amministrazione regionale”; dove
ad “amministrazione regionale”, data la posizione della frase nel
contesto e i rilievi esposti sopra, non può darsi altro significato
che quello, soggettivo, di organi od uffici dipendenti dal Governo
della Regione: tanto è vero che il rifiuto di registrazione dà luogo
eventualmente a ricorso, in virtù di quelle leggi, soltanto della
Giunta. Cosicché lo stesso art. 58 dello Statuto del Friuli-Venezia
Giulia, invocato dall’ordinanza di rinvio, sottoponendo gli “atti
amministrativi della regione” al sindacato di legittimità della Corte
dei conti, non può che riferirsi agli atti del governo regionale:
infatti, come vi si aggiunge, il controllo deve esercitarsi “in
conformità delle leggi dello Stato che disciplinano le attribuzioni
della Corte dei conti”, vale a dire di quelle leggi (art. 100 della
Costituzione e T.U.) che, a quanto si è premesso, non conoscono se non
il riscontro degli atti del Governo.
Se ne deve concludere che le somme impegnate in bilancio per le
spese di funzionamento del Consiglio regionale, appena pervenutegli,
possono essere spese dal suo Presidente senza altro controllo che
quello, successivo, del medesimo Consiglio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta, con ordinanza 14 luglio
1967 della Corte dei conti a sezioni riunite e in riferimento all’art.
58 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, sulla
legittimità costituzionale dell’art. 18, terzo comma, della legge
regionale 5 luglio 1965, n. 9, recante “Stato di previsione
dell’entrata e della spesa della Regione Friuli- Venezia Giulia per
l’esercizio finanziario 1965”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1968.
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – NICOLA REALE.