Sentenza N. 144 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
30/06/1971
Data deposito/pubblicazione
30/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/06/1971
MICHELE FRAGALI- Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI- Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE
MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof.
PAOLO ROSSI, Giudici,
comma, del r.d. 18 giugno 1931, n. 914 (testo unico delle disposizioni
legislative riguardanti il Corpo equipaggi marittimi e lo stato
giuridico dei sottufficiali della marina), e dell’art. 12, terzo comma,
del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626 (che estende il nuovo regime delle
pensioni ai militari dell’esercito e della marina), promosso con
ordinanza emessa il 2 ottobre 1968 dalla Corte dei conti – sezione IV
giurisdizionale ordinaria – sul ricorso di Giudice Alfredo, iscritta al
n. 262 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969.
Visto l’atto di costituzione di Giudice Alfredo;
udito nell’udienza pubblica del 22 aprile 1970 il Giudice relatore
Giuseppe Verzì;
udito l’avv. Mario Barra Caracciolo, per il Giudice.
Il sottufficiale della marina Giudice Alfredo, il 28 novembre 1947,
dopo quindici anni, otto mesi e diciassette giorni di servizio, veniva
collocato in congedo perché rimosso dal grado per essere stato
condannato dal tribunale militare di Taranto alla pena di tre anni e
cinque mesi di reclusione, nonché alla pena accessoria della rimozione
dal grado.
Dopo il rigetto da parte del Ministero difesa marina di due istanze
dirette ad ottenere la pensione, il Giudice adiva la Corte dei conti e,
tra l’altro, proponeva questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, di quelle norme per effetto
delle quali, all’epoca della cessazione del suo rapporto di impiego, i
sottufficiali di marina rimossi dal grado avevano diritto alla pensione
solo se avessero compiuto diciannove anni, sei mesi ed un giorno di
effettivo servizio – valevoli per anni venti – mentre gli ufficiali
rimossi dal grado, se avevano compiuto quattordici anni, sei mesi ed un
giorno, valevoli per quindici anni di servizio, avevano diritto alla
pensione nella misura ridotta di 3/4.
Poiché il Giudice era stato rimosso dal grado a seguito di
condanna per malversazione in danno di militari, fattispecie rientrante
fra le ipotesi previste dall’art. 3 del r.d.l. 3 giugno 1938, n. 1032,
secondo il quale la perdita del diritto a pensione conseguiva de jure
alla condanna penale, la Corte dei conti riteneva che ogni decisione
sulla rilevanza della suesposta questione si sarebbe dovuta adottare
solo dopo che la Corte costituzionale si fosse pronunziata sulla
legittimità costituzionale dell’art. 183 del t.u. 21 febbraio 1895, n.
70, cosi come modificato dal citato art. 3 del r.d.l. n. 1032 del 1938.
Con sentenza del 3 luglio 1967, n. 78, questa Corte dichiarava
viziato di illegittimità costituzionale l’art. 183, come sostituito
dall’art. 3 sopraindicato.
Riassunto il giudizio, avanti alla Corte dei conti, il Giudice
insisteva nella proposta questione di legittimità costituzionale, e
sollevava altresì, in subordine, nel caso di fondatezza della
questione, anche quella dell’art. 12, comma ultimo, del r.d. 18
novembre 1920, n. 1626, assumendo che la riduzione della pensione a 3/4
in tal comma sancita, ed abolita soltanto per effetto della legge 8
giugno 1966, n. 424, contrasterebbe con l’art. 36 della Costituzione,
il quale, in via di principio, assicura al lavoratore il compenso
dovuto in corrispettivo del cessato rapporto di impiego.
La Corte dei conti, ritenuta la fondatezza della questione e la
rilevanza di essa per la definizione del giudizio principale, con
ordinanza del 2 ottobre 1968, ha denunciato:
a) l’art. 45, primo comma, del t.u. approvato con r.d. 18 giugno
1931, n. 914, in relazione all’art. 12, terzo comma, del r.d. 18
novembre 1920, n. 1626, ed in riferimento all’art. 3 della
Costituzione;
b) lo stesso art. 12, terzo comma, in riferimento all’art. 36 della
Costituzione, in subordine alla riconosciuta illegittimità dell’art.
45 sopraindicato.
L’ordinanza pone in rilievo che, mentre l’art. 12 del r.d. n. 1626
del 1920 estende la riduzione da 20 a 15 anni di servizio per il
riconoscimento del diritto a pensione agli ufficiali dispensati dal
servizio di autorità o rimossi dal grado o cessati comunque dal
servizio per effetto di condanna che non implichi perdita del diritto
stesso, l’art. 45 del t.u. del 1931, nel regolare tale diritto per i
sottufficiali di marina, prescinde da questa particolare previsione dei
15 anni, creando pertanto una disparità di trattamento fra ufficiali e
sottufficiali che si trovino nelle stesse condizioni. Il trattamento
deteriore praticato ai sottufficiali sarebbe contrario al principio di
eguaglianza fra cittadini, ovvia essendo la identità delle situazioni
obbiettive e subbiettive (rimozione dal grado per motivi disciplinari o
cessazione, comunque, dal servizio per effetto di condanna penale) e
non essendovi alcuna ragione che possa giustificare la norma più
rigorosa valevole per gli inferiori in grado.
Nell’ipotesi, poi, considerata dall’art. 12, terzo comma, del r.d.
18 novembre 192O, n. 1626, la riduzione della pensione a tre quarti
sarebbe contraria al principio risultante dall’art. 36 della
Costituzione, che garantisce al prestatore d’opera una retribuzione –
nel corso del rapporto di lavoro o differita alla cessazione del
medesimo – proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro
prestato. La riduzione è stata abolita dalla legge 8 giugno 1966, n.
424, ma questa legge dispone che i trattamenti già perduti, ridotti o
sospesi, sono ripristinati integralmente a decorrere dal giorno
successivo alla entrata in vigore della legge stessa, e cioè a partire
dal 6 luglio 1966. E poiché nel giudizio principale, nel quale sono
state sollevate le suesposte questioni, si controverte anche di diritti
maturati anteriormente a tale data, le questioni stesse conservano la
loro rilevanza, nonostante l’abrogazione delle disposizioni denunziate.
Nel giudizio innanzi questa Corte si è costituito soltanto il
Giudice, ribadendo, sostanzialmente, le argomentazioni addotte
dall’ordinanza di rimessione.
L’ordinanza di rimessione ritiene che la norma impugnata violi il
principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione in
quanto, per i sottufficiali dell’esercito e della marina rimossi,
destituiti o che cessino dal servizio per condanna fa, in materia di
pensione, un trattamento differenziato e non giustificato rispetto agli
ufficiali che si trovino nelle medesime condizioni: i primi hanno
diritto a pensione soltanto se hanno compiuto venti anni di servizio
(19 anni, 6 mesi ed un giorno) mentre per gli ufficiali sono
sufficienti quindici anni (14 anni, 6 mesi ed un giorno).
La questione è fondata.
Secondo il t.u. sulle pensioni civili e militari approvato con r.d.
21 febbraio 1895, n. 70, e successive modificazioni, sia gli ufficiali
che i sottufficiali dell’esercito e della marina che, dopo 20 anni di
servizio, cessavano dal servizio a loro domanda, o di autorità, o per
disposizioni di legge, avevano diritto a pensione.
Il limite di 20 anni di servizio fu ridotto a 15 in caso di
cessazione per riforma: per gli ufficiali con l’art. 12 del r.d. 18
novembre 1920, n. 1626; per i sottufficiali dell’esercito con l’art.
23 del r.d.l. 16 ottobre 1919, n. 1986; per i sottufficiali di marina
con l’art. 53 del r.d. 20 ottobre 1919, n. 1988, riprodotto poi
nell’art. 55 del t.u. 21 novembre 1924, n. 1525, e nell’art. 45,
secondo comma, del t.u. 18 giugno 1931, n. 914.
L’art. 12 del sopraindicato r.d. n. 1626 del 1920, che estendeva il
nuovo regime delle pensioni ai militari dell’esercito e della marina,
non si limitò a ridurre il limite di 20 anni a 15 di servizio per gli
ufficiali che cessavano dal servizio per riforma, ma aggiunse che tale
riduzione del periodo minimo di anni per conseguire il diritto a
pensione si estendeva “agli ufficiali dispensati dal servizio di
autorità”. E stabiliva, inoltre, al terzo comma, che “gli ufficiali
eliminati dai ruoli, rimossi, destituiti, o che cessino dal servizio
per effetto di condanna, che non importi la perdita del diritto a
pensione, hanno diritto ai tre quarti dell’assegno temporaneo o
vitalizio spettante ai riformati”.
Le disposizioni del secondo e del terzo comma del sopraindicato
art. 12, non furono estese ai sottufficiali né dallo stesso decreto
né da altre leggi successive, perché, anzi, il t.u. 18 giugno 1931,
n. 914, nel regolare il diritto a pensione dei sottufficiali di marina
contiene un generico rinvio alle disposizioni che regolano il diritto
dei sottufficiali, e cioè all’art. 53 del t.u. approvato con r.d. 21
agosto 1925, n. 1525: il quale stabilisce che il trattamento di
pensione normale spetta ai sottufficiali che, dopo venti anni di
servizio, cessino dal servizio sia in seguito a domanda, sia di
autorità o per prescrizione di legge secondo le norme del t.u. sulle
pensioni civili e militari, approvato con r.d. 21 febbraio 1895, n. 70.
In atto è in vigore la legge 8 giugno 1966, n. 424, che ha
abrogato le disposizioni che prevedono – a seguito di condanna penale o
di provvedimento disciplinare – la perdita, la riduzione o la
sospensione del diritto dei dipendenti dello Stato al conseguimento ed
al godimento della pensione: tuttavia permane la disparità di
trattamento fra gli ufficiali ed i sottufficiali rispetto al minimo
degli anni di servizio occorrenti per conseguire il diritto alla
pensione: 15 anni per i primi e 20 per i secondi.
Non si può addurre alcuna giustificazione per il trattamento
differenziato in materia di pensione, fatto tra persone appartenenti
alle stesse Forze Armate e che hanno analoghi doveri e si trovano in
analoghe condizioni, non avendo la differenza di grado alcuna rilevanza
rispetto agli anni di servizio necessari per conseguire il diritto a
pensione; onde sussiste la violazione del principio di uguaglianza
sancito dall’art. 3 della Costituzione.
È invece infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626,
sollevata dalla stessa ordinanza in riferimento all’articolo 36 della
Costituzione. Infatti, disponendo per gli ufficiali eliminati dai
ruoli, rimossi, destituiti o condannati, la riduzione a tre quarti
dell’assegno temporaneo o vitalizio spettante ai riformati, il
legislatore ha tenuto conto non solo della riduzione degli anni ma
anche dei motivi per i quali il servizio è cessato con i relativi
riflessi sul rendimento; e conseguentemente ha ritenuto che non fosse
rispondente a giustizia concedere ai suddetti ufficiali la pensione
nella misura spettante a quelli che lasciavano il servizio per motivi
di salute. E la Corte ritiene che non contraddica al principio
costituzionale della proporzionalità della retribuzione alla quantità
e alla qualità del lavoro prestato il determinare l’importo della
pensione in misura diversa da quella normale quanto sussistono altri
elementi razionali di valutazione e giustificati motivi.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, primo comma,
del testo unico approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 914, nella parte
in cui per i sottufficiali dell’esercito e della marina, non dispone lo
stesso trattamento pensionistico regolato, per gli ufficiali, dal
secondo e dal terzo comma dell’art. 12 del r.d. 18 novembre 1920, n.
1626;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 12, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1920, n. 1626 (che
estende il nuovo regime delle pensioni ai militari dell’esercito e
della marina), sollevata in riferimento all’art. 36 della Costituzione,
dall’ordinanza del 2 ottobre 1968 della Corte dei conti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.