Sentenza N. 145 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
Ministri notificato il 6 marzo 1967, depositato in cancelleria il 16
successivo ed iscritto al n. 7 del Registro ricorsi 1967, per conflitto
di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana, sorto a seguito
della deliberazione in data 8 novembre 1966, con la quale il Comitato
per il credito e il risparmio presso la Regione siciliana ha consentito
la dispensa delle incompatibilità previste dagli artt. 6 del testo
unico delle leggi sulie casse di risparmio approvato con R.D. 25 aprile
1929, n. 967, e 4 del R.D.L. 24 febbraio 1938, n. 204, convertito nella
legge 3 giugno 1938, n.778.
Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 16 novembre 1967 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l’avv.
Antonio Sorrentino, per la Regione siciliana.
Con deliberazione in data 8 novembre 1966 il Comitato per il
credito ed il risparmio presso la Regione siciliana accordava a tre
consiglieri di amministrazione e ad un sindaco della Cassa centrale di
risparmio per le provincie siciliane la dispensa dalie incompatibilità
previste dagli artt. 6 del testo unico delle leggi sulle casse di
risparmio approvato con R.D. 25 aprile 1929, n. 967, e 4 del R.D.L. 24
febbraio 1938, n. 204, convertito nella legge 3 giugno 1938, n. 778.
Contro tale delibera ha proposto ricorso il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato con atto depositato in cancelleria in data 16 marzo 1967.
In tale atto, e nella memoria depositata ii 30 ottobre successivo,
l’Avvocatura sostiene che il provvedimento impugnato esorbita dalla
competenza attribuita alla Regione siciliana in materia di credito e
risparmio dall’art. 20 dello Statuto, in relazione all’art. 17, lett.
e, e dagli artt. 1 e 2 del D.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, contenente
norme di attuazione dello Statuto nella predetta materia. Osserva al
riguardo che l’emanazione dei provvedimenti di deroga alle
incompatibilità previste dalle sopra indicate disposizioni è
riservata allo Stato perché, come si evince dall’art. 2, lett. a ed e,
del D.P.R. n. 1133 del 1952, le attribuzioni del Comitato regionale
sono tassativamente circoscritte, per la parte che qui interessa,
all’ordinamento di istituti ed aziende di credito operanti
esclusivamente nel territorio regionale e alla nomina di amministratori
e sindaci di detti istituti ed aziende nei casi in cui dalle vigenti
disposizioni è demandata agli organi di vigilanza bancaria. Ora, ad
avviso dell’Avvocatura, i provvedimenti di dispensa dalle
incompatibilità non possono ricomprendersi in quelli cui si
riferiscono le lettere a ed e dell’art. 2 ora ricordato: non in quelli
indicati dalla lettera a perché col termine “ordinamento” di istituti
ed aziende di credito la norma ha evidentemente inteso riferirsi a
provvedimenti a contenuto generale; né in quelli indicati dalla
lettera e in quanto la dispensa dalle incompatibilità non può
considerarsi una semplice facoltà compresa nel potere di nomina, che
in pochi e ben determinati casi è stato devoluto al Comitato
regionale, ma si configura come manifestazione di un potere distinto
che non è affatto contemplato dalle norme di attuazione.
Precisa inoltre l’Avvocatura che con tali norme sono state
trasferite alla Regione alcune delle funzioni spettanti in materia di
credito e risparmio al Comitato interministeriale, al Ministero del
tesoro e alla Banca d’Italia e non anche le funzioni spettanti nella
stessa materia al Ministero dell’interno. Il parere favorevole di
quest’ultimo, che è determinante ai fini dell’emanazione del
provvedimento di dispensa, non può quindi considerarsi attribuito
all’Assessore per gli Enti locali onde, anche sotto questo profilo,
deve essere esclusa la competenza, quanto meno esclusiva, della Regione
a provvedere nella materia in contestazione.
Sottolinea infine l’Avvocatura l’evidente esigenza che, in ossequio
all’art. 3 della costituzione, la materia delle deroghe sia trattata
uniformemente sul piano nazionale non comportando essa alcuna
valutazione di esigenze ed interessi locali e conclude chiedendo che la
Corte voglia dichiarare che spetta allo Stato rilasciare “deroghe” alle
incompatibilità degli amministratori e dei sindaci di istituti e di
aziende di credito operanti esclusivamente nel territorio siciliano,
annullando il provvedimento impugnato.
Con atto depositato in cancelleria il 22 marzo 1967 si e
costituito nel presente giudizio il Presidente della Regione siciliana,
rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Sorrentino. Nelle deduzioni
costitutive e nella memoria del 31 ottobre 1967, che le amplia e le
sviluppa, la difesa della Regione sostiene che la interpretazione data
dall’Avvocatura alle norme di attuazione contenute nel D.P.R. 27 giugno
1952, n. 1133, fraintende lo spirito e la lettera di esse. Per
coglierne l’esatto contenuto occorre tener presente il principio
generale che risulta dall’art. 20 dello Statuto, secondo il quale, una
volta intervenuto il passaggio delle attribuzioni nelle materie
previste dagli artt. 14, 15 e 17, le funzioni esecutive ed
amministrative spettano agli organi regionali. Se, per contro, le
disposizioni degli artt. 1 e 2 del D.P.R. n. 1133 dovessero intendersi
nel senso che una funzione tipicamente amministrativa, o esecutiva,
quale quella di valutare la sussistenza dei presupposti per dispensare
nel singolo caso un amministratore od un sindaco di una cassa di
risparmio da una incompatibilità, sia riservata agli organi statali,
dovrebbe in via incidentale esaminarsi la costituzionalità di dette
disposizioni per l’evidente contrasto con l’art. 20 dello Statuto.
A tale giudizio di incostituzionalità non dovrà però pervenirsi
se alle norme di attuazione si dà una interpretazione meno restrittiva
di quella sostenuta nel ricorso. Non è esatto, infatti, ritenere che
la competenza demandata al Comitato regionale in materia di
“ordinamento di istituti ed aziende di credito operanti esclusivamente
nel territorio regionale”, riguardi solo l’emanazione di norme e
provvedimenti di portata generale; essa comprende invece anche
l’adozione di provvedimenti amministrativi speciali. L’espressione
“ordinamento” nel nostro linguaggio giuridico ha un duplice
significato: di ordinamento giuridico e di organizzazione concreta e
non è dubbio che nel concetto di organizzazione rientri anche e
soprattutto la formazione degli organi. Neppure è esatta
l’affermazione che il potere di dispensa sia autonomo e distinto da
quello di nomina, dovendosi per contro ritenere che quest’ultimo sia
comprensivo anche della possibilità di dispensare il nominato da una
eventuale incompatibilità; di tal che ogni qual volta la nomina di
amministratori e di sindaci è di competenza del Comitato regionale
deve altresì riconoscersi a quest’organo il potere di valutare la
sussistenza di motivi di incompatibilità e dispensarne gli
interessati.
Non pertinente, secondo la difesa della Regione, è il riferimento
fatto ex adverso all’art. 3 della costituzione; a parte la circostanza
che nel caso in esame non si fa questione di parità dei cittadini di
fronte alla legge, è decisivo considerare, sotto un profilo generale,
che la materia delle deroghe difficilmente si potrebbe inquadrare
nell’ambito del principio di eguaglianza e, sotto un profilo specifico,
che, come risulta dal provvedimento impugnato, il Comitato regionale si
è ispirato agli stessi principi del Comitato interministeriale.
La difesa della Regione conclude perciò in via principale perché
il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri sia respinto e in
via subordinata perché siano dichiarati illegittimi gli artt. 1, 2 e
10 del D.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, nella parte in cui riservano al
Comitato interministeriale del credito e risparmio il potere di
accordare la dispensa dalle incompatibilità previste dalla legge per
gli istituti e le aziende di credito operanti esclusivamente
nell’ambito regionale.
1. – La questione deferita alla Corte con il ricorso indicato in
epigrafe è di stabilire se spetti allo Stato, e per esso al Comitato
interministeriale per il credito e risparmio, ovvero alla Regione
siciliana, e per essa al Comitato regionale, la competenza ad emettere
i provvedimenti di deroga alle incompatibilità per l’ufficio di
amministratore e di sindaco delle casse di risparmio, previsti
dall’art. 4 del R.D.L. 24 febbraio 1938, n. 204, integrato
dall’articolo unico della legge di conversione 3 giugno 1938, n. 778.
Per risolvere tale questione è necessario esaminare il decreto
presidenziale 27 giugno 1952, n. 1133, contenente norme di attuazione
dello Statuto siciliano in materia di credito e risparmio, poiché di
queste disposizioni le parti hanno dato diversa interpretazione per
svolgere opposte tesi a sostegno della rispettiva competenza ad emanare
i provvedimenti oggetto della impugnativa.
L’art. 1 del citato decreto ha istituito presso la Regione un
Comitato per il credito ed il risparmio al quale sono state demandate
le attribuzioni spettanti al Comitato interministeriale in alcune
materie, specificamente indicate nelle varie lettere del successivo
art. 2 tra le quali: “l’ordinamento di istituti ed aziende di credito
operanti esclusivamente nel territorio regionale” (lett. a) e “la
nomina di amministratori e sindaci degli istituti ed aziende di cui
alla lettera a, nei casi in cui dalle vigenti disposizioni è
demandata agli organi di vigilanza bancaria” (lett. e). L’art. 10
stabilisce, infine, che per tutto quanto non previsto nel decreto di
attuazione, e con esso non in contrasto, “si applicano nella Regione
le disposizioni dello Stato in materia di difesa del risparmio e
disciplina della funzione creditizia e sono competenti gli organi
previsti da dette disposizioni”. Orbene dal combinato disposto delle
norme richiamate può dedursi che nella materia del credito e del
risparmio, in cui è riconosciuta alla Regione una potestà legislativa
concorrente ai sensi dell’art. 17, lett. e, dello Statuto, non si è
inteso trasferire agli organi regionali una potestà amministrativa
piena escludente qualsiasi residua attribuzione di potestà nella
stessa materia degli organi statali. Le norme di attuazione hanno per
contro assolto lo scopo di precisare, da un canto, le funzioni statali
trasferite, facendone una elencazione letterale e tassativa, nella
quale non figura puntualmente il potere di deroga in discussione, o
di riaffermare, dall’altro, la competenza degli organi centrali in
ordine a provvedimenti e funzioni inerenti a questioni d’interesse
generale da risolvere in modo unitario su piano nazionale.
Alla stregua di queste considerazioni non può essere condivisa la
tesi della difesa della Regione, basata su una interpretazione
estensiva delle norme di attuazione, secondo la quale i provvedimenti
di dispensa delle incompatibilità relativi agli amministratori e
sindaci, la cui nomina non spetta agli organi di vigilanza, dovrebbero
ricomprendersi nella materia “ordinamento di istituti e aziende di
credito” cui si riferisce la lettera a del citato articolo
2. Il termine “ordinamento” indica provvedimenti a contenuto
generale, mentre la dispensa dalle incompatibilità è un provvedimento
a contenuto particolare che riguarda persone determinate.
Neppure è esatto sostenere che quando si tratti delle nomine di
competenza della Regione ai sensi della lett. e la facoltà di
dispensa debba ritenersi compresa nel potere di nomina. A parte il
fatto che tale potere, come la Corte ha avuto occasione di precisare
(sent. 44 del 1958), si riferisce a pochissimi casi ben circostanziati
– tra i quali per le Casse di risparmio la nomina dei soli presidenti e
vicepresidenti – è da osservare che il provvedimento di dispensa si
distingue da quello di nomina, sia per il procedimento di formazione,
sia per la diversità del contenuto e delle ragioni che ne giustificano
l’adozione. Sotto il primo aspetto è da tener presente che trattasi di
provvedimento di un organo collegiale emesso previo parere favorevole
del Ministro dell’interno, parere vincolante e quindi decisivo.
Elemento quest’ultimo degno di particolare rilievo ove si consideri che
con le norme di attuazione sono state demandate agli organi regionali
alcune funzioni spettanti al Comitato interministeriale e ad altri
organi centrali, quali il Ministero del tesoro e la Banca d’Italia, ma
non anche le attribuzioni in materia di competenza del Ministero
dell’interno. Evidente è poi la diversità del contenuto e delle
ragioni giustificatrici dell’atto di dispensa perché la rimozione di
una causa di incompatibilità – che è cosa ben diversa dalla nomina –
è espressione del potere di vigilanza, che, sebbene comporti la
valutazione di casi singoli ed esigenze particolari per deliberare in
ordine alla opportunità e meno di consentire il contemporaneo
esercizio di differenti uffici, riguarda nondimeno materia di estrema
delicatezza che il legislatore nel suo prudente ed insindacabile
apprezzamento ha ritenuto di non dover trasferire per trattarla
uniformemente in tutto il territorio dello Stato.
Può pertanto affermarsi che con le norme di attuazione contenute
nel D. P. n. 1133 del 1952 il potere di dispensa dalle
incompatibilità, previsto dalla legge 3 giugno 1938, n. 778, non è
stato trasferito alla Regione.
2. – Occorre ora esaminare la richiesta formulata dalla difesa
della Regione di promuovere in via incidentale, in questo giudizio, la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 10 delle
norme di attuazione in riferimento all’art. 20 dello Statuto.
La questione è manifestamente infondata. La censura
d’incostituzionalità nuove dall’erroneo presupposto che in tutte le
materie attribuite alla competenza legislativa regionale, e in
particolare anche in quelle attribuite alla legislazione concernente,
lo Stato sia tenuto a trasferire alla Regione tutte le competenze
amministrative, senza riservare a sé alcun potere. Ciò non è esatto,
essendo invece le norme di attuazione destinate tra l’altro a
coordinare i poteri normativi statali e regionali, ed essendo chiaro
che, specialmente in quelle materie in cui la legislazione regionale
sia tenuta a rispettare i principi ed interessi cui si informa la
legislazione dello Stato, le norme di attuazione possano e debbano
regolare l’attività amministrativa degli organi regionali in modo
conforme agli anzidetti principi ed interessi.
Nella materia del credito e risparmio, che è concorrente ai sensi
dell’art. 17 dello Statuto, devono perciò ritenersi legittime le norme
che prevedono l’intervento in sede amministrativa degli organi centrali
tutte le volte in cui i provvedimenti da adottare afferiscano ad
interessi la cura dei quali lo Stato abbia ritenuto di non dover
trasferire per ragioni di unitaria disciplina.
Va pertanto annullata la deliberazione 8 novembre 1966 impugnata
con il ricorso in esame.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta allo Stato, e per esso al Comitato
interministeriale per il credito ed il risparmio la competenza a
concedere dispensa dalle incompatibilità per l’ufficio di
amministratore e di sindaco delle Casse di risparmio ai sensi dell’art.
4 del R D. L. 24 febbraio 1938, n. 204, convertito in legge 3 giugno
1938, n. 778;
annulla conseguentemente la deliberazione 8 novembre 1966 del
Comitato regionale per il credito ed il risparmio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– ANTONIO MANCA – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.