Sentenza N. 145 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
30/06/1971
Data deposito/pubblicazione
30/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali), promosso con ordinanza emessa il 3 settembre 1969 dal
giudice istruttore del tribunale di Trapani nel procedimento penale a
carico di Ardito Antonina ed altri, iscritta al n. 378 del registro
ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 280 del 5 novembre 1969.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore
Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso del procedimento penale contro Ardito Antonina, Mistretta
Girolamo e La Rocca Giacomo, imputati di concorso nel delitto di cui
agli artt. 56, 110 e 640 del codice penale per avere tentato di indurre
in errore l’INAIL per procurare un ingiusto profitto all’Ardito,
simulando le circostanze di un infortunio agricolo, al fine di
conseguire l’indennizzo dal predetto Istituto, il giudice istruttore
presso il tribunale di Trapani con ordinanza del 3 settembre 1969, ha
sollevato la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 30
giugno 1965, n. 1124 (legge delegata) contenente il testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali, in relazione all’art. 30 della
legge delegante 19 gennaio 1963, n. 15, ed in riferimento all’art. 76
della Costituzione.
Secondo l’ordinanza, nel fatto attribuito agli imputati sarebbe
ravvisabile, non già il reato di tentata truffa, ma quello previsto
dall’art. 18 del d.l.l. 23 agosto 1917, n. 1450, convertito nella legge
17 aprile 1925, n. 473, che puniva con le penalità comminate per il
reato di truffa il lavoratore che simulava l’infortunio o ne aggravava
dolosamente le conseguenze, e che deve intendersi abrogato, non essendo
stato riprodotto nel suindicato d.P.R. n. 1124 del 1965, che ha
raccolto in testo unico tutte le disposizioni in materia di
assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali. Siffatta abrogazione supererebbe i limiti della
delega contenuta nell’art. 30 della legge n. 15 del 1963, atteso che da
questa non si desumerebbe alcun criterio che possa interpretarsi in
maniera tanto lata da far ritenere che il legislatore delegante abbia
autorizzato un trattamento più benevolo all’assicurato fraudolento.
Nel presente giudizio, vi è stato soltanto l’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri.
L’Avvocatura generale dello Stato riconosce che il t.u. del 1965
non ha riprodotto la norma di cui all’art. 18 del d.l.l. n. 1450 del
1917, né ha comunque previsto autonomamente il reato di simulazione di
infortunio agricolo, ed ammette quindi la abrogazione tacita rilevata
dall’ordinanza di rimessione; ma ritiene che non vi sia stato eccesso
di delega attesa la formula dell’art. 30 della legge delegante n. 15
del 1963.
1. – Secondo l’ordinanza di rimessione, il Governo – delegato
dall’art. 30 della legge 19 gennaio 1963, n. 15, a riunire in un testo
unico le norme relative all’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali – avrebbe violato i
principi informatori della delega, omettendo di riportare, nel d.P.R.
30 giugno 1965, n. 1124, l’art. 18 del d.l.l. 23 agosto 1917, n. 1450,
convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, che dispone che il
lavoratore agricolo, il quale abbia simulato l’infortunio o ne abbia
dolosamente aggravato le conseguenze, perde il diritto ad ogni
indennizzo ed è sottoposto alle penalità comminate dagli artt. 413 e
414 del codice penale allora vigente.
Siffatta omissione, che determina sostanzialmente l’abrogazione
della norma, appare vantaggiosa per l’assicurato simulatore, dal
momento che sopprime una autonoma figura di reato, assimilabile alla
truffa soltanto quoad poenam e non abbisognevole quindi dei requisiti
propri di tale delitto. Il legislatore delegato avrebbe pertanto
violato l’art. 76 della Costituzione per inosservanza dei principi e
criteri direttivi della delega contenuta nell’art. 30, atteso che da
questa non si desumerebbe alcun criterio che possa interpretarsi in
maniera tanto lata da far ritenere che il legislatore delegante abbia
autorizzato un trattamento più benevolo all’assicurato fraudolento.
2. – La questione è infondata.
Ragioni di coordinamento fra le varie norme di legge relative
all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, sia dei lavoratori in agricoltura sia di quelli
dell’industria, e necessità di semplicità e speditezza nelle
procedure giustificano pienamente la soppressione dell’art. 18; per
altro autorizzata dalla delega contenuta nell’art. 30 della legge n. 15
del 1963, la quale prevede che il Governo possa “stabilire modifiche,
correzioni, ampliamenti, ed, ove occorra, soppressioni delle norme
vigenti”. Ed invero, siffatta soppressione è valsa ad eliminare molte
questioni, che erano sorte in merito alla autonomia del reato
ipotizzato in detto articolo ed in merito alla integrazione con le
norme del codice penale, specialmente dopo l’entrata in vigore di
quello del 1930, che aveva ulteriormente disciplinato il reato di
simulazione di infortunio rispetto al codice precedente; ed era
soprattutto richiesta dalla necessità di coordinamento delle norme
vigenti per i lavoratori in agricoltura con quelle dei lavoratori
dell’industria.
Infatti, l’art. 46 della legge n. 1765 del 1935 dispone che
l’assicurato simulatore di infortunio “perde il diritto ad ogni
prestazione, ferme rimanendo le pene stabilite dalla legge”, afferma
cioè il principio del rinvio al codice penale qualora il fatto
costituisca reato. Ed a tale principio, per gli infortuni
nell’industria, si è attenuto il legislatore delegato, riproducendo la
norma contenuta in detto articolo, nell’art. 65 del d.P.R. n. 1124 del
1965.
Non sussistendo alcun plausibile motivo di mantenere per gli
infortuni in agricoltura una autonoma figura di reato, per punire
violazioni aventi le medesime caratteristiche, non è stato riprodotto
nello stesso decreto presidenziale l’art. 18 di cui si discute,
raggiungendosi così l’intento di realizzare una unica disciplina.
Né varrebbe il rilievo che l’art. 46 della legge n. 1765 del 1935
non è stato riprodotto anche per gli infortuni in agricoltura, in
quanto per il rinvio alle norme del codice penale era, sostanzialmente,
superflua la specificazione fatta dall’art. 65 del decreto
presidenziale sopraindicato.
Non sussiste, pertanto, la denunziata violazione dell’articolo 76
della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (testo unico delle disposizioni per
l’assicurazione ohbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), sollevata dall’ordinanza 3 settembre 1969 del
giudice istruttore del tribunale di Trapani in riferimento all’art. 76
della Costituzione ed in relazione all’art. 30 della legge delegante 19
gennaio 1963, n. 15.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.