Sentenza N. 146 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
30/06/1971
Data deposito/pubblicazione
30/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
delle disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328
(disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del
personale addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione),
modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, e dell’art. 1, secondo
comma, n. 9, della legge 22 febbraio 1934, n. 370 (riposo domenicale e
settimanale), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 24 maggio 1969 dal pretore di Milano nel
procedimento civile vertente tra Pusceddu Guglielmo e l’Azienda
trasporti municipali di Milano, iscritta al n. 367 del registro
ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 280 del 5 novembre 1969;
2) ordinanza emessa 1’8 ottobre 1969 dal tribunale di Milano nel
procedimento civile vertente tra Tani Giuseppe, De Gasper Mario ed
altri e l’Azienda trasporti municipali di Milano, iscritta al n. 466
del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 37 dell’11 febbraio 1970;
3) ordinanze emesse il 4 e il 5 gennaio 1971 dal pretore di Torino
in dieci procedimenti civili promossi rispettivamente da Barbini
Enrico, Negro Secondo, Voltetti Mario, Tasco Giovanni, Mandarà
Ferdinando, Ortolani Alarico, Giallombardo Bartolo, Rumore Giuseppe,
Margaria Luigi e Godone Aldo contro l’Azienda tranvie municipali di
Torino, iscritte ai nn. 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113 e
114 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 87 del 7 aprile 1971.
Visti gli atti di costituzione di Pusceddu Gugliemo, De Gasper
Mario, Grizzi Mario, Cucchi Antonio, Giallombardo Bartolo, dell’Azienda
trasporti municipali di Milano e della Azienda tranvie municipali di
Torino;
udito nell’udienza pubblica del 18 maggio 1971 il Giudice relatore
Giuseppe Verzì;
uditi gli avvocati Pasquale Nappi e Luciano Ventura, per Pusceddu
Guglielmo e Giallombardo Bartolo, l’avv. Filippo Lubrano, per De Gasper
Mario ed altri, gli avvocati Salvatore Villari e Ugo Biondolillo, per
l’Azienda trasporti municipali di Milano, e l’avv. Francesco Santoro
Passarelli, per l’Azienda tranvie municipali di Torino.
Nel corso del procedimento civile vertente tra Pusceddu Guglielmo e
l’Azienda trasporti municipali di Milano, il pretore di questa città
con ordinanza del 24 maggio 1969, sollevava, in riferimento all’art.
36, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19
ottobre 1923, n. 2328, nel testo modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923,
n. 2682, il quale dispone che “tra i riposi continuati in residenza ve
ne debbono essere 52 all’anno, della durata di 24 ore, senza
pregiudizio del congedo regolamentare”.
Con precedente ordinanza, lo stesso pretore aveva denunziato la
norma dell’art. 16 delle anzidette disposizioni annesse al r.d.l. n.
2328 del 1923, che reca una identica disposizione per i riposi
settimanali per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporti
in concessione, ma il relativo giudizio era stato definito da questa
Corte con ordinanza del 23 marzo 1968 di manifesta infondatezza, in
quanto nelle more, con sentenza n. 150 del 1967, era stata dichiarata
la illegittimità costituzionale del detto art. 16. Riassunta la causa
davanti al pretore, sul presupposto – non contestato dalle parti – che
nella specie sia applicabile, non l’art. 16, ma l’art. 21 (delle
ripetute disposizioni) il pretore ha riproposto la questione per questa
ultima norma.
La stessa questione è stata sollevata dal tribunale di Milano con
ordinanza 8 ottobre 1969, emessa nei procedimenti vertenti fra Tani
Giuseppe ed altri e l’Azienda trasporti municipali di Milano e dal
pretore di Torino, con dieci ordinanze emesse il 4 e 5 gennaio 1971 in
altrettanti procedimenti civili fra Barbini Enrico, Negro Secondo,
Voltetti Mario, Tasco Giovanni, Mandarà Ferdinando, Ortolani Alarico,
Giallombardo Bartolo, Rumore Giuseppe, Margaria Luigi, Godone Aldo e
l’Azienda tranvie municipali di Torino.
Nei giudizi davanti questa Corte si sono costituiti la Azienda
trasporti municipali di Milano, l’Azienda tranvie municipali di Torino,
Pusceddu Guglielmo, Cucchi Antonio, De Gasper Mario, Grizzi Mario e
Giallombardo Bartolo.
Tutte le ordinanze di rimessione assumono che, essendo la formula
del denunziato art. 21 identica a quella dell’art. 16, già dichiarato
dalla Corte illegittimo, deve ritenersi fondata la questione proposta
ora negli stessi termini in cui fu a suo tempo sollevata per l’art. 16.
Le ordinanze del pretore di Torino rilevano altresì che la eventuale
declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 21, facendo
venir meno la disciplina positiva dettata per i dipendenti di aziende
esercenti ferrovie e tranvie pubbliche, lascerebbe operativa la norma
di cui all’art. 1, comma secondo, n. 9 della legge 22 febbraio 1934, n.
370, la quale ha contenuto meramente negativo, vietando l’applicazione
della legge stessa ai predetti dipendenti. E ciò sarebbe in contrasto
sia con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della
Costituzione, in quanto i lavoratori del settore autoferrotranviario
pubblico verrebbero ad essere privati della disciplina del riposo
settimanale, sia con l’art. 36, terzo comma, della Costituzione, in
quanto la normativa generale dell’art. 1, comma primo, della ripetuta
legge costituisce attuazione del principio costituzionale.
L’ipotesi odierna sarebbe analoga a quella contemplata dal n. 6 dei
medesimi comma, articolo e legge innanzi citati. E questo è stato
dichiarato illegittimo con la sentenza n. 76 del 1962, in quanto il
contenuto negativo della disposizione, escludendo l’applicabilità di
normazioni collettive o legislative, consentiva di privare gli addetti
alla pastorizia brada del riposo settimanale.
I difensori delle due aziende municipali di Milano e di Torino
sostengono che la sentenza n. 150 del 1967 ha operato una scissione fra
il principio normativo su cui si basava l’art. 16 censurato e la
espressione letterale della disposizione che esplicitizzava il
principio. Questa espressione letterale è caducata, perché
oltrepassava i limiti della ragionevolezza, mentre il principio
normativo enucleato dalla Corte rimane nell’ordinamento come norma
principio e produce i suoi effetti. Oggi, il principio normativo si
presenta distaccato dalla espressione letterale. Ed a questa non può
essere dato altro significato che quello assunto nella disciplina
effettiva della materia di specie, disciplina che concreta una limitata
deroga alla regola della periodicità del riposo settimanale; tanto
limitata da potere essere pienamente giustificata dalle esigenze
particolari del settore.
Sotto questo aspetto, la difesa delle aziende municipalizzate dei
trasporti di Milano e di Torino chiede che la questione venga
dichiarata infondata, rilevando per altro che, anche se il ripetuto
art. 21 fosse dichiarato illegittimo, i lavoratori del settore
autoferrotranviario non rimarrebbero senza una disciplina del riposo
settimanale. Tale disciplina, infatti, sarebbe ricavabile dallo stesso
art. 36, comma terzo, della Costituzione, e dai contratti collettivi.
Sono state presentate memorie nell’interesse di Pusceddu, Tani, De
Gasper e Grizzi. In esse si ribadiscono, sostanzialmente, le
argomentazioni addotte nelle ordinanze di rimessione.
1. – Le ordinanze indicate in epigrafe prospettano la medesima
questione di legittimità costituzionale in riferimento ai principio
del riposo settimanale del lavoratore sancito dall’art. 36, terzo
comma, della Costituzione; sicché le varie cause possono essere
riunite e decise con unica sentenza.
2. – L’art. 16 e l’art. 21 delle disposizioni annesse al r.d.l. 19
ottobre 1923, n. 2328 (formazione degli orari e dei turni di servizio
del personale addetto ai pubblici esercizi di trasporto in concessione)
modificato dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682, contengono una norma
identica nella espressione letterale e nel contenuto: “tra i riposi
continuati in residenza… ve ne debbono essere 52 all’anno della
durata di 24 ore, senza pregiudizio del congedo regolamentare”. Essi
differiscono soltanto rispetto all’oggetto, perché il primo riguarda
il personale di macchina ed il secondo il personale di scorta ai treni
e quello navigante.
Questa Corte ha già dichiarato, con sentenza n. 150 del 1967,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, che, per la sua imprecisa
e vaga formulazione, viola il principio del riposo settimanale, e deve,
ora, dichiarare l’illegittimità anche del successivo art. 21,
impugnato per gli stessi motivi posti a fondamento della precedente
decisione. Ed invero, anche questo omette di indicare in qual modo deve
essere regolato l’esercizio del diritto del lavoratore, inteso nel
senso che ad un certo numero di giornate lavorative faccia seguito
quella di riposo; e consente così di raggruppare in modo irrazionale
ed arbitrario le giornate di riposo concedendole anche dopo lunghi
periodi di lavoro o addirittura in unico contesto di tempo. Esso ricade
pertanto nello stesso vizio già rilevato per il precedente art. 16
dello stesso decreto-legge.
3. – L’art. 36, terzo comma, della Costituzione, col termine
“riposo settimanale” intende esprimere sostanzialmente il concetto di
periodicità del riposo, nel rapporto di un giorno su sei di lavoro.
Poiché tuttavia la varietà di qualità e di tipi di lavoro non
consente una uniforme disciplina, che, come si è già detto nella
precedente sentenza, urterebbe contro gli interessi del mondo del
lavoro e degli stessi lavoratori, deve necessariamente ammettersi la
legittimità di una periodicità differente da quella sopraindicata a
condizione che la relativa disciplina si attenga ai seguenti principi:
1) si tratti di casi di necessità a tutela di altri apprezzabili
interessi; 2) non venga snaturato od eluso il rapporto – nel complesso
– di un giorno di riposo e sei di lavoro; 3) non vengano superati i
limiti di ragionevolezza sia rispetto alle esigenze particolari della
specialità del lavoro, sia rispetto alla tutela degli interessi del
lavoratore soprattutto per quanto riguarda la salute dello stesso.
Va rilevato altresì che, poiché l’esercizio del diritto del
lavoratore al riposo periodico va regolato in modo assai vario, per
essere adattato alle esigenze di lavori di ogni specie, e poiché non
c’è una costituzionale riserva di legge, la relativa disciplina può
essere disposta non solo da norme di legge, ma anche da contratti
collettivi aventi forza di legge, da altri contratti sia collettivi che
individuali, o da regolamenti. Il che – come incontestabile reale
esigenza – risulta confermato anche – ad esempio – dagli artt. 8 e 15
della stessa legge n. 370 del 1934, i quali per il riposo settimanale
rinviano ai contratti collettivi per i commessi viaggiatori e per gli
addetti ai lavori agricoli ed ai vagoni letto.
Ed ovviamente, qualora tali norme siano denunciate per violazione
dell’art. 36, terzo comma, della Costituzione, la competenza a
giudicare spetterà – a seconda della natura delle norme impugnate – a
questa Corte oppure al giudice ordinario od amministrativo.
4. – Non è fondata invece la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma secondo, n. 9, della legge 22
febbraio 1934, n. 370, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 36,
comma terzo, della Costituzione, dalle ordinanze del tribunale e del
pretore di Torino.
La legge n. 370 del 1934 che detta norme generali sul riposo
domenicale e settimanale di tutti i lavoratori dipendenti – dopo aver
affermato, nel primo comma dell’art. 1, il principio fondamentale per
cui “al personale, che presta la sua opera alle dipendenze altrui, è
dovuto ogni settimana un riposo di 24 ore consecutive” – elenca, nel
secondo comma dello stesso articolo, varie categorie di lavoratori, per
i quali non sono applicabili le disposizioni della legge stessa. Con
ciò, la legge non vuole certamente privare il lavoratore del diritto
al riposo periodico, ma intende solo affermare che per tali categorie
è necessaria una disciplina differenziata, variante a seconda delle
caratteristiche di ciascun lavoro. E tale disciplina può essere
apprestata da norme legislative, regolamentari o contrattuali, come si
è già chiarito sopra.
La questione riguardante il personale di cui innanzi si distingue
nettamente da quella relativa al personale addetto alla pastorizia
brada (n. 6 dello stesso comma secondo, art. 1) riconosciuta fondata
con la sentenza n. 76 del 1962. Infatti, in questo caso, la Corte ha
ritenuto che “per il personale addetto alla pastorizia brada emerge la
volontà della legge di escluderlo del tutto dal diritto a quel riposo
e da ogni disciplina, legislativa o collettiva, di esso”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 delle
disposizioni annesse al r.d.l. 19 ottobre 1923, n. 2328 (disposizioni
per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale
addetto ai pubblici servizi di trasporti in concessione), modificato
dal r.d.l. 2 dicembre 1923, n. 2682;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, secondo comma, n. 9, della legge 22 febbraio 1934, n. 370
(riposo domenicale e settimanale), sollevata in riferimento agli artt.
3 e 36, terzo comma, della Costituzione, dalle ordinanze indicate in
epigrafe del pretore di Torino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.