Sentenza N. 148 del 1979
Corte Costituzionale
Data generale
14/12/1979
Data deposito/pubblicazione
14/12/1979
Data dell'udienza in cui è stato assunto
07/12/1979
EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN –
Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
4 della legge regionale della Lombardia 2 dicembre 1973, n. 56,
dell’art. 1 della legge regionale del Veneto 8 settembre 1974, n. 48,
dell’art. 16, commi 13, 14 e 15 della legge regionale
dell’Emilia-Romagna 13 luglio 1977, n. 34, Sostitutivo dell’art. 14
della legge regionale dell’Emilia-Romagna 19 luglio 1976, n. 31, e
dell’art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale del Piemonte 13
agosto 1973, n. 21, promossi con le seguenti ordinanze:
1. – ordinanza emessa il 25 luglio 1975 dal pretore di Alessandria
nel procedimento penale a carico di Ferrari Vico, iscritta al n. 599
del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 294 del 3 novembre 1976;
2. – ordinanza emessa il 21 aprile 1977 dal pretore di Vigevano sui
ricorsi proposti da Voltan Antonio ed altri contro il Sindaco di
Tromello, iscritta al n. 300 del registro ordinanze 1977 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 205 del 27 luglio 1977;
3. – ordinanza emessa il 28 aprile 1977 dal pretore di Vicenza nel
procedimento penale a carico di De Grandi Luigi, iscritta al n. 457 del
registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 320 del 23 novembre 1977;
4. – ordinanza emessa il 3 novembre 1977 dal pretore di Parma sui
ricorsi proposti da Baffi Giuseppe ed altri contro l’Amministrazione
provinciale di Parma, iscritta al n. 588 del registro ordinanze 1977 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 1 marzo
1978;
5. – ordinanza emessa il 30 giugno 1977 dal pretore di Morbegno sui
ricorsi proposti da Gaddi Alessandro ed altri contro il Sindaco di
Rogolo, iscritta al n. 123 del registro ordinanze 1978 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 149 del 31 maggio 1978;
6. – ordinanza emessa il 26 gennaio 1978 dal pretore di Lonigo sul
ricorso proposto da Cisotto Rodolfo contro la Giunta regionale del
Veneto, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 1978 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 14 giugno 1978;
7. – ordinanza emessa il 28 gennaio 1978 dal pretore di Vicenza sul
ricorso proposto da Maruzzo Domenico contro la Giunta regionale del
Veneto, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1978 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 14 giugno 1978.
Visti gli atti di intervento delle Regioni Piemonte, Lombardia,
Emilia-Romagna e Veneto e gli atti di costituzione di De Grandi Luigi e
Gaddi Alessandro;
udito nell’udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore
Antonio La Pergola;
uditi gli avvocati Arturo Jemolo per la Regione Piemonte, Umberto
Pototschig per la Regione Lombardia, Francesco Galgano per la Regione
Emilia- Romagna, Guido Viola e Giangiacomo Pancino per la Regione
Veneto, Emilio Sivieri per De Grandi Luigi e Gaddi Alessandro.
1. – Prima dell’emanazione della legge statale 27 dicembre 1977, n.
968, che detta un’organica disciplina della caccia e della protezione
della fauna, e ne stabilisce i principi generali, alcune Regioni hanno
disciplinato con proprie leggi l’esercizio venatorio, al fine di
salvaguardare agricoltura e patrimonio faunistico nel rispettivo ambito
territoriale. Le leggi regionali prevedono un regime di caccia
controllata e connesse limitazioni di luogo, tempo, specie e numero
della selvaggina stanziale da abbattere, comminando sanzioni
amministrative a carico degli eventuali trasgressori. Dove vige detto
regime, l’esercizio venatorio è subordinato al rilascio di un apposito
tesserino, che serve anche alle annotazioni e ai controlli prescritti
dalla legge, dietro versamento di una somma, diversa da Regione a
Regione, ai comitati provinciali o alle amministrazioni regionali,
secondo i casi. La legittimità costituzionale di tali disposizioni è
stata contestata nel corso di procedimenti giurisdizionali, e gli
organi decidenti hanno ritenuto di dover sollevare la questione davanti
a questa Corte, come è qui di seguito precisato.
2. – Il pretore di Alessandria imputava tale Ferrari Vico del reato
previsto dall’ultimo comma dell’art. 12 bis del t.u. 5 giugno 1939, n.
1016 – “Norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio
della caccia” – in quanto sprovvisto del tesserino che, ai sensi
dell’art. 2 della legge regionale del Piemonte 13 agosto 1973, n. 21,
autorizza l’esercizio venatorio in quella Regione. L’imputato
sollevava questione di legittimità della citata disposizione della
legge regionale per presunto contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost. Il
pretore, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente
infondata, la rimetteva all’esame della Corte, con ordinanza 25 luglio
1975.
Il giudice a quo assume che gli artt. 8 e 12 bis del citato t.u. n.
1016 del 1939 configurano la libertà di caccia come un diritto
pubblico soggettivo di natura non patrimoniale, il cui esercizio
sarebbe soggetto esclusivamente alle limitazioni poste dalle leggi
statali; le disposizioni censurate avrebbero violato questo principio
col sottoporre l’intero territorio regionale al regime di caccia
controllata, e col subordinare l’esercizio venatorio al rilascio di
apposito tesserino. Essendo, poi, disposto che il tesserino viene
rilasciato dietro versamento di una somma, la legge regionale avrebbe
istituito un tributo fuori dalle forme e dai limiti stabiliti dalle
leggi della Repubblica, con la conseguente infrazione degli artt. 23 e
119 Cost.
La Regione Piemonte, costituitasi in giudizio, ha nella memoria
introduttiva ed in successive deduzioni contestato gli assunti
dell’ordinanza di rinvio. Non vi sarebbe violazione dell’art. 117
Cost.: nessun principio della legislazione statale sancirebbe una
libertà di caccia, della quale la Regione non possa limitare
l’esercizio; né, d’altra parte, sarebbe leso l’articolo 119 Cost. Il
versamento occorrente per il rilascio del tesserino, si assume, non è
riconducibile alla categoria dei tributi in senso proprio, ma a quella
più ampia, prevista nell’art. 23 Cost., delle prestazioni
patrimoniali; la prestazione patrimoniale sarebbe legittimamente
imposta dalla Regione, in quanto, ai sensi del citato precetto
costituzionale, il requisito della riserva di legge è soddisfatto.
3. – Analoga questione è sollevata, con ordinanza 21 aprile 1977,
dal pretore di Vigevano, nel corso di un giudizio promosso da tale
Voltan Antonio, che si era opposto all’ingiunzione del Sindaco di
Tromello (Pavia) di pagare cinquantamila lire, come sanzione
amministrativa per aver esercitato la caccia senza il prescritto
tesserino in violazione dell’art. 12 bis del t.u. del 1939, modificato
ed integrato dalla legge regionale della Lombardia 2 dicembre 1973, n.
56. Le disposizioni censurate – gli artt. 2 e 4 della citata legge
regionale – violerebbero gli artt. 117 e 119 del testo costituzionale.
L’intero territorio regionale, si osserva dal giudice a quo, viene in
forza di tali disposizioni sottoposto al regime di caccia controllata,
laddove siffatto vincolo non sarebbe consentito dai principi della
legislazione statale. Inoltre, il versamento per il rilascio del
tesserino, previsto nell’art. 4 della legge regionale, costituirebbe
un’imposizione tributaria eccedente l’autonomia finanziaria della
Regione, che è riconosciuta soltanto nelle forme e nei limiti
stabiliti dalle leggi statali: si deduce al riguardo che la legge 16
maggio del 1970, n. 281 “Provvedimenti finanziari per le Regioni a
Statuto ordinario”, nella quale sono tassativamente elencate le ipotesi
in cui gli organi regionali hanno potestà impositiva, non include la
materia della caccia, della quale si tratta nella specie.
La Regione Lombardia si è costituita in giudizio per chiedere che
la questione sia dichiarata infondata. Essa eccepisce che le
disposizioni censurate, lungi dal contraddire, si conformano ai
principi della legislazione nazionale. Il regime della caccia
controllata, dettato dalla legge regionale, e le limitazioni che ne
discendono per l’esercizio venatorio, sarebbero espressamente
contemplate dal citato t.u. del 1939, e dalle successive integrazioni e
modifiche. Il legislatore statale avrebbe peraltro già delineato tale
regime, rimettendone lo svolgimento ai comitati provinciali della
caccia, sulla scorta di un regolamento-tipo, da emanarsi dal Ministero
dell’Agricoltura. Gli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale del 18
giugno 1969, col quale è stato posto in essere detto regolamento,
avrebbero, dal canto loro, definito le modalità dell’esercizio
venatorio nelle zone di caccia controllata, anche mediante la
previsione di un tesserino di autorizzazione, contenente le indicazioni
che dovranno essere seguite dagli interessati. Il citato decreto
ministeriale, si aggiunge dalla Regione, dispone altresì che
l’esercizio venatorio nelle zone di caccia controllata possa essere
subordinato al versamento di una quota “a titolo di partecipazione alle
spese di gestione” della quale sono fissati l’importo e la
destinazione, vincolata agli oneri del ripopolamento e della vigilanza
delle zone suddette. Ne seguirebbe che, ai sensi del t.u. del 1939, e
della normazione regolamentare da esso autorizzata, il tesserino
costituisce non una tassa, bensì il corrispettivo di un servizio reso
all’utente. Identica conclusione è avanzata con riguardo al tesserino,
quale è ora previsto dalla legge regionale; le disposizioni censurate
non eccederebbero, quindi, i limiti della autonomia regionale, sotto
alcuno dei profili dedotti nell’ordinanza di rinvio.
In una memoria aggiuntiva, la difesa della Regione ha poi sostenuto
che nessun argomento a favore della fondatezza della presente questione
può trarsi dalla legge statale sopravvenuta nel 1977 – legge 27
dicembre 1977, n. 968 -, alla quale la Regione Lombardia si è del
resto adeguata con la legge n. 48 del 1978, conforme ai nuovi principi
in materia, e che non rileva per il caso in esame, operando le
disposizioni in essa contenute con efficacia differita, ai sensi del
titolo Xl della legge medesima.
4. – Nel corso di un procedimento penale nei confronti di tale De
Grandi Luigi davanti al pretore di Vicenza, la difesa dell’imputato
sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge
regionale del Veneto n. 48 del 1974, in riferimento agli artt. 23, 117
e 119 Cost. Il pretore, ritenuta la non manifesta infondatezza e la
rilevanza della questione, la sollevava innanzi alla Corte, con
ordinanza 28 aprile 1977. In questo caso, la disposizione censurata
vincola il territorio regionale al regime della caccia controllata, ed
autorizza altresì i comitati provinciali della caccia ad istituire
ulteriori zone soggette a particolare disciplina; l’esercizio venatorio
nella Regione è subordinato al rilascio di un tesserino e al connesso
pagamento di L. 7.000, ed in ciascuna delle altre zone suddette, di una
quota aggiuntiva, non superiore alle L. 15.000.
Nell’ordinanza di rinvio, la illegittimità costituzionale della
citata previsione normativa è denunziata sotto il duplice riflesso,
che essa sottoporrebbe l’esercizio della caccia a vincoli incompatibili
con i principi della legislazione statale, e prevederebbe un tributo,
la cui imposizione è però di competenza dello Stato, e non della
Regione.
Nel giudizio si è costituita la parte privata. La difesa del De
Grandi adduce che le disposizioni censurate violano il disposto
dell’art. 117 Cost., divergendo dai principi della legislazione statale
sotto vario riguardo: il regime della caccia controllata è esteso
dall’ambito della Provincia alla intera Regione; col prevedere il
tesserino, si viene a configurare un provvedimento autorizzativo
dell’autorità regionale, distinto dalla licenza di porto d’armi,
mentre quest’ultima, idonea anche ad autorizzare l’esercizio della
caccia, sarebbe la sola prescritta dalla legge, in quanto connessa con
la materia della pubblica sicurezza, necessariamente riservata agli
organi centrali. Il pagamento dovuto per il rilascio del tesserino
costituirebbe poi una tassa sulle concessioni governative, introdotta
in violazione dell’art. 119 Cost., che configura la potestà tributaria
della Regione come derivata dalla legislazione centrale e applicativa
di tipi di tributi predeterminati dallo Stato. Ai sensi dell’art. 3
della legge n. 281 del 1970, sostiene la difesa del De Grandi, le tasse
sulle concessioni regionali si applicano agli atti e provvedimenti
adottati dalle Regioni, e corrispondenti a quelli già di competenza
dello Stato. Tale requisito difetterebbe tuttavia nella specie: il
provvedimento che si ottiene con il rilascio del tesserino non
corrisponderebbe alla licenza concessa dallo Stato anche per uso di
caccia, costituendo esso manifestazione di un preteso potere
autorizzativo della Regione, diverso da quello che legittima il
rilascio della licenza suddetta.
5. – Altra ordinanza di rinvio è stata emessa il 3 novembre 1977,
– nei procedimenti civili riuniti vertenti fra Baffi Giuseppe, ed
altri, e l’Amministrazione provinciale di Parma – dal pretore di Parma,
avanti al quale erano stati promossi ricorsi contro trentanove
ordinanze del Presidente della Provincia. Dette ordinanze avevano
comminato sanzioni pecuniarie nei confronti dei ricorrenti, insieme al
differimento da dodici a sessanta mesi nel rilascio del tesserino
prescritto per le zone di caccia controllata, per avere essi esercitato
la caccia senza tale documento.
Il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16 della legge della Regione Emilia n. 34 del 1977
sostitutivo dell’art. 14 della legge regionale dell’Emilia n. 31 del
1976 – per presunto contrasto con gli artt. 23, 117 e 119 Cost., – in
relazione agli artt. 8 e 12 bis del t.u. della legge sulla caccia, e
all’art. 1 della legge n. 281 del 1970. La disposizione censurata
prevede che il tesserino per l’esercizio della caccia sia rilasciato
dietro versamento di una quota, da determinarsi annualmente dalla
Giunta regionale, a titolo di partecipazione alle spese di gestione, o
di rimborso delle spese di stampa e di distribuzione del tesserino
stesso. Nell’ordinanza di rinvio è prospettata la violazione degli
artt. 23 e 119 Cost. Si asserisce che il versamento per il rilascio del
tesserino, in quanto dovuto per l’esplicazione del potere d’imperio
dell’ente, possa rivestire i caratteri del tributo; e ciò in una
materia in cui la Regione non avrebbe capacità impositiva. D’altra
parte, si ammette che l’intento del legislatore sembra quello di
esigere non una prestazione tributaria, bensì il corrispettivo di un
servizio reso all’utente, e giustificato come quota di partecipazione
alle spese di gestione. La violazione dell’articolo 117 è dedotta sul
presupposto che l’esercizio del diritto di caccia è un aspetto del
diritto di libertà, soggetto alle sole limitazioni fissate nella legge
statale, nella quale non sono comprese quelle di ordine tributario.
La Regione Emilia-Romagna si è costituita in giudizio per
sostenere che la norma impugnata prevede il versamento per il tesserino
in conformità della riserva di legge ex art. 23 Cost., e come
corrispettivo di un servizio reso dalla Regione stessa. Non vi sarebbe
pertanto alcuna lesione dei precetti costituzionali che si assumono
violati.
6. – Il pretore di Morbegno, con ordinanza emessa il 30 giugno
1977, sospendeva i procedimenti riuniti civili vertenti tra Gaddi
Alessandro ed altri, ed il Sindaco di Rogolo e sollevava questione di
legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge regionale
della Lombardia del 2 dicembre 1973, n. 56, in riferimento agli artt.
117 e 119 Cost. I rilievi del giudice a quo sono analoghi a quelli
esposti nelle altre ordinanze di rinvio.
La parte privata si è costituita in giudizio per sentir dichiarare
la fondatezza della questione. Essa deduce la irrilevanza, nel caso
all’esame di questa Corte, delle norme statali in materia di caccia
sopravvenute rispetto all’ordinanza di rinvio – il d.P.R. n. 616 del
1977, e la legge n. 968 del 1977 -, le quali hanno conferito alla
Regione il potere di istituire una tassa sulla licenza di caccia, di
cui questa sarebbe stata priva per l’innanzi. Le norme regionali
censurate dovrebbero pertanto ritenersi lesive dei limiti concernenti
l’autonomia legislativa della Regione. La violazione dell’art. 179 è
argomentata sempre in base all’assunto che il versamento richiesto per
il rilascio del tesserino integri gli estremi di un tributo, e
precisamente di una tassa, relativa all’emanazione di un provvedimento
amministrativo regionale, con il risultato di violare la riserva di
competenza stabilita dalla Costituzione a favore degli organi statali.
7. – Il pretore di Lonigo, con ordinanza emessa il 26 gennaio del
1978, sospendeva un procedimento civile vertente fra tale Cisotto
Rodolfo e la Giunta regionale del Veneto sollevando questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge regionale del
Veneto 8 settembre 1974, n. 48, per asserito contrasto con gli artt.
117 e 119 Cost. Il pretore ritiene la questione non manifestamente
infondata sostanzialmente, per le considerazioni sopra esposte con
riguardo alle altre ordinanze di rinvio – e rilevante per la
controversia di cui egli conosce – perché, se accolta, non sarebbe
più applicabile la sanzione amministrativa comminata dalla Regione nei
confronti della parte privata.
La Regione Veneto si è costituita in giudizio per dedurre
l’infondatezza della questione prospettata alla Corte. La disposizione
censurata avrebbe prescritto il tesserino per l’esercizio venatorio in
conformità delle norme costituzionali che governano la competenza
legislativa ed impositiva della Regione. L’unico principio scaturente,
ex art. 117 Cost., dalla legislazione statale in materia sarebbe quello
di non porre discriminazioni fra i cacciatori in possesso di licenza, e
ad esso la Regione afferma di essersi puntualmente uniformata. Non
sussisterebbe, d’altronde, nemmeno la presunta violazione degli artt.
23 e 119 Cost. La prestazione pecuniaria di chi ottiene il tesserino,
sarebbe, da un canto, imposta sulla base della legge regionale, e
perciò secondo il precetto dell’art. 23 Cost., dall’altro, priva di
quel carattere tributario che il giudice a quo ha invece assunto, nel
denunziare il contrasto della norma regionale impositiva di tale
prestazione con l’art. 119 Cost. Questa conclusione, soggiunge la
difesa della Regione, resterebbe comunque ferma, dato e non concesso
che qui si abbia un vero e proprio tributo. In questo caso, si
tratterebbe infatti, di tassa sulle concessioni regionali: ed il tipo,
così individuato, della prestazione tributaria, si osserva, trova
specifico fondamento nella legge statale – legge n. 281 del 1970
“Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a Statuto
ordinario” – la quale, agli artt. 1 e 3, prevede l’istituzione di una
tassa sulle concessioni regionali (ai sens; dell’art. 117 Cost. e
dell’art. 1 lett. o del d.P.R. n. 11 del 15 gennaio 1972 – precisa la
difesa della Regione); la licenza di porto d’armi per uso di caccia,
qual è configurata dalla legislazione applicabile nella specie,
comprenderebbe due distinte concessioni: l’una per il porto d’armi,
riservata allo Stato, l’altra per l’esercizio della caccia, attribuita
alla competenza della Regione, ai sensi dell’art. 117 Cost. e del
d.P.R. n. 11 del 1972; questa seconda concessione potrebbe allora
essere assoggettata alla tassa regionale, senza che ne risulti offeso
il disposto dell’art. 119 Cost.
8. – Il pretore di Vicenza, con ordinanza emessa il 21 gennaio del
1978, sollevava, nel corso di un procedimento civile vertente tra tale
Maruzzo Domenico e la Regione Veneto, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 48 del
1974, per presunto contrasto con gli artt. 23, 117 e 119 Cost. La non
manifesta infondatezza della questione è motivata sostanzialmente
negli stessi termini delle altre ordinanze di rimessione sopra
menzionate.
La Regione si è costituita parte in giudizio. La memoria della
difesa è identica a quella presentata con riguardo alla questione che
solleva il pretore di Lonigo. Con successive deduzioni, la Regione,
nel ribadire le proprie tesi, ha eccepito che la questione di cui
questa Corte è investita rileva, nel giudizio a quo solo limitatamente
ai commi 5 e 6 dell’art. 1 della legge della Regione Veneto n. 48 del
1974 e non all’intero contenuto della citata disposizione di cui
l’ordinanza di rinvio ha denunziato l’illegittimità costituzionale. La
parte privata, si osserva, era ricorsa innanzi al giudice a quo contro
l’ingiunzione del pagamento per il rilascio del tesserino: ed il
pagamento è prescritto appunto nel comma sesto, con riferimento
all’esercizio della caccia controllata, di cui si occupa il comma
quinto, che del comma sesto costituisce il necessario presupposto; i
rimanenti commi della disposizione sarebbero irrilevanti.
9. – Tutte le ordinanze di rinvio sono state ritualmente notificate
e pubblicate. All’udienza pubblica del 18 aprile 1979 le difese delle
parti private e delle Regioni intervenute, Piemonte, Lombardia, Veneto
ed Emilia- Romagna, hanno insistito nelle già prese conclusioni.
1. – Le ordinanze di rinvio, emanate dai pretori di Alessandria,
Vigevano, Parma, Morbegno e Lonigo, ed in distinti procedimenti dal
pretore di Vicenza, sollevano tutte la medesima questione di
legittimità costituzionale. I giudizi, con esse promossi davanti
questa Corte, vanno perciò riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – Le leggi che contengono le norme censurate istituiscono, nei
rispettivi territori regionali, un regime di caccia controllata, volto
da un canto a disciplinare l’esercizio venatorio, dall’altro a
proteggere patrimonio faunistico ed agricoltura. A questo fine, è
previsto che i titolari di licenze di caccia siano ammessi a praticare
l’esercizio venatorio soltanto dopo aver ottenuto un apposito tesserino
dall’amministrazione regionale, o dai comitati provinciali della
caccia. Nel tesserino, il cacciatore deve annotare le indicazioni
prescritte dalla legge con riferimento ai giorni prescelti per la
caccia, al numero dei capi abbattuti, e all’ora dell’abbattimento. Il
rilascio del tesserino è subordinato al versamento di una somma, il
cui importo è variamente determinato, secondo che la caccia sia
esercitata in una o più Province, ovvero, dove queste siano state
previste, anche nelle particolari zone di caccia controllata.
Formano oggetto del presente giudizio le disposizioni legislative
regionali istitutive del tesserino: art. 2 della legge regionale del
Piemonte 13 agosto 1973, n. 21, artt. 2 e 4 della legge regionale
della Lombardia 2 dicembre 1973, n. 56, art. 1 della legge regionale
del Veneto 8 settembre 1974, n. 48, art. 16 della legge regionale
dell’Emilia-Romagna 13 luglio 1977, n. 34, sostitutivo dell’art. 14
della legge regionale dell’Emilia-Romagna 19 luglio 1976, n. 31.
La illegittimità costituzionale delle norme citate è prospettata
alla Corte sotto i seguenti profili:
a) nelle ordinanze di rinvio si rileva che la Regione ha, ex art.
117, comma 1, Cost., competenza legislativa in materia di caccia, nel
rispetto, tuttavia, dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi
della Repubblica. Si assume, d’altra parte, che il testo unico delle
leggi sulla caccia del 18 giugno 1939, n. 1016, abbia sancito il
principio della libertà dell’attività venatoria in tutto il
territorio nazionale: libertà, il cui esercizio sarebbe soggetto
soltanto alle restrizioni tassativamente previste dalle leggi statali.
Le norme censurate violerebbero per più versi il suddetto principio,
in quanto: il regime della caccia controllata è esteso dall’ambito
della Provincia, entro il quale esso è circoscritto ai sensi del
citato testo unico del 1939, all’intera Regione; il rilascio del
tesserino predisposto dalle amministrazioni regionali, al quale viene
subordinato l’esercizio della caccia, costituirebbe un provvedimento
autorizzativo, incompatibile con la vigente normazione statale: la
licenza di porto d’armi, riservata agli organi centrali, sarebbe
l’unica autorizzazione prevista dalla legge, già idonea, in quanto
rilasciata anche per uso di caccia, a rimuovere ogni ostacolo alla
attività venatoria; infine, il versamento richiesto per il rilascio
del tesserino integrerebbe gli estremi del tributo, mentre alla Regione
sarebbe precluso di subordinare l’esercizio della caccia ad imposizioni
tributarie, come, del resto, ad ogni altra limitazione, diversa ed
ulteriore rispetto a quelle previste o consentite dalla legislazione
dello Stato.
b) Le disposizioni censurate lederebbero altresì gli artt. 23 e
119 Cost. Si deduce al riguardo che le Regioni hanno autonomia
finanziaria soltanto nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi
della Repubblica. Qui, si soggiunge, la prestazione imposta al privato
costituisce una tassa sulle concessioni regionali, laddove questo tipo
di imposizione tributaria non trova alcun fondamento nella legge 16
maggio 1970, n. 281 – “Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle
Regioni a Statuto ordinario” – nella quale sono tassativamente elencate
le entrate tributarie delle Regioni. Precisamente, si osserva che, in
virtù dell’art. 3 della citata legge, le tasse sulle concessioni
regionali si applicano ai provvedimenti adottati dalle Regioni
nell’esercizio delle loro funzioni, e corrispondenti a quelli già di
competenza dello Stato, assoggettati alle tasse sulle concessioni
governative ai sensi delle vigenti disposizioni. Il provvedimento
adottato col rilascio del tesserino non corrisponderebbe, tuttavia,
alla licenza della autorità statale, rilasciata per il porto d’armi
ed, insieme, per uso di caccia, perché, si dice, non ne assolve gli
scopi, e costituisce manifestazione di un preteso potere autorizzativo
della Regione, diverso da quello che legittima la concessione della
licenza suddetta. Posto ciò, ne discenderebbe anche la violazione
della riserva di legge, stabilita dall’art.23 Cost. La disposizione
della legge regionale, che prevede la prestazione patrimoniale del
privato, travalicherebbe la sfera dell’autonomia finanziaria della
Regione: sarebbe così invasa una materia, con riguardo alla quale si
assume che la riserva di legge, e la connessa garanzia del
contribuente, siano soddisfatte solamente quando il tributo risulti
imposto in base ad atto legislativo dello Stato.
3. – La questione non è fondata. Anzitutto, non sussiste
l’asserita violazione dell’art.117 Cost. Secondo questa statuizione
costituzionale, la materia della caccia spetta alla Regione, è vero,
nei limiti dei principi stabiliti dalle leggi della Repubblica: ma nel
nostro caso non vi è alcuno di questi principi che precluda al
legislatore regionale di subordinare l’esercizio della caccia al
possesso di un documento, qual è il tesserino previsto nelle
disposizioni censurate. Nessun fondamento ha infatti il rilievo,
prospettato nelle ordinanze di rimessione, che vi è una libertà di
caccia, il cui esercizio rimane soggetto ai soli limiti configurati
dalle leggi statali. Semmai, nella legislazione statale è sancito il
principio, secondo il quale l’attività venatoria subisce
necessariamente limitazioni, poste, come questa Corte ha avvertito
nella sentenza n. 59 del 1965, a salvaguardia di altri interessi della
collettività: incolumità delle persone, protezione della fauna,
tutela delle colture e dei prodotti agricoli, disciplina della caccia
come attività sportiva.
Del resto, è lo stesso testo unico del 1939, come modificato dalla
legge 2 agosto 1967, n. 799, a predisporre – con particolare
riferimento alla tutela dell’agricoltura e alla protezione della
selvaggina – il regime della caccia controllata. Il che dimostra che,
anche in base alla vigente legislazione statale, l’esercizio venatorio
ben poteva essere assoggettato a limitazioni, ed ai controlli
conseguenti. Il regime anzidetto, sempre ai sensi del testo unico del
1939, viene adottato – con il risultato di sottoporvi, in tutto o in
parte, il territorio della Provincia – mediante deliberazione del
comitato provinciale della caccia, resa esecutiva dal suo presidente.
Chi esercita l’attività venatoria nelle zone di caccia controllata
deve inoltre osservare – secondo l’art. 12 bis del citato testo unico
– le condizioni stabilite dal regolamento deliberato dal comitato
provinciale della caccia, sulla scorta di un regolamento-tipo
nazionale, predisposto dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste. Detto
regolamento è stato emesso con decreto ministeriale 18 giugno 1969.
Esso definisce, all’art. 5, le caratteristiche e l’estensione delle
zone da vincolare al regime di caccia controllata, e dispone
espressamente che, per l’esercizio della caccia in tali zone, i
competenti comitati provinciali possono rilasciare un apposito
tesserino di autorizzazione, contenente le indicazioni relative alle
modalità dell’attività venatoria, alle quali gli interessati dovranno
attenersi. In altro giudizio, la Corte ha affermato (sentenza n. 69 del
1971) che i regolamenti, emanati dai comitati provinciali sulla traccia
del regolamento-tipo nazionale, “sono stati previsti dalla legge per
specificare, principalmente per la necessità di adattarle alla diversa
condizione dei luoghi, le caratteristiche già fissate, con sufficiente
precisione, ad opera della legge”. Nel nostro caso, questo compito di
svolgere e specificare il regime dell’attività venatoria viene assolto
dalla legge regionale. Correttamente, dunque, gli atti legislativi in
cui si trovano le disposizioni censurate, seguono lo stesso criterio
adottato dal legislatore dello Stato, disciplinando l’esercizio della
caccia compatibilmente con la tutela dell’agricoltura e del patrimonio
faunistico, senza porre d’altra parte limiti all’attività venatoria,
diversi da quelli che l’autorità centrale provvede a rimuovere con il
provvedimento autorizzativo di sua competenza. Il tesserino è anzi
prescritto allo scopo di assicurare il rispetto del regime della caccia
controllata, quale esso è configurato dalla normazione statale.
L’adozione di tale regime, e così la stessa prescrizione del
tesserino, sono dal citato testo unico del 1939 rimesse alla fonte
regolamentare: non vi è allora dubbio che esse siano consentite al
legislatore regionale, il quale ha in questa materia una competenza
concorrente, sì, con quella dello Stato, ma costituzionalmente
garantita.
Vanno quindi disattese le rimanenti censure, secondo le quali le
disposizioni impugnate avrebbero violato l’art. 117 Cost. con
l’estendere il regime della caccia controllata oltre la Provincia, e
comunque oltre l’ambito spaziale previsto dal decreto ministeriale 18
giugno 1969. Fin dove esso non lede alcun principio della legislazione
statale, né altro limite della sua competenza, l’organo legislativo
della Regione dispone della discrezionalità, propria dell’autonomia
che gli è conferita dalla Costituzione: ed il potere discrezionale è
stato qui esercitato, nel legittimo apprezzamento delle esigenze alle
quali risponde il regime della caccia controllata, col disporre che
detto regime vige in tutto il territorio regionale.
4. – Le disposizioni censurate non contraddicono, poi, nemmeno gli
artt. 23 e 119 Cost. La violazione di questi precetti costituzionali è
denunziata sull’assunto che il versamento richiesto per il rilascio del
tesserino rivesta i caratteri del tributo. Si è anche prospettato che
esso costituirebbe una tassa sulle concessioni regionali, istituita ed
imposta dalla Regione, senza che, però, alcun titolo giustificativo di
simile imposizione sia offerto – ai sensi dell’art. 119 Cost. – dalle
leggi statali concernenti l’autonomia finanziaria delle Regioni.
Senonché, così ragionando, si trascura che il versamento per il
rilascio del tesserino – di vario ammontare, secondo le Regioni, come
sopra si è detto – non costituisce un tributo in senso proprio. Esso
è, invece, previsto come quota di partecipazione alle spese di
gestione del servizio reso dalla Regione con l’organizzare e gestire la
caccia controllata: servizio che procura un vantaggio agli stessi
cacciatori, grazie all’ordinato svolgimento dell’attività venatoria, e
soddisfa al tempo stesso il generale interesse alla protezione, e al
ripopolamento della selvaggina, nonché alla tutela dell’agricoltura.
Che tale sia il titolo della prestazione pecuniaria in esame è
testualmente detto in alcune delle disposizioni legislative impugnate:
nell’art. 4, comma 1, della legge regionale della Lombardia n. 56 del
1973, nell’art. 14, comma 14, della legge regionale dell’Emilia-Romagna
n. 31 del 1976 e nell’art. 16, comma 13, della successiva legge della
medesima Regione, n. 34 del 1977. Ma anche là dove manca questa
precisazione del legislatore, depone nel senso anzidetto la
destinazione dei proventi delle quote versate per il rilascio del
tesserino. Così, a norma dell’art. 2, comma 7, della legge regionale
del Piemonte n. 21 del 1973, le somme introitate dall’amministrazione
regionale sono utilizzate nella misura di almeno il 50% per le spese di
vigilanza; il residuo è utilizzato per il ripopolamento faunistico e
per il risarcimento dei danni causati dalla selvaggina nelle colture
agricole. A norma dell’art. 1, comma 4, della legge regionale del
Veneto n. 48 del 1974 le somme introitate “saranno utilizzate nella
misura del 50% per la concessione di contributi ai comitati provinciali
della caccia in relazione alle spese di attuazione dei programmi di
vigilanza, di ripopolamento e di organizzazione dell’esercizio
venatorio, al numero dei cacciatori che praticano la caccia in ogni
Provincia, e nella misura del 20% per il rimborso degli indennizzi”,
dovuti per danni arrecati alle colture dalla selvaggina nelle oasi di
protezione e rifugio della fauna e nelle zone di ripopolamento e
cattura. Analoghe disposizioni si trovano nelle citate leggi regionali
dell’Emilia-Romagna (art.14, comma ultimo, legge n. 31 del 1976; art.
16, comma 15, legge n. 34 del 1977). Nell’art. 4, comma 2, della legge
n. 56 del 1973 della Regione Lombardia si dispone anche che gli
introiti riscossi dalla Regione siano ridistribuiti tra i comitati
provinciali della caccia – ai quali è affidata la gestione della
caccia controllata, in collaborazione con le associazioni venatorie –
secondo le percentuali indicate alla lettera c) dell’art. 1, comma 1,
della legge stessa. In ogni caso, vi è diretta e puntuale imputazione
delle somme introitate alle spese di gestione del servizio.
5. – D’altra parte, il rilascio del tesserino è pur sempre
subordinato al pagamento di una somma di denaro. Rimane allora da
indagare se qui, ancorché non si tratti di tributo propriamente
inteso, si esiga comunque dal privato una prestazione patrimoniale, con
riguardo alla quale debba essere osservato il disposto dell’art. 23
Cost. In alcune delle ordinanze è infatti denunziata la violazione di
quest’ultimo precetto costituzionale. Ma la questione è infondata,
sotto il profilo ora considerato, quand’anche si assuma che la cerchia
delle prestazioni patrimoniali, alle quali si riferisce l’art.23 Cost.,
sia più estesa, rispetto a quella delle prestazioni imposte
dall’autorità pubblica nell’esercizio della potestà tributaria. Il
citato articolo della Costituzione statuisce: “nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla
legge”. Come questa Corte ha già precisato (sentenza n. 64 del 1975),
“la parola legge” nel contesto dell’art.23, sta ad indicare sia la
legge dello Stato sia la legge che viene in rilievo nella specie,
quella della Regione. Peraltro, la prestazione patrimoniale è imposta
al privato, non soltanto, come prescrive l’art. 23 Cost., “in base”,
ma, immediatamente, ad opera della legge regionale: nella quale è,
appunto, individuato l’importo della somma da versare per il rilascio
del tesserino, e sono altresì predeterminati i tipi dell’esercizio
venatorio nel sistema della caccia controllata, in considerazione dei
quali vien fatto variare l’ammontare del versamento.
Il solo caso in cui l’entità del versamento non è fissata
direttamente dal legislatore, ma, annualmente, dalla Giunta regionale,
è previsto dalle leggi della Regione Emilia-Romagna (art. 14, comma
14, legge n. 31 del 1976; art. 16, comma 13, della legge n. 34 del
1977). Anche qui, tuttavia, la riserva di legge non è volnerata: le
disposizioni censurate, insieme alle rimanenti altre degli atti
legislativi che le contengono, pongono “i criteri idonei a delimitare”
– alla stregua dell’art. 23 Cost., e dell’interpretazione datane da
questa Corte – la discrezionalità della Giunta regionale nella
determinazione della somma occorrente per il rilascio del tesserino, e
ad assicurare per questa via che l’esercizio del potere conferito
all’organo amministrativo “non possa trasmodare in arbitrio” (sentenze
n. 56 del 1959 e n. 51 del 1960).
Un’altra considerazione giova, infine, a confermare l’infondatezza
della questione. Una volta assunto che la riserva di legge ex art. 23
Cost. operi oltre la cerchia delle vere e proprie imposizioni
tributarie, ne discende una duplice conseguenza. Da un canto, si
allarga la sfera della garanzia, posta dal costituente a favore del
soggetto vincolato alla prestazione. Dall’altro, però, si viene nel
nostro caso a riconoscere al legislatore regionale una capacità
impositiva, basata sulla potestà legislativa, della quale egli è
investito in virtù dell’art. 117 Cost.: e tale potestà si può
esplicare anche fuori dai vincoli afferenti, ex art. 119 Cost.,
all’autonomia finanziaria della Regione, seppure, occorre avvertire,
necessariamente nei limiti di una competenza, che deve concorrere con
la competenza legislativa dello Stato. Ora, un’imposizione
patrimoniale della Regione, diversa dal tributo in senso proprio, non
eccede i poteri di autonomia, né offende altrimenti la Costituzione,
quando essa trae fondamento dalla stessa normazione dello Stato, e
rimane nell’ambito da questa fissato. Così accade nella specie. La
previsione del tesserino, e della quota prescritta per ottenerlo, lungi
dal confliggere, per le ragioni sopra esposte, con alcun principio
scaturente dalla legislazione statale, trova un idoneo e specifico
addentellato nell’art. 5 del decreto ministeriale 18 giugno 1969, con
cui è stato emanato, ai sensi dell’art. 12 bis del t.u. 1939, il
regolamento-tipo della caccia controllata. Precisamente, a norma della
citata disposizione, l’esercizio venatorio nelle zone sottoposte al
regime di caccia controllata “può essere subordinato al pagamento di
una quota, a titolo di partecipazione alle spese di gestione”,
destinato alle spese di ripopolamento e vigilanza delle zone
suindicate.
La prestazione personale del soggetto è stata dunque imposta in
piena conformità dell’art. 23 Cost.: il versamento per il rilascio del
tesserino è autorizzato dalla normazione statale; la legge regionale
ne ha, dal canto suo, determinato l’importo e la destinazione, sempre
nei limiti della discrezionalità garantita alla Regione. La riserva di
legge risulta, così, soddisfatta mediante il concorso dell’una e
dell’altra fonte normativa che governano la materia, trattandosi nella
specie di competenze legislative ripartite tra Stato e Regioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, in riferimento agli artt. 23, 117 e 119
Cost., la questione di legittimità costituzionale, sollevata con le
ordinanze in epigrafe, dell’art. 2 della legge regionale del Piemonte
13 agosto 1973, n. 21, degli artt. 2 e 4 della legge regionale della
Lombardia 2 dicembre 1973, n. 56, dell’art. 1 della legge regionale del
Veneto 8 settembre 1974, n. 48, dell’art. 16 della legge regionale
dell’Emilia-Romagna 13 luglio 1977, n. 34, sostitutivo dell’art. 14
della legge regionale dell’Emilia- Romagna 19 luglio 1976, n. 31,
aventi ad oggetto l’istituzione di un tesserino da rilasciarsi, dietro
pagamento, per l’esercizio della attività venatoria nei rispettivi
territori regionali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI – EDOARDO
VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE
ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere