Sentenza N. 148 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
30/04/1999
Data deposito/pubblicazione
30/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
in legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 19 febbraio
1997 dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce, il 24 gennaio
1997 dalla Corte d’appello di Torino, il 16 gennaio 1997 dalla Corte
d’appello di Reggio Calabria, il 25 febbraio 1997 dal Tribunale di
Latina, il 21 marzo 1997 dalla Corte d’appello di Cagliari, il 27
febbraio 1997 (n. 4 ordinanze) dal Tribunale di Lamezia Terme, il 26
maggio 1997 dal giudice istruttore del Tribunale di Torino, il 26
gennaio 1997 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il 27
febbraio 1997 dal Tribunale di Potenza, il 22 aprile 1997 (n. 2
ordinanze) dalla Corte d’appello di Firenze, il 21 ottobre 1997 e
l’11 aprile 1997 dal Tribunale di Bari, il 20 gennaio 1998 dal
Tribunale di Lagonegro, il 13 febbraio 1998 dal Tribunale di Potenza,
il 19 febbraio 1998 dal Tribunale di Udine, rispettivamente iscritte
ai nn. 189, 191, 292, 414, 417, da 423 a 426, 571, 573, 735, 788, 789
e 889 del registro ordinanze 1997 e ai nn. 154, 225, 408 e 414 del
registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 16, 17, 23, 28, 38, 44 e 47, prima serie speciale,
dell’anno 1997 e nn. 2, 12, 14 e 24, prima serie speciale, dell’anno
1998.
Visti gli atti di costituzione di Martelli Lorenzo ed altra, Cauli
Giovannino e Siciliani Teresa nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 13 ottobre 1998 il giudice relatore
Riccardo Chieppa;
Uditi gli avvocati Ercole Romano per Martelli Lorenzo ed altra,
Giorgio Piras jr. per Cauli Giovannino, Costantino Ventura per
Siciliani Teresa e l’Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
procedimento civile avente ad oggetto il risarcimento dei danni da
occupazione appropriativa, con ordinanza del 19 febbraio 1997 (r.o.
n. 189 del 1997), ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – recte:
dell’art. 5-bis comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto
dall’art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996 – che testualmente
prevede che “in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di
pubblica utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si
applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
dell’indennità di cui al comma 1 (quelli cioè relativi alla
indennità di esproprio), con esclusione della riduzione del 40%. In
tal caso, l’importo del risarcimento è altresì aumentato del 10%.
Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai
procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in
giudicato”.
La norma impugnata, osserva il rimettente, ha avuto origine dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 1996, con la quale è
stata dichiarata la illegittimità costituzionale del comma 6
dell’art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito
dall’art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella
parte in cui applicava al risarcimento del danno da occupazione
appropriativa i criteri di determinazione stabiliti per l’indennizzo
in caso di espropriazione per pubblica utilità. Con la predetta
sentenza si è ritenuta, infatti, abnorme la riduzione della
riparazione in favore del proprietario, in caso di c.d. “accessione
invertita”, fino alla coincidenza con l’indennità di esproprio, pur
considerando astrattamente possibile, in tale ipotesi, la
quantificazione del danno risarcibile in misura inferiore a quello
reale, ai fini di un “equilibrato componimento” tra l’interesse della
pubblica amministrazione alla conservazione dell’opera di pubblica
utilità e al contenimento della relativa spesa e quello del privato
alla riparazione per l’illecito subito.
Ma, ad avviso del giudice a quo, siffatto “equilibrato
componimento” non deve comprendere anche l’interesse della p.a. a
contenere la spesa per il risarcimento, né le esigenze di finanza
pubblica. Ciò posto, il rimettente ravvisa il contrasto della norma
censurata con l’art. 42, terzo comma, della Costituzione, rilevando
che l’indennizzo di cui alla predetta norma costituzionale, previsto
in caso di espropriazione, presuppone una procedura legittima, mentre
il risarcimento del danno non potrebbe che essere integrale in quanto
correlato ad un’attività illecita.
La norma de qua recherebbe, inoltre, vulnus all’art. 3 della
Costituzione, riconoscendo in linea di principio al privato il
diritto all’integrale risarcimento, salvo che per le occupazioni
illegittime “intervenute” anteriormente alla data del 30 settembre
1996, locuzione tra l’altro ambigua, potendosi considerare come
“intervenute” sia le occupazioni materialmente eseguite attraverso
l’apprensione del bene, entro il 30 settembre 1996, quanto le sole
occupazioni divenute illegittime entro la stessa data per scadenza
del termine. In ogni caso, la entità del risarcimento previsto dalla
norma censurata sarebbe eccessivamente diminuita rispetto al
risarcimento ordinario e maggiorata in misura esigua rispetto
all’indennità di esproprio. Ed infatti, la esclusione della
possibilità di riduzione del 40% non avrebbe creato una situazione
di favore per il danneggiato, ma solo parificato la situazione della
occupazione appropriativa a quella della cessione volontaria del bene
di cui all’art. 5-bis cpv. del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, evitando un trattamento
addirittura deteriore per chi sia sottoposto alla prima. D’altra
parte, nella ipotesi in esame, ancorando la liquidazione del danno al
criterio utilizzato per le indennità di esproprio, si finirebbe per
negare l’applicazione del valore di mercato del bene oggetto
dell’occupazione, sia pure ridotto attraverso un’applicazione
aggiornata della legge per il risanamento di Napoli, in quanto tale
criterio funge da parametro per la liquidazione dell’indennità solo
nei casi di edificabilità legale ed effettiva, i quali non
costituirebbero la maggioranza, mentre nelle altre ipotesi, ai sensi
dell’art. 5-bis comma 4, del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, si fa riferimento al
valore agricolo.
Irrisoria, sarebbe, poi, la maggiorazione del 10%, la quale,
mediata aritmeticamente col reddito dominicale rivalutato, ammonta al
5% circa del valore reale del bene.
La norma impugnata si porrebbe, infine, in contrasto con l’art. 28
della Costituzione, risolvendosi in un sostanziale esonero da
responsabilità contabile dei pubblici funzionari ai quali non
potrebbe addebitarsi a titolo di colpa grave – apparendo eccezionali
le ipotesi di dolo – la causazione di un danno aggiuntivo alla p.a.
in termini reali del 5% circa, bilanciato dal soddisfacimento
dell’interesse alla conservazione dell’opera pubblica.
2. – Analoghe questioni di legittimità costituzionale sono state
sollevate, sia pure in riferimento a parametri parzialmente
differenti, sulla base di argomentazioni non dissimili da quelle già
riferite. Alcune di esse introducono, inoltre, peculiari rilievi.
2.1. – In particolare, la Corte d’appello di Torino, con ordinanza
del 24 gennaio 1997 (r.o. n. 191 del 1997), ha impugnato il citato
comma 7-bis in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo
comma, della Costituzione, sottolineando la quasi totale identità
tra tale norma e quella dichiarata costituzionalmente illegittima con
la citata sentenza n. 369 del 1996, rispetto alla quale la prima
prevede solo una differenza contenuta nella misura del 10% in più
della indennità dovuta in conseguenza di esproprio per pubblica
utilità, per l’ipotesi, radicalmente diversa, di risarcimento del
danno da occupazione acquisitiva, misura ritenuta dal giudice a quo
del tutto inadeguata a tutelare il diritto di proprietà.
2.2. – Alle predette ordinanze del giudice istruttore di Lecce e
della Corte d’appello di Torino si è richiamata la Corte d’appello
di Firenze, che, con due ordinanze emesse il 22 aprile 1997 (r.o. n.
788 e n. 789 del 1997), ha sollevato la medesima questione di
legittimità costituzionale del comma 7-bis citato in riferimento
agli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, 28 e 97 della
Costituzione.
2.3. – Alla denunciata violazione dei predetti parametri di cui
agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione,
anche la Corte d’appello di Reggio Calabria, che ha sollevato la
questione con ordinanza del 16 gennaio 1997 (r.o. n. 292 del 1997),
ha aggiunto il rilievo di incostituzionalità in riferimento all’art.
97, primo comma, della Costituzione, per violazione dei principi del
buon andamento e della legalità dell’azione amministrativa.
Il giudice a quo ravvisa, inoltre, nella norma in questione, un
profilo di irragionevolezza intrinseca, con i conseguenti riflessi
sul piano della violazione dell’art. 3 della Costituzione,
rappresentato dall’assunzione di un limite temporale, il 30 settembre
1996, alla operatività della disciplina di cui si tratta, che
determinerebbe, altresì, una disparità di trattamento rispetto alle
occupazioni illegittime successive a tale data, le quali, in mancanza
di una nuova disciplina, sarebbero soggette all’integrale ristoro. In
tal modo, tra l’altro, il legislatore dimostrerebbe l’intento di
regolare in termini diversi gli effetti economici dell’accessione
invertita a seconda delle disponibilità di bilancio alla fine di
ciascun esercizio finanziario, ciò che, se può avere una sua logica
in relazione alla indennità di esproprio, sarebbe, invece,
irrazionale in una prospettiva meramente risarcitoria, tanto più ove
si consideri che la procedura espropriativa è assistita da
specifiche garanzie per il privato, ovviamente carenti nel caso di
occupazione acquisitiva.
La Corte d’appello di Reggio Calabria ravvisa, ancora, nella norma
de qua un profilo di irragionevolezza estrinseca per la disparità di
trattamento cui essa darebbe luogo rispetto alla disciplina delle
occupazioni illegittime destinate al soddisfacimento di esigenze
abitative, di cui all’art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458, in
relazione alle quali la tutela risarcitoria è garantita
integralmente.
Infine, la Corte rimettente segnala la disparità di trattamento
della fattispecie in esame rispetto a quella di occupazione ab initio
illegittima da parte della p.a. in quanto non assistita neppure dalla
dichiarazione di pubblica utilità, o a quella di occupazione
inizialmente presidiata da dichiarazione di pubblica utilità, poi
venuta meno perché illegittima, ipotesi ritenuta estranea alla nuova
previsione normativa, e nella quale il privato potrebbe
legittimamente aspirare all’integrale risarcimento del danno.
2.4. – Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 25 febbraio 1997
(r.o. n. 414 del 1997), ha ritenuto la non manifesta infondatezza, in
riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, della questione di
legittimità costituzionale della medesima disposizione
sottolineando, in particolare, che l’intervento normativo di cui si
tratta non appare, come richiesto dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 369 del 1996, ragionevolmente riduttivo della
misura della riparazione dovuta in caso di occupazione illegittima
della p.a., in quanto la liquidazione del danno effettuata con
attribuzione del solo valore mediato del suolo aumentato del 10%
sarebbe l’effetto di una preponderante valutazione del concorso
dell’interesse pubblico, già tenuto presente nella determinazione
dell’effetto acquisitivo della proprietà e, pertanto, meritevole
solo di una ridotta considerazione in sede di risarcimento del danno.
La norma impugnata, inoltre, osserva il giudice a quo, avendo
vigore solo per situazioni già determinatesi alla data del 30
settembre 1996 – termine, peraltro, che appare al rimettente
incomprensibile in quanto non correlato neppure alla data di
emanazione della legge – si atteggerebbe come una tipica sanatoria
finanziaria.
2.5. – Numerosi parametri ulteriori sono stati invocati dalla Corte
di appello di Cagliari nel sottoporre a scrutinio di
costituzionalità, con ordinanza del 21 marzo 1997 (r.o. n. 417 del
1997), la norma di cui si tratta.
Ed infatti, essa ha ritenuto violati, oltre agli artt. 3 (invocato
anche sotto il profilo della disparità di trattamento tra le
situazioni non definite con sentenza passata in giudicato, cui si
applica la nuova disciplina, e quelle ormai non più contestabili,
che sfuggono alla stessa), 28, 42 e 97 della Costituzione, per le
ragioni già evidenziate, l’art. 10, primo comma, della Costituzione,
in quanto la grave limitazione alla risarcibilità delle occupazioni
illegittime si porrebbe in contrasto con gli artt. 13 della
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà, e con gli artt. 7, 8 e 17 della dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, che sanciscono il diritto di ogni persona al
rispetto della sua proprietà.
E, se è vero che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 369
del 1996, ha affermato che la regola generale della integrale
riparazione del danno non gode di copertura costituzionale, il
collegio a quo ritiene che la riduzione della entità del
risarcimento del danno da fatto illecito costituisca una palese
violazione della effettività della tutela giurisdizionale garantita
dall’art. 24, primo comma, della Costituzione, a differenza della
limitazione di responsabilità in campo contrattuale, che va a
costituire parte integrante della disciplina legale del rapporto
contrattuale.
La Corte rimettente denuncia ancora il contrasto con l’art. 53
della Costituzione, atteso che la limitazione del risarcimento al 55%
del valore venale del bene finisce per porre una notevole parte del
costo dell’opera pubblica a carico del proprietario dell’area sulla
quale l’opera deve essere costruita, in violazione del principio
costituzionale della commisurazione del concorso di ciascuno alle
spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.
La norma esaminata violerebbe, inoltre, gli artt. 71, primo comma,
e 72, primo comma, della Costituzione, essendo inserita in una legge
che raccoglie in soli tre articoli un coacervo eterogeneo di norme,
con il risultato di evitare la presentazione di emendamenti, anche
attraverso il sistema della fiducia, all’epoca posta su ognuno dei
tre articoli, in tal modo impedendo che ciascun parlamentare potesse
manifestare la propria opinione in ognuno degli articoli.
Infine, si sospetta il vulnus all’art. 113, primo e secondo comma,
della Costituzione, in quanto la norma impugnata limiterebbe la
pienezza della tutela giurisdizionale nei confronti di atti della
p.a.
2.6. – Anche il Tribunale di Lamezia Terme, con quattro ordinanze
emesse in data 27 febbraio 1997 (r.o. nn. 423-426 del 1997) ha
invocato i parametri di cui agli artt. 3, 28, 42, secondo e terzo
comma, e 97, primo comma, della Costituzione, adducendo
argomentazioni analoghe a quelle già riferite.
2.7. – Le medesime censure riferite agli artt. 3, primo comma, 42
secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione sono state
proposte dal Tribunale di Potenza nei confronti dell’art. 5-bis,
comma 7-bis, del d.-l. n. 333 del 1992, (convertito, con
modificazioni, nella legge n. 359 del 1992) e dal giudice istruttore
del Tribunale di Torino (r.o. n. 571 del 1997), da quest’ultimo con
la esclusione, per quanto riguarda gli artt. 3 e 97, della
limitazione al primo comma.
In particolare, il Tribunale di Potenza ha posto in evidenza (r.o.
n. 735 del 1997 e n. 408 del 1998) la disparità di trattamento che
la norma impugnata determinerebbe tra le ipotesi di espropriazione
legittima dei suoli agricoli o non edificabili – rispetto ai quali
l’indennizzo viene commisurato, ai sensi del comma 4 dell’art. 5-bis
del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge
8 agosto n. 359 del 1992, al valore agricolo medio, e, quindi,
secondo un criterio prossimo a quello venale – ed i casi di
occupazione illegittima degli stessi, in cui l’ammontare del
risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello inferiore al
valore venale del bene.
2.8. – Il Tribunale di Bari, con due ordinanze emesse
rispettivamente l’11 aprile e il 21 ottobre 1997 (r.o. nn. 154 e 889
del 1997), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
del comma 7-bis,
in riferimento ai soli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma,
della Costituzione, come il Tribunale di Udine (ordinanza del 19
febbraio 1998, r.o. n. 414 del 1998) ed il Tribunale di Lagonegro
(che ha impugnato l’art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996),
con la esclusione da parte di quest’ultimo, per quanto riguarda
l’art. 3 della Costituzione, della limitazione al primo comma
(ordinanza del 20 gennaio 1998, r.o. n. 225 del 1998).
2.9. – Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere (r.o. n. 573 del 1998)
ha impugnato la norma di cui all’art. 5-bis comma 7-bis del d.-l. n.
333 del 1992, in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della
Costituzione, sottolineando, in particolare, il rischio di ricorso ad
una forma anomala di espropriazione svincolata dall’osservanza di
garanzie procedimentali.
3. – In tutti i giudizi introdotti con le ordinanze alle quali si
è fatto sopra riferimento, è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale
dello Stato, che in alcuni casi (r.o. n. 571 e n. 573 del 1997) ha
concluso per la inammissibilità delle questioni per l’assenza di
ogni scrutinio sulla natura edificatoria dei suoli occupati. Nel
giudizio introdotto con ordinanza n. 292 del 1997, l’inammissibilità
è fatta valere sotto il profilo della inapplicabilità alla
fattispecie, relativa a danni da occupazione appropriativa, di
terreni privati trasformati da un Iacp per la costruzione di alloggi
popolari, della norma denunciata, in quanto la regula iuris del caso
concreto va individuata nella legge n. 458 del 1988.
Nel giudizio introdotto con la ordinanza n. 191 l’autorità
intervenuta ha concluso per la inammissibilità della questione per
difetto di rilevanza a causa della non esplicitata correlazione tra
l’accessione invertita e l’annullamento della dichiarazione di
pubblica utilità verificatosi nella fattispecie.
Nel merito, l’Avvocatura ha concluso per la infondatezza delle
questioni sollevate. Al riguardo, la predetta autorità ha ritenuto
apprezzabile e congrua la differenza, stabilita dalla norma
impugnata, della entità del ristoro patrimoniale previsto in caso di
accessione invertita – tra l’altro non avulso dalla stima di mercato
del bene – rispetto alla ipotesi di indennità di espropriazione,
ponendo l’accento anche sulla destinazione delle opere realizzate al
soddisfacimento di interessi pubblici.
Quanto alla individuazione della data del 30 settembre 1996,
coincidente con quella di presentazione alle Camere del disegno di
legge collegato alla finanziaria per il 1997, essa sarebbe frutto di
una scelta legislativa non arbitraria, la quale troverebbe, infatti,
giustificazione nella esigenza di non sconvolgere le linee generali
della manovra finanziaria, a quella data già delineata per il
risanamento del deficit pubblico cui lo Stato si era impegnato nei
confronti degli altri Paesi dell’Unione Europea.
L’Avvocatura ha infine sottolineato che la conservata
qualificazione di illecito alla occupazione acquisitiva dà luogo
comunque alla personale responsabilità del funzionario, anche se
limitata.
4. – Nei giudizi introdotti con le ordinanze r.o. nn. 191, 417 e
889 del 1997, si sono costituite le parti private, che hanno concluso
per l’accoglimento delle questioni sollevate, con argomentazioni
adesive a quelle contenute nelle citate ordinanze.
5. – Nell’imminenza della data fissata per la udienza pubblica,
ciascuna delle dette parti ha depositato una memoria, con la quale
ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla illegittimità
costituzionale della normativa impugnata.
In particolare, la parte privata nel giudizio che ha dato luogo
alla ordinanza r.o. n. 191 ha sottolineato la distinzione tra il caso
di occupazioni illegittime, pur se originate da causa di pubblica
utilità, e quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia
venuta meno retroattivamente per effetto di annullamento
giurisdizionale (come nel caso di specie). In tale seconda ipotesi,
si verificherebbe un ripristino del diritto di proprietà nel regime
giuridico suo proprio, e non vi sarebbe spazio per un regime solo
compensativo, e non risarcitorio, del danno.
Nella memoria della parte costituita nel giudizio introdotto con
ordinanza r.o. n. 417 del 1997, si fa richiamo a tutti i parametri
già invocati, e, con particolare riferimento alla censura per
violazione dell’art. 72 della Costituzione, si osserva che il quarto
comma di tale articolo impone la procedura normale (non seguita per
la emanazione della normativa impugnata), per i disegni di legge di
delegazione legislativa, e che la legge n. 662 del 1996 contiene
appunto numerose deleghe al Governo.
La parte privata nel giudizio introdotto con la ordinanza r.o. n.
889 del 1997, ha posto l’accento, in particolare, sulla non
ragionevolezza della riduzione della consistenza economica del
diritto risarcitorio operata dalla legge n. 662 del 1996, oltre che
della limitazione di essa alle sole occupazioni illegittime
intervenute anteriormente al 30 settembre 1996.
Anche l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria,
con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate, insistendo,
altresì, per la inammissibilità delle questioni di cui alle
ordinanze r.o. nn. 191, 571 e 573 del 1997; la prima perché non
inscrivibile in una fattispecie di occupazione appropriativa, atteso
l’annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di
pubblica utilità; le altre due, in quanto la n. 571 del 1997 non
contiene neppure un accenno alla natura dei terreni, e la n. 573 fa
riferimento all’occupazione in un terreno destinato a verde pubblico
attrezzato o verde di rispetto, ciò che farebbe propendere per la
natura non edificatoria dell’area.
l’art. 5-bis comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto
dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), il quale prevede che
“in caso di occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica
utilità, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si
applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
dell’indennità di cui al comma 1” (quella, cioè, prevista per la
espropriazione dei suoli edificatori: semisomma tra valore di mercato
e reddito catastale rivalutato, decurtata del 40%) con esclusione
della riduzione del 40 per cento, che “in tal caso l’importo del
risarcimento è altresì aumentato del 10 per cento”, e che tale
disposizione si applica anche ai procedimenti in corso non definiti
con sentenza passata in giudicato. Si assume la illegittimità
costituzionale della disposizione denunciata per violazione:
a) dell’art. 3 della Costituzione (invocato, in alcune ordinanze,
limitatamente al primo comma, in altre nel suo complesso), sotto i
diversi profili:
a.1) del deteriore trattamento riservato a chi subisce danno da
occupazione appropriativa, che non ottiene l’integrale ristoro dello
stesso, rispetto a tutti gli altri soggetti ai quali viene arrecato
danno da fatto illecito altrui e che, ai sensi dell’art. 2043 cod.
civ., hanno diritto al risarcimento integrale del danno stesso;
a.2) della sostanziale identità di trattamento di situazioni
diversificate, quali quella del soggetto sottoposto ad una legittima
procedura espropriativa, e di quello illegittimamente privato della
proprietà del suolo in virtù di c.d. occupazione acquisitiva da
parte della p.a.: identità sostanziale di trattamento che risulta
dalla circostanza che, nel secondo caso, l’indennità viene aumentata
del solo 10 per cento, mentre la esclusione della decurtazione del 40
per cento, decurtazione prevista nei casi di espropriazione, viene in
tali ipotesi ottenuta ugualmente attraverso la cessione volontaria
dei beni, che non è possibile in caso di occupazione acquisitiva;
a.3) della irragionevole disparità di trattamento tra i
proprietari assoggettati alla occupazione illegittima entro il 30
settembre 1996, cui si applicano, per il risarcimento del danno,
criteri sostanzialmente uguali a quelli previsti in caso di
espropriazione, e quelli che subiscono tale occupazione in epoca
successiva a quella data, i quali hanno diritto all’integrale
risarcimento; nonché tra coloro che non hanno visto ancora definiti
i relativi rapporti al momento della entrata in vigore della
disciplina di cui si tratta, che è ad essi applicabile, ed i
titolari di situazioni ormai definite con sentenza passata in
giudicato, che sfuggono alla disciplina stessa;
a.4) della irragionevole disparità di trattamento cui dà luogo
la disciplina censurata rispetto a quella prevista per le occupazioni
appropriative destinate al soddisfacimento di esigenze abitative, di
cui all’art. 3 della legge n. 458 del 1988 (come ampliato nella sua
sfera oggettiva dalla pronuncia additiva della Corte costituzionale
n. 486 del 1991), che prevede l’integrale risarcimento del danno
subito (rilievo svolto dalla sola Corte d’appello di Reggio Calabria
con ordinanza r.o. n. 292 del 1977);
a.5) della irragionevole disparità di trattamento rispetto
all’ipotesi di occupazione ab initio illegittima, in quanto non
assistita da dichiarazione di pubblica utilità ovvero presidiata da
dichiarazione poi venuta meno perché illegittima, ipotesi estranee
alla previsione normativa censurata, e nelle quali, pertanto, il
privato potrebbe legittimamente aspirare all’integrale risarcimento
del danno (rilievo svolto dalla sola Corte d’appello di Reggio
Calabria con l’ordinanza sopra citata);
a.6) della irragionevolezza della scelta del legislatore, che
avrebbe ridotto in misura eccessiva, nelle ipotesi di occupazione
illegittima della p.a., il risarcimento rispetto al ristoro integrale
del danno, ed in misura esigua rispetto all’indennità di esproprio,
per una preponderante valutazione del concorso dell’interesse
pubblico, già considerato ampiamente ai fini della determinazione
dell’effetto estintivo-acquisitivo della proprietà, e che, pertanto,
in sede di liquidazione del danno, avrebbe dovuto essere oggetto di
una minore valutazione;
a.7) della disparità di trattamento che la norma determinerebbe
tra le ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non
edificabili – rispetto ai quali l’indennizzo viene commisurato, ai
sensi del comma 4 dell’art. 5-bis del d.-l. n. 333, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, al valore agricolo medio,
e, quindi, secondo un criterio prossimo a quello del valore venale –
ed i casi di occupazione illegittima degli stessi, in cui l’ammontare
del risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello inferiore
al valore venale del bene (rilievo svolto dal Tribunale di Potenza
con le ordinanze nn. 735 del 1997 e 408 del 1998).
b) dell’art. 42 della Costituzione (invocato da alcuni giudici
limitatamente al secondo ovvero al terzo comma, da altri nel suo
complesso), in quanto la esigua misura riconosciuta per il
risarcimento non costituirebbe adeguata tutela del diritto di
proprietà, ed inoltre perché l’indennizzo previsto dalla
Costituzione in caso di esproprio presuppone una procedura legittima
laddove un comportamento illegittimo sarebbe sempre fonte
dell’obbligazione di ripristinare lo status quo ante direttamente o
per equivalente; infine, in quanto la norma impugnata creerebbe il
rischio di ricorso ad una forma anomala di espropriazione, svincolata
dall’osservanza di garanzie procedurali (rilievo del Tribunale di S.
Maria Capua Vetere);
c) dell’art. 10, primo comma, della Costituzione, per il
contrasto con gli artt. 7, 8 e 17, secondo comma, della dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, e con l’art. 13 della convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà,
che sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto dei suoi beni
(censura proposta dalla Corte d’appello di Cagliari con ord. r.o. n.
417 del 1977);
d) dell’art. 24, primo comma, della Costituzione, per il
contrasto con il principio della effettività della tutela
giurisdizionale, che non sarebbe garantito dalla riduzione della
entità del risarcimento da fatto illecito consistente nella
occupazione illegittima di un suolo ad opera della p.a. (censura
proposta dalla sola Corte d’appello di Cagliari, con l’ordinanza
sopra indicata);
e) dell’art. 28 della Costituzione, per il sostanziale esonero da
responsabilità per il pubblico funzionario in caso di occupazione
illegittima, non potendo la causazione di un danno aggiuntivo
limitato per la p.a., tra l’altro bilanciata dal soddisfacimento
dell’interesse alla conservazione dell’opera pubblica, essergli
addebitata a titolo di colpa grave e configurandosi i casi di dolo
come ipotesi eccezionali (censura proposta dalla Corte d’appello di
Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997, dalla Corte d’appello di
Firenze con ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, e dal Tribunale
di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997);
f) dell’art. 53 della Costituzione, in quanto porrebbe una
notevole parte del costo dell’opera pubblica realizzata a seguito di
occupazione illegittima a carico del proprietario dell’area occupata,
in contrasto con il principio secondo il quale il concorso di
ciascuno alla sfera pubblica è commisurato alla sua capacità
contributiva (censura proposta dalla Corte d’appello di Cagliari con
l’ordinanza sopra menzionata);
g) degli artt. 71, primo comma, e 72, primo comma, della
Costituzione (invocati dalla Corte d’appello di Cagliari) in quanto
la norma in questione, essendo inserita in una legge che raccoglie in
soli tre articoli (ciascuno dei quali consistente in una lunghissima
serie di commi) disposizioni del tutto eterogenee, sarebbe stata
approvata, avuto anche riguardo alla circostanza che sulla legge di
cui si tratta venne posta all’epoca la questione di fiducia, senza
che ciascun parlamentare potesse liberamente manifestare, su ognuno
degli articoli, la propria opinione e volontà;
h) dell’art. 97 della Costituzione (invocato da alcuni giudici
con riferimento al solo primo comma, da altri nel suo complesso), in
quanto la limitazione del risarcimento del danno arrecato dalla p.a.
contrasterebbe con le finalità di buon andamento ed imparzialità
dell’azione amministrativa (censura proposta dalla Corte di appello
di Reggio Calabria con ord. r.o. n. 292 del 1997, da quella di
Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997, da quella di Firenze con le
ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, dal Tribunale di Lamezia Terme
con le ordinanze r.o. nn. 423 – 426 del 1997, da quello di Potenza
con le ordinanze r.o. nn. 735 del 1997 e 408 del 1998, dal giudice
istruttore del Tribunale di Torino con ordinanza r.o. n. 571 del
1997);
i) dell’art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, per
la limitazione della tutela giurisdizione nei confronti degli atti
della p.a. (censura proposta dalla Corte d’appello di Cagliari con
ordinanza r.o. n. 417 del 1997).
2. – Giudizi devono essere riuniti in quanto riguardano la medesima
disposizione di legge e propongono questioni in buona parte
coincidenti o connesse per cui si impone una trattazione unitaria
delle censure dedotte.
3. – Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di
inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato.
Al riguardo, va osservato che quelle proposte in relazione alle
ordinanze r.o. nn. 292, 571 e 573 del 1997, per mancanza di
rilevanza, sono prive di fondamento, in quanto le ordinanze di
rimessione contengono una motivazione tutt’altro che implausibile
sulla rilevanza delle questioni, che si impernia sulla considerazione
che i giudici a quibus debbono fare applicazione della norma
denunciata, di cui è evidente l’incidenza, in quanto il relativo
giudizio riguarda il risarcimento e la liquidazione del danno per
occupazione appropriativa.
Ciò è sufficiente per respingere le eccezioni anzidette, non
potendosi procedere in questa sede ad un sindacato (diverso dal
controllo esterno) sul giudizio di rilevanza espresso dall’ordinanza
di rimessione in modo, come appena chiarito, non implausibile (v. per
tutte, sentenza n. 286 del 1997), e con motivazione tutt’altro che
carente (v. ordinanza n. 62 del 1997).
È invece fondata l’eccezione di inammissibilità proposta sempre
dall’Avvocatura generale dello Stato in riferimento all’ordinanza
r.o. n. 191 del 1997 sotto il profilo che la fattispecie sarebbe
palesemente non inscrivibile tra le occupazioni appropriative, atteso
il pacifico intervenuto annullamento in sede giurisdizionale della
dichiarazione di pubblica utilità. Infatti – secondo un indirizzo
giurisprudenziale di legittimità (Cass., sez. I, n. 6515 del 16
luglio 1997; n. 7998) – le norme sul risarcimento in caso di
occupazione appropriativa si applicano alle sole occupazioni
illegittime dei suoli per causa di pubblica utilità, per cui in
mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilità (cui viene
equiparata la dichiarazione annullata perché illegittima) si è al
di fuori delle ipotesi contemplate per il risarcimento dalla norma
denunciata. La questione è, pertanto, manifestamente inammissibile
sulla base degli stessi elementi contenuti nella ordinanza di
rimessione.
4. – Passando all’esame del merito delle questioni sollevate nelle
altre ordinanze, giova premettere che con sentenza n. 369 del 1996
questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale del comma
6 dell’art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito
dall’art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui
applica al “risarcimento del danno” i criteri di determinazione
stabiliti per “il prezzo, l’entità dell’indennizzo”.
Il legislatore, con la norma denunciata, è intervenuto modificando
il precedente criterio applicato alle occupazioni acquisitive ed in
particolare ha escluso, in caso di occupazioni illegittime dei suoli
per causa di pubblica utilità, la decurtazione del 40 per cento
prevista per l’indennità di esproprio, aumentando inoltre l’importo
del risarcimento del 10 per cento, e con previsione di applicabilità
alle occupazioni illegittime di suoli intervenute anteriormente al 30
settembre 1996, anche in relazione ai procedimenti in corso non
definiti con sentenza passata in giudicato.
5. – Le questioni proposte sono prive di fondamento per una serie
di ordini di considerazioni.
Innanzitutto la regola generale di integralità della riparazione e
di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato
non ha copertura costituzionale (sentenze n. 369 del 1996; n. 132 del
1985).
In casi eccezionali il legislatore può ritenere equa e conveniente
una limitazione al risarcimento del danno: nel caso delle occupazioni
appropriative “sussistono in astratto gli estremi giustificativi di
un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della
riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario
dell’immobile che sia venuto ad essere così incorporato nell’opera
pubblica” (sentenza n. 369 del 1996).
L’eccezionalità del caso appare giustificata nella fattispecie
soprattutto dal carattere temporaneo della norma denunciata, che
rimane inserita in un testo normativo con le caratteristiche, da un
lato, della dichiarata temporaneità, collegata alla emanazione di
una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni preordinate
alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità,
dall’altro, della finalità egualmente temporanea e di emergenza,
rivolta a regolare situazioni passate.
6. – Alla stregua dei criteri riconfermati dalla citata sentenza n.
369 del 1996, deve ritenersi ragionevole la riduzione imposta dalla
norma denunciata, essendosi realizzato un equilibrato componimento
dei contrapposti interessi in gioco, con l’eliminazione della
ingiustificata coincidenza della entità dell’indennizzo per
l’illecito della pubblica amministrazione con quello relativo al caso
di legittima procedura ablatoria.
La valutazione dell’incremento (non irrisorio, né meramente
apparente) a favore del privato danneggiato, risultante nella norma
denunciata – nei termini sottolineati – rispetto alla previsione
largamente riduttiva della precedente norma colpita da dichiarazione
di illegittimità costituzionale, vale ad escludere quella
irragionevolezza ritenuta nella precedente formulazione normativa, e
fondata essenzialmente sulla predetta coincidenza (ora eliminata con
apprezzabile differenziazione) di indennità in caso di illecito e di
procedura legittima dell’amministrazione.
Ciò soprattutto assume un significato, come sopra evidenziato, in
correlazione alla natura e al carattere eccezionale e temporaneo
della disposizione denunciata.
Né la limitazione temporale della operatività del regime
risarcitorio in questione alle occupazioni illegittime di suoli per
causa di pubblica utilità intervenute anteriormente al 30 settembre
1996 – limitazione contenuta nell’art. 3, comma 65, della legge n.
662 del 1996 – può ritenersi in contrasto con il principio di
ragionevolezza e con quello di uguaglianza, ove si consideri la
coincidenza di detta data con quella di presentazione in Parlamento
del disegno di legge collegato alla finanziaria per il 1997 (dal
quale sarebbe scaturita la citata legge n. 662 del 1996), e la
esigenza, che se ne inferisce, di salvaguardare una ineludibile, e
limitata nel tempo, manovra di risanamento della finanza pubblica,
già predisposta, in vista – come sottolineato dall’Avvocatura
generale dello Stato – degli impegni assunti in sede comunitaria.
Nemmeno può condividersi il rilievo in ordine alla disparità di
trattamento cui darebbe luogo la disposta applicazione del regime
risarcitorio di cui si tratta anche ai giudizi pendenti. Al riguardo,
la Corte ha ripetutamente affermato che il legislatore può, salvo il
limite previsto in materia penale dall’art. 25 della Costituzione,
nell’introdurre una nuova disciplina, prevederne la efficacia
retroattiva, anche ove questa incida sfavorevolmente su posizioni di
diritto soggettivo perfetto, purché non risultino violati specifici
canoni costituzionali, primo fra i quali quello della ragionevolezza
(v., tra le altre, sentenze nn. 283 e 39 del 1993). Nella
fattispecie, non confligge con tale principio l’attribuzione di
carattere retroattivo al criterio risarcitorio previsto per
l’occupazione acquisitiva dalla norma impugnata, non potendo
costituire limite invalicabile della discrezionalità legislativa
l’aspettativa dei titolari delle aree occupate a vedersi liquidato il
danno secondo un criterio più favorevole di quello ragionevolmente
adottato dal legislatore nell’attuale momento storico (v. sentenza n.
283 del 1993); ciò in special modo quando si tratti di normativa
diretta a sostituire una disciplina dichiarata incostituzionale ed a
regolare i rapporti pregressi in aderenza ai principi enunciati dalla
Corte.
Quanto alla lamentata disparità di trattamento rispetto ad altri
casi relativi a suoli agricoli o ad occupazioni destinate al
soddisfacimento di esigenze abitative, è sufficiente rilevare che
sotto il profilo costituzionale non è preclusa la possibilità di
diversi regimi espropriativi e di calcolo dell’indennizzo in
relazione alle differenti categorie di beni espropriati e alle
diverse finalità dell’intervento pubblico, che può esigere un
diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati.
7. – Le osservazioni che precedono danno ragione della infondatezza
delle censure sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione
nelle diverse prospettazioni sopra riportate, e all’art. 42 della
Costituzione, (rispetto al quale la denunciata violazione dell’art.
10 della Costituzione nulla aggiunge).
8. – Deve escludersi, poi, che si possa profilare un contrasto con
l’art. 53 della Costituzione in quanto il richiamo a detto precetto
costituzionale risulta inconferente, poiché alla determinazione
dell’indennizzo anche nel caso di occupazione acquisitiva non può
riconoscersi alcun connotato tributario, per cui resta estraneo il
principio della capacità contributiva (cfr. ordinanza n. 395 del
1996).
9. – Quanto alla asserita violazione degli articoli 71, primo
comma, e 72, primo comma, della Costituzione, va rilevato che la
censura nulla aggiunge ai profili già decisi nel senso
dell’infondatezza dalla sentenza n. 391 del 1995.
10. – Deve, altresì, essere esclusa la pertinenza del richiamo
agli artt. 24 e 113 della Costituzione essendo estranea la norma a
profili di tutela giurisdizionale, per la quale non sussiste alcuna
limitazione o restrizione rispetto ai generali mezzi di ricorso.
11. – Egualmente deve essere escluso che dalla norma denunciata
possano derivare esoneri o limitazioni di responsabilità per i
pubblici funzionari, i quali continueranno a rispondere secondo le
regole ordinarie per i danni che abbiano arrecato alla pubblica
amministrazione con il loro comportamento negligente che abbia
determinato l’illegittimità della procedura espropriativa, danno che
non si esaurisce solo nelle somme maggiori che l’amministrazione è
tenuta a corrispondere per gli indennizzi, ma anche per i ritardi nel
compimento dell’opera pubblica e per l’aggravio di lavoro che il
contenzioso arreca quasi sempre alla pubblica amministrazione. Del
resto la vastità del fenomeno delle occupazioni acquisitive e la
abnorme frequenza di mancata conclusione regolare delle procedure
espropriative in alcune zone e regioni deve indurre gli organi
titolari delle azioni di responsabilità, nelle diverse sedi, a
verificare la sussistenza di ipotesi di dolo.
Ciò induce a ritenere infondati, oltre ai profili relativi
all’art. 28 della Costituzione, anche quelli riferiti all’art. 97
della Costituzione, in quanto non sono certamente l’entità
dell’indennizzo, o la responsabilità conseguente, ad incidere sul
buon andamento dell’amministrazione. Questo non deriva, se non in
misura marginale, dall’affermazione di responsabilità patrimoniale
più o meno estesa a carico dei funzionari, ma piuttosto dai sistemi
di controlli sulla legalità dell’azione dei singoli organi,
dall’esercizio dei poteri disciplinari di fronte alla colpevole
negligenza nel condurre le procedure di espropriazione e
nell’esercizio dei poteri-doveri di denuncia e di rapporto rispetto a
comportamenti a carattere doloso, profili che nulla hanno in comune
con la norma denunciata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 5-bis comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto
dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate in
riferimento agli artt. 42, terzo comma, 3 e 28 della Costituzione,
dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce; agli artt. 3, primo
comma, 42, secondo comma, 28 e 97 della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Firenze; agli artt. 42, secondo comma, 3, primo comma, e
97, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Reggio
Calabria; agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di
Latina; agli artt. 3, 28, 42, 97, 10, primo comma, 24, primo comma,
53, 71, primo comma, 72, primo comma, 113, primo e secondo comma,
della Costituzione, dalla Corte d’appello di Cagliari; agli artt. 3,
28, 42, secondo e terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione,
dal Tribunale di Lamezia Terme; agli artt. 3, primo comma, 42,
secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale
di Potenza; agli artt. 3, 42, secondo comma, e 97 della Costituzione,
dal giudice istruttore del Tribunale di Torino; agli artt. 3, primo
comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Bari
e Udine; agli artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione, dal
Tribunale di Lagonegro; agli artt. 3 e 42, terzo comma, della
Costituzione dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con le
ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale del predetto art. 5-bis comma 7-bis del
d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n.
359 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e
42, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di
Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.
Il cancelliere: Fruscella