Sentenza N. 149 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
24/07/1981
Data deposito/pubblicazione
24/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE
FERRARI, Giudici,
d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 (Decentramento dei servizi del Ministero
dell’interno), promossi con le seguenti ordinanze;
1) ordinanza emessa il 29 aprile 1976 dal TAR della Liguria sul
ricorso di Badano F. Antonio contro il Comune di Genova, iscritta ai n.
488 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 239 dell’8 settembre 1976;
2) ordinanza emessa il 20 dicembre 1977 dai TAR della Puglia sul
ricorso del Comune di Barletta contro il Ministero dell’interno e la
Commissione centrale per la finanza locale, iscritta al n. 75 del
registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 87 del 28 marzo 1979.
Visto l’atto di costituzione di Badano F. Antonio ed altri nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 gennaio 1981 il Giudice relatore
Antonio La Pergola;
uditi l’avv. Giuseppe Pericu, per Badano F. Antonio ed altri e
l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 29 aprile 1976 il Tribunale
Amministrativo Regionale della Liguria, su ricorso di Badano F. Antonio
ed altri contro il Comune di Genova, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 5 e 130 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.
7 d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968 (e delle norme con esso collegate). La
normativa censurata assoggetta le deliberazioni dei Comuni e delle
Province, rispettivamente contemplati negli artt. 332 e 336 del Testo
Unico 3 marzo 1934, n. 383 (“Testo Unico della legge comunale e
provinciale”) – i Comuni e le Province, cioè che non abbiano il
bilancio in pareggio – all’approvazione della Commissione centrale per
la finanza locale, dove si tratti di modificazioni dei ruoli organici
del personale, e delle relative norme regolamentari, che importino
aumenti alla spesa globale di organico. La rilevanza della questione è
motivata con l’affermare che lo stesso TAR della Liguria ha, con
sentenza in pari data, ritenuto fondata l’istanza dei ricorrenti
diretta ad ottenere l’accertamento del loro diritto, nei confronti del
Comune di Genova, ad un’indennità commisurata, all’atto della
cessazione del rapporto, ad una mensilità per ciascun anno di
effettivo servizio o frazione infratrimestrale di anno, in applicazione
dell’art. 173 bis, quinto comma, del Regolamento organico del personale
(parte normativa), nel testo approvato con deliberazione della Giunta
comunale 25 gennaio 1973; che tale deliberazione costituisce dunque il
fondamento del diritto patrimoniale fatto valere dai ricorrenti; che
essa è tuttavia inefficace, in quanto non approvata dalla Commissione
centrale per la finanza locale. Di qui la conseguenza che il richiesto
accertamento resta precluso finché non sia rimossa la norma
attributiva del potere di approvazione.
Nel merito, si prospetta la divergenza della disciplina impugnata
dai precetti costituzionali sopra menzionati, che riserverebbero ad “un
organo della Regione, costituito nei modi previsti dalla legge della
Repubblica” i controlli esercitati nella specie dalla Commissione per
la finanza locale, laddove, “una diversa soluzione condurrebbe a
ritenere lo Stato legittimato a mantenere o anche a introdurre altre
figure di controllo”, in difformità dalle espresse garanzie che si
assume circondino, anche in ordine al regime dei controlli, l’autonomia
degli enti territoriali minori.
2. – Interviene nel presente giudizio il Presidente del Consiglio,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. La
rilevanza della questione non sarebbe stata adeguatamente valutata dal
giudice a quo. Alla deliberazione del Comune, che la Commissione per la
finanza locale non ha approvato, ne è seguita un’altra, si dice, che
per oggetto ha appunto l’interpretazione dell’art. 173 bis del
Regolamento organico, concernente l’indennità di fine servizio.
Quest’altra deliberazione, si soggiunge, è stata parimenti impugnata
dai ricorrenti innanzi al TAR. Sarebbe, quindi, proprio, ed
esclusivamente essa, ad impedire l’accoglimento della domanda, proposta
in quella sede: di guisa che, per la definizione del giudizio a quo,
occorreva accertare la legittimità, invece che dell’atto di controllo
adottato dalla Commissione centrale, della seconda deliberazione
consiliare: la quale, ancorché successiva all’atto di controllo che
dallo stesso giudice a quo si assume illegittimo, costituirebbe pur
sempre autonoma manifestazione della volontà, e della potestà
regolamentare dell’ente territoriale.
Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. Non ogni
controllo attribuito allo Stato, si osserva, deve ritenersi
incompatibile con gli artt. 5 e 130 Cost. La giurisprudenza della Corte
(e specialmente la sentenza n. 12 del 1973, sulle tracce di una
precedente pronunzia: sentenza n. 4 del 1966) avrebbe infatti assodato
che l’art. 130 Cost. attribuisce agli organi regionali non l’intera
sfera dei controlli sugli atti degli enti locali, ma soltanto i
controlli generali e tipici, ossia quelli in precedenza esercitati dai
Prefetti e dalle Giunte provinciali amministrative. Tali sarebbero, in
particolare, gli ordinari controlli di merito, che si esercitano
nell’interesse degli enti locali, sugli atti da questi emanati. Diversa
natura, invece, avrebbe il potere attribuito nel caso in esame alla
Commissione, perché volto a fronteggiare il deficit finanziario del
Comune. Qui, si deduce, viene in considerazione un interesse della
collettività nazionale, il cui apprezzamento non può, secondo
Costituzione, non competere ad un organo centrale. La competenza
coesisterebbe, del resto, con i controlli già affidati – sempre con
riferimento ai medesimi atti degli enti locali, ex art. 98, n. 3, del
Testo Unico n. 383 del 1934 – alla Giunta provinciale amministrativa,
ed ora devoluti, ai sensi della legge n. 62 del 1953, ai competenti
organi regionali: e ciò, si afferma, appunto perché i controlli
istituiti nell’interesse degli stessi enti locali, si distinguono,
soggettivamente e qualitativamente, da quello in esame. Infine, mentre
la previsione censurata non lede i precetti costituzionali invocati
nell’ordinanza di rinvio, la sua eventuale eliminazione offenderebbe
gravemente i principi stabiliti negli artt. 41, terzo comma, 5, 117, e
soprattutto nell’art. 119 della Carta fondamentale: i quali tutti si
assume esigano, sotto vario riguardo, la necessità che le autonomie
locali siano – per il tramite degli opportuni controlli statali, e
anche sul terreno finanziario – coordinati con le esigenze unitarie del
paese. Il potere della Commissione toccherebbe, peraltro,
esclusivamente l’aspetto economico-finanziario dei provvedimenti
soggetti ad approvazione, lasciando però salva la competenza,
costituzionalmente garantita agli enti autonomi territoriali, di
ristrutturare le piante organiche in conformità delle proprie
esigenze. Non si potrebbe d’altra parte trascurare che la disposizione
censurata è posta in attuazione del principio costituzionale di
eguaglianza. Il controllo economico contabile della Commissione,
gioverebbe, infatti, ad evitare che, dove il bilancio dell’ente è
deficitario, le rispettive comunità locali godano di un ingiustificato
privilegio nei confronti delle altre, dove gli amministratori sono più
attenti all’equilibrio del bilancio.
3. – Si sono costituiti nel giudizio avanti alla Corte anche i
ricorrenti impiegati comunali. L’attribuzione della Commissione
centrale, essi deducono, riveste nella specie le caratteristiche che
secondo dottrina son proprie della funzione di controllo. Senonché, si
tratterebbe di un controllo nettamente incompatibile con le statuizioni
degli artt. 5 e 130 Cost., e d’altra parte privo di alcun titolo
giustificativo, che possa essere offerto da altre disposizioni
costituzionali. Così, lo art. 119 Cost. servirebbe, se mai, a
legittimare un’eventuale controllo sui bilanci, ma non quello che nella
specie concerne le dette modificazioni dei ruoli organici. L’esigenza
del coordinamento della politica economico-finanziaria da parte degli
organi dello Stato, non può certo, si aggiunge, giustificare il
puntuale controllo degli impegni di spesa degli enti locali. Se così
fosse, ne discenderebbe inevitabilmente che l’ingerenza statale è
consentita con riguardo a qualsiasi spesa dell’ente locale, con la
conseguente vanificazione del principio stabilito nell’art. 130 Cost.
Non potrebbe, d’altra parte, nemmeno ammettersi che lo Stato sia
abilitato a istituire controlli “atipici”, eccettuati dalla previsione
del precetto costituzionale testé citato, la quale esige che l’organo
di controllo sia regionale, e che il controllo sia svolto nelle forme
ivi prescritte. La Costituzione adotta, si precisa, uno schema al quale
lo Stato non può, dal canto suo, in alcun caso derogare, almeno nel
senso di disattendere i principi che governano le modalità dei
controlli, senza vulnerare la sfera garantita agli enti locali. Il che,
invece, si verificherebbe nella specie. Lo Stato – si rileva ancora –
ha altri strumenti per assicurare il contenimento della spesa pubblica,
ivi inclusa l’adozione di possibili misure legislative. Dovrebbe però
restare fermo che, approvato il bilancio, l’utilizzazione di fondi
disponibili ricade nella scelta discrezionale degli enti soggetti a
controllo; laddove le opposte tesi dell’Avvocatura, dischiuderebbero
l’adito ad una indiscriminata e capillare compressione dell’autonomia
locale.
4. – Altre deduzioni sono state prodotte dalla difesa di parte
privata in prossimità dell’udienza. Quanto all’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura, si afferma che il TAR della
Liguria ha ravvisato la rilevanza della questione nell’effetto
ostativo, scaturente dalle norme denunziate con riguardo
all’accoglimento della domanda di accertamento del diritto patrimoniale
dei ricorrenti avanti al TAR: domanda, ritenuta fondata sotto ogni
altro profilo. Gli stessi ricorrenti avevano, è vero, anche promosso
l’annullamento della delibera interpretativa del Regolamento comunale,
ma a scopo puramente cautelativo; e lo stesso giudice a quo, si
soggiunge, ha, con sentenza contemporanea all’emissione dell’ordinanza
in esame, ritenuto la deliberazione interpretativa del Comune
inapplicabile alla specie. La pronunzia del TAR su questo punto non
potrebbe, conseguentemente, essere oggetto di riesame ai fini del
presente giudizio.
Nel merito, ribadite le tesi esposte in precedenza, si deduce che
nessun precetto della Costituzione impedisce agli organi regionali di
controllo di assumere – come, per esempio, è accaduto nel settore
urbanistico, con l’approvazione dei piani regolatori – la cura di un
interesse, che ecceda la sfera locale: d’altra parte, si dice, lo
Stato è sempre in grado di perseguire l’interesse alla corretta
gestione della spesa pubblica, che viene in rilievo nella specie, con
mezzi diversi dal controllo ora attribuiti alla Commissione per la
finanza locale. In ogni caso, la limitazione dell’autonomia locale,
connessa con il controllo sugli atti dell’ente autonomo, sarebbe
compatibile con il chiaro disposto dell’art. 130 Cost. solo in quanto
strettamente indispensabile al conseguimento di una superiore istanza.
Nel caso in esame, si tratta di soddisfare l’interesse della
collettività nazionale a che le spese delle comunità locali siano
contenute. Sarebbe pertanto ingiustificata l’ulteriore interferenza
dello Stato nell’utilizzazione delle risorse degli enti locali, che la
norma denunziata configura. Si osserva, infine, che, fuori dalla
particolare sfera del controllo considerato, talune recenti innovazioni
normative valorizzano la Commissione come organo del coordinamento
della politica economico-finanziaria. Ciò confermerebbe che
l’attribuzione prevista dalla norma censurata costituisce il residuo di
un apparato organizzativo statuale superato dalla legislazione, intanto
adeguatasi ai principi costituzionali.
5. – Con decisione adottata il 22 settembre 1976 la Commissione
centrale per la finanza locale Sezione I organici, non approvava la
deliberazione del Consiglio comunale di Barletta n. 935 dell’11
novembre 1974, mediante la quale detto Comune aveva trasformato in
quaranta punti parametrali l’acconto mensile corrisposto ai dipendenti
di ruolo e non di ruolo con decorrenza 1 gennaio 1973. Avverso tale
decisione della CCFL, ed i suoi atti e presupposti, il Comune di
Barletta proponeva ricorso avanti al TAR della Puglia, sollevando in
quella sede il problema della compatibilità fra gli artt. 3, 5, 128 e
130 Cost. e l’art. 7 del d.P.R. 19 agosto 1954, n. 968. Quest’ultima
disposizione di legge assoggetta all’approvazione della suddetta
Commissione le modificazioni degli organici di Comuni e Province con i
bilanci deficitari. Il giudice a quo ritiene che la sopra accennata
questione di legittimità costituzionale, sia rilevante per la
definizione della controversia di cui egli è investito, e sotto i
profili qui di seguito precisati, non manifestamente infondata.
a) La vigente legislazione in materia, si assume, dispone per più
versi nel senso che il controllo affidato alla Commissione costituisce
un ingiustificata anomalia, rispetto ad un sistema normativo ormai in
armonia con i principi posti in Costituzione a presidio dell’autonomia
locale. Sono infatti venute meno le Giunte provinciali amministrative,
che dovevano essere sentite prima che la Commissione approvasse le
deliberazioni sottoposte al suo esame; dove, poi, i Comuni abbiano
meno dei 20.000 abitanti, i poteri già attribuiti alle Giunte
provinciali amministrative sono in forza degli artt. 59, ultimo comma,
e 60, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (“Costituzione e
funzionamento degli organi regionali”), trasferiti agli organi
regionali di controllo. Peraltro le norme contenute nella legge 12
novembre 1971, n. 952 e successive proroghe (cfr. leggi 23 dicembre
1972, n. 823; 29 gennaio 1974, n. 17) prescindono, nel considerare il
caso degli enti locali deficitari, dall’intervento della Commissione:
così, in particolare, l’art. 2 della citata legge n. 952 del 1971, ai
sensi del quale l’autorizzazione ad assumere mutui a copertura di
disavanzi economici dei bilanci delle Province e dei Comuni
(appartenenti alle Regioni a statuto ordinario) spetta al Ministro per
l’interno, dopo che i bilanci stessi siano stati approvati dai
competenti organi regionali di controllo. Con tutto ciò, i dati della
vigente legislazione non consentirebbero di escludere con certezza che
la contestata competenza statale sia venuta a cessare. La norma
istitutiva di tale competenza è quindi denunziata come incompatibile
con il sistema instaurato dall’art. 130 Cost.
b) Il citato precetto costituzionale, si soggiunge, individua sia
l’oggetto e la modalità del controllo, sia l’organo che ne è
investito: la competenza dell’organo regione di controllo è esclusiva
ed abbraccia tutte le deliberazioni delle Province e dei Comuni; il
controllo di merito non può assumere forma diversa da quella,
testualmente prescritta in Costituzione, della richiesta motivata di
riesame. Con il che resterebbe necessariamente esclusa la legittimità
del controllo statale, quale esso si atteggia nella specie.
c) Detto controllo non troverebbe, del resto, miglior fondamento in
altre statuizioni costituzionali. Si assume al riguardo che gli artt.
117 e 119 del testo fondamentale non riguardino la sfera dei controlli
sugli enti territoriali minori, e sui loro provvedimenti. L’una e
l’altra di queste sfere, rispettivamente delimitate dalle apposite e
tassative previsioni degli artt. 125 e 130 Cost., non sarebbero
suscettibili di ampliamento, tanto meno per il tramite di competenze
attribuite agli organi statali. Ma questo non significa, si asserisce,
che, una volta rimosso il controllo in questione, non vi sia modo di
contenere gli abusi della finanza locale. Soccorrerebbero a tal fine i
rimedi amministrativi e penali previsti dal vigente ordinamento, e
altri ancora, che il legislatore voglia introdurre – quando la normale
vigilanza dell’organo regionale di controllo si riveli inadeguata –
curando tuttavia di non ricorrere ai mezzi tecnici preclusi dalla
Costituzione. Una possibile salvaguardia contro gli abusi della finanza
locale sarebbe, per esempio, quella di comminare la nullità ipso iure
delle delibere comunali o provinciali adottate in violazione dei limiti
finanziari, posti con legge dello Stato. L’innegabile esigenza che gli
enti locali non sconfinino in eccessi finanziari andrebbe comunque
soddisfatta contemperando opportunamente gli interessi che fan capo a
soggetti di diverso livello istituzionale, senza vulnerare il sistema
regionale di controllo, e l’autonomia garantita anche per questo verso
agli enti locali.
6. – Si costituisce in giudizio il Presidente del Consiglio,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per
dedurre l’infondatezza della questione. La questione, si osserva
anzitutto, è stata esaminata in sede consultiva dal Consiglio di
Stato, che con parere n. 1878 del 1973 ha affermato la permanenza dei
poteri della Commissione, e ne ha quindi ritenuto la compatibilità con
la Costituzione: e, nello stesso senso, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Cons. Stato Sezione V 27 gennaio 1978, n. 120) e dal
TAR per il Lazio (1ª Sezione 5 novembre 1976, n. 641). Conforterebbero
inoltre la tesi dell’Avvocatura varie decisioni di questa Corte.
Così, la sentenza n. 4 del 1966, che ha escluso dalla sfera del
controllo ordinario sugli enti locali il potere di annullamento degli
atti comunali e provinciali ex art. 6, legge comunale e provinciale
1934, argomentando in base al rilievo che “l’interesse generale, che
legittima e muove di volta in volta questo strumento, è quello
generale dell’intera comunità”. Altra pronuncia (sentenza n. 21 del
1966), affermerebbe espressamente la costituzionalità del contestato
potere della Commissione; sebbene resa con riguardo ad una Regione a
regime differenziato qual è la Sardegna, essa gioverebbe alla
decisione del caso in esame sotto un duplice profilo: le norme poste in
materia di controlli in quello statuto speciale non differirebbero
sostanzialmente dalle corrispondenti statuizioni del testo
costituzionale, e della legge n. 62 del 1953; il permanente potere
della Commissione troverebbe – non importa se con riferimento agli
ordinamenti delle Regioni speciali, nei quali esso è previsto, o agli
ordinamenti delle Regioni comuni – lo stesso supporto giustificativo,
che la Corte avrebbe individuato nella peculiarità tecnica delle
funzioni affidate alla Commissione, e nella loro incidenza in un vario
ambito di pubblici interessi, del resto rispecchiata dalla composizione
dell’organo, di cui fan parte rappresentanti delle amministrazioni sia
centrali sia locali.
Ancora un’altra pronunzia (sentenza n. 62 del 1973) avrebbe
chiarito che i controlli trasferiti ai competenti organi regionali in
forza degli artt. 59 e 60, legge n. 62 del 1953, sono soltanto quelli
generali e tipici; il trasferimento non opererebbe invece con riguardo
ai controlli atipici, diversi dai precedenti, perché preordinati alla
tutela dei superiori interessi della comunità nazionale. Altrimenti,
si dice, la Corte ha ritenuto che l’attribuzione del controllo alla
Regione debba trarre fondamento da un’esplicita e puntuale previsione
di uno statuto speciale. Così avrebbe statuito la sentenza n. 140 del
1977, che concerne l’ordinamento del Friuli-Venezia Giulia, in cui non
trova accoglimento la distinzione tra controlli tipici (regionali), e
atipici (statali): ma anche qui sull’assunto che il controllo regionale
si giustifica solo se diretto al perseguimento degli interessi degli
enti locali.
Il controllo di merito, precisa invero l’Avvocatura, è quello che
si esercita nell’interesse dell’ente, da cui emana l’atto controllato.
Tale, infatti, sarebbe la figura tipizzata dalla previsione dell’art.
130 Cost. Nella specie, invece, il potere di approvare le modifiche dei
ruoli organici che importano aumenti di spesa di Comuni e Province è
conferito alla Commissione per il perseguimento di interessi non
esclusivi degli enti territoriali, ma propri dell’intera comunità
nazionale. Non si tratterebbe, pertanto, di un controllo nel senso
caratteristico del termine, e perciò limitativo dell’autonomia
dell’ente controllato, quanto piuttosto, di un’attività di
amministrazione, che giova alla tutela del superiore interesse (leso
dell’ente territoriale minore, e distinto dagli interessi di cui
quest’ultimo è istituzionalmente investito) o, quanto meno, al
contemperamento di interessi contrapposti, affidati alla cura di
soggetti diversi.
Le rimanenti deduzioni dell’Avvocatura sono in sostanza quelle già
esposte con riferimento all’ordinanza del TAR della Liguria.
7. – Le ordinanze sono state regolarmente notificate e pubblicate.
All’udienza pubblica del 21 gennaio 1981 la difesa di parte privata e
l’Avvocatura dello Stato hanno illustrato e sviluppato le conclusioni
già prese.
1. – Nel presente giudizio è denunziato, per presunto contrasto
con gli artt. 3, 5, 128 e 130 della Costituzione, l’art. 7 del d.P.R.
19 agosto 1954, n. 968 (“Decentramento dei servizi del Ministero
dell’interno”) e le norme ad esso collegate. La disposizione impugnata
è così testualmente formulata:
“In caso di modificazioni ai ruoli organici del personale ed alle
relative norme regolamentari, che importino aumenti alla spesa globale
di organico, le relative deliberazioni dei comuni e delle province, di
cui al primo comma dell’art. 332 e dell’art. 336 Testo Unico 3 marzo
1934, n. 383, e successive modificazioni, sono sottoposte
all’approvazione della Commissione centrale per la finanza locale,
sentito il parere della Giunta provinciale amministrativa”. La
statuizione testé citata modifica a sua volta il decreto legislativo
luogotenenziale 18 gennaio 1945, n. 48 (“Nuove norme per la
modificazione delle piante organiche dei personale degli Enti locali),
che già contemplava il suddetto potere di approvazione della
Commissione, sotto due profili: a) dispone che le delibere soggette ad
approvazione sono soltanto quelle emesse dai Comuni e Province che non
conseguono il pareggio economico del bilancio (cfr. artt. 332, primo
comma, 336 Testo Unico 3 marzo 1934, n. 383 legge comunale e
provinciale); b) prevede, ai fini che qui interessano, una speciale
composizione della Commissione: la quale delibera, precisamente, sotto
la presidenza del Ministro per l’interno o del Sottosegretario da lui
designato e con l’intervento di tre funzionari di grado non inferiore
al quinto, designati, rispettivamente, dai Ministri per l’interno, per
le finanze e per il tesoro, nonché di un Presidente di Giunta
provinciale, in relazione alla materia trattata, designato dal Ministro
per l’interno.
2. – La previsione del potere di approvazione, così configurato,
confliggerebbe con gli invocati parametri costituzionali per le
seguenti considerazioni:
a) l’evoluzione della normativa in materia di finanza locale
avrebbe profondamente inciso sul contesto in cui il controllo in esame
trovava razionale e opportuna collocazione. Per un verso, venute meno
le Giunte provinciali amministrative, il cui parere era prescritto
prima che la Commissione esercitasse il suo potere di approvazione,
sarebbe caduto il raccordo con gli organi periferici di controllo, che
costituiva un essenziale elemento dell’originario disegno della norma
impugnata. Inoltre, dove si tratti di Comuni con popolazione fino a
20.000 abitanti (e non capoluoghi di provincia), le attribuzioni della
Commissione erano state demandate alla Giunta provinciale
amministrativa (art. 332, sesto comma, citato Testo Unico n. 383 del
1934): per modo che esse sono state poi trasferite ai competenti organi
regionali di controllo, ai sensi degli artt. 59 e 60 della legge n. 62
del 1953 (“Costituzione e funzionamento degli organi regionali”), con
la conseguenza di distribuire fra organi statali e organi regionali un
potere che – pur variando da un caso all’altro, secondo popolazione, la
cerchia degli enti controllati – rimane identico.
Sotto altro riguardo, la competenza attribuita alla Commissione
risulterebbe, dopo le modifiche intervenute nella legislazione, priva
del nesso strumentale, che dovrebbe collegarla con il sistema delle
misure dirette a fronteggiare il disavanzo dei bilanci degli enti
locali. In particolare, si osserva che, ai sensi dell’art. 2 della
legge 12 novembre 1971, n. 952 (“Integrazione dei bilanci comunali e
provinciali dei Comuni e delle Province deficitarie”) l’autorizzazione
ad assumere mutui a copertura dei disavanzi economici delle Province e
dei Comuni, appartenenti alle Regioni a statuto ordinario, che siano
stati approvati dai competenti organi regionali di controllo, viene
concessa con decreto del Ministro per l’interno. Da questa
disposizione, e dalle successive altre che ne hanno prorogato
l’efficacia, scompare, si soggiunge, ogni menzione della Commissione.
Le osservazioni sopra esposte – viene poi precisato – deporrebbero
addirittura nel senso che il potere di approvazione qui considerato non
abbia ragione di sopravvivere. In quanto, tuttavia, non risulta con
certezza che esso sia stato soppresso, si denunzia la norma che lo
istituisce, come lesiva delle statuizioni costituzionali concernenti i
controlli sugli atti degli enti locali.
b) Il regime di tali controlli, si assume, infatti, è
tassativamente prescritto nell’art. 130 Cost. Essi sono esercitati
sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, anche
in forma decentrata, esclusivamente da un organo della Regione,
composto nei modi stabiliti dalla legge statale. Il controllo di
merito è consentito solo nei casi predeterminati dalla legge e non
può assumere forma diversa dalla richiesta motivata agli enti
deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. La norma impugnata
vulnererebbe dette prescrizioni, sia con l’affidare il controllo in
questione ad un organo dello Stato, anziché al competente organo della
Regione, sia con il prevedere che esso operi mediante un’approvazione,
il cui eventuale diniego impedisce all’atto, emanazione del potere di
autonomia, di esplicare i suoi effetti. Dal vizio di illegittimità
così prospettato scaturirebbe anche la lesione degli altri precetti
costituzionali, invocati nell’ordinanza di rinvio.
c) Si esclude, infine, che il potere di approvazione della
Commissione possa trovar miglior fondamento in altre norme della
Costituzione: e così, nemmeno negli artt. 117 e 119, che si assumono
non pertinenti alla sfera in cui opera il controllo in esame, e che
comunque non legittimerebbero l’ingerenza di un organo statale, quale
si configura nella specie, nell’utilizzazione delle risorse finanziarie
degli enti locali, riservata al discrezionale apprezzamento di questi
ultimi. A contenere gli abusi della finanza locale soccorrono, si
conclude, i rimedi amministrativi e penali previsti dal vigente
ordinamento, o altre salvaguardie degli interessi della collettività
nazionale, che il legislatore voglia introdurre: senza però, per
questo vulnerare l’autonomia costituzionalmente garantita agli enti
locali, anche sotto il profilo dell’ordinamento dei controlli.
3. – Le ordinanze in epigrafe prospettano – sia pure sotto profili
in parte diversi – la stessa questione. I giudizi con esse promossi
possono, dunque, essere riuniti e decisi con unica sentenza.
4. – Preliminarmente, è da considerare il rilievo formulato, in
punto di ammissibilità, dall’Avvocatura dello Stato: la quale
afferma, com’è spiegato in narrativa, che la rilevanza della
prospettata questione non è stata adeguatamente valutata dal TAR della
Liguria.
Ora, detto giudice ha, con pronunzia emessa nella stessa data
dell’ordinanza di remissione, ritenuto fondata l’istanza dei
ricorrenti, diretta ad ottenere l’accertamento del loro diritto, nei
confronti del Comune di Genova, ad un’indennità di fine servizio, in
applicazione di una norma dei Regolamento organico del personale, nel
testo approvato, il 25 gennaio 1973, dalla Giunta comunale. Tale
deliberazione costituisce dunque il fondamento del diritto
patrimoniale, fatto valere avanti al TAR. Essa è tuttavia inefficace,
difettando l’approvazione, alla quale va sottoposta, appunto in forza
della disposizione di legge censurata nel presente giudizio. Così,
avverte il TAR, resta precluso l’accertamento che gli è richiesto. E
dunque chiaro che un’eventuale pronunzia di accoglimento della
questione prospettata alla Corte non mancherebbe di influire sulla
definizione del giudizio a quo. L’Avvocatura eccepisce, è vero, che
alla delibera comunale non approvata dalla Commissione, ne è seguita
un’altra, la quale ha per oggetto precisamente l’interpretazione della
norma dei Regolamento comunale, relativa all’indennità di servizio.
Tale ultima delibera, prosegue la difesa dello Stato, è stata
parimenti impugnata avanti al TAR, in quanto proprio da essa discende
l’effetto ostativo nella fattispecie: di guisa che il giudice a quo
avrebbe, per la decisione di cui è investito, dovuto valutare la
legittimità, non dell’atto di controllo adottato dalla Commissione, ma
della successiva ed autonoma manifestazione di volontà dell’ente
controllato, posta in essere con la suddetta delibera interpretativa.
Senonché, questa era stata impugnata avanti al TAR solo a scopo
tuzioristico; i ricorrenti in quella sede assumevano, in via
principale, che essa fosse inapplicabile alla specie. Tale, infatti,
essa è stata ritenuta dal giudice a quo, che ha dichiarato
inammissibile lo specifico capo del ricorso; e la sua pronunzia non
può costituire oggetto di alcun esame da parte della Corte.
5 a). – Nel merito, la questione è fondata. Di fronte alle censure
sopra riferite, la difesa dello Stato osserva che l’art. 130 (o alcun
altro precetto costituzionale, di cui si assume la violazione) non
esaurisce la previsione dei controlli esperibili sugli atti degli enti
locali ma concerne i soli controlli tipici, quali sono stati definiti
dalla Corte, soprattutto nella sentenza n. 62 del 1973: di guisa che,
fuori dall’ambito di questa classificazione del fenomeno, non
opererebbe quella preclusione delle competenze statali, che nelle
ordinanze di rinvio si assume, invece, come inderogabile. Con ciò si
vuol, quindi, dedurre che lo Stato può istituire controlli o,
altrimenti, direttamente esplicare i poteri di amministrazione, anche
delle materie attribuite agli enti locali, senza che l’autonomia, della
quale questi godono, risulti indebitamente compressa: ma sempre che,
precisa la stessa Avvocatura, l’intervento degli organi centrali sia
legittimato dall’esigenza, necessariamente affidata alla loro cura, di
coordinare l’attività dei Comuni e delle Province con gli interessi
della collettività nazionale.
5 b). – Ecco, allora, il primo punto da fissare per l’indagine
rimessa alla Corte: sebbene il disposto dell’art. 130 Cost. non
abbracci tutti i possibili controlli sugli enti locali, o sugli atti da
essi emanati, questo non significa che esso consenta d’altra parte
un’indiscriminata o capillare ingerenza dello Stato nella sfera a detti
enti attribuita. Dove viene in rilievo il regime di controllo, si deve
anzi aggiungere, l’autonomia dei Comuni e delle Province è – grazie
appunto alle specifiche previsioni del citato precetto – direttamente
garantita nel nostro testo fondamentale. Non si può, poi, trascurare
la peculiarità della specie. La contestata attribuzione della
Commissione integra gli estremi di un controllo di merito, e si
aggiunge al controllo parallelamente esercitato – con le modalità e
agli effetti prescritti dalla legge n. 62 del 1953, in conformità del
dettato costituzionale, e sempre in ordine alle stesse delibere
soggette all’approvazione dell’organo statale dal competente organo
della Regione. È questo un motivo in più per ritenere che la
sopravvivenza del controllo in esame abbisogna di un idoneo fondamento
giuridico. Occorre, piu precisamente, stabilire se la norma istitutiva
della competenza statale resista alle censure, che ne denunziano la
divergenza dallo schema dei controlli, sancito in Costituzione. Il
potere di approvazione deve in questa prospettiva non soltanto
strumentalmente connettersi con un fine che, proprio della
collettività nazionale, trascenda la sfera dell’ente controllato; è
altresì indispensabile che soccorra un disposto costituzionale, in cui
si radichi il fine perseguito dall’organo statale, e del quale, con il
mezzo tecnico del controllo, si vuol assicurare l’adempimento.
6. – L’Avvocatura deduce che il potere di approvazione della
Commissione è chiaramente e pienamente giustificato dalla superiore
istanza di contenere gli abusi della finanza degli enti locali, e in
primo luogo il disavanzo dei rispettivi bilanci. Dal TAR della Puglia,
e più diffusamente dalla difesa della parte privata, costituitasi nel
giudizio promosso dal TAR della Liguria, si argomenta per contro –
anche in base agli orientamenti prevalsi nella più recente
legislazione – che il controllo operante nella specie ha cessato di
rispondere al fine che dovrebbe perseguire, rimanendo ormai isolato dal
contesto, in cui si ordinerebbero le altre vigenti misure sulla finanza
locale. A ciò si aggiunge che la stessa Commissione è stata spogliata
delle rimanenti attribuzioni, funzionalmente connesse con quella in
esame: e così, anzitutto, del potere di approvazione dei bilanci degli
enti deficitari, ora esclusivamente sottoposti al controllo del
competente organo della Regione.
7. – Su questi ed analoghi rilievi non è, tuttavia, il caso di
indugiare. Alla stregua del criterio sopra enunciato, s’impone,
infatti, l’altro e assorbente rilievo, che la disposizione censurata
non trae titolo giustificativo da alcuna norma costituzionale. Delle
statuizioni invocate in proposito dall’Avvocatura – gli artt. 3, 41,
terzo comma, 117 e 119, primo comma – solo quest’ultima tocca la
materia ed i fini specifici per cui si esercita il controllo statale:
“le Regioni” – essa dispone – “hanno autonomia finanziaria nelle forme
e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con
la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni”. Senonché, ci
troviamo di fronte ad un precetto, la cui attuazione esige il rispetto
della riserva di legge ivi configurata. Il legislatore è dunque
tenuto a modellare in conformità di quest’esigenza le attribuzioni,
che, ai fini contemplati dall’art. 119, sono affidate, anche in sede
di controllo, agli organi statali. Il che implicava che, nella specie,
istituito il potere di approvazione della Commissione, ne fosse anche
regolato l’esercizio, in guisa da adeguano alle forme e ai limiti,
richiesti, ex art. 119, per una corretta configurazione del
coordinamento. Il censurato testo dell’art. 7 del d.P.R. n. 968 del
1954 non adotta, però, simili cautele. La figura di controllo in esso
prevista deve quindi essere ritenuta non solo anomala, o atipica, ma
anche costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 130
Cost.
8. – Le considerazioni fin qui svolte sono del resto avvalorate da
altri elementi, che possono desumersi dalla normazione successiva alla
disposizione impugnata, nella quale la Commissione è sotto vario
riguardo presa in considerazione. Per quel che qui interessa, basta
ricordare i provvedimenti urgenti e altra disciplina della finanza
locale d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella legge 27
febbraio 1978, n. 43; d.l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito nella
legge 8 gennaio 1979, n. 3; d.l. 7 maggio 1980, n. 153, convertito
nella legge 7 luglio 1980, n. 299; d.l. 28 febbraio 1981, n. 38,
convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153. Quanto alle norme del
citato d.l. del 1977, e alle altre ivi richiamate, esse pongono –
sempre in funzione del contenimento della spesa pubblica – larghi e
penetranti limiti alla competenza degli enti locali, in materia di
organici e di assunzione del personale. Nell’art. 6 della relativa
legge di conversione (n. 43 del 1978) è detto, al quindicesimo comma,
che la Commissione mantiene (fino all’entrata in vigore della riforma
della finanza locale) come unica attribuzione quella concernente le
deliberazioni (diverse dalle altre, oggetto della disciplina dettata
nella stessa legge), in tema di trattamento economico del personale, e
delle connesse modifiche dei ruoli; e si aggiunge che la Commissione
esercita tali residue competenze nella composizione della sezione
organici, qual è configurata nella norma censurata in questa sede.
Comincia, così, a profilarsi nel nostro ordinamento una più attenta e
circoscritta definizione delle competenze attribuite alla Commissione.
il legislatore, pur mantenendo espressamente in vigore il contestato
potere di approvazione, vuol limitarlo, con riferimento sia alla
materia che ne è oggetto, sia alla sua possibile estensione temporale.
9. – Lo stesso criterio trova, poco più tardi, ulteriore
accoglimento nel d.l. n. 702 del 1978 e nella relativa legge di
conversione (n. 3 del 1979). In quest’ultima è tra l’altro previsto,
in sede di modifica dell’art. 4 del d.l. testé citato, “il piano
generale degli uffici e servizi, che Province Comuni e loro consorzi
devono adottare per assicurare, con le nuove strutture, la massima
efficienza e produttività di gestione”. Detta norma prescrive
altresì il necessario contenuto del piano (quadro delle strutture
esistenti, funzioni degli enti e delle aziende, modalità applicative
del principio di mobilità del personale, conseguente riassetto delle
piante organi che). Altra disposizione dello stesso testo normativo
(art. 4) assoggetta i sopra richiamati piani di organizzazione
all’esame della Commissione; statuisce che la norma impugnata nel
presente giudizio è soppressa e d’altra parte prefigura, allargando la
rappresentanza degli enti locali, una nuova composizione dell’organo;
demanda al Ministro per l’interno di istituire, con decreto, una o due
sottocommissioni nonché, entro centoventi giorni dall’entrata in
vigore della legge, di disciplinare il funzionamento della Commissione
(e delle sottocommissioni), emanando le opportune norme procedurali
“per l’adozione delle relative determinazioni, e modalità di
audizione, su richiesta delle Amministrazioni locali di più grande
dimensione” – e infine ristrutturando e potenziando, in seno all’organo
uffici di segreteria e servizi di coordinamento.
Mutata la fisionomia della Commissione – anche mediante la
previsione di una diversa rappresentanza, e della consultazione delle
Amministrazioni locali – si è così provveduto a valorizzarne la
funzione, proprio nel settore del coordinamento con l’attività
finanziaria dei Comuni e delle Province.
Su questa base, appunto, riposa la nuova competenza, che si
esercita con il sindacare la conformità del piano di riorganizzazione
dei servizi e degli uffici a quel che in merito richiede la vigente
legislazione. Quest’ultima disciplina della finanza locale non
prescinde, allora, dal fissare i criteri, ai quali il controllo
demandato alla Commissione deve uniformarsi: criteri che si trovano,
del resto, precisati e sviluppati nell’art. 20 del d.l. 28 febbraio
1981, n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981, n. 153, con
riferimento, anche qui, ai suddetti piani di riorganizzazione (e di
modifica delle piante organiche, adottate ai sensi del d.l. n. 38 del
1981 e della relativa legge di conversione). La Commissione è ivi
chiamata ad assicurare che l’espansione organizzativa richiesta dai
singoli enti non gravi eccessivamente sulla pubblica finanza. Il
potenziamento delle strutture locali è consentito solo in presenza di
certi documentati elementi, che sono puntualmente, anche se non
tassativamente indicati nella norma citata: incremento demografico
costante nell’ultimo quinquennio; estensione territoriale; numero
delle presenze alberghiere ed extra alberghiere annue nei Comuni con
prevalente attività turistica; popolazione effettivamente dimorante
nei Comuni sedi di Università adiacenti a città metropolitane o
centri di notevole attività industriale e sedi di importanti uffici
pubblici. In conclusione: quando esso è assistito da idonei parametri
di valutazione, l’esame demandato alla Commissione può svolgersi,
anche nelle forme e con il caratteristico effetto impeditivo del
potere di approvazione, in conformità del sistema costituzionale; la
riserva di legge stabilita nell’art. 119 Cost., e la garanzia delle
autonomie locali che è in essa implicitamente sancita, son fatte
salve. Il che, se si guarda al diverso atteggiarsi del caso di specie,
conferma il risultato sopra raggiunto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 del d.P.R. 19
agosto 1954, n. 968.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere