Sentenza N. 150 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
delle disposizioni generali annesse al R.D.L. 19 ottobre 1923, n.
2328, nel testo modificato dal R.D. L. 2 dicembre 1923, n. 2682, e
degli artt. 4 del R. D. L. 15 marzo 1923, n. 692; 8 del R.D. 10
settembre 1923, n. 1955; e 1 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1957, con
riferimento alle disposizioni di cui al n. 25 della tabella approvata
con quest’ultimo decreto (riposo settimanale dei lavoratori), promossi
con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 giugno 1966 dal Tribunale di Trento nel
procedimento civile vertente tra Salomon Donato e la Società
Automobilistica Atesina, iscritta al n. 224 del Registro ordinanze 1966
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 14
gennaio 1967;
2) ordinanze emesse il 27 settembre 1966 dal Tribunale di Terni in
due procedimenti civili promossi da Giovannetti Gastone e Scibinetti
Alberto contro la Società Polymer Industrie Chimiche, iscritte ai nn.
39 e 40 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 89 dello 8 aprile 1967;
3) ordinanze emesse il 27 settembre 1966 dal Tribunale di Terni in
dodici procedimenti civili promossi da Ceccarelli Ennio ed altri,
Bernabei Guerrino ed altri, Bonifazi Mario ed altri, Petrelli Benito ed
altri, Rischia Letterio ed altri, Pelosi Vito ed altri, Pisani Fiorenzo
ed altri, Cardinali Francesco ed altri, Censi Anselmo ed altri,
Cavalieri Paolo ed altri, Conti Pietro ed altri e Sapora Domenico ed
altri contro la Società Terni per l’industria e l’elettricità,
iscritte ai nn. da 41 a 52 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell’8 aprile 1967.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione di Salomon Donato, di Cavalieri Paolo e
delle società Polymer e Terni;
udita nell’udienza pubblica del 16 novembre 1967 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
uditi gli avvocati Luciano Ventura, Lamberto Ravagni e Benedetto
Bussi, per i lavoratori, gli avvocati Antonio Sorrentino, Cesare
Tumedei e Franco Guidotti, per le società Polymer e Terni, ed i
sostituti avvocati generali dello Stato Michele Savarese e Franco
Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con ordinanza del 30 giugno 1966, emessa nel procedimento
civile vertente fra Salomon Donato e la Società Automobilistica
Atesina, il Tribunale di Trento, premesso che l’autista Salomon
osservava un orario di lavoro di 56 ore settimanali, anziché di 48,
per cinque settimane su sei, sicché godeva di un giorno di riposo
l’ottavo giorno, anziché il settimo, e rilevato che ciò è conforme a
quanto dispone l’art. 16 delle disposizioni generali annesse al R.D.
L. 19 ottobre 1923, n. 2328, estese al personale delle autolinee dalla
legge 24 maggio 1952, n. 628, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale di detto art. 16 in riferimento all’ultimo comma
dell’art. 36 della costituzione, secondo il quale il lavoratore ha
diritto al riposo settimanale, e non può rinunziarvi.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 del 14 gennaio 1967. Nel
presente giudizio si è costituito il Salomon, ed è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato.
2. – La difesa del Salomon rileva che la questione è connessa ai
più recenti sviluppi giurisprudenziali sul concetto di riposo
settimanale, caratterizzato da una rigorosa periodicità, in forza
della quale, esso deve cadere dopo non più di sei giorni di lavoro.
Anche secondo le convenzioni internazionali, il regime di riposo
settimanale può ritenersi osservato solo se nessun periodo di sette
giorni, comunque calcolato, risulti privo di un giorno di riposo. Ed
anche ai fini del giudizio di legittimità costituzionale dovrebbe
considerarsi riposo settimanale quello che cade dopo non più di sei
giorni di lavoro.
L’Avvocatura dello Stato ritiene invece infondata la questione.
Essa non riguarda la necessità del riposo settimanale che è fuori
discussione, ma soltanto la identificazione del termine settimanale,
che può essere inteso anche in modo da consentire brevi allungamenti
del periodo lavorativo, purché, nella media, sia rispettato il
principio del riposo ogni sette giorni. Benché il testo della norma
contenuta nell’ultimo comma dell’art. 36 della costituzione possa far
propendere per una interpretazione rigida del concetto di riposo
settimanale, non sembrano tuttavia da sottovalutare, secondo
l’Avvocatura dello Stato, altre e diverse finalità di ordine
costituzionale (esempio: eguaglianza dei lavoratori) oppure, comunque,
di interesse pubblico, che potrebbero dare a quel concetto una
specificazione più elastica, senza snaturarne la portata o la
funzione. In tal caso la questione di legittimità costituzionale non
avrebbe ragion d’essere.
Inoltre, la norma contenuta nell’art. 16 del R.D. del 1923 si
limita a stabilire la media dei riposi settimanali nell’anno, fissata
nel numero di 52, ma non vieta affatto di distribuire tale media con
scadenza esattamente ogni sette giorni. Di conseguenza, tale norma
nella sua astrattezza e generalità, offre certamente la possibilità
di una interpretazione conforme al precetto costituzionale.
Anche nelle memorie, tanto il Salomon quanto l’Avvocatura dello
Stato hanno ripetuto ed ampiamente trattato questi stessi argomenti.
3. – Con diverse ordinanze del 27 settembre 1966, emesse nei
procedimenti civili fra la Società “Polymer Industrie Chimiche” e
Giovannelli Gastone ed altri, e fra la Società “Terni per l’industria
e l’elettricità” e Ceccarelli Ennio ed altri, il Tribunale di Terni,
rilevando che gli operai addetti a lavorazione industriale in modo
continuativo per turni di squadre compiono – per una settimana su tre –
56 ore di lavoro, pari a sette giorni consecutivi, ha ritenuto violato
l’ultimo comma dell’art. 36 della costituzione ed ha sollevato di
ufficio la questione di legittimità costituzionale delle norme
contenute negli artt. 4 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, 8 del R.D. 10
settembre 1923, n. 1955, ed 1 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1957, con
riferimento alla disposizione di cui al n. 25 della tabella ad esso
allegata, ordinando la sospensione dei procedimenti e la rimessione
degli atti a questa Corte.
Secondo le ordinanze, la settimana, cui fa riferimento la legge n.
370 del 1934 è quella di calendario; ed in ordine alle attività
previste dall’art. 5 della detta legge, per le quali il riposo di 24
ore consecutive può essere attuato mediante turni al personale,
l’obbligo del riposo settimanale può ritenersi adempiuto ogni qual
volta sia stato concesso fra le ore zero del lunedì e le ore 24 della
domenica successiva, con esclusione del rispetto di qualsiasi cadenza
fissa. Però, il compimento da parte dei turnisti di ciascuna squadra
di 56 ore per una settimana, nel ciclo di tre settimane, ferma restando
la media di 48 ore settimanali, viola il principio del riposo
settimanale, giacché le 56 ore sono raggiungibili col lavoro in tutti
i sette giorni della settimana, con la conseguenza di dovere concedere
un giorno di riposo compensativo in altra settimana per raggiungere la
media dell’orario di 48 ore settimanali di lavoro effettivo.
Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell’8
aprile 1967.
Nel presente giudizio si sono costituiti la Società Polymer
Industrie Chimiche, la Società Terni, e Cavalieri Paolo. È
intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
4. – La difesa della Società Polymer osserva che il decreto n.
1955 del 1923 ha natura regolamentare, e non può quindi formare
oggetto di sindacato costituzionale; che dubbi possono sorgere anche
sul R.D. 1957 dell’anno 1923, che potrebbe essere un decreto
legislativo delegato, oppure un atto amministrativo di portata
generale, ma che comunque le norme di esso sono conformi alla
previsione legislativa del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, ed anzi ne
specificano il contenuto. Rileva quindi che la questione si riduce ad
esaminare se è consentito lo spostamento – durante brevi cicli di
lavorazione – del giorno di riposo dall’una all’altra settimana.
La Società Terni, che svolge attività industriale a processo
continuativo organizzato in turni di tre squadre quotidiane, con ciclo
di lavorazione articolato su sette settimane (la settimana di 56 ore
cade una volta ogni sette settimane sicché in 49 giorni di lavoro si
effettuano 42 giornate di lavoro e sette di riposo) adduce gli stessi
argomenti difensivi della predetta società.
La difesa del Cavalieri osserva che le norme denunziate dal
Tribunale di Terni sarebbero viziate di illegittimità costituzionale
non in riferimento all’ultimo comma dell’art. 36 della costituzione ma
in riferimento al secondo comma dello stesso articolo (orario di lavoro
giornaliero).
L’Avvocatura generale dello Stato osserva che il Tribunale di Terni
denunzia la norma contenuta nell’art. 4 del R.D.L. del 1923, la quale
non riguarda il riposo settimanale, bensì la misura delle ore di
lavoro. Vero è che si denuncia anche l’art. 8 del R.D. n. 1955 del
1923 e l’art. 1 del R.D. 1957 dello stesso anno 1923, ma le norme
contenute in questi due articoli sfuggono al sindacato costituzionale,
avendo carattere regolamentare. Comunque, la sola norma da esaminare è
quella contenuta nell’art. 1 del R.D. 1957 del 1923 in relazione al n.
25 della annessa tabella: e detta norma non impone affatto l’unica
determinata applicazione ritenuta dal giudice a quo; né interferisce
con l’obbligo del riposo settimanale in modo da renderlo impossibile.
E prospetta delle ipotesi nelle quali il lavoro continuo può essere
organizzato, dando ad ogni operaio il riposo nel corso della settimana.
Osserva per ultimo che, nella sentenza n. 76 del 1962, la Corte ha
rilevato che il riposo settimanale degli addetti alla pastorizia brada
può essere regolato in maniera diversa da quello prescritto dalla
legge n. 370 del 1934. Dal che dovrebbe desumersi, sempre secondo
l’Avvocatura dello Stato, che il riposo settimanale può essere
regolato dalla legge in modo da armonizzare il precetto costituzionale
con le esigenze della produzione, ai fini dell’interesse generale.
Le parti hanno infine presentato memorie difensive per illustrare
ciascuna la propria tesi.
1. – L’ordinanza del Tribunale di Trento e quelle del Tribunale di
Terni prospettano le stesse questioni di legittimità in merito al
diritto dei lavoratori al riposo settimanale, sicché i vari
procedimenti possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2. – La norma dell’ultimo comma dell’art. 36 della costituzione che
fissa il principio del diritto inderogabile del lavoratore al riposo
settimanale, distinguendo questo riposo da quello giornaliero e da
quello annuale, impone – per ragioni di ordine umano e sociale – una
alternanza periodica fra lavoro e riposo, concretata nella interruzione
del lavoro per 24 ore consecutive ogni settimana.
Il precetto costituzionale non dice altro e, soprattutto, non
regola l’esercizio del diritto. Orbene la questione, che è di decisiva
importanza per la risoluzione della presente controversia, riguarda
precisamente l’esercizio di siffatto diritto, perché attiene alla
attuazione del precetto costituzionale: se cioè questo imponga una
rigorosa periodicità, in forza della quale il riposo deve cadere dopo
non più di sei giorni di lavoro, come ritiene l’ordinanza del
Tribunale di Trento, oppure se consenta una periodicità diversa.
La Corte ritiene che il precetto costituzionale, sostanziandosi
necessariamente in una ampia formulazione di un principio di carattere
generale, non è limitato alla sola forma di periodicità che più
comunemente si verifica, ma comprende anche quelle altre che sono
previste da norme ordinarie in conseguenza delle esigenze dettate dalla
grande varietà di regimi di lavoro nel campo dell’industria, del
commercio, e dell’agricoltura, dei trasporti ecc. ed in relazione alle
varie specie di attività lavorativa ceratterizzate da peculiari
circostanze (industrie con lavoro a processo continuo a squadre,
lavoranti nel proprio domicilio, personale navigante o viaggiante,
lavori in agricoltura a periodi stagionali, ecc.). Né si può negare
che l’emanazione di norme particolari – le quali nello spirito di
adattamento alle esigenze della produzione, delle industrie o
dell’agricoltura regolano l’esercizio del diritto – rispondano agli
interessi del mondo del lavoro, quando non si discostano dai principi
di ragionevolezza, dei quali non si può non tenere conto nella
valutazione della legittimità costituzionale. L’importante si è che
le ipotesi di concessione del riposo dopo più di sei giornate
lavorative siano ristrette ai casi di evidente necessità a tutela di
altri interessi apprezzabili, e che, soprattutto, non siano tali da
snaturare od eludere il precetto costituzionale. Dal che deriva la
legittimità di quelle norme che, nei limiti strettamente
indispensabili, di volta in volta, autorizzano il riposo ad intervalli
più lunghi di una settimana ponendo la condizione che nel ciclo di
lavoro di un certo periodo di tempo rimanga ferma la media di
ventiquattro ore di riposo dopo sei giornate lavorative.
3. – La questione sollevata dall’ordinanza del Tribunale di Trento
è fondata. L’art. 16 del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, disponendo
che “fra i riposi continuati in residenza ve ne debbono essere
cinquantadue all’anno della durata di ventiquattro ore, senza
pregiudizio del congedo regolamentare” consente, per la imprecisa e
vaga formulazione, che i 52 riposi periodici vengano concessi al
lavoratore addirittura tutti insieme nel corso dell’anno. Onde ne va
dichiarata la illegittimità. È appena il caso di avvertire che tale
dichiarazione non significa che, ai casi considerati dall’art. 15, si
deve applicare la regola del riposo settimanale dopo sei giornate
lavorative. È ovvio, infatti, che anche per essi, il precetto
costituzionale va inteso nel senso sopra chiarito.
4. – Le ordinanze del Tribunale di Terni impugnano:
1) l’art. 4 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692;
2) l’art. 8 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955;
3) l’art. 1 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1957, in relazione al n.
25 della tabella allegata.
La seconda e la terza norma sono comprese in regolamenti emanati
con regi decreti per disciplinare la limitazione dell’orario di lavoro
secondo le prescrizioni della legge n. 692. Sulla natura regolamentare
del decreto n. 1955 anche le parti sono d’accordo, mentre per quello n.
1957 è stato sollevato qualche dubbio. Ritiene la Corte che siffatto
dubbio non abbia fondamento, se si tiene conto, non soltanto del
contenuto sostanziale di una tabella indicante le industrie e le altre
specie di lavorazioni autorizzate al prolungamento dell’orario di
lavoro giornaliero, quanto – e specialmente – del fatto che non risulta
in alcun modo che l’art. 4 del R.D.L. n. 692 abbia inteso conferire
all’autorità governativa la potestà di dettare disposizioni aventi
forza di legge. Pertanto la questione deve essere dichiarata
inammissibile.
L’art. 4 del R.D.L. n. 692 del 1923, poi, non è volto alla
disciplina del riposo settimanale. Esso riguarda la possibilità di
superare le otto ore di lavoro giornaliero e le 48 ore settimanali,
rispettando una durata media entro determinati periodi. Come
esattamente affermano l’Avvocatura generale dello Stato e la difesa di
Cavalieri Paolo, questa norma rimane del tutto estranea alla questione
che è stata sollevata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 16 delle
disposizioni generali annesse al R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, nel
testo modificato dal R.D.L. 2 dicembre 1923, n. 2682 (riposo
settimanale dei lavoratori dipendenti dalle aziende esercenti le
ferrovie concesse, tranvie ecc.);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 8 del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, ed 1
del R.D. 10 settembre 1923, n. 1957, proposta con le ordinanze indicate
in epigrafe del Tribunale di Terni;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionate
dell’art. 4 del R. D. L. 15 marzo 1923, n. 692, relativo alla
limitazione dell’orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle
aziende industriali o commerciali di qualunque natura, sollevata con le
ordinanze del Tribunale di Terni indicate in epigrafe. Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI-ANTONINO PAPALDO –
NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO –
ANTONIO MANCA – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.