Sentenza N. 150 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
24/07/1981
Data deposito/pubblicazione
24/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/06/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
proprio e per delega del Presidente del Consiglio dei ministri, nei
confronti del Pretore di Genova, notificato il 20 dicembre 1979,
depositato il 7 gennaio 1980 ed iscritto al n. 1 del registro ordinanze
1980, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a
seguito dell’ordinanza emessa dal detto Pretore il 25 febbraio 1977,
concernente il divieto di pesca e commercializzazione, a partire dalle
ore 24 del 26 febbraio 1977, su tutto il territorio nazionale, del
novellame di qualunque specie marina.
Vista l’ordinanza n. 123 del 2 ottobre 1979, con la quale questa
Corte ha dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto di
attribuzione di cui sopra;
udito nell’udienza pubblica del 4 marzo 1981 il Giudice relatore
Livio Paladin;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Ministro per
la Marina mercantile e per il Presidente del Consiglio dei ministri;
udito l’avv. Alessandro Pizzorusso, per il Pretore di Genova.
1. – Mediante un ricorso depositato il 13 aprile 1977, il Ministro
per la Marina mercantile, in proprio nonché per delega del Presidente
del Consiglio dei ministri, ha sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti del Pretore di Genova: impugnando l’ordinanza 25 febbraio
1977, con la quale il Pretore ha vietato la pesca e la
commercializzazione del novellame di qualunque specie marina su tutto
il territorio nazionale, a partire dalle ore 24 del 26 febbraio, ed ha
disposto il sequestro del “prodotto eventualmente rinvenuto sul
mercato”. In effetti, nel ricorso si assume che concorrerebbero in tal
caso tutti i requisiti necessari affinché insorga un conflitto tra
poteri dello Stato: sia perché il Ministro ricorrente – da solo o per
delega del Presidente del Consiglio dei ministri – disporrebbe della
competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere
esecutivo; sia perché sarebbe indiscutibile la legittimazione passiva
di un giudice quale il Pretore di Genova; sia perché il Pretore
avrebbe in sostanza annullato il decreto ministeriale 18 gennaio 1977
(con il quale il Ministro per la Marina mercantile autorizzava la pesca
del novellame di sarda in alcuni compartimenti marittimi, quanto al
periodo 1 febbraio-31 marzo 1977), in violazione delle norme
costituzionali che conferirebbero ai giudici ordinari la sola
“affermazione dell’ordinamento nel caso concreto, cioè nei confronti
di uno o più soggetti determinati”.
Con ordinanza n. 85 del 1978, sospesa ogni pronuncia
sull’ammissibilità del ricorso, la Corte ha quindi acquisito tutti gli
atti relativi al procedimento in cui s’era inserita l’ordinanza
impugnata, al fine di accertare se esistessero i presupposti di un
conflitto risolvibile dalla Corte stessa. Ne è risultato: che il
veterinario capo del Comune di Genova, con rapporto informativo del 17
febbraio 1977, aveva prospettato al Pretore alcuni dubbi circa la
legittimità del decreto ministeriale 18 gennaio 1977, sostenendo in
particolar modo che la deroga relativa alla pesca del “bianchetto” non
sarebbe stata intesa a soddisfare le esigenze indicate dall’art. 32
della legge n. 963 del 1965; che il Pretore di Genova, sulla base di
tale rapporto, aveva emesso senz’altro l’ordinanza impugnata,
disponendone la notificazione “agli Organi preposti al controllo, ai
Veterinari dei mercati ittici e alle persone, enti, associazioni che si
dedicano alla pesca ed al commercio del novellame”; che carabinieri del
NAS di Genova avevano poi sequestrato, in data 31 marzo 1977, trenta
chilogrammi di “bianchetto”. presso la trattoria Mentana di Genova; e
che il Pretore di Genova aveva conseguentemente inviato, in data 18
aprile 1977, comunicazione giudiziaria a Donati Giuseppe ed a Sesta
Mentana, per il reato di cui all’art. 15 della legge n. 963 del 1965.
Con ordinanza n. 123 del 1979, la Corte ha allora statuito – a
norma dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953 – l’ammissibilità del
ricorso in esame. In quella pronuncia si afferma, infatti, che “esiste
la materia di un conflitto”, dal momento che il ricorrente invoca una
serie di norme costituzionali (artt. 101, 102 e 113), per desumerne che
non spetterebbe al potere giudiziario, bensì all’esecutivo,
l’emanazione di atti che astrattamente autorizzino o vietino la pesca
di determinate specie. Inoltre, vi si ribadisce, circa il Pretore di
Genova, il criterio per cui “i singoli organi giurisdizionali
esplicando le loro funzioni in situazioni di piena indipendenza,
costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati … ad
essere parti in conflitti di attribuzione” (come già sostenuto
nell’ordinanza n. 228 del 1975). Quanto infine alla legittimazione
attiva, vi si precisa che nel caso in esame essa spetta al Presidente
del Consiglio dei ministri, “previa conforme deliberazione del
Consiglio dei ministri”; ma si ammette che tale delibera, non essendovi
alcun termine perentorio entro il quale debbano venir proposti i
ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, possa
anche intervenire in un momento successivo, sanando il vizio del
ricorso in questione, a patto di precedere la notificazione di esso.
2. – Entro il prescritto termine di sessanta giorni dalla
comunicazione di tale ordinanza al Presidente del Consiglio dei
ministri, il Consiglio ha perciò deliberato – in data 27 novembre 1979
– di autorizzare l’Avvocatura dello Stato ad elevare conflitto nei
confronti dell’ordinanza 25 febbraio 1977 del Pretore di Genova. Ed il
ricorso è stato regolarmente notificato, in data 20 dicembre 1979.
Costituitosi nel presente giudizio, il Pretore ha per altro dedotto
di aver pronunciato, in data 28 dicembre 1979, sentenza di
proscioglimento degli imputati Donati Giuseppe e Sesia Mentana,
dichiarando “non doversi procedere … in ordine al reato loro
ascrittogli perché estinto per amnistia”. Contestualmente, è stato
revocato “il decreto di sequestro del novellame di sarda … emesso nei
confronti di ignoti il 25 febbraio 1977”: sia perché l’amnistia
concessa con il d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, avrebbe “estinto
qualunque altro reato di pesca abusiva del bianchetto”; sia anche
perché la disciplina normativa della pesca marittima sarebbe stata
già modificata – sul punto – in virtù del d.P.R. 10 ottobre 1977, n.
922.
Con questo fondamento, la difesa del Pretore di Genova chiede che
la Corte dichiari cessata la materia del contendere. In via
subordinata, la difesa stessa conclude per l’inammissibilità o per il
rigetto del ricorso. Da un lato, infatti, in una memoria depositata il
19 febbraio 1981 si osserva che la delibera adottata il 27 novembre
1979 dal Consiglio dei ministri non farebbe alcun riferimento
all’originario ricorso del Ministro per la Marina mercantile; e dunque
non potrebbe venir considerata “come un atto di sanatoria” del ricorso
medesimo, in quanto proposto da un organo diverso da quello competente.
D’altro lato, si richiama “il principio secondo il quale il merito dei
provvedimenti giurisdizionali non può essere sindacato altro che da
parte del giudice competente a pronunciarsi sull’impugnazione proposta
da una parte processuale contro i provvedimenti stessi”: donde un
sistema di rapporti fra giurisdizione ed amministrazione che
risulterebbe “sostanzialmente sconvolto”, se in vista di qualunque
disapplicazione d’un atto amministrativo ad opera di un giudice la
pubblica amministrazione potesse, non essendo “parte in causa”,
sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
3. – Alla pubblica udienza, entrambe le parti hanno insistito nelle
rispettive conclusioni.
Per altro, l’Avvocatura dello Stato ha aggiunto che questa Corte
dovrebbe rettificare l’impostazione dell’ordinanza n. 123 del 1979, là
dove si afferma che i ricorsi per conflitto di attribuzione, proposti
dal Presidente del Consiglio dei ministri, vanno di regola fondati
“sopra una previa conforme deliberazione del Consiglio”. Anche in tema
di conflitto tra poteri dello Stato sarebbe infatti applicabile – per
analogia – la norma dettata dall’art. 39, terzo comma, della legge n.
87 del 1953, in tema di conflitti fra Stato e Regione (onde “il ricorso
è proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio dei ministri o da
un Ministro da lui delegato”). Di conseguenza, risulterebbero
radicalmente infondate le eccezioni d’inammissibilità, sollevate dalla
parte resistente.
1. – Nell’ordinanza 10 ottobre 1979, n 123, “riservato ogni
definitivo giudizio circa l’ammissibilità e circa il merito del
ricorso”, la Corte ha tuttavia statuito che i conflitti di attribuzione
tra i poteri dello Stato non possono venire sollevati né dai singoli
Ministri né – di regola – dal solo Presidente del Consiglio: cui
spetta bensì di proporre ricorso, ma in base ad una delibera del
Consiglio dei ministri. Considerato però che un ricorso del genere non
è sottoposto ad alcun termine, fino a quando la Corte non lo abbia
dichiarato ammissibile e non ne abbia disposto la notifica (ai sensi
del quarto comma dell’art. 37 della legge n. 87 del 1953), la predetta
ordinanza ha ritenuto che a sanare il vizio bastasse far precedere la
notificazione da una conforme deliberazione consiliare, depositata in
Cancelleria entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza
stessa al Presidente del Consiglio; ed è appunto in tal senso – come
già si è ricordato in narrativa – che il Consiglio ha deliberato, in
data 27 novembre 1979, “di autorizzare l’Avvocatura dello Stato ad
elevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nei
confronti dell’ordinanza 25 febbraio 1977 del pretore di Genova
relativa al divieto di pesca e commercializzazione del novellame di
qualunque specie marina”.
Ora, la difesa del Pretore di Genova eccepisce, in primo luogo, che
la deliberazione prescinderebbe dal precedente ricorso dell’organo
monocratico, senza affatto operarne la ratifica; in secondo luogo, che
nella deliberazione stessa non si provvederebbe nemmeno a ratificare la
delega rilasciata dal Presidente del Consiglio dei ministri al Ministro
per la marina mercantile; in terzo luogo, che l’intervento del
Consiglio non varrebbe comunque a sanare l’originario difetto di
legittimazione del Ministro ricorrente, perché posto in essere dopo la
citata decisione della Corte sull’ammissibilità del ricorso. Ma questi
assunti non fanno se non riproporre, in termini diversi, una sola
eccezione: contestando, in sostanza, che il Consiglio dei ministri
abbia realmente adempiuto a quanto prescritto dalla Corte
nell’ordinanza n. 123 del 1979. E tale eccezione si dimostra infondata.
È infatti da escludere che il Consiglio abbia deliberato la
proposizione di un nuovo ricorso; tanto più che il testo dell’atto
notificato al Pretore di Genova è identico a quello già depositato il
13 aprile 1977. Con tutta evidenza, al contrario, è in ordine al
ricorso originario che il Consiglio è stato chiamato a pronunciarsi,
ai sensi e per gli effetti indicati da questa Corte, immediatamente
dopo la comunicazione dell’ordinanza n. 123 del 1979. Pertanto, si deve
concludere che quel collegio abbia approvato, in tutti i suoi aspetti,
il ricorso sul quale si basa il presente giudizio: sanando con ciò
stesso – come la Corte riafferma in questa sede – il vizio relativo
alla legittimazione dell’organo ricorrente.
2. – A sua volta, per altro, l’Avvocatura dello Stato eccepisce
che, nel decidere definitivamente circa l’ammissibilità del ricorso,
la Corte dovrebbe riconoscere la legittimazione attiva del Ministro per
la marina mercantile, in quanto delegato dal Presidente del Consiglio,
anche in mancanza di una previa conforme deliberazione consiliare:
analogamente a quanto disposto dall’art. 39, terzo comma, della legge
n. 87 del 1953, in ordine ai conflitti di attribuzione fra Stato e
Regioni, che pure coinvolgono l’intero apparato statale e non soltanto
il potere esecutivo.
Senonché la Corte deve confermare, anche in questa parte,
l’impostazione dell’ordinanza n. 123 del 1979. Certo è che le
attribuzioni dei singoli ministri non assumono uno specifico rilievo
costituzionale nei rapporti con gli organi giurisdizionali (se non
nelle ipotesi della “facoltà” e delle competenze spettanti al Ministro
della giustizia, in base all’art. 107, secondo comma, ed all’art. 110
Cost.), per cui essi non possono autonomamente sollevare conflitti del
tipo in esame. E va ripetuto altresì che non basta allo scopo una
delega del solo Presidente del Consiglio.
Non gioverebbe richiamare in contrario l’ordinanza n. 49 del 1977,
in cui la Corte ha bensì precisato “che dal punto di vista subbiettivo
non sorge problema circa la competenza del Presidente del Consiglio dei
ministri a dichiarare definitivamente la volontà del potere
esecutivo”; ma lo ha fatto in un caso nel quale’ era stato lo stesso
Presidente a rifiutarsi di trasmettere – allegando il segreto
politico-militare – un carteggio al giudice istruttore del Tribunale di
Torino, che pertanto si era ritenuto leso nelle proprie attribuzioni.
Al di fuori di situazioni del genere, che mettono in questione poteri
esercitati od esercitabili dal solo Presidente, occorre ribadire che è
il Governo a prendere parte – in nome dell’unità di indirizzo politico
ed amministrativo, proclamata nel primo comma dell’art. 95 Cost. – ai
conflitti tra i poteri dello Stato; e per Governo si intende in questa
sede – non diversamente da quanto ha già chiarito la sentenza n. 8 del
1967, in tema di rinvii delle leggi regionali – l’intero Consiglio dei
ministri.
Non vi è dunque lo spazio per le interpretazioni od integrazioni
analogiche, suggerite dall’Avvocatura dello Stato. Da un lato, non
può considerarsi casuale che, nel complesso delle norme attinenti ai
ricorsi del Governo dinanzi alla Corte, la previsione dell’art. 39,
terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia completamente isolata.
D’altro lato, le due situazioni messe a raffronto non sono del tutto
consimili od affini, per cui si possa dire che la ratio dell’art. 39,
terzo comma, coincida con quella che dovrebbe ispirare l’individuazione
dell’organo esecutivo, legittimato a proporre conflitto tra i poteri
dello Stato. Al contrario, tale previsione si collega alle
peculiarità dei conflitti fra Stato e Regioni, che la Corte ha
costantemente risolto mediante la congiunta considerazione degli
Statuti speciali (o della Costituzione) e delle relative norme di
attuazione (o delle norme di trasferimento delle funzioni statali):
con la conseguenza di porre in rilievo le attribuzioni spettanti a
particolari ministri o ministeri (o ad altre componenti ben determinate
dell’amministrazione dello Stato), in rapporto alle corrispettive
attribuzioni regionali. Il che non trova riscontro nei conflitti tra i
poteri dello Stato, nei quali l’esecutivo si presenta – di regola –
come un potere costituzionalmente accentrato ed unitario, che in
definitiva si regge sul principio collegiale.
3. – In via preliminare e principale, la difesa del Pretore di
Genova chiede che la Corte dichiari cessata la materia del contendere,
per effetto della revoca del provvedimento impugnato, disposta dal
Pretore stesso con la sentenza di proscioglimento in sede di
istruzione, pronunciata il 28 dicembre 1979 nei confronti di Donati
Giuseppe e di Mentana Sesia. Ma la richiesta, cui non aderisce
l’Avvocatura dello Stato, dev’essere respinta.
Per quanto la definisca – riduttivamente – quale “decreto di
sequestro del novellame di sarda”, si può ipotizzare che la predetta
sentenza di proscioglimento abbia revocato per intero l’ordinanza del
25 febbraio 1977, vietante “la pesca e la commercializzazione, su tutto
il territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina”. Ma
ciò non significa che siano stati realizzati i presupposti in vista
dei quali suoi essere dichiarata – secondo la giurisprudenza di questa
Corte – la cessazione della materia del contendere nei conflitti di
attribuzione. A partire dalle sentenze n. 74 del 1960 e n. 3 del 1962,
la Corte ha chiarito che tale specie di pronunce s’impone quando l’atto
denunciato risulti annullato ex tunc, facendo implicitamente venir meno
le affermazioni di competenza che avessero dato luogo al conflitto e
privando in tal modo il ricorrente dell’originario interesse ad
ottenere una decisione sull’appartenenza del potere contestato. A
questi criteri continuano ad informarsi le decisioni più recenti, in
tema di conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni ovvero di giudizi
di legittimità costituzionale promossi mediante ricorso, sulle quali
cerca invece di basarsi la difesa della parte resistente. In particolar
modo, tali sono i motivi ispiratori delle sentenze n. 4 del 1978, n.
101, n. 126 e n. 190 del 1980; tanto più che si tratta di decisioni
adottate su concorde richiesta dello Stato e della Regione interessata
(o comunque d’intesa fra di essi).
Viceversa, nella ricordata sentenza n. 3 del 1962 si precisava che
il puro e semplice “esaurimento degli effetti” dell’atto impugnato non
basta a far cessare “il dibattito circa la spettanza del potere”. Ma
questo è sostanzialmente il caso della revoca in esame, che è stata
determinata da ragioni sopravvenute, del tutto indipendenti dalla
risoluzione del presente conflitto: ossia – come si legge nella
sentenza pretorile del 28 dicembre 1979 – perché l’amnistia concessa
con il d.P.R. n. 413 del 1978 avrebbe estinto non solo il reato
ascritto ai due imputati, ma “qualunque altro reato di pesca abusiva
del bianchetto che fosse stato commesso nel periodo di tempo cui si
riferiva il d.m. 18 gennaio 1977” (ed anche perché la modificazione
dell’art. 126 del regolamento per la pesca marittima disposta con il
d.P.R. n. 922 – rectius: n. 920 – del 1977, avrebbe reso “la
disciplina normativa della materia … diversa da quella vigente
all’epoca dei fatti”).
Ne segue che il Pretore non ha annullato ex tunc l’ordinanza del 25
febbraio 1977, la quale ha pur sempre prodotto una serie di effetti,
quanto meno nell’ambito della competenza territoriale di quel giudice.
E non vi è stato nemmeno un riconoscimento – sia pure implicito – che
l’attribuzione contestata spettasse al potere esecutivo o non potesse
comunque venire esercitata dal Pretore: ché anzi nella motivazione
della sentenza del 28 dicembre 1979 si accenna espressamente
all’esigenza di riesaminare ex novo la questione, qualora essa “dovesse
ripresentarsi”, alla stregua della nuova disciplina regolamentare della
pesca marittima.
Malgrado la sorte dell’atto impugnato, residua perciò l’interesse
del ricorrente ad ottenere quella decisione sulla spettanza delle
attribuzioni in contestazione che rappresenta specialmente nei
conflitti tra i poteri; dello Stato – l’oggetto principale del giudizio
di questa Corte, in base all’art. 38 della legge n. 87 del 1953.
4. – Allo scopo di definire esattamente i termini dell’attuale
controversia, occorre anzitutto analizzare i contenuti del
provvedimento impugnato, per metterli in rapporto con le attribuzioni
allora spettanti al potere esecutivo in materia di pesca marittima.
Nelle premesse dell’ordinanza del 25 febbraio 1977, si precisa
dunque che l’art. 15 della legge 14 luglio 1965, n. 963, “vieta la
pesca ed il commercio del novellame marino di qualsiasi specie”, mentre
l’art. 32 della legge medesima consente al Ministro per la marina
mercantile di derogare alle vigenti discipline regolamentari della
pesca, ma “al solo fine di adeguarla al progresso delle conoscenze
scientifiche ed alle applicazioni tecnologiche e favorirne lo sviluppo
in determinate zone e per determinate classi”; sicché il decreto
ministeriale 18 gennaio 1977, che autorizza la pesca ed il commercio
del novellame di sarda, “appare palesemente illegittimo in quanto la
pesca del novellame non corrisponde ad alcun adeguamento scientifico,
non comporta applicazioni tecnologiche atte a favorirne lo sviluppo”,
ed anzi produce “una grave depauperazione del patrimonio ittico”. Con
questo fondamento, “visti gli artt. 219, 357 e 622 c.p.p.”, il pretore
di Genova “vieta la pesca o la commercializzazione, su tutto il
territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina,
disponendo altresì che il prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato
venga sequestrato”; ed ancora, “dispone che il suddetto decreto venga
notificato agli Organi preposti al controllo, ai Veterinari dei mercati
ittici e alle persone, enti, associazioni che si dedicano alla pesca ed
al commercio del novellame”.
Ora, la prima indicazione ricavabile da tali dati è nel senso che
quello impugnato non si risolve in un provvedimento di sequestro
penale. Malgrado il richiamo degli artt. 622 e 337 cod. proc. pen.
(quest’ultima, infatti, sembra essere la norma cui realmente allude
l’atto in esame, che cita per errore la non pertinente disposizione
dell’art. 357), l’ordine di sequestrare “il prodotto eventualmente
rinvenuto sul mercato “non rappresenta se non la conseguenza del
generale divieto di pescare e commercializzare il novellame: a base del
quale dovrebbero pertanto porsi l’art. 219 cod. proc. pen., nonché il
primo comma dell’art. 220, per cui la polizia giudiziaria, chiamata ad
impedire che i reati “vengano portati a conseguenze ulteriori”, è
tenuta in tal senso ad eseguire gli ordini del pretore.
Dal dispositivo dell’ordinanza che ha dato luogo al presente
conflitto si desume con chiarezza, inoltre, che l’atto stesso non si
esaurisce – come invece vorrebbe la difesa del Pretore di Genova –
nella disapplicazione del decreto ministeriale 18 gennaio 1977, ai
sensi dell’art. 5 dell’allegato E della legge n. 2248 del 1865.
Effettivamente, il Pretore non si è limitato a sostenere che la
predetta autorizzazione ministeriale alla pesca del novellame di sarda
esorbitasse dalla previsione della legge n. 963 del 1965 e fosse dunque
illegittima: per poi decretare il sequestro di quel particolare genere
di pescato, relativamente al caso sottoposto al suo giudizio. Da un
lato, all’atto in cui fu emessa l’ordinanza in contestazione, al
Pretore non era pervenuta la notizia di alcuno specifico reato: tali
non essendo le “segnalazioni di critica in ordine alla
commercializzazione del prodotto in oggetto”, cui genericamente accenna
il rapporto informativo 17 febbraio 1977 del veterinario capo dei
Comune di Genova. D’altro lato, è ancor più determinante la
circostanza che, dopo aver negato la legittimità del d.m. 18 gennaio
1977, il Pretore disponga ben oltre l’ambito materiale e territoriale
di applicazione dei provvedimento autorizzativo: non solo statuendo nel
senso di rendere del tutto inoperante il provvedimento medesimo, ma
estendendo il suo divieto al novellame di qualunque specie marina
(anziché al solo “bianchetto”) e a tutti i compartimenti marittimi
(anziché alle sole zone prese in considerazione dal Ministro per la
marina mercantile).
Da ciò discende che l’ordinanza impugnata non comporta la
vanificazione, senza limiti di tempo, del solo potere ministeriale di
autorizzare la pesca del novellame di sarda; ma preclude – alla lettera
– l’esercizio dell’autorizzazione (espressamente prevista dall’art. 126
del d.P.R. n. 1639 del 1968) a pescare, detenere, trasportare e
commerciare lo stesso novellame di anguilla, come pure le
corrispondenti autorizzazioni relative ai “novellame allo stato vivo
destinato agli allevamenti o ai ripopolamenti” (di cui all’art. 125 del
citato regolamento di esecuzione). Del resto, ciò non si verifica a
caso, dal momento che il Pretore fa implicitamente proprie le
considerazioni conclusive del rapporto del veterinario capo del Comune
di Genova, per cui “l’autorizzazione alla esclusiva pesca di novellame
di sarda” costituirebbe “una limitazione assurda ed in pratica
inapplicabile”; e dunque non si limita a vietare – a fronte
dell’autorizzazione stessa – la pesca del solo “bianchetto”, ma
coinvolge nel divieto ogni genere di novellame.
Né giova osservare che gli effetti realizzati dall’ordinanza del
25 febbraio 1977 sono stati – verosimilmente – assai meno ampi del
dispositivo di essa. Le usurpazioni o le menomazioni d’una attribuzione
rivendicata da altro potere dello Stato non dipendono, infatti, dalle
sole conseguenze concretamente prodotte dai comportamenti contestati,
ma si misurano in vista dell’intrinseca entità delle pretese che
abbiano determinato le situazioni di conflitto.
5. – Ciò posto, il ricorso dev’essere accolto.
Giustamente, l’Avvocatura dello Stato osserva che il provvedimento
pretorile in questione “appare abnorme nel suo contenuto”, nonché
“lesivo delle attribuzioni riservate in genere al potere esecutivo ed
in particolare al Ministro per la marina mercantile”. Nel primo senso,
infatti, la Corte di cassazione ha chiarito che l’attivita impeditiva
prevista dall’art. 219 cod. proc. pen. non comprende il potere di
emettere atti amministrativi riservati dalla legge ad altre autorità;
ed ha poi precisato, di recente, che nessun organo giurisdizionale può
disporre un sequestro su tutto il territorio nazionale,
indipendentemente da un collegamento con reati commessi nella sua
circoscrizione.
Ora, se nel caso in esame si trattasse soltanto d’un sequestro
decretato da un giudice penale carente di giurisdizione, il vizio del
provvedimento (comunque si volesse qualificarlo) potrebbe non assumere
altro che un rilievo interno alla giurisdizione stessa: senza cioè
concretare la materia di un conflitto di attribuzione fra poteri dello
Stato, risolvibile da questa Corte. Senonché, a determinare una
lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate al Governo, sta
precisamente il fatto che il Pretore di Genova – attraverso un
esercizio preventivo del potere-dovere di impedire che i reati
“vengano portati a conseguenze ulteriori” – ha provveduto in via
generale ed astratta nella materia della pesca marittima; ed ha
espresso a questo modo la pretesa di precludere, in tutte le loro
possibili manifestazioni, l’esercizio delle corrispondenti
autorizzazioni previste dalla legge n. 963 del 1965, quanto alla pesca
ed al commercio del novellame (tanto che lo stesso Governo, per
superare l’ostacolo, ha ritenuto di dover modificare l’art. 126 del
regolamento di esecuzione approvato con il d.P.R. n. 1639 del 1968,
mediante l’articolo unico del d.P.R. n. 920 del 1977).
Provvedimenti come quello impugnato collidono, quindi, con l’ultimo
comma dell’art. 113 Cost. Vero è che tale norma, rinviando alla legge
la determinazione degli organi giurisdizionali abilitati ad annullare
gli atti della pubblica amministrazione, ammette implicitamente che il
legislatore possa – nei limiti in cui lo consentono i criteri di
riparto fra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione
amministrativa, statuiti dal primo comma dell’art. 103 Cost. –
attribuire siffatti poteri di annullamento anche al giudice ordinario
(si vedano già in tal senso le sentenze n. 32 del 1970 e n. 161 del
1971). Ma, con ciò stesso, l’art. 113 esclude che spetti alle
autorità giudiziarie ordinarie di annullare gli atti amministrativi,
in mancanza d’una previsione di legge; ed a più forte ragione comporta
che tali autorità non possano contrapporsi o sovrapporsi alle
autorità amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano
esercitati dall’esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati: fino
al punto di perseguire – come si riscontra nel caso in esame –
l’eliminazione dei poteri medesimi
Situazioni del genere non possono risolversi nei tradizionali
conflitti fra l’esecutivo e il giudiziario, implicanti le “questioni di
giurisdizione” fatte salve dall’art. 37, secondo comma, della legge n.
87 del 1953. Ferme dunque restando – in particolar modo – le pronunce
che le vigenti norme processuali demandano in tal campo alla Corte di
cassazione, è compito di questa Corte stabilire che al Pretore di
Genova non era e non è dato di paralizzare le attribuzioni proprie del
Governo in materia di pesca e di commercio del novellame, traendone le
conseguenze indicate dall’art. 38 della citata legge n 87.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta al Pretore di Genova di vietare la pesca e
la commercializzazione, su tutto il territorio nazionale, del novellame
di qualunque specie marina; e, di conseguenza, annulla l’ordinanza
pretorile n. 1658/77 R.G. del 25 febbraio 1977.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere