Sentenza N. 151 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
24/07/1981
Data deposito/pubblicazione
24/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/07/1981
EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO –
Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof.
LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA –
Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni
tributarie), promossi con ordinanze emesse il 14 dicembre 1977, il 29
settembre 1978, il 9 ottobre 1978, il 3 luglio 1979, il 3 novembre 1979
(n. 6 ordinanze), il 27 marzo 1980 ed il 24 giugno 1980 dalle
Commissioni tributarie di 1 grado di Monza, Saluzzo, Bassano del
Grappa, S. Maria Capua Vetere e Pordenone, e dalle Commissioni
tributarie di 2 grado di Alessandria e Pisa, iscritte al n. 447 del
registro ordinanze 1978, ai nn. 207, 455 e 793 del registro ordinanze
1979 ed ai nn. 235 a 240, 730 e 731 del registro ordinanze 1980 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 dell’anno
1978, nn. 126 e 210 dell’anno 1979 e nn. 8, 145, 357 e 338 dell’anno
1980.
Visti gli atti di costituzione di Guerrisi Francesco e Melandri
Domenico, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore
Oronzo Reale;
uditi gli avvocati Franco Gaffuri e Giuseppe Frataccia per Guerrisi
Francesco e l’avvocato dello Stato Giovanni Albisinni, per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Con dodici ordinanze di diverse Commissioni tributarie (447 del
R.O. 1978, Commissione tributaria di 1 grado di Monza; 207/79,
Commissione tributaria di 1 grado di Saluzzo; 455/79, Commissione
tributaria di 1 grado di Bassano del Grappa; 793/79, Commissione
tributaria di 2 grado di Alessandria; da 235 a 240/80, Commissione
tributaria di 1 grado di S. Maria Capua Vetere; 730/80, Commissione
tributaria di l grado di Pordenone; 731/80, Commissione tributaria di 2
grado di Pisa) è stata sollevata in via incidentale questione di
legittimità costituzionale dell’art. 34 del d.P.R. 29 settembre 1973,
n. 601, nella parte in cui detta norma non accorda anche alle pensioni
privilegiate ordinarie civili e militari le agevolazioni tributarie
(cioè l’esenzione dall’IRPEF) ivi previste per le pensioni di guerra,
e ciò perché il diverso trattamento riservato sotto il profilo
fiscale alle due posizioni pensionistiche sarebbe ingiustificato ed
irrazionale, con conseguente violazione dell’art. 3 della
Costituzione.
I procedimenti nel corso dei quali le surriportate questioni di
legittimità costituzionale sono state sollevate avevano tutti ad
oggetto i ricorsi di alcuni titolari di pensione privilegiata ordinaria
militare, volti ad ottenere il rimborso dell’aliquota IRPEF trattenuta
alla fonte sul loro trattamento pensionistico, o delle somme da essi
stessi versate, per lo stesso titolo, in sede di autotassazione, oppure
il non pagamento delle somme a tale titolo richieste
dall’Amministrazione finanziaria.
Le diverse Commissioni tributarie argomentano tutte nel senso che
tanto la pensione di guerra quanto la pensione privilegiata ordinaria
civile e militare hanno come comune presupposto causale una diminuzione
della capacità lavorativa, scaturita da lesioni od infermità dovute
al servizio prestato. Si riconosce che l’occasione di tale servizio è
diversa, atteso che la pensione di guerra presuppone che l’evento
lesivo o comunque atto a diminuire la capacità lavorativa siasi
verificato per fatto di guerra; mentre la pensione privilegiata è
originata da un fatto dovuto al servizio prestato in tempo di pace.
In talune ordinanze (447/78, 207/79, 455/79 e 730/80) si osserva
inoltre che sussistono esempi legislativi di sostanziale equiparazione
tra i beneficiari di pensioni di guerra e quelli di pensione
privilegiata ordinaria, militare o civile; vengono citati all’uopo gli
artt. 1 della legge 15 luglio 1950, n. 539 e 5 della legge 3 aprile
1958, n. 474.
Malgrado ciò, i Collegi a quibus concordano tutti nel ritenere che
l’agevolazione fiscale prevista per le pensioni di guerra dal citato
art. 34 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, non possa essere
analogicamente estesa alle pensioni privilegiate, sia per il chiaro
dettato dello stesso art. 34, sia perché l’art. 5, ultimo comma, della
ricordata legge 3 aprile 1958, n. 474′ esclude qualsiasi equiparazione
tra le dette categorie “per quanto concerne il trattamento
pensionistico”.
Viene pertanto ritenuto rilevante e non manifestamente infondato il
dubbio di incostituzionalità, per violazione del principio di
uguaglianza, della esclusione delle pensioni privilegiate dalla
esenzione tributaria prevista per le pensioni di guerra.
A sostegno di tale prospettazione si evidenzia per un verso che il
presupposto comune della menomazione della integrità fisica dovuta al
servizio prestato non può, siccome attinente al bene della salute,
tutelato come “diritto fondamentale” dell’individuo, essere
diversamente considerato a seconda che l’evento lesivo di questo siasi
verificato in tempo di guerra o non, a maggior ragione ove si ponga
mente al fatto che l’attività di servizio espone, oggi in specie, il
militare a disagi e rischi gravi e pur sempre connessi alla difesa
dell’ordine interno od internazionale.
Si ricorda inoltre come anche la Corte costituzionale, con le
sentenze n. 41 del 1973 e n. 103 del 1976, abbia sostanzialmente
affermato il carattere unitario del servizio militare, sia stato questo
prestato in tempo di guerra o in tempo di pace.
Le dodici ordinanze venivano tutte ritualmente notificate e
comunicate; relativamente a tutte e dodici interveniva il Presidente
del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale
dello Stato, mentre, tra le parti private, si costituivano i sigg.
Francesco Guerrisi (ord. 447/78) e Domenico Melandri (ord. 207/79).
Nei rispettivi atti di costituzione, le suddette parti aderiscono
sostanzialmente alle ragioni addotte dai giudici a quibus a sostegno
del prospettato dubbio di costituzionalità. In particolare il Guerrisi
pone l’accento sul contenuto delle citate sentenze della Corte
costituzionale, asserendo che da esse è dato desumere un chiaro
principio volto alla sostanziale equiparazione dei due trattamenti
pensionistici, anche sotto il profilo fiscale.
I distinti atti di intervento dell’Avvocatura generale coincidono
quanto al contenuto, attesa l’identità di oggetto delle diverse
ordinanze di remissione.
Sotto un primo (e preliminare) profilo, si osserva che la proposta
questione sarebbe inammissibile; l’art. 9, punto 1, della legge di
delega per la riforma tributaria (n. 825 del 9 ottobre 971) non
autorizza infatti la estensione delle agevolazioni tributarie già
previste nel T.U. delle imposte dirette.
Da ciò conseguirebbe che il legislatore delegato non avrebbe
perciò potuto estendere la esenzione che l’art. 134 del d.P.R. 29
gennaio 1958, n. 645, aveva previsto per le sole pensioni di guerra; la
censura di incostituzionalità avrebbe perciò dovuto rivolgersi nei
confronti del citato art. 9 e non già dell’art. 34 della legge
delegata.
Nel merito, si sostiene l’infondatezza della proposta questione. Al
riguardo si osserva che il trattamento tributario di favore previsto
per le pensioni di guerra ha razionale giustificazione nel diverso
presupposto che ha dato origine alle menomazioni fisiche sofferte.
L’espletamento del più gravoso obbligo pubblico di prestazione
personale, svolto in guerra e perciò in situazioni eccezionali di
rischio per l’incolumità fisica del cittadino, non sarebbe, ad avviso
dell’Avvocatura; comparabile con i disagi scaturenti dal normale
espletamento del servizio.
Dall’altro canto, la peculiare natura della pensione di guerra
risulterebbe altresì evidenziata dalla considerazione che l’emolumento
in questione ha carattere di autonomia, mentre la pensione privilegiata
ordinaria consiste in una maggiorazione della pensione ordinaria
normale.
Né sarebbe probante in senso contrario alla tesi esposta la
sentenza n. 103 del 1976, in quanto la Corte, in quella occasione si
limitò ad estendere l’esenzione dal pagamento della tassa fissa,
originariamente prevista dal terzo comma dell’art. 5 della legge n. 161
del 1953 per la sola pensione di guerra, a tutti i giudizi in materia
di pensioni civili e militari, non solo a quelli concernenti le
pensioni privilegiate.
Con memorie presentate nell’imminenza della discussione, la parte
privata Francesco Guerrisi e l’Avvocatura dello Stato hanno ribadito le
tesi già esposte.
In particolare, la difesa del Guerrisi ha sottolineato l’unità di
natura e di funzione del servizio militare, sia questo prestato in
guerra o in tempo di pace; si tratterebbe pur sempre della esplicazione
del dovere di difendere la Patria, impegno che il cittadino in servizio
alle armi, volontario o non, si assume incondizionatamente, accettando
ogni rischio. Si è poi soffermata sulla identità funzionale della
pensione di guerra e della pensione privilegiata militare, l’una e
l’altra dirette “a integrare la perdita della capacità funzionale ed
economica subita dal soggetto e dal risarcirlo del dolore provato e dei
disagi di ordine psicologico che la menomazione determina”.
Nella memoria del Guerrisi si evidenzia infine una tendenza alla
uniformità di disciplina per i due trattamenti di pensione,
riscontrabile in particolare nelle leggi 539 dei 1950 e 474 del 1958.
Si conclude prospettando l’eventualità di una interpretazione più
ampia della norma impugnata, tanto da ricomprendere nella esenzione ivi
prevista anche le pensioni privilegiate militari; e, in difetto,
chiedendo che la proposta eccezione di incostituzionalità venga
accolta.
Dal canto suo, l’Avvocatura dello Stato, nel ribadire la richiesta
di declaratoria di infondatezza della proposta questione, sottolinea
che la pensione privilegiata ha la normale natura retributiva del
servizio prestato e presuppone percio il rapporto di servizio effettivo
e la dipendenza da questo della infermità subita, mentre la pensione
di guerra prescinde da questi fattori ed è commisurata unicamente alla
menomazione subita.
Viene altresì evidenziato che, nei termini in cui è stata
prospettata nelle ordinanze di rimessione, l’eventuale estensione della
esenzione ai fini fiscali delle pensioni privilegiate non avrebbe
pratiche possibilità di attuazione; e ciò in quanto mentre il
trattamento di pensione di guerra ha carattere di autonomia, nella
pensione privilegiata operano due componenti, l’una relativa alla quota
di pensione ordinaria commisurata al servizio prestato, l’altra
connessa alla menomazione subita. Mentre apparirebbe ingiustificata
l’esenzione totale della pensione privilegiata dall’imposizione
fiscale, non avrebbe possibilità concreta di attuazione la scissione
tra le due componenti di essa, anche in considerazione dei diversi
criteri seguiti dall’ordinamento.
1. – Le dodici ordinanze di cui in narrativa sollevano la stessa
questione di legittimità costituzionale, e i relativi giudizi possono
essere perciò decisi con unica sentenza.
Ancorché alcune delle ordinanze facciano riferimento, nelle loro
motivazioni, a norme certamente non più vigenti per quanto attiene al
trattamento fiscale delle pensioni, quali l’art. 1 della legge 15
luglio 1950, n. 539 e l’art. 5 della legge 3 aprile 1958, n. 474, tutte
le ordinanze denunciano la sospetta incostituzionalità di un ‘unica
norma, e cioè l’art. 34 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601
“Disciplina delle agevolazioni tributarie”, in quanto non estende (si
sostiene: con violazione dell’art. 3 della Costituzione) alle pensioni
privilegiate ordinarie militari l’agevolazione tributaria prevista per
le pensioni di guerra, e cioè l’esenzione dall’imposta sul reddito
delle persone fisiche.
2. – Viene in primo luogo all’esame della Corte la eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato. Questa rileva
che la norma denunziata di incostituzionalità è norma delegata che
nasce dall’art. 9 – punto 1 – della legge delega per la riforma
tributaria 9 ottobre 1971, n. 825; e afferma che la questione, di
legittimità costituzionale avrebbe dovuto quindi investire non l’art.
34 del d.P.R. n. 601, ma il detto art. 9 – punto 1 – della legge
delega, il quale avrebbe escluso che il legislatore delegato potesse
estendere alle pensioni privilegiate ordinarie l’esenzione tributaria
disposta per le pensioni di guerra.
L’eccezione non merita accogliniento.
L’art. 9 della legge delega per la riforma tributaria stabilisce
che “la materia delle eccezioni, delle agevolazioni… sarà regolata
in base al criterio generale di limitare nella maggiore possibile
misura le deroghe ai principi di generalità e di progressività
dell’imposizione e osservando, inoltre, in particolare, i seguenti
criteri direttivi: 1) i redditi che a norma del vigente testo unico
delle leggi sulle imposte dirette sono esenti da tali imposte potranno
essere in tutto o in parte esclusi dal computo del reddito complessivo
ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito
delle persone giuridiche o esentati dall’imposta locale sui
redditi…”.
Appare evidente che, nell’applicazione del criterio generale
enunciato, veniva specificato che il legislatore delegato avrebbe
potuto disporre le esenzioni previste dal precedente testo unico delle
leggi sulle imposte dirette, non già escluso che egli potesse disporre
altre e diverse agevolazioni sempre, si intende, nell’ambito del
criterio generale fissato.
Pertanto non impropriamente la questione di costituzionalità
relativa alla mancata esenzione fiscale delle pensioni privilegiate
ordinarie militari è stata sollevata nei confronti dell’art. 34 d.P.R.
29 settembre 1973, n. 601.
3. – Ma la questione non è fondata.
Comune alle ordinanze – con lievi differenze formali – è la
motivazione della sollevata unica questione di legittimità
costituzionale. Tanto la pensione di guerra – esse argomentano – quanto
le pensioni privilegiate ordinarie militari (ma più compiutamente
dovrebbe dirsi: tutte le pensioni privilegiate ordinarie militari e
civili) presuppongono una menomazione della capacità lavorativa per
effetto di una lesione o infermità, con la sola differenza che il
fatto generatore di tale evento è rappresentato in un caso da un fatto
di guerra, nell’altro da un fatto di servizio. Ciò posto, e tenuto
conto che il bene della salute non è suscettibile di diversa
considerazione a seconda che l’evento lesivo si sia verificato in tempo
di guerra o in tempo di pace, non è giustificabile il diverso
trattamento fiscale. Si aggiunge la considerazione che “l’attività di
servizio espone oggi il militare a disagi e rischi sempre maggiori”.
4. – La Corte ritiene che, così ponendo la questione, i giudici a
quibus non abbiano colto la differenza esistente tra pensioni di guerra
e pensioni privilegiate ordinarie.
Questa differenza risiede innanzi tutto nel fatto che mentre la
pensione di guerra è collegata per tutti, militari e civili,
unicamente alla lesione o infermità derivante da evento bellico (“la
mancanza di ogni collegamento con l’esistenza di un rapporto di
servizio” è affermata da ultimo nella sentenza n. 55 del 1980 della
Corte), la pensione privilegiata ordinaria militare e civile ha per
necessario presupposto un rapporto di impiego o di servizio.
La pensione di guerra costituisce “atto risarcitorio di doveroso
riconoscimento e di solidarietà da parte dello Stato, nei confronti di
coloro che, a causa della guerra, abbiano subito menomazioni
nell’integrità fisica o la perdita di un congiunto”: (art. 1 del d.P.R.
23 dicembre 1978, n. 915).
La pensione di guerra, inoltre, quanto all’ammontare, è
determinata normalmente, solo in funzione dell’entità del danno
subito, secondo le ipotesi indicate specificamente nelle tabelle
annesse ai cit. d.P.R. n. 915. Il titolo IV del medesimo testo
legislativo regola “cumulo ed opzione tra il trattamento di guerra ed
altro trattamento”. Dal complesso di tali norme risulta che mentre è
sempre possibile il cumulo della pensione di guerra con la pensione
normale di quiescenza (art. 29), è altresì consentita, ove ne
ricorrano i requisiti, l’opzione fra il trattamento di pensione di
guerra e quello di pensione privilegiata. Ciò significa che la
pensione di guerra prescinde da un rapporto di dipendenza e che, ove
questo esista, la legge dispone ulteriori integrazioni economiche
applicabili, a seconda dei casi, al trattamento pensionistico di guerra
o a quello privilegiato ordinario, liquidato “in funzione di quello di
guerra”.
Da questo sistema emerge la piena autonomia sia concettuale che
normativa della pensione di guerra.
La pensione privilegiata ordinaria spetta, invece, ai dipendenti
civili e militari dello Stato per le infermità o lesioni ascrivibili a
causa di servizio: il suo presupposto necessario, come si è già
rilevato, sta nel rapporto di dipendenza. Per i dipendenti civili il
suo ammontare è determinato in relazione alla base pensionabile,
costituita dall’ultimo trattamento economico complessivo, in ragione di
otto decimi nel caso di infermità o lesioni invalidanti più gravi e
di un quarantesimo della stessa base per ogni anno di servizio utile
nei casi di infermità o lesione di minore entità. Per i dipendenti
militari la pensione va da un massimo pari alla intera base
pensionabile a un minimo del trenta per cento, secondo la categoria
della infermità o lesione, con aumenti, per le categorie più lievi,
in ragione di ogni anno di servizio, nei confronti dei militari che
hanno compiuto almeno cinque anni di servizio effettivo, ma non abbiano
maturato l’anzianità necessaria per il conseguimento della pensione
normale. Quando, invece, tale anzianità sia stata raggiunta, la
pensione privilegiata è pari a quella normale aumentata di un decimo
(artt. 65 e 67 del testo unico sul trattamento di quiescenza dei
dipendenti civili e militari dello Stato approvato con d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1092).
Da questa normativa si evince che il trattamento di pensione
privilegiata è integrativo, quando non sostitutivo, di quello di
pensione normale.
Si aggiunga che i dipendenti civili quando subiscano a causa di
servizio una menomazione dell’integrità fisica ascrivibile a
determinate categorie, hanno diritto (artt. 68 del d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3 e 48-50 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686) a un equo
indennizzo il quale è cumulabile, ridotto della metà, con la
pensione pnvilegiata; che la legge 23 dicembre 1970, n. 1094 ha esteso
al personale militare l’equo indennizzo, stabilendo (art. 3) che per la
concessione dello stesso “si applicano le norme previste per gli
impiegati civili dello Stato dagli artt. da 50 a 60 del decreto del
Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686..”; e che infine la
legge 3 giugno 1981, n. 308 (art. 4) ha esteso le norme sull’equo
indennizzo ai militari non di carriera.
Il che costituisce un elemento ulteriore che elimina o quanto meno
scolorisce il carattere risarcitorio che si vorrebbe attribuire alla
pensione privilegiata, cioè lo riduce, secondo l’espressione contenuta
nella sentenza 23 gennaio 1962, n. 1 della Corte, a “una mera apparenza
di indennizzo”.
5. – In talune delle ordinanze e negli scritti difensivi delle
parti costituite, come si è ricordato in narrativa, vengono richiamate
le sentenze n. 41 del 1973 e n. 106 del 1976 della Corte, per desumerne
un affermato carattere unitario del servizio militare in pace e in
guerra e un principio di equiparazione, anche fiscale, dei rispettivi
trattamenti pensionistici. Ma il richiamo non è conferente.
La prima delle due sentenze si limita a dichiarare illegittima una
norma del regolamento di procedura innanzi alla Corte dei conti che per
i ricorsi dell’infermo di mente in materia di pensioni privilegiate
ordinarie imponeva la sottoscrizione della parte o di un procuratore
speciale, mentre per i ricorsi dell’infermo di mente in materia di
pensione di guerra era sufficiente, quando non ancora nominato il
rappresentante legale o il tutore provvisorio, la sottoscrizione di uno
dei genitori.
La seconda sentenza (n. 103 del 1976) dichiara illegittimo l’art. 5
della legge 21 marzo 1953, n. 161, in quanto non estende a tutti i
giudizi in genere in materia di pensioni civili e militari l’esenzione
dal pagamento della tassa fissa per il ricorso alla Corte dei conti,
disposta per i giudizi in materia di pensioni di guerra.
6. – In realtà, anche quando ha dichiarato illegittime certe
diversità di trattamento relative a varie categorie di pensioni o di
beneficiari di pensioni (come a proposito della perdita della pensione
a seguito di condanna penale), la Corte ha rilevato il peculiare
presupposto delle pensioni di guerra che, “non essendo collegate a
vincoli discendenti da un preesistente rapporto di servizio, consentono
una più ampia discrezionalità del legislatore, cui rimane affidata,
insieme alla decisione di indennizzare, facendone gravare l’onere
sull’intera collettività nazionale in applicazione di un principio
solidaristico, i colpiti nell’integrità fisica a causa di eventi
bellici, quella di determinare i limiti quantitativi dell’indennizzo,
nonché le condizioni e le modalità per la sua attribuzione” (sent. n.
113 del 1968); ed ha ribadito anche recentemente, nel dichiarare
illegittimo il diverso trattamento delle pensioni di guerra in materia
di decorrenza del termine per ricorrere, lo “speciale fondamento
giuridico costituito dalla causa di guerra” (sent. n. 97 del 1980).
Non esiste, dunque, fra pensioni di guerra e pensioni privilegiate
ordinarie civili e militari quella identità od omogeneità di
situazioni che costituisce il presupposto del richiamo al principio di
eguaglianza. Il legislatore ha ritenuto che la speciale natura e la
speciale motivazione solidaristica e sociale della pensione di guerra
consentissero di accordare ad essa le “agevolazioni tributarie”
dell’esenzione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche,
derogando alla disposizione generale che “costituiscono reddito di
lavoro dipendente (e quindi sono soggette all’IRPEF) anche le pensioni
e gli assegni ad esse equiparati” (art. 46 del d.P.R. n. 597 dei 1973,
“Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito dalle persone
fisiche”).
È certo, comunque, che non si potrebbero invocare gli scarsi
elementi di comparazione fra la pensione di guerra e quella
privilegiata per tacciare di irragionevolezza il diverso trattamento
fiscale che il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento, ha
ritenuto di dover determinare, disponendo a favore della prima, e non
della seconda, questa eccezione al principio generale fissato all’art.
53 della Costituzione, secondo il quale tutti sono tenuti a concorrere
alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
7. – Va detto, infine, che la Corte non sottovaluta il richiamo,
contenuto nelle ordinanze e nelle difese di parte, al particolare
rischio e sacrificio al quale, specialmente nell’attuale situazione
dell’ordine pubblico, sono esposti i tutori dell’ordine, militari e non
militari; ma al concreto riconoscimento della particolare solidarietà
nazionale spettante ad essi, e per la verità anche ad altre categorie
di dipendenti statali egualmente esposti, specie quando sono colpiti
nell’adempimento del loro dovere, il legislatore può provvedere, e di
fatto provvede, con altre misure anche di carattere economico, senza
dover ricorrere a continue erosioni del principio contenuto nel
richiamato art. 53 della Costituzione
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 34 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 “disciplina delle
agevolazioni tributarie”, sollevata in relazione all’art. 3 della
Costituzione, con le ordinanze elencate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1981.
F.to: GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO
VOLTERRA – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere