Sentenza N. 154 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA- Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI
– Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI
OGGIONI, Giudici,
Friuli-Venezia Giulia notificato il 22 maggio 1967, depositato in
cancelleria il 1 giugno successivo ed iscritto al n. 18 del Registro
ricorsi 1967, per conflitto di attribuzione tra la stessa Regione e lo
Stato, sorto per effetto degli atti con i quali il Presidente del
Consiglio dei Ministri rinviava a nuovo esame i disegni di legge della
Regione 29 settembre 1965, n. 31, e 9 novembre 1966, n. 113.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 1 dicembre 1967 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
uditi l’avv. Vezio Crisafulli, per la Regione Friuli- Venezia
Giulia, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Il 15 novembre 1965 e il 9 dicembre 1966 il Commissario del
Governo nella Regione Friuli-Venezia Giulia comunicava al Presidente
del Consiglio regionale e a quello della Giunta regionale che il
Governo rinviava a nuovo esame i disegni di legge della Regione
rispettivamente del 29 settembre 1965, n. 31, concernente la disciplina
giuridica dell’artigianato e del 9 novembre 1966, n. 113, recante
modificazioni alla legge regionale 21 novembre 1964, n. 3, relativa
all’indennità di primo impianto al personale della delegazione della
Corte dei conti.
Il 6 aprile 1967 la Regione chiedeva di conoscere se il rinvio
predetto fosse stato preceduto dalla deliberazione del Consiglio dei
Ministri; il successivo 11 maggio 1967 il Commissario del Governo dava
notizia di una lettera del Presidente del Consiglio predetto, datata 3
dello stesso maggio, nella quale si faceva presente che, essendo il
rinvio avvenuto in tempo anteriore alla sentenza di questa Corte 1
febbraio 1967, n. 8, e dato l’orientamento fino ad allora pacificamente
accolto in materia e la prassi costantemente osservata al riguardo, non
era emersa la ragione di far ricorso alla deliberazione del Consiglio
dei Ministri, pur avendo avuto la presidenza sempre cura di acquisire
preventivamente il punto di vista dei ministri interessati. Nella nota
si faceva riferimento all’art. 1 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, e
all’art. 3 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 579, concernenti norme di
attuazione rispettivamente dello statuto speciale della Sardegna e di
quello del Trentino-Alto Adige, che riconoscono la competenza del
Presidente del Consiglio dei Ministri a richiedere il riesame dei
disegni di legge regionale, in tal senso precisando il termine
“Governo” ricorrente uniformemente nei rispettivi statuti; si
considerava che diverse norme, pur avendo come destinatario il Governo,
non richiedono per le decisioni da adottare nella loro applicazione la
deliberazione in Consiglio dei Ministri (artt. 72, 78 e 127 della
costituzione; artt. 13 bis, 38, 86 regolamnento della Camera dei
deputati; artt. 72 e 97 regolamento del Senato; art. 17 del Codice
civile in relazione all’art. 1 delle disposizioni di attuazione; art. 5
del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 e art. 149 del t.u. 4 febbraio 1915,
n. 148); si rilevava che eminentemente rappresentativa
dell’atteggiamento dell’intero Governo è poi la posizione del
Presidente del Consiglio dei Ministri per i compiti di responsabile
direzione della politica generale e di riconduzione ad unitaria
espressione dell’indirizzo politico ed amministrativo del Governo (art.
95 della costituzione); si richiamava la giurisprudenza del Consiglio
di Stato secondo cui, quando la legge conferisce al Governo determinate
attribuzioni che vengono poi formalmente esplicate con decreti del
Presidente della Repubblica, ciò non determina la competenza del
Consiglio dei Ministri, ove non si tratti di questioni e di
provvedimenti che possano comunque influire sull’indirizzo generale
dell’attività del Governo ed attengono agli interessi primari dello
Stato. Il Commissario del Governo avvertiva che la Presidenza del
Consiglio predetto, nella lettera citata, non riteneva accettabile la
tesi che vorrebbe considerare il rinvio dei disegni di legge in
questione tamquam non esset e che pertanto, nell’eventualità che si
fosse proceduto alla loro promulgazione, il Governo avrebbe fatto
valere innanzi alla Corte costituzionale, insieme con i motivi di
impugnativa che avevano determinato il rinvio, anche la radicale
illegittimità del procedimento di formazione dei provvedimenti di cui
si trattava.
2. – A seguito di ciò il Presidente della Regione, con atto
notificato il 22 maggio 1967, proponeva istanza di risoluzione del
conflitto di attribuzione che diceva sorto per effetto degli atti di
rinvio suddetti e della successiva nota suindicata del Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Rilevava la Regione che questa nota pretendeva esplicitamente di
trarre, dal rinvio disposto da organo incompetente o comunque dal
rinvio invalido per altre ragioni, in tutto e per tutto gli identici
effetti di un rinvio validamente disposto; pretendeva inoltre di
rivendicare allo Stato il potere di impugnare la legge regionale anche
se approvata una sola volta. Osservava altresì la Regione che
l’illegittimità del rinvio non preceduto da deliberazioni del
Consiglio dei Ministri doveva ritenersi pacifica alla stregua del
principio affermato nella suddetta sentenza di questa Corte 1 febbraio
1967, n. 8; cosicché il Consiglio regionale aveva ritenuto di non
dover procedere al riesame, considerando definitivamente compiuto
l’iter formativo delle leggi in questione. Questa decisione non faceva
entrare in giuoco il disposto del secondo comma dell’art. 29 dello
statuto mancando, in re ipsa, il fatto costitutivo dell’inizio del
termine di quindici giorni, decorso il quale sarebbe sorto il dovere di
promulgazione; e, poiché la decisione stessa non implicava
annullamento degli atti di rinvio, fin che questi non fossero stati
rimossi dalla Corte costituzionale, rimaneva ferma la preclusione alla
promulgazione stabilita dal primo comma dell’art. 29 predetto e
paralizzato l’esercizio, nel caso concreto, della competenza
legislativa regionale. Il quale esercizio veniva formalmente inibito
dalla menzionata nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la
quale inoltre addosserebbe inammissibilmente all’assemblea l’onere di
sanare atti di rinvio invalidi per poter svolgere la propria competenza
legislativa.
Concludeva la Regione che gli atti suddetti, per quanto si era
detto, costituivano illegittima invasione della sfera di competenza
della Regione e andavano annullati perché in violazione dell’art. 29
dello statuto regionale, in relazione ai successivi artt. 24 e 42 lett.
b.
3. – La Presidenza del Consiglio, comparendo in giudizio il 10
giugno 1967, opponeva anzitutto l’inammissibilità del ricorso per il
decorso del termine di sessanta giorni dalla data degli atti di rinvio,
non valendo che l’asserto vizio fu conosciuto successivamente a tale
data, perché ciò avrebbe potuto soltanto legittimare la deduzione di
motivi aggiunti a quelli contenuti nell’impugnazione tempestiva.
Veniva altresì rilevato che, a prescindere dalla considerazione
che con esso si impugnavano due distinti autonomi provvedimenti di
rinvio, questi non erano idonei ad invadere la sfera di competenza
assegnata alla Regione. Il rinvio della legge può considerarsi un atto
di controllo o un atto del procedimento di contratto dello Stato
sull’esplicazione in concreto del potere legislativo delle Regioni e
non è un atto autonomo perché si inserisce nel procedimento di
formazione della legge regionale senza produrre effetti suoi propri,
diretti ed immediati: può considerarsi soltanto un presupposto per la
proposizione, da parte dello Stato, del ricorso alla Corte
costituzionale. È il procedimento di contratto e non il primo atto di
esso che sospende l’efficacia del disegno di legge regionale e, d’altra
parte, l’atto non agisce direttamente sul potere-dovere di
promulgazione spettante al Presidente della Giunta, che ha per oggetto
una legge divenuta efficace, non un disegno di legge ancora soggetto al
controllo di costituzionalità. Né il ricorso diveniva ammissibile
considerandolo proposto in relazione alla nota esplicativa del 3 maggio
1967 perché questa non conteneva un provvedimento di rinvio: la
riserva di proporre ricorso alla Corte qualora si fosse proceduto o si
procedesse alla promulgazione dei disegni di legge non riapprovati,
non era poi suscettibile di invadere la sfera di competenza attribuita
alla Regione, la proposizione del ricorso essendo una attività
certamente riservata allo Stato.
Si osservava infine che gli atti di rinvio avevano esaurito il loro
effetto dal momento che i due disegni di legge rinviati erano stati
nuovamente portati all’esame del Consiglio regionale, che non aveva
ritenuto di riapprovarli, né è rilevante, a questi effetti, il motivo
che aveva indotto il Consiglio a non adottare una nuova deliberazione.
4. – Nella memoria depositata il 18 novembre 1967 la Regione
contesta anzitutto che il ricorso possa ritenersi inammissibile perché
impugna due distinti e autonomi provvedimenti di rinvio. Non si può
riferire al conflitto di attribuzione la non pacifica e la non univoca
giurisprudenza del Consiglio di Stato sul cumulo oggettivo di domande
nel procedimento amministrativo: ad essa la dottrina ha reagito negando
fondamento così all’asserto divieto di cumulo come alle deroghe che,
in determinate ipotesi, vi aveva apportato la giurisprudenza
amministrativa. Uno dei motivi addotti per giustificare la tesi del
divieto è di carattere fiscale; ma nel giudizio costituzionale vige il
principio dell’assoluta gratuità degli atti, e peraltro, risultando da
una consuetudine interpretativa riguardante il giudizio innanzi al
Consiglio di Stato, il divieto non avrebbe valore per il giudizio
costituzionale, e particolarmente per quello sui conflitti di
attribuzione fra Stato e Regioni, essendo l’atto denunciato un
presupposto necessaria per l’instaurazione del giudizio, non l’oggetto
primario di esso, e non avendo questo giudizio l’oggetto
dell’annullamento dell’atto anche se conduce a tale risultato.
Quanto al decorso del termine, la Regione rileva che, anche a voler
ammettere la validità del richiamo alla giurisprudenza del Consiglio
di Stato, questa ha ritenuto che il termine non decorre fin quando
l’interessato non sia informato di un profilo dell’atto che ne riveli
una incidenza ritenuta illegittima nella propria sfera giuridica. I
telegrammi di rinvio menzionano il Governo come organo rinviante, e la
Regione non poteva proporre ricorso per il solo fatto che essi non
facevano espresso riferimento ad una deliberazione del Consiglio dei
Ministri: il vizio fu conosciuto attraverso la nota del Commissario del
Governo 11 maggio 1967, e da questa data poteva cominciare a decorrere
il termine statutario. La nota 3 maggio 1967 della Presidenza del
Consiglio non è esplicativa, ma concreta una illegittima menomazione
della sfera di attribuzione della Regione, perché è diretta ad
impedire l’esercizio di un potere-dovere del Presidente regionale.
Viene contestata la tesi che il rinvio non sia autonomamente
impugnabile sulla base della sentenza della Corte 1 febbraio 1967, n.
8, nella quale si dice che il vizio dell’atto di rinvio non veniva in
giuoco ai fini della decisione, perché l’atto aveva esaurito i suoi
effetti con la riapprovazione della legge, e che il potere di
impugnativa sorgeva nel Governo a seguito di tale approvazione,
indipendentemente dalle vicende del procedimento. La Regione non può
essere tenuta a sanare il vizio dell’atto, né può essere tenuta a
promulgare la legge rinviata non ostante il vizio stesso; in modo che
non rimane se non ritenere che l’atto, pur viziato, è causa di un
impedimento permanente ed assoluto di promulgazione, che non poteva
essere denunciato per conflitto se non dopo la conoscenza del vizio da
parte della Giunta.
Secondo la Regione, la nota della Presidenza del Consiglio dei
Ministri è idonea a dar luogo a conflitto di attribuzione fra lo Stato
e la Regione: la giurisprudenza della Corte ha dato, dello atto
invasivo, una accezione vasta ed atecnica, essendo oggetto del
conflitto la determinazione delle competenze, in modo che basta una
univoca manifestazione di volontà con cui si afferma di potere
esercitare una competenza in violazione di quella spettante all’altro
ente. La Presidenza del Consiglio dei Ministri disattende nella
sostanza il principio affermato nella sentenza 1 febbraio 1967, n. 8,
circa l’organo competente a disporre il rinvio, quando rivendica
addirittura allo Stato il potere di far valere la pretesa
illegittimità di una eventuale promulgazione delle leggi in precedenza
invalidamente rinviate insieme con i motivi del rinvio.
Ma non esiste traccia, nel nostro ordinamento costituzionale, di un
potere governativo di impugnare le leggi regionali promulgate, nascendo
questo potere solo dopo che, a seguito di regolare rinvio, le leggi
siano state riapprovate dal Consiglio a maggioranza assoluta.
5. – Nella memoria depositata il 14 novembre 1967 la Presidenza
del Consiglio, ribadito il proprio punto di vista, ha tuttavia premesso
che, già fin dal 1 settembre 1965, rispondendo ad una interrogazione
presentata dall’on. Lizzero, a proposito del disegno di legge 28 maggio
1965, n. 10, relativo agli organi e alle procedure per la
programmazione regionale, aveva espresso l’avviso che la richiesta di
nuovo esame poteva essere avanzata dal Presidente del Consiglio, che
rappresenta il Governo, sulla base di ciò che disponevano le norme di
attuazione degli statuti speciali della Sardegna e del Trentino-Alto
Adige. La risposta a tale interrogazione era stata inviata per
conoscenza anche al Presidente della Giunta regionale, cosicché doveva
escludersi che avesse carattere di novità la nota 3 maggio 1967; la
quale peraltro, oltre a non contenere in sé invasione nella sfera di
competenza della Regione, è confermativa dei precedenti provvedimenti
di rinvio: la riserva d’impugnativa non impediva al Presidente della
Regione di promulgare le leggi rinviate e non riapprovate, ma intendeva
affermare che l’atto di rinvio, ancorché proveniente da organo
incompetente, non poteva considerarsi inesistente, e conseguentemente
non poteva considerarsi legittima la promulgazione dei disegni di legge
senza che fossero riapprovati dal Consiglio e senza che
l’illegittimità costituzionale degli atti di rinvio fosse stata
dichiarata dalla Corte costituzionale. L’annullamento della nota 3
maggio 1967 lascerebbe peraltro del tutto inalterata la situazione di
fatto e di diritto esistente; peraltro i telegrammi di rinvio non
contenevano alcun accenno ad una precedente deliberazione del Consiglio
dei Ministri, la cui esistenza anzi risultava esclusa dalla circostanza
che essi erano stati inviati per conoscenza ai ministeri interessati.
In via di estremo subordine la Presidenza chiede che la Corte, attesa
la scusabilità dell’errore che aveva fatto ritenere la competenza
della Presidenza del Consiglio, voglia rimettere in termine il Governo
per un eventuale nuovo rinvio dei due disegni di legge regionale.
6. – All’udienza del 1 dicembre 1967 le parti hanno insistito nelle
conclusioni prese con gli atti processuali.
1. – Va anzitutto disatteso il dubbio prospettato circa
l’ammissibilità del ricorso in quanto ha per oggetto due distinti atti
di rinvio alla Regione di due disegni di legge del tutto indipendenti
l’uno dall’altro. Identica è la ragione di impugnazione per entrambi
gli atti: l’invasione da parte dello Stato della sfera di attribuzioni
della Regione a seguito di una richiesta di riesame di due leggi
regionali fatta dal Presidente del Consiglio dei Ministri senza la
previa deliberazione del Consiglio stesso. Cosicché è uno solo il
potere che per entrambi gli atti viene in discussione; e pertanto, nel
caso in ispecie, il cumulo è senz’altro possibile. Nemmeno ragioni
fiscali si oppongono al cumulo proposto, data la gratuità dei giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.
Non è poi senza valore tener presente che, in fattispecie simili a
quella in discussione, la Corte ha sempre disposto la riunione delle
cause per la loro decisione con unica sentenza.
2. – A ragione invece il Presidente del Consiglio dei Ministri ha
dedotto l’inammissibilità del ricorso, perché notificato oltre il
termine di cui all’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87.
Come si rileva dall’esposizione del fatto, le richieste di riesame
delle leggi di cui si discute sono rispettivamente del 15 novembre 1965
e del 9 dicembre 1966; il ricorso di conflitto è stato notificato il
successivo 22 maggio 1967, quando cioè il termine legale era
abbondantemente decorso.
Non vale obiettare, come fa la Regione, che i telegrammi con i
quali vennero comunicate le decisioni di rinvio non rivelavano il vizio
dell’atto, perché indicavano il “governo” come organo rinviante. Fin
dal 1 settembre 1965, quindi assai prima delle richieste di riesame e
addirittura assai prima dell’approvazione delle leggi rinviate, la
Regione sapeva che, secondo il punto di vista del Presidente del
Consiglio dei Ministri, il rinvio governativo delle leggi regionali non
esigeva la previa deliberazione del Consiglio stesso: in tale data
infatti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva comunicato al
Presidente della Regione il testo della risposta scritta ad una
interrogazione parlamentare, di cui fanno cenno entrambe le parti,
nella quale si faceva riferimento ad una costante prassi che, ai fini
quel rinvio, identificava il Governo nel Presidente del Consiglio dei
Ministri. Non poteva esistere dubbio sul tenore della comunicazione,
come invece la Regione ha sostenuto nella difesa di udienza. La
Presidenza del Consiglio dei Ministri vi sosteneva che per la richiesta
di riesame delle leggi regionali non era “necessaria” la preventiva
deliberazione del Consiglio dei Ministri, non perché di essa “poteva”
farsi a meno, così da consentire scelte e quindi da non dare certezza
sul procedimento seguito in ciascuna ipotesi, ma perché non era
richiesta dal sistema: infatti vi si sosteneva il carattere
interlocutorio dell’atto, per il quale si diceva eccessiva una
deliberazione governativa collegiale, vi si faceva richiamo alle norme
di attuazione degli statuti della Sardegna e del Trentino- Alto Adige,
che si assumeva dessero, in argomento, legittimazione piena ed
esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri e vi si soggiungeva
che, secondo lo statuto valdostano, il rinvio era disposto dal
rappresentante del Ministero dell’interno.
Ma, pur prescindendo dalla ricordata comunicazione, e pur volendo
fare riferimento solamente ai due atti di rinvio dai quali ha preso le
mosse il ricorso in esame, quest’ultimo risulta nondimeno tardivo. La
Corte non ritiene che sia il caso, in questa causa, di decidere se
veramente il vizio degli atti suddetti conduceva ad un conflitto di
attribuzione, come le parti hanno finito col convenire. Ma essa giudica
che sia da disattendere l’assunto, profilato in udienza, in base al
quale il termine di cui al succitato art. 39, secondo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87, non poteva decorrere fino a quando il
Consiglio regionale non avesse deliberato sulla richiesta di riesame.
Il termine predetto è sicuramente perentorio, e la sua decorrenza
non può quindi essere ritardata né dal Presidente né dal Consiglio
regionale, differendosi l’inizio del procedimento che deve essere
svolto a seguito della richiesta di riesame. L’organo esterno che
rappresenta la Regione è il Presidente di questa, al quale appunto
erano stati indirizzati ed erano pervenuti i due menzionati telegrammi;
dei provvedimenti di rinvio, nessuna delle parti con testa l’esistenza
giuridica, per quanto la Regione ne impugna la legittimità a causa
dell’incompetenza del Presidente del Consiglio dei Ministri; da essi
derivava l’obbligo del Presidente di sottomettere nuovamente la legge
al Consiglio regionale in tempo anche per le eventuali determinazioni
inerenti all’autorizzazione a promuovere il giudizio di conflitto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione
proposto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia il 22 maggio 1967, avverso
il rinvio comunicato il 15 novembre 1965 e il 9 dicembre 1966,
relativamente ai disegni di legge 29 settembre 1965, n. 31, concernente
la disciplina giuridica dell’artigianato e 9 novembre 1966, n. 113,
recante modificazioni alla legge regionale 21 novembre 1964, n. 3,
relativa all’indennità di primo impianto al personale della
delegazione della Corte dei conti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI-ANTONINO PAPALDO –
NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO –
BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.