Sentenza N. 155 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
02/12/1980
Data deposito/pubblicazione
02/12/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/11/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv.
ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE –
Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
comma secondo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del
fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata
e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con ordinanze
emesse il 10 maggio 1975 dal Tribunale di Roma ed il 29, l’8 e il 22
gennaio (numero due ordinanze), il 18 marzo, il 28 e il 21 ottobre 1976
ed il 21 aprile 1977 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte
al n. 389 del registro ordinanze 1975, ai nn. 454, 651, 652 e 653 del
registro ordinanze 1976 ed ai nn. 4, 144, 145 e 428 del registro
ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 288 del 1975, nn. 232, 333 e 340 del 1976 e nn. 59, 113 e 306 del
1977.
Visti gli atti di costituzione della Compagnia Mediterranea di
Assicurazioni, di Bonfanti Carlo e della Banca Privata Italiana in
liquidazione coatta amministrativa;
udito nell’udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore
Virgilio Andrioli;
uditi l’avv. Michele Costa per Bonfanti, l’avv. Renato Scognamiglio
per la Compagnia Mediterranea di Assicurazioni in liquidazione coatta
amministrativa e l’avv. Giuseppe Guarino per la Banca Privata Italiana
in liquidazione coatta amministrativa.
1. – Nello stato passivo, depositato dal liquidatore della
Compagnia Mediterranea Assicurazioni nella Cancelleria del tribunale di
Roma sotto la data del 30 maggio 1967, Carlo Bonfanti, residente a
Robbiate, che vantava un credito di L.3.500.000, fu ammesso per
L.50.000.
Il Bonfanti, cui l’avviso del deposito pervenne il 1 giugno 1967,
provvide al deposito del ricorso per opposizione nella cancelleria del
competente Tribunale il 1 giugno 1967, e cioè il giorno successivo
alla scadenza del termine di quindici giorni, di cui all’art. 209,
comma secondo, r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
La causa, iscritta a ruolo il 7 novembre 1967, fu spedita per
sentenza, nel contraddittorio della Compagnia, che eccepi la
inammissibilità del ricorso, e del Bonfanti che sollevò questione
d’incostituzionalità dell’art. 209 in riferimento agli artt. 3 e 24,
primo e secondo comma Cost., all’udienza collegiale del 5 febbraio
1975.
L’adito Tribunale di Roma, con ordinanza 10-31 maggio 1975,
comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 288 del 29 ottobre 1975 e iscritta al n. 389 R.O. 1975, ha
giudicato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità sollevata dal Bonfanti per contrasto con l’art. 24,
secondo comma Cost., e non per contrasto con l’art. 3, di cui il
Bonfanti aveva denunciato la violazione per l’identico trattamento
fatto ai creditori residenti nel circondario del tribunale, nella cui
cancelleria è depositato lo stato passivo, e agli altri creditori,
come il Bonfanti, residenti in luogo diverso. Ha il Tribunale ravvisato
la offesa inferta al diritto di difesa in ciò che il termine per la
opposizione decorrerebbe non già dalla data di comunicazione
dell’avviso del deposito dello stato passivo sibbene dalla data del
deposito stesso dal quale scaturirebbe una mera presunzione di
conoscenza, e nella brevità della durata del termine. Né – ha
proseguito il Tribunale – cederebbero le riassunte argomentazioni
dinanzi alla sentenza 157/1971, con cui la Corte costituzionale ebbe a
giudicare infondata la questione di legittimità dell’art. 98, che
disciplina l’analoga situazione dell’accertamento del passivo
fallimentare, perché diversa sarebbe la struttura della procedura di
verifica del passivo di impresa in l.c.a., la cui prima fase si svolge
avanti il liquidatone senza il rispetto del principio del
contraddittorio e delle regole procedurali.
Avanti la Corte si sono costituiti la Compagnia per mezzo dell’avv.
prof. Renato Scognamiglio, il quale, nell’atto depositato il 15
novembre 1975, si è richiamato alla sent. 157/ 1971 della Corte e ha
concluso per la dichiarazione di legittimità dell’art. 209, e il
Bonfanti per mezzo degli avv.ti Michele Costa e Arnaldo Maggi, i quali,
nella comparsa depositata il 18 novembre 1975, non si sono limitati a
richiamare le ragioni esposte nella ordinanza di rimessione, ma hanno
ravvisato l’espressione dell’evolversi della giurisprudenza della Corte
costituzionale nella sent. 139/1967 dichiarativa dell’illegittimità
dell’art. 305 c.p.c., nella sent. 89/1972 dichiarativa della parziale
incostituzionalità dell’art. 668 c.p.c. e, soprattutto, nella sent.
255/1974 dichiarativa della incostituzionalità degli artt. 183, primo
e terzo comma, e 131, primo e terzo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
Non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Nella memoria depositata il 14 ottobre 1980 la Compagnia richiama
la sent. 14 gennaio 1977, n. 26, con la quale la Corte costituzionale
ha ritenuto giustificato il trattamento riservato dall’art. 77 della
legge bancaria (fatto salvo dall’articolo 209, quarto comma) ai
creditori chirografari, di norma clienti delle banche, a favore dei
quali milita la garanzia del segreto bancario.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980, nella quale il Giudice
Andrioli ha svolto la relazione, il difensore della Compagnia ha
illustrato l’adeguatezza del diritto di difesa del creditore anche
nella procedura di accertamento del passivo di impresa soggetta a
l.c.a. in contrasto con le argomentazioni, basate dal codifensore del
Bonfanti, avv. Michele Costa, anche sulle sent. 14 e 15/1977 della
Corte e intese ad evidenziare le caratteristiche della procedura di
liquidazione coatta amministrativa rispetto al fallimento.
2. – Comune introduzione ai procedimenti 454/1976, 651/1976,
144/1977 e 428/1977 si è che la Banca Privata Italiana venne posta in
liquidazione coatta amministrativa con decreto 27 settembre 1974 del
Ministro per il Tesoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
successivo 28 settembre, e che con provvedimento di pari data il
Governatore della Banca d’Italia nominò commissario liquidatore l’avv.
Giorgio Ambrosoli.
Con lettera racc. R.R. pervenuta al destinatario il 6 manzo 1975,
il liquidatore, richiamato l’art. 77 della legge bancaria (dal medesimo
individuata nel r.d. 12 manzo 1936, n. 375), dia a Ermanno Mundo
notizia di aver depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano
l’elenco dei creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca
d’Italia l’elenco dei creditori ammessi e delle somme a ciascuno
riconosciute in via chirografaria; informò inoltre il Mundo di averlo
– vista la domanda di ammissione da lui presentata – riconosciuto ed
iscritto in via privilegiata per IVA per L.78.306 e in via
chirografaria per capitale per L. 1.083.550, di cui L.652.550 soggette
a ritenuta d’acconto.
Con ricorso, depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano
il 20 marzo 1975 e notificato, in una con il decreto presidenziale di
designazione del giudice istruttore e di fissazione dell’udienza di
comparizione, al liquidatore il successivo 7 maggio, il Mundo fece
opposizione alla ammissione del credito di L.1.083.550 in via
chirografaria chiedendone l’ammissione in via privilegiata.
Si costituì la Banca eccependo in via preliminare
l’inammissibilità dell’opposizione del Mundo perché depositata nella
cancelleria del Tribunale oltre il termine di quindici giorni dal
deposito dell’elenco, fissato nell’art. 209, secondo comma r.d. 16
manzo 1942, n. 267, e negando l’applicabilità al caso dell’art. 209,
ultimo comma, il quale farebbe salva l’applicazione dell’art. 77 della
legge bancaria 7 marzo 1938, n. 141 per l’accertamento dei soli crediti
chirografari, e chiedendone nel merito il rigetto.
Dal suo canto il Mundo obiettò nella conclusionale che il
liquidatore, nella inserzione dei crediti vantati da esso Mundo
nell’elenco dei creditori privilegiati ammessi, non aveva tenuto conto
della lettera 20 dicembre 1974 n. 400.160 in cui aveva riconosciuto la
natura privilegiata di tutto il credito, e, pertanto, non riusciva
applicabile alla specie il termine di quindici giorni dal deposito in
cancelleria dello stato passivo, di cui agli artt. 98 e 209, secondo
comma, r.d. 267/1942, e denunciò l’incostituzionalità degli artt. 98
e 209, secondo comma dello stesso decreto in relazione all’art. 77 e in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Lo stesso Mundo, infine, sollevò,
nella comparsa di replica, questione di costituzionalità dell’art.
209, ultimo comma, a motivo del diverso trattamento riservato ai
creditori chirografari e privilegiati, per violazione degli artt. 3 e
24 Cost.
Replicò a sua volta la Banca che al creditore, il quale contesta
il mancato riconoscimento del privilegio, è applicabile non il quarto
ma il secondo comma dell’art. 209 che il Mundo non aveva rispettato
per aver depositato il reclamo in violazione del termine di quindici
giorni ed aveva provveduto successivamente alla notifica del medesimo
al liquidatone.
Nel fascicolo di merito della Banca è inserito documento,
intestato al Tribunale di Milano, nel quale il liquidatore dichiarava,
tra l’altro, di depositare gli elenchi dei creditori privilegiati e dei
titolari di diritti reali nella cancelleria il 27 febbraio 1975 (data,
di cui non è menzione nella lettera raccomandata R.R. pervenuta al
Mundo il 6 marzo 1975).
Con ordinanza 29 gennaio – 1 marzo 1976, comunicata e notificata a
sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 232 del 1
settembre 1976, e iscritta al n. 454 R.O. 1976, l’adito Tribunale,
prese in esame le due questioni di Costituzionalità denunciate dal
Mundo, reputò irrilevante la questione di costituzionalità dell’art.
209 ultimo comma perché il Mundo aveva impugnato l’elenco dei
creditori privilegiati dolendosi di non esservi stato incluso anche per
il secondo dei crediti, di cui si assumeva titolare, e, pertanto,
identificò la norma impugnata nell’art. 209 cap. r.d. 267/1942, che
fissa il termine, non rispettato dall’opponente, di quindici giorni dal
deposito dell’elenco dei crediti ammessi o no nella cancelleria del
Tribunale per opposizione; la questione, in tal guisa identificata,
giudicò non manifestamente infondata a) in riferimento all’art. 3,
primo comma, sul duplice riflesso della disparità di trattamenti
riservati ai creditori privilegiati, per i quali il termine per
l’opposizione sarebbe di quindici giorni decorrenti dalla data del
deposito dell’elenco, e ai creditori chirografari, per i quali il
termine è di un mese dalla data della comunicazione del deposito, e
delle diversità procedurali intercorrenti tra l’accertamento del
passivo di imprenditori falliti e l’accertamento dei passivo delle
imprese soggette alla liquidazione coatta amministrativa, e b) in
riferimento all’art. 24 Cost. sulla base della sent. 85/1968, a stregua
della quale il termine di quindici giorni, decorrente dal deposito
dell’elenco, potrebbe non garantire il diritto di difesa del creditore
in un procedimento di natura amministrativa come la liquidazione coatta
delle imprese.
Avanti la Corte si sono costituiti per la Banca Privata Italiana
gli avv.ti Arturo Dalmartello, Carlo Majno e Giuseppe Guarino giusta
procura in margine all’atto di deduzioni, depositato il 17 settembre
1976, in cui hanno eccepito in via preliminare la irrilevanza della
questione perché a) l’articolo 77 della legge bancaria non è
incompatibile con l’articolo 209 r.d. 267/1942 e, pertanto, riesce
applicabile anche dopo l’entrata in vigore di quest’ultimo, b) l’avv.
Mundo è un creditore chirografario, al quale quindi riesce
applicabile, traverso l’art. 209 ultimo comma, l’art. 77, che consente
di proporre opposizione entro un mese dalla comunicazione del deposito
in cancelleria dell’elenco mediante atto da depositarsi in cancelleria
dopo la notificazione al curatore, c) sol in ipotesi subordinata l’art.
209. secondo comma sarebbe applicabile anche al creditore
chirografario, e hanno chiesto quindi disporsi la restituzione degli
atti al Tribunale perché proceda all’apprezzamento della rilevanza
della questione, della quale hanno argomentato per la infondatezza.
Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato
intervento.
Nella memoria, depositata il 15 ottobre 1980, la Compagnia richiama
la sent. 157/1971, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato
infondata la questione di legittimità dell’art. 98, primo comma,
soggiunge che le esigenze di speditezza, postevi in rilievo, valgono
anche nel campo della liquidazione coatta amministrativa, e nega, per
contro, fondamento al richiamo della sent. 255/1974 perché non
sussisterebbe identità di ragione tra il termine fissato nell’articolo
183, primo comma r.d. 267/1942, dichiarato incostituzionale, e il
termine, indicato nell’art. 209, secondo comma, de quo agitur.
All’udienza pubblica del 29 ottobre 1980, nella quale il giudice
Andrioli ha svolto la relazione, l’avv. prof. Giuseppe Guarino,
codifensore della Banca, ha ampiamente illustrato sia la eccezione
d’irrilevanza, sia la richiesta di restituzione degli atti al giudice a
quo, sia l’infondatezza della proposta questione di costituzionalità.
3. – Con lettera raccomandata 23 dicembre 1974, l’avv. Adriano
Aureli chiese di essere ammesso al passivo della Banca Privata Italiana
in l.c.a. per il suo credito di L.45.241.204 al lordo da ritenute
d’acconto, per spese, competenze e onorari relativi a prestazioni
professionali rese a favore della Banca.
Con lettera raccomandata R.R. inoltrata il 3 marzo 1975 e pervenuta
al destinatario il successivo 5, il liquidatone informò l’Aureli di
avere, a sensi dell’art. 77 del r.d.l. 12 manzo 1936, n. 375,
depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano l’elenco dei
creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca d’Italia
l’elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute in via
chirografaria e dichiarò di aver riconosciuto ed iscritto il credito
dell’Aureli nell’elenco in via privilegiata per L.3.101.175.
Con atto depositato il 4 aprile 1975 nella cancelleria del
Tribunale e notificato, in una con il decreto presidenziale di
designazione del giudice istruttore e di fissazione dell’udienza di
comparizione, al liquidatore il 30 aprile 1975, l’Aureli chiese che gli
si riconoscesse dovuta per prestazioni professionali la somma di
L.45.241.204, ivi inclusa l’IVA, oltre gli interessi a partire dal 23
dicembre 1974, e non dovuti da esso Aureli alla Banca gli interessi
sullo scoperto dei conti correnti nn. 3660 e 3661 a partire dal 28
settembre 1974, e, in subordine, dal 23 dicembre 1974.
(Sebbene la data non risulti dagli atti liquidatore e creditore
sono concordi nell’affermare avvenuto il 28 febbraio 1975 il deposito
nella cancelleria del Tribunale dell’elenco dei creditori privilegiati;
data che peraltro non risulterebbe confermata dalla lettura degli atti
del procedimento 474/1976, in cui è parte la Banca Privata Italiana).
Si costituì la Banca eccependo l’improcedibilità della domanda
attrice per essere applicabile all’Aureli, il quale intendeva far
valere un suo credito privilegiato, non l’art. 77 della legge
bancaria, ma l’art. 209 r.d. 267/1942, a tenor del quale la
opposizione deve essere proposta con ricorso al presidente del
tribunale, da depositarsi entro quindici giorni dal deposito
dell’elenco in cancelleria, e chiedendo in subordine la reiezione della
domanda attrice.
L’Aureli eccepì che il deposito dell’elenco era stato effettuato
il 28 febbraio 1975, non già entro il 26 gennaio 1975 (e cioè entro
cinque mesi dalla nomina del liquidatore) e pertanto non era idoneo a
far decorrere il termine per l’opposizione, e denunciò la
illegittimità dell’art. 209 r.d. 267/1942 per contrasto con gli artt.
3 e 24 Cost., provocata dal diverso trattamento riservato ai creditori
chirografari e privilegiati.
Con ordinanza 8 gennaio-28 giugno 1976, comunicata e notificata ai
sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 333 del 15
dicembre 1976, e iscritta al n. 651 R.O. 1976, l’adito Tribunale
ritenne, in contrasto con l’Aureli, applicabile (non l’art. 77, ma)
l’art. 209, secondo comma, del quale giudicò non manifestamente
infondata la questione di costituzionalità nella parte in cui fa
decorrere il termine per l’opposizione dal deposito dell’elenco nella
cancelleria del tribunale, in riferimento agli artt. 3, primo comma e
24, secondo comma Cost.
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
All’udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
4. – Il dott. Icano Perelli, assunto alle dipendenze della Banca
Privata Italiana il 19 novembre 1970, fu licenziato dal liquidatone
della Banca il 14 dicembre 1974 con sei mesi di preavviso.
Essendo stato inserito nell’elenco dei creditori privilegiati,
depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano il 27 febbraio
1975, per L. 12.540.000, il Perelli spiegò, a sensi dell’art. 77 della
legge bancaria, opposizione, con ricorso notificato al liquidatore il
12 marzo 1975, depositato il 22 marzo 1975, nuovamente notificato, in
una con il decreto presidenziale di designazione del giudice istruttore
e di fissazione della udienza di comparizione, al liquidatore il 2
aprile 1975, chiedendo che fosse riconosciuto e ammesso al passivo il
credito privilegiato di L.20.279.580.
Si costituì la Banca chiedendo in via preliminare dichiararsi
l’improponibilità della opposizione del Perelli per inosservanza
dell’art. 209, secondo comma, r.d. 267/1942, in cui il Perelli sarebbe
incorso per aver depositato il reclamo nella cancelleria del Tribunale
il 22 manzo 1975, e respingersi nel merito la domanda attrice.
Con ordinanza 28 ottobre-1 dicembre 1976, comunicata e notificata
nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 27
aprile 1977 e iscritta al n. 144 R.O. 1977, l’adito Tribunale di
Milano, senza verificare se e quando il liquidatone avesse dato
comunicazione al Perelli del deposito dell’elenco dei creditori
privilegiati in cancelleria ha reputato effettuata la opposizione con
le modalità previste nell’art. 209, secondo comma senza peraltro
rispettarne il termine di quindici giorni, ma non ne ha dichiarato
l’inammissibilità per non essere manifestamente infondata la questione
di costituzionalità dell’art. 209, secondo comma, per contrasto con
gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma Cost. (contrasto con
l’art. 3 desunto dal diverso trattamento riservato ai creditori
privilegiati e ai creditori chirografari).
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
5. – Con lettera 20 dicembre 1974, diretta al liquidatore della
Banca Privata Italiana, Valaperta Antonio chiese di essere riconosciuto
creditore privilegiato della Banca per l’importo di L. 12.600.000 per
prestata opera professionale di consulente ma il liquidatore, con
lettera racc. R.R. pervenuta al destinatario il 3 marzo 1975, lo
informò di avere, a sensi dell’art. 77 della legge bancaria,
depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano l’elenco dei
creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca d’Italia
l’elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno in
via chirografaria, e di non aver accolto la richiesta del Valaperta
perché la pretesa doveva essere rivolta nei confronti di terzi.
Con atto notificato il 27 marzo 1975 il Valaperta chiese che il
credito, per il quale aveva rivolto richiesta al liquidatore, fosse
inserito nell’elenco dei creditori privilegiati ammessi al passivo con
gli interessi. Il Presidente della 2 Sezione civile dell’adito
Tribunale di Milano, delegato con decreto 4 aprile 1975 dal Presidente
Capo, designò il giudice istruttore e fissò l’udienza di comparizione
con decreto 22 settembre 1975; a seguito di che, l’atto, in una con i
due decreti stilati in calce, venne di bel nuovo notificato il 17
ottobre 1975 al liquidatore, il quale, costituitosi in giudizio,
eccepì in via preliminare l’inammissibilità della opposizione per
essere stata proposta oltre il termine fissato nell’art. 209, secondo
comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che sarebbe scaduto il 15 marzo
1975.
Con ordinanza 21 aprile-12 maggio 1977, comunicata e notificata nei
modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 9
novembre 1977, e iscritta al n. 428 R.O. 1977, l’adito Tribunale, sulla
premessa che l’elenco dei creditori privilegiati fosse stato depositato
in cancelleria il 27 febbraio 1975 e che la inammissibilità
dell’opposizione fosse sancita dall’art. 209, secondo comma, ritenuto
applicabile al caso, ha giudicato non manifestamente infondata la
questione di legittimità di detta norma in riferimento agli artt. 3 e
24 Cost.
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
6. – Con lettera racc. R.R. pervenuta il 20 giugno 1975, il
commissario liquidatore del Banco di Milano in l.c.a. dié notizia, a
sensi dell’art. 77 della legge bancaria, all’avv. Vincenzo Fasano di
aver provveduto a formare lo stato passivo e di non aver accolto le
richieste del destinatario, il quale, con atto notificato il 30 giugno
1975 al liquidatore e rinotificato, in una con il decreto 12 luglio
1975 di delega del Presidente della Sezione 2 civile, emesso dal
Presidente Capo del Tribunale di Milano, il successivo 31 luglio,
chiese di essere ammesso in via privilegiata, per L. 31.558.360 e
accessori, che assumeva dovutigli per prestazioni professionali.
Il Banco eccepì l’inammissibilità della opposizione per
inosservanza del termine di cui all’art. 209, secondo comma, r.d. 16
marzo 1942, n. 267 e, in subordine, chiese respingersi nel merito la
domanda attrice.
Acquisito agli atti certificato 7 giugno 1976 con cui il
cancelliere della Sezione 2 civile attesta che lo stato passivo
privilegiato della Banca era stato depositato dal liquidatore in
cancelleria il 14 giugno 1975, l’adito Tribunale ha giudicato non
manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e
24, secondo comma Cost., la questione di legittimità dell’art. 209,
secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ritenuto applicabile al
caso, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre
opposizione all’elenco dei creditori formato dal commissario
liquidatore dal suo deposito in cancelleria.
L’ordinanza di rimessione, deliberata il 21 ottobre 1976 e
depositata il successivo 23 dicembre, è stata comunicata e notificata
nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 7
aprile 1977 e iscritta al n. 145 R.O. 1977, ma nessuna delle parti si
è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
7. – Il prof. Francesco Torneo, nominato con provvedimento 4 luglio
1974 dal Governatore della Banca d’Italia commissario liquidatore della
Interfinanza s.p.a. Generale Finanziaria, con lettera raccomandata R.R.
timbrata il 28 maggio 1975 in Milano, “in relazione al disposto
dell’art. 77 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 (legge bancaria)”
comunicò “che in data odierna è stato depositato lo stato passivo
della procedura”, che “il vostro credito è stato escluso, in quanto
non esiste agli atti la documentazione relativa alla posizione
amministrativa, né autorizzazione alcuna del legale rappresentante
della Società”; avvertì che “contro tale decisione potrà essere
proposta formale opposizione con regolare istanza documentata, da
depositare presso la cancelleria della 2 Sezione fallimentare del
Tribunale civile e penale di Milano, entro un mese dalla data di
ricezione della presente comunicazione, previa notifica al sottoscritto
commissario liquidatore” e che “il reclamo dovrà contenere la elezione
di domicilio in Milano, in conformità alle norme di legge che regolano
la materia”.
I destinatari Greco Angelo, Gambino Francesco, Lattuca Vincenzo,
Laida Salvatore, Jacono Salvatore Maria, Laiola Vittorio, Macello
Gioacchino, Merulla Giovanni e Gambino Luigi proposero separati reclami
(peraltro diversi sol per le generalità dei reclamanti e per
l’ammontare pecuniario delle richieste) avverso il provvedimento di
esclusione del credito dallo stato passivo della Interfinanza chiedendo
il riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro alle
dipendenze della stessa e il pagamento di quanto monetizzato per
mensilità non corrisposte, differenza paga ed indennità di
anzianità, oltre gli interessi legali e l’indennità per svalutazione
monetaria.
I reclami risultano iscritti a ruolo il 24 giugno 1975 e notificati
al commissario liquidatore il 30 giugno 1975.
La posizione di Caruana Alfonso differisce dalle altre passate in
rassegna sol in ciò che il reclamo venne notificato al commissario
liquidatore il 1 luglio 1975.
Il commissario liquidatore si costituì nei dieci procedimenti
eccependo la tardività delle opposizioni, e, in ipotesi, chiedendone
la reiezione, ma non produsse gli avvisi di ricevimento delle
raccomandate, anzi la sua difesa sostenne che del deposito dello stato
passivo non doveva essere data comunicazione ai reclamanti perché
riusciva applicabile a costoro, in qualità di creditori privilegiati,
l’art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, per il quale
l’opposizione va proposta mediante ricorso al presidente del tribunale
entro quindici giorni dal deposito nella cancelleria dell’elenco dei
crediti ammessi o respinti. Peraltro, il Greco e il Lattuca han
dichiarato nelle scritture defensionali di aver ricevuto le
raccomandate il 28 maggio 1975 e la difesa del commissario liquidatore,
a p. 7 della comparsa di costituzione 28 ottobre 1975, ha scritto che
la racc. R.R. 28 maggio 1975 pervenne al Caruana “il 31 maggio 1975
come risulta dal timbro postale”.
Riunite le cause, per le quali era stato designato il giudice
istruttore, l’adito Tribunale ha sollevato d’ufficio e giudicato non
manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art.
209 secondo comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui fissa
la decorrenza del termine per proporre opposizione all’elenco dei
crediti formato dal commissario liquidatore dal suo deposito in
cancelleria, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, primo
comma Cost.
La ordinanza di rimessione, deliberata il 22 gennaio 1976 e
depositata il successivo 28, è stata comunicata e notificata nei modi
di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 333 del 15 dicembre
1976, e iscritta al n. 652 R.O. 1976, ma nessuna delle parti si è
costituita in questa sede né ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
8. – Il commissario liquidatore della Interfinanza s.p.a. Generale
Finanziaria, con lettera pervenuta al destinatario il 30 maggio 1975 di
cui non risultano agli atti né l’originale né la copia, comunicò al
dott. Enrico Avogadro la esclusione, dallo stato passivo depositato
nella cancelleria del Tribunale di Milano il 28 maggio 1975, del
credito di lavoro fatto valere per mancanza di prove.
Con atto notificato il 26 giugno 1975 al liquidatore, l’Avogadro
chiese in via principale – previo accertamento della sussistenza del
rapporto di lavoro a far tempo dal 10 aprile 1974 e della attuale sua
vigenza – condannarsi la Interfinanza all’immediato versamento della
somma di L.7.936.054 a titolo di omessa retribuzione, ratei
tredicesima, quattordicesima e quindicesima, ferie non godute e, previa
integrazione del contraddittorio con gli enti a ciò preposti, al
versamento degli omessi contributi assicurativi e previdenziali a far
tempo dal 10 aprile 1974, e formulò conclusioni di merito in via
subordinata e istruttorie.
Sull’originale dell’atto, depositato nella cancelleria del
Tribunale, il Presidente Capo, con decreto 28 giugno 1975, delegò per
i provvedimenti di giustizia il Presidente della Sezione 2 civile, che,
con decreto 31 luglio 1975, designò il giudice istruttore e fissò per
la comparizione delle parti l’udienza del 14 novembre 1975 assegnando
il termine di sessanta giorni dal 31 luglio 1975 per le notificazioni
di rito.
Le “notificazioni di rito” non risultano eseguite; peraltro la
causa fu iscritta a ruolo a cura dell’Avogadro il 2 ottobre 1975 e la
difesa del liquidatore si costituì mediante comparsa depositata il 25
ottobre 1975, in cui eccepì in via principale la inammissibilità
della domanda attrice perché, sebbene, essendo il credito
dell’Avogadro di natura privilegiata, dovesse il ricorso essere
notificato al liquidatore e depositato entro quindici giorni dal
deposito nella cancelleria dello stato passivo, non era stato
tempestivamente eseguito tale deposito né era stata effettuata entro
lo stesso termine la notifica ad esso liquidatore del decreto di nomina
del giudice delegato e di fissazione della udienza di comparizione,
laddove erasi l’Avogadro limitato a far notificare con il rispetto del
termine di trenta giorni il solo ricorso; nel merito chiese respingersi
la domanda attrice.
All’udienza del 14 novembre 1975 il giudice istruttore, sostituito
con decreto 10 novembre 1975, in cui si rescriveva rimaner ferma la
data della udienza collegiale del 14 novembre 1975, al magistrato in
precedenza designato, rinviò le parti costituite per la precisazione
delle conclusioni all’udienza del 28 novembre 1975, nella quale la
difesa dell’Avogadro, in linea preliminare alle conclusioni spiegate
nell’atto notificato il 26 giugno 1975, chiese dichiararsi
l’incompetenza dell’adito Tribunale per essere in sua vece competente
il pretore in funzione di giudice del lavoro e, di conseguenza,
sospendersi il procedimento in attesa della definizione della
controversia già instaurata avanti il Pretore di Milano in funzione di
giudice del lavoro.
Nelle comparse conclusionali e di replica le parti si diffusero con
particolare insistenza sulla inammissibilità o meno della proposta
opposizione: in particolare l’Avogadro rilevò che la opposizione, in
aderenza a quanto indicato dal liquidatore nella lettera pervenutagli
il 30 maggio 1975, era stata notificata e depositata nel termine di
trenta giorni dal deposito dello stato passivo nella cancelleria del
tribunale, che, anche a non seguire le indicazioni del liquidatore, il
termine di quindici giorni, di cui all’art. 209, secondo comma, r.d. 16
marzo 1942, n. 267, è privo di carattere perentorio e che, comunque,
era dubbia la conformità, agli artt. 3, primo comma, 25 primo comma e
102, primo e secondo comma Cost., dell’intero art. 209 (dubbio esteso
all’art. 77 della legge bancaria per contrasto con l’art. 3 Cost.); dal
suo canto, la difesa del liquidatore obiettò che la controversia
avanti il Pretore del lavoro di Milano era stata cancellata dal ruolo,
e che il termine indicato dal liquidatore nella lettera di
comunicazione del deposito dello stato passivo nella cancelleria del
Tribunale e di esclusione del credito dell’Avogadro “era quello
genericamente prospettato dalla legge bancaria, senza che tale
indicazione potesse valere come esclusione dell’applicabilità del
termine previsto dall’art. 209 legge fallimentare per i casi da questo
contemplati” (p. comp. repl. 14 gennaio 1976).
Il Tribunale, ritenuta la causa per la decisione all’udienza
collegiale del 22 gennaio 1976, ha, con ordinanza deliberata lo stesso
giorno e depositata il 28 giugno 1976, disposto la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla costituzionalità
dell’art. 209, secondo comma, nella parte in cui fissa la decorrenza
del termine per proporre opposizione all’elenco dei crediti formati dal
commissario liquidatore dal suo deposito nella cancelleria, con
riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma Cost.:
negata la pertinenza degli artt. 25, primo comma e 102, primo e
secondo comma, Cost. al fine di escludere la perentorietà del termine
per la opposizione, di cui all’art. 209, secondo comma, e disattesa la
concludenza del richiamo della legge bancaria, la quale riuscirebbe,
per consolidata giurisprudenza, applicabile ai soli creditori
chirografari, ha fatto propri gli argomenti, addotti in precedenti
incontri dallo stesso Tribunale per reputare non manifestamente
infondata la sollevata questione.
La ordinanza di rimessione è stata comunicata e notificata nei
modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 340 del 22
dicembre 1976 e iscritta al n. 653 R.O. 1976, ma nessuna delle parti
si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
9. – Con atto datato 19 giugno 1975 il rag. Filippo Di Francesco,
premesso che aveva prestato la propria attività lavorativa alle
dipendenze della Interfinanza dal 1 dicembre 1971 al 10 gennaio 1972
presso la filiale di Porto Empedocle con la qualifica di impiegato di
prima categoria, che dall’11 gennaio 1972 era stato assegnato presso la
filiale di Racalmuto con le mansioni di preposto, che, collocata in
l.c.a. la Interfinanza giusta decreto 1 luglio 1974 del Ministro per il
Tesoro, il commissario liquidatore, con raccomandata 9 giugno 1975,
aveva significato al Di Francesco che la richiesta, avanzata con
lettera raccomandata 28 maggio 1975, di conseguire quanto spettantegli
come funzionario preposto di filiale per il periodo di servizio
prestato alla filiale di Racalmuto, non poteva essere accolta, che
“quindi il credito che sarà stato ammesso allo stato passivo della
Interfinanza, che da notizie apprese risulta essere stato depositato,
è inferiore a quello spettante”, propose reclamo avverso il
provvedimento di disconoscimento del proprio diritto alle differenze
paga dall’11 gennaio 1972 e alla liquidazione corrispondente alla
qualità di preposto di filiale, e chiese all’adito Tribunale di Milano
in via preliminare riconoscere il diritto al ripetuto trattamento
economico e condannare la Interfinanza al pronto pagamento della somma
da determinarsi dal consulente tecnico nominando, con gli interessi
legali e l’indennità per svalutazione monetaria.
L’atto venne notificato al liquidatore sotto la data del 20 (o 30?)
giugno 1975; a seguito di che, il Di Francesco presentò nota
d’iscrizione a ruolo, datata 24 giugno 1975, in calce alla quale
vennero stilati due decreti: l’uno in data 3 luglio 1975 con cui il
Presidente Capo assegnò la causa alla Sezione 2 civile; l’altro in
data 4 luglio 1975, con cui il Presidente di Sezione designò il
giudice, avanti il quale le parti sarebbero dovute comparire.
Altra copia dell’atto, in calce alla quale era stilato decreto
datato 9 luglio 1975 con cui il giudice delegato fissava per la
comparizione delle parti l’udienza del 14 novembre 1975 e il termine di
novanta giorni per la notifica al liquidatore, venne notificata al
liquidatore sotto la data del 19 luglio 1975.
All’udienza del 14 novembre 1975, alla quale comparvero il Di
Francesco e il liquidatore, che mediante comparsa 24 ottobre 1975
(depositata il successivo 25) aveva chiesto in via principale la
dichiarazione di litispendenza con le cause iscritte ai nn. 3220 e 1407
R.G. 1975 e conseguente cancellazione della causa dal ruolo, in via
subordinata la dichiarazione di inammissibilità della opposizione
perché tardivamente e irritualmente proposta e nel merito il rigetto
della domanda attrice, il giudice designato rinviò le parti per la
precisazione delle conclusioni all’udienza del 28 novembre 1975, ma
soltanto all’udienza del 9 febbraio 1976 la causa, alla presenza del
solo difensore del liquidatore che si riportò alle conclusioni
precedentemente formulate, fu rimessa alla udienza collegiale del 18
marzo 1976.
Con ordinanza, deliberata il 18 marzo 1976 e depositata il 18
ottobre 1976, comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 2 marzo 1977, iscritta al n. 4 R.O.
1977, l’adito Tribunale, premesso che l’elenco dei crediti ammessi o
esclusi con cause di prelazione era stato dal liquidatore depositato in
cancelleria il 28 maggio 1975, ha disatteso la eccezione di
litispendenza, e, pur constatando che la domanda era stata ritualmente
introdotta per avere il Di Francesco proceduto al deposito del ricorso
già notificato e ad altra notifica di sua copia, in calce alla quale
il giudice designato aveva stilato il decreto di fissazione della
udienza di comparizione, ha rilevato il ritardo, con cui il ricorso per
la prima volta notificato, sarebbe stato depositato in cancelleria a
cura del Di Francesco, ma non ha dichiarato inammissibile l’opposizione
perché ha giudicato non manifestamente infondata, per contrasto con
gli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma, Cost., la questione di
legittimità dell’art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n.
267, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre
opposizione all’elenco dei crediti, formati dal commissario
liquidatore, dalla data del suo deposito nella cancelleria.
Avanti la Corte nessuna delle parti si è costituita, né ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha
svolto la relazione.
1. – Per l’art. 207 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, il commissario
liquidatore di impresa in l.c.a. entro un mese dalla nomina,
effettuata con il provvedimento ordinatario della liquidazione ovvero
con altro successivo (art. 198), comunica a ciascun creditore con
lettera raccomandata con avviso di ricevimento le somme risultanti a
credito secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa
(comunicazione fatta con riserva delle eventuali contestazioni); i
creditori entro quindici giorni dalla ricezione della raccomandata
possono far pervenire al commissario mediante raccomandata le loro
osservazioni e istanze (analogo trattamento è praticato dal secondo
comma dell’art. 207 a coloro che possono far valere domande di
rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili possedute
dall’impresa).
Per l’art. 208 dello stesso decreto, i creditori (e le altre
persone indicate nell’art. 207, secondo comma), che non hanno ricevuto
la comunicazione prevista nell’art. 207 possono chiedere mediante
raccomandata, entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale del provvedimento di liquidazione, il riconoscimento dei loro
crediti (e la restituzione dei loro beni).
L’art. 209 – salvo il maggior termine stabilito in leggi speciali –
fissa il termine di novanta giorni dalla data del provvedimento di
liquidazione entro il quale il commissario liquidatore a) forma
l’elenco dei crediti ammessi o respinti (e delle domande indicate
nell’art. 207, secondo comma, accolte o respinte), b) lo deposita nella
cancelleria (del tribunale) del luogo dove l’impresa ha la sede
principale, c) dà notizia del deposito, con raccomandata con avviso di
ricevimento, a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto o in parte
ammessa (primo comma).
Il secondo comma dello stesso art. 209 statuisce che le opposizioni
dei creditori esclusi (art. 98) e le impugnazioni dei crediti ammessi
(art. 100) sono proposte, entro quindici giorni dal deposito
dell’elenco, con ricorso al presidente del tribunale, nel quale il
creditore non domiciliato nel comune in cui ha sede l’impresa deve
eleggere domicilio nel comune stesso, pena l’esecuzione delle
posteriori notificazioni presso la cancelleria del tribunale.
Il presidente del tribunale nomina un giudice per l’istruzione e i
provvedimenti ulteriori – osservate (prosegue il terzo comma dell’art.
209) le disposizioni dell’art. 203 – sostituiti al giudice delegato il
giudice istruttore e al curatore il commissario liquidatore.
Sulla base della riassunta normativa il Tribunale di Roma non ha
giudicato inammissibile l’opposizione dall’assicurato depositata lo
stesso giorno in cui gli era pervenuta la notizia del deposito
dell’elenco ma a termine di quindici giorni dalla data del deposito
scaduto, perché ha ritenuto non manifestamente infondata la questione
di legittimità dell’art. 209, secondo comma per violazione (non
dell’art. 3 ma) dell’art. 24, secondo comma, Cost., ravvisata nella
identificazione del dies a quo con la data del deposito e non con la
ricezione della notizia del deposito stesso e della parziale esclusione
della pretesa dall’elenco.
2. – Gli altri otto incidenti di costituzionalità, sollevati tutti
dal Tribunale di Milano nei confronti di imprese creditizie (Banca
Privata Italiana, Banco di Milano, Interfinanza s.p.a. Generale
Finanziaria), sollecitavano l’interpretazione e l’applicazione
dell’ultimo comma dell’art. 209 (“Restano salve le disposizioni delle
leggi speciali relative all’accertamento dei crediti chirografari nella
liquidazione delle imprese che esercitano il credito”). Ma la
conformità di detta disposizione ai dettami costituzionali non è
sottoposta al giudizio di questa Corte perché il giudice a quo non
l’ha ritenuta applicabile alle otto fattispecie svolgendo motivazioni,
la cui fondatezza, sebbene non quadri in tutto con l’interpretazione
del quarto comma dell’art. 209 accolta dalla Corte di cassazione in
tempo successivo al rilievo dell’incidente ultimo in ordine di data,
sfugge al sindacato di questa Corte. Né la Corte può prendere in
esame le critiche rivolte dalla difesa del commissario liquidatore
della Banca Privata Italiana alla giuridica correttezza
dell’apprezzamento di rilevanza, compiuto dal Tribunale di Milano, vuoi
perché l’apprezzamento è stato pur effettuato, vuoi perché la
motivazione, di cui è materiato, s’intreccia con quell’interpretazione
dell’art. 209, quarto comma, la cui conformità alle direttive segnate
nell’art. 12 disp. prelim. cod. civ. sfugge – lo si ripete – al
giudizio della Corte.
È appena il caso di avvertire che, stante la forma di ordinanza di
cui i provvedimenti di rimessione alla Corte sono rivestiti, ben
potranno le sottostanti questioni essere riproposte nei giudizi di
merito se e nei limiti, in cui non ne sarà il riesame precluso dalla
presente sentenza che la Corte va a pronunciare (in tali sensi sent.
142/1980).
Un ultimo rilievo sui limiti obiettivi della disamina: dei due
rimedi procedurali, indicati nell’art. 209, secondo comma, viene in
considerazione la sola opposizione del creditore in tutto o in parte
escluso, e non anche l’impugnazione dei crediti ammessi, e, ancor meno,
la opposizione al provvedimento di rigetto delle domande, di cui
all’art. 207, secondo comma.
Ciò premesso, in tutto giustificata è la riunione dei nove
procedimenti, ad ostacolare la quale non giova la non assoluta
coincidenza dei parametri di costituzionalità, provocata da ciò che
il Tribunale di Milano non si è affiancato al Tribunale di Roma nel
disattendere il richiamo dell’art. 3, primo comma, Cost., sin troppo
noto essendo che la continenza non meno della identità giustifica la
riunione di più cause in unico procedimento. Semmai, la divergenza
tra i due tribunali spiega perché la Corte stia per riservare la
precedenza allo scrutinio di legittimità, nei termini obiettivi
precisati, dell’art. 209, secondo comma, in riferimento all’art. 24,
secondo comma, Cost. nella cui invocazione i due tribunali sono stati
concordi.
3. – Il secondo e il terzo comma dell’art. 209 di cui si è esposto
il contenuto, sono espressione di una scelta che non è sostenuta dalle
ragioni, che hanno indotto il legislatore ad operare, nel campo della
opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, analoga scelta
dando vita all’art. 18, primo comma dello stesso r.d. 267/1942.
La Corte, con sent. 151/1980, ha giudicato lesivo del diritto di
difesa in giudizio, garantito dall’art. 24, secondo comma, l’art. 18,
primo comma, nella parte in cui indica nella data dell’affissione il
dies a quo per proporre avverso la sentenza di fallimento l’opposizione
del solo debitore e non di interessato diverso dal fallito, perché
l’estrema difficoltà di identificare coloro, in danno dei quali si
produrranno gli effetti della sentenza di fallimento non appena
pronunciata (effetti, che neppure la sua revoca tocca nei limiti
segnati dall’art. 21, primo comma, r.d. 267/1942), non soccorre per il
fallito e, pertanto, non fornisce, nel gioco di compensazione dei
contrapposti interessi, persuasivo dato di bilanciamento rispetto
all’offesa, che alla sostanziale tutela dei diritti infligge
l’utilizzazione dell’affissione quale mezzo di propalazione dell’atto
(o dell’evento) che ne costituisce oggetto.
Nel solco, dunque, aperto con la or menzionata sentenza, con la
quale si registra, nel campo dominato dall’art. 18, primo comma,
mutamento giurisprudenziale che rinviene giustificazione anche in
sentenze dichiarative dell’illegittimità di altre norme procedurali
(da ultimo, sent. 14 e 15/1979), la Corte sanziona l’illegittimità,
per violazione dell’art. 24, secondo comma Cost. dell’art. 209, secondo
comma, nella parte, in cui fa decorrere il termine di quindici giorni
per proporre le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi,
dal deposito dell’elenco dei creditori ammessi o respinti nella
cancelleria del tribunale del luogo della sede principale dell’impresa
in liquidazione coatta amministrativa.
Ma le ragioni, che hanno indotto la Corte a non ravvisare nel
tessuto dell’art. 17 r.d. 267/1942 meccanismi di propalazione idonei a
sostituire l’affissione quale dies a quo per l’opposizione del debitore
non soccorrono nella specie, perché lo stesso art. 209 delinea nella
comunicazione della notizia del deposito dell’elenco effettuata
mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai creditori in tutto o
in parte esclusi un mezzo, che la qualità dell’organo, alla cui
diligenza è la comunicazione affidata, consente di utilizzare senza
far ricorso al codice di procedura civile e alle disposizioni di sua
attuazione, che disciplinano le comunicazioni di cancelleria.
Così giudicando, la Corte non si pone in contrasto con la sent.
157/1971, con la quale ebbe a dichiarare infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 98, primo comma, che fissa nella data del
deposito dello stato passivo fallimentare in cancelleria il dies a quo
per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi.
Non soccorre, per vero, tra l’art. 98, primo comma e l’art. 201,
secondo comma, la identità di ratio, che valga a trasferire a questo
le ragioni di conformità di quello al precetto costituzionale.
Invero il difetto di natura giurisdizionale della fase riservata
alla formazione dell’elenco affidata al liquidatore, non si risolve in
diatriba definitoria vuoi perché per un verso l’atto d ‘insinuazione
al passivo fallimentare produce, a sensi dell’art. 94 r.d. 267/1942,
gli effetti della domanda giudiziale, a produrre i quali sono inidonee
le domande dei creditori dell’impresa in l.c.a., cui l’art. 207, primo
comma, riconosce soltanto il significato di mere denunce, vuoi perché
il procedimento amministrativo di formazione dello stato passivo,
descritto nel combinato disposto degli artt. 207 e 209, primo comma, è
privo delle garanzie del contraddittorio orale, che assistono
l’accertamento del passivo, il quale si articola nella prima fase della
formazione dello stato passivo provvisorio (art. 95) e dell’adunanza di
sua verificazione (art. 96).
Il fatto si è che le opposizioni (e le impugnazioni) di cui
all’art. 209, secondo comma – a differenza delle opposizioni e delle
impugnazioni allo stato passivo fallimentare, la cui affinità con
taluni processi a cognizione sommaria è stata sottolineata – non
rappresentano il secondo stadio di un procedimento uno ed unico, né
possono essere inquadrate nello schema della giurisdizione condizionata
per non essere l’inserzione nell’elenco subordinata ad un atto del
creditore, ma si definiscono come l’unica sollecitazione dell’esercizio
della funzione giurisdizionale a garanzia dei creditori dell’impresa in
l.c.a., che si caratterizza per il potere attribuito, in deroga
all’art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, al giudice ordinario di
annullare atti dell’autorità amministrativa lesivi di diritti.
La circostanza che il mancato esercizio giudiziale del diritto di
credito finirebbe con l’attribuire all’atto dell’autorità
amministrativa, che lo comprime, efficacia estintiva del diritto
stesso, conferma l’esigenza che non all’affissione dell’elenco, ma alla
notizia della esclusione totale o parziale del credito comunicata al
singolo creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
sia riservata la capacità di porre in moto il termine, alla cui
inosservanza è alla fin fine collegata la perdita del diritto.
D’altro canto, la sostituzione di una pluralità di dies a quibus
all’unico dies a quo, indicato nell’art. 209, secondo comma, non
soffoca l’aspirazione del legislatore a riunire la pluralità di
opposizioni in unico processo, perché, a differenza delle opposizioni
di interessati diversi dal fallito alla revoca della sentenza
dichiarativa di fallimento, che si sperimentano mediante atti di
citazione ad udienza fissa che pongono le opposizioni stesse a contatto
prima dei legittimati passivi (curatore e, se vi siano, creditori
istanti) e poi dell’autorità giudiziaria competente, le opposizioni
dei creditori in tutto o in parte esclusi dall’elenco hanno forma di
ricorso al presidente del tribunale, al quale – ammonisce il terzo
comma dell’art. 209 – compete la nomina di un giudice per l’istruzione
e per i provvedimenti ulteriori, nel rispetto degli articoli 98 e 103
in quanto applicabili. Forma del ricorso, che consentirà al presidente
di tribunale di procedere alla nomina del giudice istruttore sol dopo
la restituzione alla cancelleria del tribunale degli avvisi di
ricevimento.
Certo – non se lo dissimula la Corte – il dispositivo, che si va ad
enunciare, potrà dar luogo a non lievi difficoltà nella ipotesi,
nella specie non ricorrente, di opposizioni e di impugnazioni, per le
quali ultime rimane ferma la data del deposito come dies a quo del
termine di quindici giorni, ma il principio della corrispondenza tra
chiesto e pronunciato e il rispetto delle prerogative del potere
legislativo inibiscono di escogitare i rimedi alla Corte, la quale,
peraltro, non può non segnalare i non tanto eventuali inconvenienti al
legislatore perché ponga mano agli opportuni rimedi.
La constatata violazione dell’art. 24, secondo comma, rende
superfluo il raffronto tra l’art. 3, primo comma, Cost. e la norma
impugnata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 389/1975, 454, 651, 652,
653/1976, e 4, 144, 145 e 428/1977, dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n.
267, nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei
creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data del deposito,
nella cancelleria del tribunale del luogo dove l’impresa in
liquidazione coatta amministrativa ha la sede principale, dell’elenco
dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore,
anziché dalle date di ricezione delle raccomandate con avviso di
ricevimento, con le quali il commissario liquidatore dà notizia
dell’avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in
tutto o in parte ammesse.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO- ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere