Sentenza N. 156 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1969
Data deposito/pubblicazione
22/12/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/12/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
della legge 5 aprile 1969, n. 119, recante conversione in legge con
modificazioni del decreto legge 15 febbraio 1969, n. 9, riguardante il
riordinamento degli esami di Stato di maturità, di abilitazione e di
licenza della scuola media, promosso con ricorso del Presidente della
Regione della Valle d’Aosta notificato il 13 maggio 1969, depositato in
cancelleria il 22 successivo ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi
1969.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udito nell’udienza pubblica del 15 ottobre 1969 il Giudice relatore
Costantino Mortati;
uditi gli avvocati Feliciano Benvenuti e Vitaliano Lorenzoni, per il
ricorrente, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele
Savarese, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Col decreto-legge 15 febbraio 1969, n. 9, il Governo nazionale ha
provveduto al “riordinamento degli esami di Stato di maturità, di
abilitazione e di licenza di scuola media”, senza dettare alcuna
esplicita disposizione circa la lingua da usare nelle relative prove.
La legge 5 aprile 1969, n. 119, che ha convertito con modificazioni
tale provvedimento, ha invece introdotto nell’art. 5 di esso un comma
il quale dispone che “nelle zone dove esistono scuole in cui
l’insegnamento si svolge in lingua diversa da quella italiana, le prove
saranno svolte nella rispettiva lingua. Nelle scuole delle valli ladine
le prove saranno svolte, a scelta dei candidati, o in lingua italiana o
in lingua tedesca”.
Col ricorso introduttivo del presente giudizio, il Presidente della
Regione autonoma della Valle d’Aosta, autorizzato con delibera 30
aprile 1969 della Giunta regionale e rappresentato e difeso dagli
avvocati Feliciano Benvenuti e Vitaliano Lorenzoni, ha impugnato avanti
a questa Corte le disposizioni della legge di conversione modificatrici
degli artt. 1, 5 e 6 del decreto, nella parte in cui esse disciplinano
le prove di esame in modo tale da lasciare intendere che esse debbano
sempre svolgersi in lingua italiana e senza stabilire alcuna eccezione
per il territorio della Valle d’Aosta dove vige, a termini dello
Statuto regionale, un regime bilingue italo-francese. Si osserva nel
ricorso che dall’art. 5, terzo comma, delle disposizioni di detta legge
che disciplinano l’esame, si desume come la prova scritta ivi
contemplata deve consistere nella trattazione di un tema “in italiano”,
e che siffatta regola appare implicitamente estensibile anche alla
seconda prova scritta, prevista dal comma successivo, nonché al
colloquio previsto dall’art. 6. La Regione denuncia quindi la
violazione degli artt. 3, lett. g, 38, primo e secondo comma, e 39,
ultimo comma, dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, rilevando
che, in base all’art. 38, primo comma, i cittadini italiani della Valle
hanno diritto di sostenere gli esami disciplinati dalla legge impugnata
usando come lingua per l’espressione del proprio pensiero quella
francese, parificata dalla norma statutaria alla lingua italiana.
Con riferimento agli artt. 39 e 40 dello Statuto, i quali prevedono
soltanto una ripartizione delle materie d’insegnamento fra le lingue
italiana e francese, la difesa della Regione fa presente che la
relativa disciplina concerne soltanto l’insegnamento e non anche le
prove di esame tendenti all’accertamento della maturità dei candidati
e che, se per la scelta delle materie da insegnare in lingua francese
è stata prevista una scelta di carattere generale cui gli alunni
debbono sottostare, non vi è dubbio che gli esami di maturità, che
sono “esami di stato”, debbano poter esser sostenuti tanto in italiano
quanto in francese per effetto della norma di cui al primo comma
dell’art. 38 dello Statuto.
La legge impugnata violerebbe altresì l’art. 38, secondo comma, in
base al quale nella Valle gli atti pubblici possono essere redatti
tanto in italiano quanto in francese, poiché l’atto conclusivo
dell’esame di maturità è un atto pubblico nel quale confluiscono come
parte integrante i testi delle prove scritte sostenute da ciascun
candidato e le risultanze delle prove orali.
La ricorrente osserva infine che la riserva stabilita per altre
lingue minoritarie dal quinto comma dell’art. 5, sopra citato, non
risulta applicabile alla Valle d’Aosta, poiché in essa non esistono
scuole con lingua di insegnamento diversa da quella italiana, e che se
– in denegata ipotesi – si applicasse alla Valle la giurisprudenza
relativa alla Provincia di Bolzano secondo la quale nella materia
linguistica “esigenze di unità ed eguaglianza impongono l’esclusiva
potestà del legislatore statale” (Corte cast., sent. 12 maggio 1960,
n. 32), costituirebbe comunque violazione dell’art. 38 dello Statuto
l’aver omesso di provvedere all’attuazione del precetto relativo alla
parità linguistica in esso contenuto.
La Regione conclude quindi chiedendo che, salva l’ipotesi che la
Corte costituzionale interpreti il quinto comma dell’art. 5 della legge
impugnata nel senso di assicurare l’uso della lingua francese nella
Valle d’Aosta, venga dichiarata l’illegittimità costituzionale delle
suddette disposizioni.
Il ricorso, debitamente notificato il 13 maggio 1969 e depositato
nella cancelleria della Corte il 22 dello stesso mese, è stato
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 18 giugno 1969.
Si è costituito per resistere alla domanda il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato come per legge dall’Avvocatura
generale dello Stato, il quale, nell’atto di costituzione depositato il
31 maggio 1969 e nella memoria illustrativa del 2 ottobre successivo,
conclude per il rigetto del ricorso, pur dando atto che, in ossequio al
principio di parità linguistica di cui all’art. 38 dello Statuto
valdostano, il Ministero della pubblica istruzione ha disposto con
circolare 30 aprile 1969, n. 3288, che nella Valle i candidati possano
sostenere le prove scritte ed il colloquio in italiano o in francese a
loro scelta e, con altra successiva circolare, che la lingua francese
sia compresa fra le quattro materie oggetto del colloquio.
Ciò posto, mentre da un lato l’Avvocatura accenna ad un possibile
difetto d’interesse della Regione a coltivare il ricorso, dall’altro ne
deduce l’infondatezza, affermando che le norme statutarie invocate
riguardano la materia dell’insegnamento e dell’istruzione, ma non
l’esame di stato previsto dall’art. 33, quinto comma, della
Costituzione, di cui fa applicazione la legge impugnata.
Questo esame ha una sua autonomia concettuale e pratica rispetto
all’insegnamento, corrispondente alla distinzione fra il momento
didattico ed il momento autoritativo dell’istruzione, e, poiché spiega
i suoi effetti in tutto il territorio dello Stato e può essere
affrontato in qualunque parte di esso, non potrebbe essere disciplinato
diversamente con riferimento al territorio della Valle d’Aosta senza
violazione dell’esigenza di assicurare la parità di tutti i cittadini
di fronte all’esame stesso. Ai relativi atti, pertanto, non sarebbe
applicabile né il primo, né il secondo comma dell’art. 38 dello
Statuto valdostano.
Anche l’Avvocatura rileva che l’art. 5, quinto comma, della legge
impugnata non è applicabile alla Valle d’Aosta, nella quale non
esistono scuole pubbliche con insegnamento praticato soltanto nella
lingua francese ed esclude quindi che possa farsi luogo
all’interpretazione adeguatrice adombrata dalla ricorrente.
La difesa della Regione ha presentato anch’essa, ma fuori termine,
una memoria illustrativa dei motivi dedotti nel ricorso.
Nella discussione orale le parti hanno svolto le deduzioni di cui
alle scritture ed hanno insistito nelle conclusioni prese.
1. – Si presenta anzitutto il quesito se la legge 5 aprile 1969, n.
119, di conversione, con modificazione, del decreto legge 15 febbraio
1969, n. 9, riguardante il riordinamento degli esami di Stato di
maturità, nel disporre, con l’emendamento aggiuntivo al quarto comma
dell’art. 5, che nelle zone dove esistono scuole medie nelle quali
l’insegnamento si svolge in lingua diversa dall’italiano le prove di
maturità saranno effettuate nella rispettiva lingua, possa ritenersi
applicabile anche alla Valle d’Aosta. La risposta non può non essere
negativa, dato che le sole disposizioni costituzionali le quali
consentano l’esistenza nel territorio nazionale di scuole con lingua
d’insegnamento diversa dall’italiana sono quelle previste, per la
provincia di Bolzano, dall’art. 15 dello Statuto della Regione
Trentino-Alto Adige, mentre ben diverso è il regime vigente nella
Valle d’Aosta, caratterizzato dalla presenza di un unico tipo di
scuola, con insegnamento nelle due lingue italiana e francese. Mentre
in un caso, muovendosi dal presupposto di una lingua materna degli
alunni diversa dall’italiana, si consente che l’intero insegnamento
venga impartito nella lingua stessa, viceversa nell’altro caso è
appunto la mancanza di una lingua materna propria di alcuni e non di
altri che conduce a consentire il diverso trattamento costituito
dall’uso promiscuo delle due lingue.
Discende da tali rilievi l’impossibilità di una interpretazione
adeguatrice della norma impugnata, qual è stata prospettata dalla
difesa della Regione e sembra fatta propria anche dall’Avvocatura. Per
le stesse ragioni esposte si deve ritenere che la circolare del
Ministero della pubblica istruzione in data 30 aprile 1969 la quale
autorizza i candidati a sostenere le prove di esame in una delle due
lingue a loro scelta, non vale ad escludere la persistenza
dell’interesse a ricorrere da parte della Regione, contrariamente a
quanto viene asserito dalla stessa Avvocatura.
2. – Passando al merito, la Corte ritiene che il ricorso sia
fondato. Infatti la parificazione della lingua francese a quella
italiana disposta con il primo comma dell’art. 38 dello Statuto è
fondata sulla constatazione di una situazione di pieno bilinguismo
sussistente di fatto nella Regione, dalla quale si sono fatti
discendere effetti costituzionalmente garantiti circa l’eguale uso
delle due lingue, in modo da escludere che nella Valle sia da
attribuire la qualifica di “ufficiale” all’una o all’altra
(diversamente da quanto accade nella provincia mistilingue di Bolzano,
dove, secondo l’art. 84 dello Statuto, lingua ufficiale è considerata
l’italiano).
Se quella indicata è la ratio ispiratrice del primo comma citato se
ne può dedurre che la disposizione del secondo comma dello stesso
articolo (che consente la redazione degli atti pubblici in una delle
due lingue, ad eccezione di quelli giurisdizionali da effettuare solo
in italiano), nonché l’altra dell’articolo 39, ultimo comma (secondo
cui nelle scuole di ogni ordine e grado l’insegnamento in lingua
francese è limitato solo ad alcune materie) non possono essere
invocate a sostegno di una interpretazione restrittiva della portata
del comma precedente, rivestendo invece evidente carattere di eccezioni
alla regola della parità, al di là delle quali questa deve
necessariamente riprendere pieno vigore così da consentire l’uso
dell’una o dell’altra a scelta dei soggetti interessati.
Tale regola non può non trovare applicazione anche nei confronti
degli esami di maturità. Ciò non già per il motivo fatto valere
dalla difesa regionale, secondo cui l’applicazione della legge
impugnata farebbe venire meno la facoltà garantita dal secondo comma
dell’art. 38 di redigere in francese l’atto pubblico di conferimento
del diploma, dato l’asserito obbligo di conformarsi alla lingua con cui
furono sostenute le prove, le quali costituirebbero parte integrante
del diploma stesso (poiché, anche ad ammettere l’esistenza di un
rapporto di integrazione che leghi le une all’altro, nulla osterebbe
alla differenziazione di espressione linguistica fra i due, in modo non
diverso da quello che potrebbe accadere, per esempio, nel caso di
sentenze che sono da redigere sempre in italiano anche se siano basate
su un complesso di elementi raccolti e verbalizzati in lingua
francese), bensì sulla base della diversa considerazione, fatta prima
valere, del carattere tassativo da conferire alle deroghe al principio
di parità, non estensibili a situazioni diverse da quelle testualmente
previste. A nulla vale opporre, come fa l’Avvocatura, che l’esame di
Stato proietta i suoi effetti al di là dell’ambito della Regione ed
oltre il settore dell’istruzione secondaria, essendo chiaro che la
pratica utilizzazione nel campo professionale del titolo così
conseguito al di là del territorio regionale si renderà possibile
solo a patto che l’interessato dimostri il pieno possesso della lingua
italiana; possesso che, del resto, dovrebbe essere presunto, se si
tiene conto della prescrizione dell’art. 39, primo comma, per cui
all’insegnamento delle due lingue deve essere dedicato in tutte le
scuole di ogni ordine e grado un eguale numero di ore settimanali.
Analogamente nessun valore è da attribuire all’altra asserzione della
difesa dello Stato, secondo cui la materia dell’esame de quo esula
dalla competenza regionale, dato che l’uso delle lingue nella Regione
trascende l’ambito di quella competenza, riferendosi anche a rapporti
con autorità non regionali sedenti nella Valle. Infatti quello che
solo importa, al fine di assicurare la condizione messa in rilievo
dall’Avvocatura, della perfetta eguaglianza di tutti i candidati, quale
che sia la parte del territorio in cui le prove siano sostenute, è che
queste si svolgano in modo uniforme sulla base di norme e di programmi
stabiliti dallo Stato: esigenza questa che per la Valle è pienamente
assicurata dall’art. 40 dello Statuto, il quale testualmente richiama
le une e gli altri.
Elementi di giudizio per la risoluzione della controversia in senso
diverso non possono trarsi neppure dalla norma statutaria che
disciplina le modalità dell’uso delle lingue per quanto riguarda
l’insegnamento (art. 39 ultimo comma) poiché l’esame di Stato attiene
ad una sfera del tutto diversa da quella dell’insegnamento. D’altra
parte, anche se un parallelismo fra l’uno e l’altro si potesse porre,
esso condurrebbe a richiedere non già la piena applicazione della
norma impugnata, così com’è ritenuto dall’Avvocatura ma, al più, che
lo svolgimento delle prove nelle varie materie dovrebbe avvenire nella
stessa lingua in cui era stato impartito l’insegnamento delle medesime.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, terzo e quarto
comma, e dell’art. 6, primo, secondo e terzo comma, del decreto legge
15 febbraio 1969, n. 9 (modificati dall’articolo unico della relativa
legge di conversione 5 aprile 1969, n. 119), nella parte in cui
prescrivono che le prove d’esame ed il colloquio per gli esami di Stato
nella Regione della Valle d’Aosta siano da effettuare obbligatoriamente
con l’uso della lingua italiana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, l’11 dicembre 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.