Sentenza N. 159 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
22/12/1969
Data deposito/pubblicazione
22/12/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/12/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI
– Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 (testo unico delle disposizioni
sull’edilizia popolare ed economica), promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanze emesse il 7 novembre 1967 dal giudice conciliatore di
Napoli in dieci procedimenti civili (Nocera Giuseppe ed altri contro
l’Istituto autonomo per le case popolari di Napoli), iscritte ai nn.
57-66 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968;
2) ordinanze emesse il 4 giugno 1968 dal pretore di Salerno in tre
procedimenti civili (Bottone Vincenzo ed altri contro l’Istituto per lo
sviluppo dell’edilizia sociale), iscritte ai nn. 123, 124 e 125 del
Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;
3) ordinanza emessa il 22 marzo 1969 dal giudice conciliatore di
Mercato San Severino nel procedimento civile vertente tra Cinti Nicola
e l’Istituto autonomo per le case popolari di Salerno, iscritta al n.
187 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 145 dell’11 giugno 1969.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione dell’Istituto per lo sviluppo dell’edilizia
sociale (I.S.E.S.);
udito nell’udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice relatore
Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l’I.S.E.S.
1. – L’art. 32 del testo unico sull’edilizia popolare ed economica
approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, stabilisce che gli Istituti
per le case popolari, nell’ipotesi di mancato pagamento di rate di
fitto, possono richiedere al giudice competente lo sfratto
dell’inquilino moroso con un ricorso al quale deve essere unita una
dichiarazione del Presidente dell’Istituto attestante la morosità
dell’inquilino. Con decreto stesso in calce al ricorso il giudice
ingiunge al debitore di pagare entro il termine di dieci giorni dalla
notificazione, trascorso il quale, in caso di inadempienza, si procede
allo sfratto. Contro il decreto il debitore può proporre opposizione
entro il termine di cinque giorni dalla notifica. L’opposizione non
sospende la esecuzione del decreto. Il giudice però può, in casi
gravi e senza pregiudizio della decisione di merito, con un nuovo
decreto, sospendere l’esecuzione del decreto precedente fino all’esito
del giudizio di opposizione.
2. – Con dieci ordinanze d’identico contenuto emesse il 7 novembre
1967 nei procedimenti civili vertenti tra alcuni locatari di negozi,
che avevano prodotto opposizione contro i decreti di sfratto per
morosità, e l’Istituto autonomo per le case popolari di Napoli il
conciliatore di detta città ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale del su riportato art. 32 del testo unico sull’edilizia
economica e popolare in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
Secondo il conciliatore la particolare procedura di sfratto per
morosità prescritta dalla norma impugnata appare manifestamente
antidemocratica e dittatoriale mettendo il cittadino nella quasi
impossibilità di far valere le proprie ragioni, e ciò in pieno
contrasto con quanto stabilito dagli artt. 658 e seguenti, 645 e
seguenti e 482 del Codice di procedura civile per il comune
procedimento di sfratto e di esecuzione.
In particolare il suddetto giudice considera che il termine di
cinque giorni concesso al debitore per proporre opposizione – la quale,
peraltro, non sospende l’esecuzione del decreto di sfratto – appare
vessatorio per la sua eccezionale ed ingiustificata brevità e conclude
affermando che la norma impugnata viola gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, ponendo in essere una grave disparità di trattamento tra
cittadini che trovansi in identica situazione in quanto titolari di uno
stesso rapporto locativo.
3. – Con tre ordinanze d’identico contenuto emesse il 4 giugno 1968
nei procedimenti civili vertenti tra alcuni inquilini di case popolari
e l’Istituto per lo sviluppo dell’edilizia sociale anche il pretore di
Salerno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del
citato art. 32 in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo
e terzo comma, della Costituzione. Per quanto riguarda la violazione
dell’art. 3 il pretore osserva che di fronte al trattamento usato dal
Codice di rito all’inquilino moroso, ancorché abbiente, la norma
denunciata, per inquilini meno agiati, pone più gravi limitazioni
fissando un termine più breve per il pagamento (dieci giorni) delle
rate di fitto ed un termine ancor più breve (cinque giorni) per
proporre eventuali opposizioni.
Aggiunge il pretore che la previsione del minor termine per
l’opposizione si appalesa altresì in contrasto con l’art. 24, comma
terzo, della Costituzione in quanto è reso oltremodo difficile se non
impossibile, il ricorso tempestivo al gratuito patrocinio; e che la
speciale procedura prevista dall’art. 32 sembra infine violare il comma
secondo dell’art. 24 poiché il decreto viene emesso inaudita altera
parte a differenza di quanto stabilito nella ordinaria procedura di
sfratto in cui la semplice opposizione del locatario impedisce la
convalida e può consentire soltanto, ed in difetto di eccezioni
fondate su prova scritta, l’emissione di ordinanza provvisoria di
rilascio.
4. – Censure sostanzialmente identiche a quelle contenute nelle tre
ordinanze del pretore di Salerno vengono mosse alla norma denunciata
con l’ordinanza 22 marzo 1969 emessa dal conciliatore di Mercato San
Severino in un procedimento civile vertente tra un inquilino e
l’Istituto autonomo per le case popolari di Salerno. In tale ordinanza,
il conciliatore, oltre a ribadire la sproporzione del trattamento
predisposto dal ripetuto art. 32 del testo unico del 1938 per gli
inquilini meno agiati degli Istituti delle case popolari in confronto
di quello riservato dalla legge a tutti gli altri cittadini, rileva che
la norma impugnata, sovvertendo tutte le disposizioni di procedura
intese a garantire la difesa dell’individuo di fronte alla legge, pone
l’Istituto in una posizione di privilegio e di imperio non giustificata
dall’interesse pubblico da esso perseguito né compatibile con lo
spirito di libertà ed uguaglianza garantito dalla Costituzione.
In particolare circa il termine per proporre l’opposizione osserva
che mentre l’art. 641, comma secondo, del Codice di procedura civile
consente al giudice di ridurre tale termine fino a cinque giorni
“quando concorrano giusti motivi”, la norma impugnata, invece, sottrae
al magistrato ogni valutazione di questi motivi.
Se, infine, si tiene presente che l’art. 32, unificando le due
procedure di ingiunzione di pagamento e di sfratto annulla anche i
termini di esecuzione, la fondatezza della eccezione di
incostituzionalità di detto articolo per contrasto con gli artt. 3,
comma primo, e 24, commi secondo e terzo, della Costituzione apparirà
ancor più evidente.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nei giudizi
promossi con le ordinanze del conciliatore di Napoli e del pretore di
Salerno con deduzioni depositate in cancelleria rispettivamente il 24
gennaio ed il 18 settembre 1968.
Rileva l’Avvocatura nei suoi scritti difensivi che gli enti ed
istituti di edilizia economica e popolare non perseguono scopi di lucro
dovendo svolgere, a termini degli artt. 21 e 22 del testo unico n. 1165
del 1938, la propria attività a beneficio delle classi meno agiate
assegnatarie di alloggi i cui corrispettivi locatizi non possono
superare le somme strettamente necessarie per assicurare una gestione
degli immobili in pareggio.
Ora è evidente che ci si trova di fronte a situazioni
obiettivamente differenziate alle quali deve corrispondere un
trattamento diverso e specifico.
Lo speciale procedimento coattivo per la morosità dell’inquilino
disciplinato dall’art. 32 tende appunto ad assicurare il tempestivo
pagamento e recupero di pigioni senza alcun margine di lucro la cui
perdita porrebbe gli enti nell’impossibilità di funzionare per il
perseguimento di quegli scopi di interesse pubblico in vista dei quali
sono stati creati.
La rapida ed economica procedura prevista dalla disposizione
impugnata non viola quindi il principio di eguaglianza sia perché
trova una razionale giustificazione nelle anzidette ragioni di pubblico
interesse, sia perché si applica a tutti gli assegnatari di alloggi,
cioè a tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni.
Neppure sussiste ad avviso dell’Avvocatura, la denunciata violazione
dell’art. 24 della Costituzione. Il procedimento speciale di cui
all’art. 32 si differenzia da quello ordinario nella mancata previsione
di una ordinanza di convalida dello sfratto e nella diversità del
termine per proporre opposizione (cinque giorni anziché venti come
stabilito dall’art. 641 o dieci giorni come indicato dall’art. 482 Cod.
proc. civile). Questa diversità tuttavia non preclude né menoma la
esplicazione del diritto di difesa da parie dell’assegnatario moroso e
trova giustificazione nella ricordata esigenza di funzionamento degli
Istituti nell’interesse della collettività degli assegnatari. Anche il
ricorso all’istituto del gratuito patrocinio è da ritenersi
salvaguardato dato che per l’art. 25 della legge 30 dicembre 1923, n.
3282, l’ammissione a tale difesa può essere disposta provvisoriamente
in via d’urgenza.
Conclude pertanto l’Avvocatura chiedendo che la Corte voglia
dichiarare non fondata la questione proposta.
1. – Le ordinanze indicate in epigrafe propongono una identica
questione di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi
vengono riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – Secondo le ordinanze l’art. 32 del testo unico dell’edilizia
popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165,
sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto
che per lo sfratto per morosità di inquilini meno abbienti, quali sono
indubbiamente quelli delle case popolari, detta disposizioni diverse e
meno favorevoli di quelle stabilite dal Codice di rito per gli
inquilini morosi ancorché abbienti. Le più gravi ed ingiustificate
limitazioni consisterebbero: nell’aver disposto l’unificazione delle
due procedure di ingiunzione di pagamento e di sfratto, con conseguente
annullamento, in danno del debitore, dei termini di esecuzione; nella
mancata previsione di una ordinanza di convalida dello sfratto, che
viene invece ordinato dal giudice, senza la preventiva audizione
dell’interessato, con decreto steso in calce al ricorso del Presidente
dell’Istituto; ed infine nell’aver notevolmente ridotto i termini per
l’opposizione al decreto ingiuntivo e per il pagamento dei canoni
scaduti (rispettivamente 5 e 10 giorni anziché 20). Limitazioni queste
che violerebbero i principi di eguaglianza, della tutela
giurisdizionale e della difesa garantiti dalla Costituzione.
3. – Venendo all’esame dei rilievi formulati la Corte non ravvisa
alcun contrasto tra gli artt. 3 e 24 della Costituzione e le
disposizioni riguardanti l’unificazione delle procedure di ingiunzione
di pagamento e di sfratto e la conseguente mancanza di una ordinanza di
convalida. Tali particolarità, infatti, tendendo ad assicurare
all’Istituto una procedura più rapida per il recupero dei canoni
scaduti e per il rilascio dell’alloggio da parte dell’inquilino
inadempiente, si giustificano con la necessità di garantire il
perseguimento degli scopi di pubblico interesse dell’Istituto e non
comportano alcuna menomazione dei diritti di difesa e di tutela
giurisdizionale del soggetto privato.
È agevole dimostrare che non sussiste l’asserita identità di
situazione tra l’inquilino di una privata abitazione ed il
concessionario di un alloggio popolare sul piano del rapporto locativo
che li lega ai rispettivi proprietari dell’immobile. Nel primo caso ci
si trova in presenza di un proprietario privato che dall’investimento
di un capitale nell’acquisto di una casa e dalla locazione della stessa
si propone di realizzare un profitto come corrispettivo del capitale
impiegato, sicché il rapporto che si stabilisce con l’inquilino è di
natura esclusivamente privatistica. Nel secondo caso, invece,
proprietario dell’alloggio concesso in uso è un ente pubblico creato
dallo Stato per il soddisfacimento di un proprio fine che si identifica
con l’interesse e l’obbligo sociale di costruire appartamenti economici
da porre a disposizione delle categorie di cittadini meno abbienti e
più bisognosi. I canoni da questi corrisposti, determinati dagli
Istituti in base a precisi requisiti fissati dall’art. 21 del testo
unico, sono più modesti di quelli correnti sul mercato e non
equiparabili alla controprestazione in senso privatistico dato che
esula dagli Istituti in questione ogni finalità speculativa o di
lucro. Ovviamente la natura pubblicistica sia degli enti che della
funzione dai medesimi esplicata si ripercuote sul rapporto che si
instaura tra l’Istituto e l’assegnatario allorché l’alloggio del primo
viene concesso in uso al secondo, rapporto che, secondo la dominante
giurisprudenza, trae origine da un atto di assegnazione avente il
carattere della concessione amministrativa sebbene dalla stessa
scaturiscano poi diritti soggettivi a favore del privato.
Dal concorso degli indicati elementi è quindi agevole inferire che
il rapporto intercedente tra Istituti per le case popolari ed
assegnatari degli alloggi presenta peculiarità e caratteristiche
proprie, non riscontrabili nel comune rapporto di locazione, onde una
diversa disciplina dello sfratto per morosità appare obiettivamente
possibile e razionalmente giustificabile.
4. – Non altrettanto può dirsi in ordine ai termini fissati
dall’art. 32 del testo unico per l’opposizione al decreto ingiuntivo (5
giorni) e per il pagamento dei canoni scaduti (10 giorni), termini
notevolmente più brevi di quelli stabiliti dall’art. 641 del Codice di
rito per l’ordinario procedimento di ingiunzione.
La Corte ha già avuto occasione di affermare che la congruità di
un termine deve essere valutata tanto in rapporto all’interesse del
soggetto che ha l’onere di compiere un certo atto per salvaguardare i
propri diritti, quanto in relazione alla funzione assegnata
all’istituto nel sistema dell’intero ordinamento giuridico. Ha tuttavia
precisato che il diritto di difesa, al pari di ogni altro diritto
garantito dalla Costituzione, deve essere regolato in modo da
assicurarne la effettività. Orbene, facendo applicazione di tali
enunciazioni al caso di specie, è da rilevare che se è vero che le
finalità sociali cui attendono gli Istituti per le case popolari
valgono a legittimare un procedimento coattivo di più rapida
definizione, non è men vero che i termini assegnati dalla norma
denunciata per l’eventuale opposizione e per sanare la mora sono così
ristretti da rendere estremamente difficile la possibilità per
l’assegnatario dell’alloggio di approntare un’utile difesa.
Insufficienza di termini che apparrà ancor più evidente ove si ponga
mente sia alla circostanza che destinatari degli stessi sono soggetti
la cui tutela, in considerazione delle loro modeste possibilità
economiche, potrà rendere necessario il ricorso all’istituto del
gratuito patrocinio; sia all’estrema gravità della conseguenza che
discende dal loro inutile decorso – e che non può essere in nessun
caso evitata non essendo prevista l’opposizione tardiva – e cioè la
perdita dell’abitazione.
Va pertanto dichiarata l’incostituzionalità della norma impugnata
limitatamente a quelle parti in cui per l’opposizione e per
l’adempimento fissa gli anzidetti inadeguati termini in luogo di quelli
stabiliti dall’art. 641 del Codice di procedura civile per il comune
procedimento ingiuntivo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi terzo e settimo
dell’art. 32 del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare
ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, nelle parti in
cui per il pagamento dei canoni scaduti e per l’opposizione al decreto
ingiuntivo fissano termini diversi da quelli previsti dall’art. 641 del
Codice di procedura civile per l’ordinario procedimento ingiuntivo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, l’11 dicembre 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA –
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.