Sentenza N. 16 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
31/03/1965
Data deposito/pubblicazione
31/03/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/03/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI
CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE
BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof.
GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, modificati dalla legge 8 aprile 1948, n.
514, degli artt. 1 e 2 della legge 23 febbraio 1960, n. 131, e del D.
M. 19 febbraio 1962, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1964
dalla Commissione distrettuale delle imposte di Napoli su ricorso di
Spano’ Maria contro l’Ufficio distrettuale delle imposte di Napoli,
iscritta al n. 79 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 144 del 13 giugno 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 3 febbraio 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso d’un procedimento aperto dalla signora Maria Spano’
contro l’Ufficio distrettuale delle imposte di Napoli la Commissione
distrettuale delle imposte di Napoli ha emesso il 4 marzo 1964
ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale. Con questa ordinanza,
che è stata ritualmente pubblicata e notificata, si è promossa
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 23
febbraio 1960, n. 131 (e correlativamente del D. M. 19 febbraio 1962
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, n. 104 del 20 aprile 1962), in
riferimento agli artt. 23 e 76 della Costituzione, dell’art. 2 della
stessa legge in riferimento agli artt. 24, primo comma, 53 e 76 della
Costituzione e degli artt. 8 e 9 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652,
modificati dalla legge 8 aprile 1948, n. 514, in riferimento all’art.
53 della Costituzione.
La Commissione delle imposte mette in dubbio la legittimità
dell’art. 1 della legge 23 febbraio 1960, n. 131, che ha delegato al
potere esecutivo (Ministro delle finanze) il compito di aggiornare
annualmente le rendite catastali accertate in ossequio alle
disposizioni del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 (relativo al catasto
edilizio): la norma contrasterebbe con l’art. 23 della Costituzione,
secondo cui solo il potere legislativo può imporre prestazioni
personali e patrimoniali.
Quella delega inoltre non conterrebbe né l’indicazione di principi
e criteri direttivi per il Ministro né la limitazione temporale dei
poteri di quest’ultimo: perciò tanto il citato art. 1 quanto il
successivo art. 2 violerebbero l’art. 76 della Costituzione.
Lo stesso art. 2 e gli artt. 8 e 9 del R.D.L. 13 aprile 1939, n.
652 (modificati con legge 8 aprile 1948, n. 514) non rispetterebbero
il principio secondo cui la tassazione deve essere proporzionata alla
capacità contributiva del cittadino (art. 53 della Costituzione):
infatti avrebbero introdotto un criterio di tassazione obiettiva
riferita all’immobile in sé considerato invece di colpire il reddito
effettivamente prodotto dall’immobile e realmente percepito dal
contribuente.
Infine l’art. 2 della legge 1960, n. 131, contrasterebbe anche con
l’art. 24, primo comma, della Costituzione: esso prevede una facoltà
di ricorso per quei contribuenti il cui reddito lordo, ridotto del 25
per cento, sia inferiore, d’oltre un quinto, alla rendita catastale
aggiornata coi coefficienti stabiliti dal Ministro (per costoro il
reddito imponibile sarà quello accertato coi criteri introdotti dalla
legge 1951, n. 1219); ma la prevede per i possessori d’immobili a
fitto bloccato, e non per i possessori di immobili locati a fitto
libero; i quali ultimi, perciò, sarebbero privi di tutela, essendo
stato soppresso, col. D.L. del 1948, n. 514, il secondo comma
dell’art. 23 della legge del 1939, n. 652 che trattava tutti a un modo:
difatti in virtù di questo comma e dell’art. 24, che lo seguiva,
qualunque contribuente avrebbe potuto ricorrere, qualora gli uffici
distrettuali lo avessero tassato in base alla rendita catastale e non
avessero tenuto conto del suo reddito effettivo che risultasse
inferiore di almeno un quinto.
Se, abrogato questo comma, che attribuisce il diritto di ricorrere,
il legislatore ha lasciato fermo l’articolo seguente che disciplina
l’esercizio di tale diritto, segno è che si riprometteva di tornarvi
con norme integrative; ciò in effetti è avvenuto con la legge del
1951, n. 1219, che tuttavia la disposizione impugnata ha reso
applicabile soltanto ai possessori di immobili a fitto bloccato
rendendo privi di tutela tutti gli altri.
2. – Il Presidente del Consiglio è intervenuto, a mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 27 maggio
1964.
Sulla prima questione l’Avvocatura dello Stato richiama un
precedente in termini, la sentenza n. 48 del 1961. In particolare nega
che vi sia violazione dell’art. 76 della Costituzione: il
provvedimento, con cui il Ministro delle finanze aggiorna ogni anno la
rendita catastale, non è legge delegata, ma espressione di attività
amministrativa. Inoltre esso non è esercizio di potestà meramente
discrezionale, ma frutto d’un giudizio tecnico fondato, nello spirito
della legge, sull’individuazione di “mutamenti delle condizioni
economiche degli immobili”, cioè di “situazioni obiettivamente
rilevabili”: non per niente il Ministro è assistito dalla Commissione
censuaria centrale; perciò neanche l’art. 23 della Costituzione
sarebbe intaccato.
Anche la seconda questione avrebbe il suo precedente nella sentenza
di rigetto ricordata poco fa (n. 48 del 1961): il principio della
capacità contributiva non è offeso poiché l’aggiornamento delle
tariffe ha per base un reddito imponibile acquisito attraverso validi
mezzi di indagine e tiene conto di fenomeni di ordine generale che
influiscono su tutti i redditi del Paese.
Infondata sarebbe inoltre l’ultima questione. È vero, anche per
l’Avvocatura dello Stato, che la tariffa della rendita catastale non è
soggetta a ricorso (l’art. 13 della legge n. 652 del 1939 non vi si
riferisce); ma è indiscutibile che essa viene determinata su dati
obiettivi, per ogni singola categoria e classe di immobili, dagli
organi competenti, presso i quali il cittadino ha modo di farsi
sentire. Se poi solo i possessori di immobili soggetti al vincolo delle
locazioni possono ricorrere per una diversa determinazione del reddito
imponibile, ciò si spiega agevolmente: soltanto loro possono trovarsi
con un reddito effettivo sensibilmente inferiore alla rendita catastale
aggiornata. Né l’art. 24 della Costituzione né l’art. 3, se fosse
addotto, apparirebbero violati.
1. – L’art. 1 della legge 23 febbraio 1960, n. 131, conferisce al
Ministro delle finanze il compito di aggiornare le rendite catastali
urbane con un coefficiente da determinare anno per anno. Non si tratta
di delegazione dell’esercizio di potestà legislativa, come invece è
detto nell’ordinanza di rinvio, ma di attribuzione di competenza
amministrativa: il che si ricava da una serie di elementi univoci, come
la figura dell’organo al quale è stato conferito quel potere (si
tratta di un Ministro e non del Governo), la formula usata, nella
presunta legge di delegazione, per conferirglielo, la natura
eminentemente tecnica del compito da svolgere anno per anno, la stessa
assenza d’un sicuro limite di tempo. Perciò l’art. 76 della
Costituzione è stato male invocato dall’ordinanza di rinvio.
Secondo la norma impugnata, la rendita catastale, calcolata, per
categorie e classi di immobili urbani con riferimento ai redditi del
triennio 1937-39, si deve moltiplicare per un coefficiente che il
Ministro delle finanze non può stabilire a suo arbitrio. La legge
infatti parla di “aggiornamento” e con ciò delimita rigorosamente i
poteri dell’autorità amministrativa: dato che la tariffa della
rendita è stata determinata, per il catasto urbano, sulla media delle
pigioni al 1939 (artt. 14 e 15 del regolamento n. 1142 del 1949), il
Ministro dovrà registrare l’aumento delle pigioni intervenuto negli
anni successivi al ’39; deve raccogliere dati obiettivi e calcolarne le
medie per categorie e classi d’immobili, cioè svolgere un’opera che
non consente iniziative o risultati arbitrari. Perciò la riserva di
legge, contenuta nell’art. 23 della Costituzione, non è violata né
elusa (v. anche sentenza n. 48 del 1961 della Corte costituzionale).
2. – A parere della Commissione distrettuale di Napoli, il sistema
adottato dall’art. 2 della legge 1960, n. 131, e dagli artt. 8 e 9 del
R.D.L.13 aprile 1939, n. 652 (modificati con legge 11 agosto 1939, n.
1249), che disciplina il catasto edilizio urbano, violerebbe quel
principio costituzionale che esige una tassazione proporzionata alla
capacità contributiva del cittadino: infatti la rendita catastale,
che, calcolata in ossequio a quelle norme, è la base per la
determinazione del reddito imponibile, non corrisponde necessariamente
alla pigione realmente percepita dal singolo possessore dell’immobile;
pigione sulla quale invece, secondo l’ordinanza di rinvio, sarebbe
giusto che gravasse l’imposta immobiliare.
Anche questa censura è infondata.
La capacità contributiva non è rivelata soltanto dal reddito che
percepisce di fatto la persona gravata dal tributo. Quando oggetto
dell’imposta sia una cosa produttiva, la base per la tassazione è data
(e la capacità del contribuente è rivelata) dall’attitudine del bene
a produrre un reddito economico e non dal reddito che ne ricava il
possessore, dalla produttività e non dal prodotto reale: ed è giusto
che ciò avvenga perché l’imposta costituisce anche incentivo ad una
congrua utilizzazione del bene e favorisce tra l’altro un migliore
adempimento dei doveri di solidarietà economica e un più ampio
contributo al progresso materiale del Paese (artt. 3 e 4 della
Costituzione). La legge, che disciplina le imposte immobiliari non
indulge né può indulgere all’inerzia, all’incapacità di gestione,
alla liberalità del contribuente, che ad esempio non tragga adeguato
compenso dall’impiego del suo immobile. Perciò colpisce il possessore
(almeno se lo stabile è di quelli che hanno una “destinazione
ordinaria”, ad es. è una casa d’abitazione) non sopra il canone
effettivamente conseguito, ma su quello che, a parità di condizioni,
avrebbe potuto conseguire l’uomo medio (v. anche art. 74 del T.U.
sulle imposte dirette).
Per calcolare questa cifra il legislatore ha adottato un sistema
che potrà essere discusso o migliorato, ma che non è irragionevole ed
è certo più efficiente di quello già in vigore. In tutti i Comuni,
per ogni tipo (categoria e classe) di immobili urbani con destinazione
ordinaria, si è registrata la misura della pigione che ne ha tratto
realmente, nel 1937 – 39, un certo numero di possessori; se ne è
calcolata la media, la si è ridotta ad anno e (portata al netto dalle
spese) la si è divisa per il numero dei vani (o, a seconda dei casi,
dei metri quadri o dei metri cubi) dell’immobile tipo; così se ne è
ricavata una tariffa unitaria per vano (o per metro quadro o per metro
cubo). La rendita fondiaria, che gli uffici hanno iscritto sotto il
nome di ogni contribuente, corrisponde alla tariffa unitaria
moltiplicata per il numero dei vani (o dei metri quadri o dei metri
cubi) di cui si compone l’immobile posseduto da ciascuno.
Certo può accadere che in questo modo la rendita catastale segnata
per taluni contribuenti non coincida col reddito effettivamente
percepito da loro; ma già si è detto come ciò non contrasti con quel
principio di giustizia che deve presiedere all’imposizione fiscale e
che fa omaggio alla capacità contributiva di ciascuno.
Se poi questo reddito effettivamente conseguito dovesse discostarsi
largamente dalla cifra della rendita catastale, non è che il
contribuente si troverebbe del tutto privo di tutela: la legge
stabilisce che l’uscio distrettuale, dopo un triennio, solleciterà
presso l’ufficio tecnico erariale la correzione della cifra (art. 25
della legge del 1939, n. 652).
3. – L’aggiornamento delle rendite catastali, come s’è premesso,
è condotto con criteri più o meno analoghi a quelli seguiti per la
determinazione originaria della rendita (quella calcolata sul triennio
’37-’39). Perciò, se questa determinazione non contraddice al
principio della giustizia tributaria, non vi contrasta neanche
l’aggiornamento: il relativo coefficiente dà modo di calcolare con una
certa approssimazione i redditi che si sono potuti o si potevano
percepire dopo il ’39. Tale è la ragione per cui il contribuente non
può reclamare contro la misura della rendita unitaria aggiornata,
così come non ha potuto reclamare contro la misura della rendita
unitaria segnata nel catasto. Egli non ha tutela processuale proprio
perché non ha diritto alla riduzione di quella cifra; dimodoché
l’art. 24 della Costituzione non appare invocato a proposito.
Ci sono tuttavia molti possessori di immobili che per legge non
hanno potuto procedere agli aumenti della pigione col ritmo suggerito
dall’andamento del mercato.
Per costoro la cifra della rendita catastale calcolata
moltiplicando la rendita originaria per il coefficiente di
aggiornamento, sarebbe di regola sensibilmente più alta di quella che
corrisponde al reddito conseguito o conseguibile. Questo è l’ovvio
motivo per cui la legge li ammette al reclamo stabilendo che
l’imponibile sia quello accertato singolarmente coi criteri previsti
nelle leggi n. 1219 del 1951 e n. 1521 del 21 dicembre 1960 (art. 6).
L’art. 2 della legge del 1960 n. 131 non fa che riconoscere e tutelare
questa particolare situazione; cosicché appare esente da vizi di
legittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, proposta con l’ordinanza di cui
in epigrafe, sulla legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della
legge 23 febbraio 1960, n. 131; 8 e 9 della legge 8 aprile 1948, n.
514; 8 del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito in legge 11 agosto
1939, n. 1249, in riferimento agli artt. 23, 76, 53, primo comma, e 24,
primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – NICOLA JAEGER – GIOVANNI
CASSANDRO – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.