Sentenza N. 16 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
06/02/2002
Data deposito/pubblicazione
06/02/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
28/01/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
lettera c) e comma 2, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669
(Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile
a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997),
convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ordinanza
emessa il 30 ottobre 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di
Bologna sul ricorso proposto da SLIM S.p.a. contro la Direzione
regionale delle entrate per l’Emilia-Romagna, iscritta al n. 852 del
registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, 1ª serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione della SLIM S.p.a. nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2001 il giudice
relatore Franco Bile;
Uditi l’avvocato Gianni Marongiu per la SLIM S.p.a. e l’avvocato
dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
tributaria provinciale di Bologna, nel corso di un giudizio
instaurato, con ricorso del 10 dicembre 1998, dalla SLIM S.p.a.
avverso il silenzio rifiuto tenuto dall’Ufficio delle entrate di
Bologna su un’istanza di rimborso presentata il 3 dicembre 1997,
relativamente a somme versate a titolo di I.R.PE.G. e I.LO.R., ha
sollevato, in riferimento agli articoli 77 e 53 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera c), del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni
urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a
completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997) –
che ha modificato l’art. 69 del decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico
delle imposte sui redditi), avente ad oggetto il regime degli
ammortamenti per i beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di
una concessione – e dell’art. 1, comma 2, dello stesso decreto legge,
nella parte in cui prevede che la disposizione del comma 1, lettera
c), si applichi “a decorrere dal periodo di imposta in corso alla
data del 31 dicembre 1996”.
Riferisce l’ordinanza di rimessione che, con il ricorso
introduttivo del giudizio, la società ricorrente – sulla premessa
che anteriormente all’intervento del suddetto decreto legge, per i
beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una concessione erano
consentiti in via cumulativa due tipi di ammortamento, quello
tecnico, ai sensi degli articoli 67 e 68 del citato d.P.R. e quello
finanziario, regolato dall’art. 69, mentre il decreto legge li aveva
resi alternativi ed aveva disposto che il nuovo regime retroagisse al
1 gennaio 1996 e che, qualora l’ammontare delle quote di ammortamento
già dedotte nell’esercizio precedente fosse stato superiore al costo
dei beni, l’eccedenza dovesse concorrere a formare il reddito per il
periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 1996 – aveva
dedotto d’aver subito, in conseguenza della modifica legislativa, un
aggravio di I.R.PE.F. ed I.LO.R. di lire 1.308.413.391. Di tale
importo aveva inutilmente richiesto il rimborso alla Direzione
regionale delle entrate di Bologna, sul rilievo del contrasto della
normativa con gli articoli 77 e 53 della Costituzione. Essendosi
formato il silenzio rifiuto, la ricorrente aveva proposto il ricorso,
chiedendo che fosse sollevata la questione di legittimità
costituzionale suesposta e nel merito che, una volta accolta la
stessa, l’amministrazione finanziaria fosse condannata al rimborso
della suddetta somma, con gli interessi. L’ufficio non si costituiva
in giudizio.
2. – Dopo questi cenni sulla vicenda oggetto del giudizio, la
rimettente rileva che la nuova disciplina degli ammortamenti in
discorso sarebbe stata introdotta a distanza di oltre un decennio da
quella originaria e che il legislatore “ha fatto retroagire il nuovo
regime di deducibilità fiscale degli ammortamenti” al 1 gennaio
1996, “sicché le imprese, che avevano iniziato il periodo d’imposta
con la disciplina previgente, si sono trovate all’ultimo a dover fare
i conti con una normativa completamente diversa e con un carico
fiscale assai più gravoso”. Peraltro, la concorrente deducibilità
delle due tipologie di quote di ammortamento era prevista già
dall’art. 70 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle
persone fisiche), applicabile anche all’I.R.PE.G., in forza del
richiamo di cui all’art. 5 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 598 (Istituzione e disciplina
dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche), e rispondeva
all’esigenza di sottrarre a tassazione quanto il concessionario
complessivamente sborsi per acquistare e mantenere cose destinate al
concedente.
Il decreto legge n. 669 del 1996 avrebbe, invece, disciplinato la
materia in modo completamente diverso negando la possibilità del
cumulo, esistente fino al 1996, e la modifica del regime precedente
non si inserirebbe in un contesto di completamento della normativa
vigente in materia, ma avrebbe avuto carattere completamente
innovativo, ispirandosi a criteri totalmente diversi da quello su cui
era basata la precedente legislazione.
Sarebbero stati violati in tal modo gli articoli 77 e 53 della
Costituzione.
La prima norma sarebbe vulnerata, in quanto non sarebbe stato
rispettato il presupposto di costituzionalità della decretazione
d’urgenza, costituito dalla ricorrenza dei presupposti straordinari
della necessità e dell’urgenza. Ciò, sia per il fatto che si
sarebbe intervenuti su una normativa esistente da tempo
nell’ordinamento, sia per il fatto che non sarebbe stato sussistente
il presupposto giustificativo della straordinarietà, atteso che il
decreto legge n. 669 del 1996 obbediva solo all’esigenza di
completamento della manovra di finanza pubblica per il 1997, come si
desumerebbe dal suo preambolo. A sostegno della censura vengono
richiamati i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 29
del 1995.
La violazione dell’art. 53 della Costituzione viene argomentata
previa invocazione – in via peraltro esemplificativa – dei principi
affermati da questa Corte nella sentenza n. 390 del 1995 (adducendosi
che con essa sarebbero stati fissati dei limiti alla possibilità di
estendere retroattivamente l’ambito di applicazione di una legge e
segnatamente quello dell’affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica) e nella sentenza n. 315 del 1994 (adducendosi che con essa
la Corte ha fondato il riconoscimento della legittimità del
carattere retroattivo di una legge sulla prevedibilità dell’imposta,
desumibile dal completamento sul piano legislativo della disciplina
di una determinata materia). Nella specie, tali principi
apparirebbero violati, sì che ne sarebbe evidenziata la non
manifesta infondatezza della sollevata questione, in quanto la
tassabilità degli ammortamenti finanziari soltanto in alternativa a
quelli tecnici sarebbe stata del tutto imprevedibile – dato che il
precedente regime di cumulo era rimasto in vigore per oltre un
ventennio – ed inoltre avrebbe frustrato in modo del tutto
inaspettato l’affidamento del contribuente nella sicurezza giuridica,
giacché avrebbe colpito con effetto retroattivo una situazione non
ritenuta in precedenza espressione di capacità contributiva ed
accentuato il carico fiscale gravante sulle imprese.
In particolare, all’inizio del 1996 non sarebbe stato
assolutamente prevedibile che gli ammortamenti sarebbero stati
regolati in futuro in modo diverso e per tale ragione sarebbe violato
il principio della certezza del diritto.
In punto di rilevanza della questione, la rimettente osserva che
la decisione della questione condiziona la decisione del giudizio,
poiché la domanda di rimborso potrebbe esser accolta solo qualora
essa risulti fondata.
3. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, che ha
depositato una prima memoria, nella quale ha sostenuto che la
questione non sarebbe fondata. In particolare, sarebbe fuori luogo
l’invocazione del parametro dell’art. 53 Cost., giacché la nuova
regola di alternatività degli ammortamenti, in quanto applicata al
periodo d’imposta in corso al momento dell’emanazione della norma,
non avrebbe valenza retroattiva nemmeno con riferimento alle imprese
il cui esercizio coincide con l’anno solare, non incidendo su periodi
di imposta già definiti, ma assumendo come riferimento la
composizione del reddito relativo all’esercizio in corso e, quindi,
la capacità contributiva attuale a questo relativa. D’altro canto,
l’inserimento della disciplina denunciata in un decreto legge
discenderebbe “dall’esigenza, nel completamento della manovra di
finanza pubblica per l’anno 1997 (concernente entrate per tale anno),
di procedere entro il 1996 alla razionalizzazione della regola
sull’ammortamento per avere riguardo a situazioni di imponibilità
attuale suscettibili di produrre entrate nell’anno successivo”.
Nell’imminenza dell’udienza, l’Avvocatura ha depositato una
memoria illustrativa, nella quale, dopo avere rilevato che la censura
relativa all’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legge n. 669
del 1996 “risulta parametrata al solo art. 77 Cost.”, assume che
quella relativa al comma 2 dello stesso art. 1 sarebbe da riferire
alla sola previsione, da parte di tale norma, dell’applicabilità
della nuova norma di cui alla lettera c) al periodo di imposta in
corso alla data del 31 dicembre 1996 e non anche a quella parte della
norma che disciplina la situazione delle imprese che hanno dedotto
cumulativamente gli ammortamenti negli esercizi anteriori al 1996.
Tanto si evincerebbe perché l’ordinanza non avrebbe in linea di
fatto ed ai fini del giudizio di rilevanza affermato che la parte
ricorrente aveva maturato un’eccedenza, in ragione del cumulo degli
ammortamenti anteriori al 1996 ed aveva, dunque, dovuto farla
concorrere alla formazione del reddito imponibile per il 1996.
D’altro canto, il rimborso richiesto da detta parte non implicava che
parte di esso si riferisse a tale eccedenza.
Nel merito, la censura ex art. 77 viene contestata, rilevando che
il decreto legge n. 669 del 1996 risulta specificamente finalizzato
all’emanazione di disposizioni integrative della manovra di finanza
pubblica per il 1997, di cui alla legge n. 662 del 1996, in funzione
degli adempimenti necessari a far rientrare i conti pubblici nei
parametri dei commi 194 e 211 dell’art. 3 del Trattato di Maastricht.
Onde, l’intervento di cui trattasi sarebbe stato giustificato
dall’urgenza di riequilibrare le finanze pubbliche e contenere il
disavanzo. Soltanto il decreto legge poteva essere utilizzato
all’uopo come strumento e, poiché era prevedibile l’adozione di
misure finanziarie in tal senso e sarebbe incontestabile la “coerenza
tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e le
disposizioni espresse dalle norme censurate”, sarebbe fuor di luogo
parlare nella specie dell’evidente mancanza dei presupposti
dell’art. 77 della Costituzione.
Si deduce, quindi, che non sarebbe fondata nemmeno la censura ex
art. 53 Cost., in quanto la norma denunciata non solo troverebbe
applicazione iniziale in relazione all’anno 1996, che era ancora in
corso quando essa intervenne, ma sarebbe anche intrinsecamente
giustificata sul piano della ragionevolezza, raccordandosi ad una
capacità contributiva attuale. Si sottolinea all’uopo – pur
ribadendosi l’eccezione circa i limiti in cui sarebbe stata sollevata
la questione – che l’eccedenza del cumulo degli ammortamenti
effettuato fino al 1995, rispetto al costo dei beni, sarebbe concorsa
comunque a formare il reddito imponibile del periodo di imposta
ancora in corso al 31 dicembre 1996, “configurandosi come una
sopravvenienza attiva del tutto analoga a quella già contemplata dal
comma 4 dell’art. 69 del T.U. n. 817/1986, abrogato dallo stesso
art. 1, comma 1, lettera c) (punto 3), del decreto legge
n. 669/1996”. La disciplina anteriore alla norma impugnata si sarebbe
concretata, infatti, nella possibilità di cumulare nel periodo della
concessione i due tipi di ammortamenti oltre il costo dei beni
soltanto momentaneamente, prevedendo il comma 4 dell’art. 69 che
nell’esercizio in cui avveniva la devoluzione l’eccedenza rispetto al
costo concorresse alla formazione del reddito. Si assume, infine, che
rientrava nella discrezionalità del legislatore “prevedere una
disciplina fiscale diversa per periodi d’imposta diversi,
razionalizzando il regime delle deduzioni”.
4. – Si è costituita, depositando memoria, la parte ricorrente
del giudizio a quo, che, preliminarmente, richiamando la vicenda in
fatto e la prospettazione assunta nel ricorso introduttivo del
giudizio, ha precisato:
a) di avere, fino all’esercizio 1995, calcolato
cumulativamente le due tipologie di ammortamento;
b) di avere dovuto – in ragione dell’intervento della
normativa impugnata ed al fine di evitare sanzioni – indicare, nella
dichiarazione di cui al modello 760/97, tra le variazioni in aumento
un’eccedenza di lire 2.459.424.000, che avrebbe determinato
l’aggravio dell’importo di I.R.PE.G. ed I.LO.R., oggetto della
richiesta di rimborso.
Ha, quindi, ricordato la situazione normativa precedente alle
disposizioni impugnate, osservando che queste ultime hanno
determinato un peggioramento per le aziende operanti nel settore
della gestione dei servizi pubblici, utilizzanti beni in concessione
devolvibili gratuitamente al termine della concessione stessa.
L’ammontare complessivo degli ammortamenti economico-tecnici e degli
ammortamenti finanziari, ad avviso della deducente, deve essere
idoneo – come sarebbe stato secondo la vecchia disciplina e quella
antecedente vigente almeno dalla riforma tributaria del 1973 – “a
consentire gli interventi di sostituzione e di manutenzione necessari
per operare la gestione in condizioni di sicurezza ed efficienza,
nonché per adempiere all’obbligo di devolvere alla scadenza i beni
stessi in buono stato d’uso”, nonché a permettere alle imprese di
procedere nel corso della durata della concessione alla
“ricostituzione finanziaria” del valore dei beni che dovranno essere
devoluti poi gratuitamente. A tal fine si rende necessario costituire
un fondo atto a dare copertura, alla scadenza della concessione, alla
perdita derivante dall’eliminazione, senza contropartita, del residuo
dei beni devolvendi.
Tali esigenze sarebbero state ignorate dalla modifica legislativa
del 1996, che, operando con riguardo ad investimenti già sostenuti
in passato, avrebbe alterato l’equilibrata gestione di rapporti
concessori già in essere.
Questa alterazione si sarebbe verificata sotto più profili e
ciò sia perché il secondo comma dell’art. 1 del decreto legge
n. 669 del 1996 ha disposto l’applicazione delle nuove disposizioni
non per il futuro, cioè dal 1 gennaio 1997, ma per il periodo di
imposta in corso alla data del 31 dicembre 1996, sia perché lo
stesso secondo comma detta una disciplina transitoria per i soggetti
che hanno effettuato il cumulo dei due tipi di ammortamento per gli
esercizi precedenti, stabilendo che, qualora l’ammontare degli
ammortamenti complessivi in relazione ad essi già dedotti ecceda il
costo dei beni, l’eccedenza debba sottoporsi a tassazione con
riguardo al periodo di imposta 1996.
La memoria passa, quindi, ad illustrare argomenti a sostegno
delle due censure di incostituzionalità. In primo luogo, rileva che
questa Corte, dopo avere per anni ritenuto che la conversione in
legge del decreto legge faceva considerare superate le censure contro
il decreto stesso, avrebbe cambiato tale orientamento nella sentenza
n. 29 del 1995, sostenendo la sindacabilità dell’esistenza dei
presupposti della decretazione d’urgenza anche dopo la conversione.
In proposito, si rileva che, nel caso di specie, non sarebbe
esistita alcuna situazione di fatto “che spingesse, in presenza di
una emergenza, alla modificazione della specifica normativa” sugli
ammortamenti e nemmeno “un’esigenza di maggiore giustizia o
di maggiore equità”, tanto che la nuova normativa si sarebbe
tradotta in “un appesantimento dei conti economici dei soggetti
interessati”. L’unica ragione che avrebbe indotto il legislatore a
mutare la vecchia disciplina sarebbe stata un’esigenza di cassa “e
quindi di un gettito da acquisire in tempi brevissimi”. Lo
rivelerebbe la relazione di accompagnamento del disegno di
conversione del decreto legge, della quale viene citato il passo che
individua il recupero di gettito per gli anni 1997, 1998 e 1999. Si
adduce che un’esigenza di cassa in materia fiscale non sarebbe né
oggettivamente eccezionale, né oggettivamente imprevedibile, in
quanto “che il fisco abbia bisogno di risorse [sarebbe] la regola (e
non l’eccezione) prevedibilissima”. E “se fosse sufficiente una
generica necessità di risorse, essa tutto giustificherebbe e tutto
potrebbe essere innovato, nel settore fiscale, per decreto legge onde
questo strumento normativo, lungi dall’essere eccezionale,
diventerebbe l’unico utilizzabile e utilizzato”.
Quanto alla censura ex art. 53 Cost., si richiama giurisprudenza
di questa Corte, dalla quale emergerebbe che andrebbe indagato caso
per caso se una norma tributaria retroattiva violi il principio della
capacità contributiva e, sul rilievo che la norma avrebbe inciso su
un periodo di imposta nel quale per 364 giorni era stata vigente la
precedente disciplina ed anche per i periodi di imposta anteriori al
1996, si sostiene che sarebbe stato violato il principio
dell’affidamento del cittadino data l’imprevedibilità della nuova
disciplina, all’uopo invocandosi le sentenze di questa Corte n. 390
del 1995 e n. 315 del 1994.
Nell’imminenza dell’udienza pubblica la parte ha, altresì,
depositato una memoria illustrativa, nella quale, in ordine alla
censura ex art. 77 Cost., si richiama anzitutto l’evoluzione della
giurisprudenza di questa Corte in ordine alla sindacabilità degli
eccessi della decretazione d’urgenza e, quindi, si ripropongono e si
sviluppano ulteriormente gli argomenti della prima memoria.
di un giudizio concernente il mancato accoglimento dell’istanza di
rimborso di somme versate da una società a titolo di I.R.PE.G. ed
I.LO.R., ha sollevato – in riferimento agli articoli 77 e 53 della
Costituzione – questione di legittimità costituzionale del comma 1,
lettera c) e del comma 2 dell’art. 1 del decreto legge 31 dicembre
1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria
e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per
l’anno 1997), convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30.
Il comma 1, lettera c), è stato impugnato nella parte in cui –
modificando l’art. 69 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) – ha
eliminato la possibilità di cumulare, per i beni gratuitamente
devolvibili alla scadenza di una concessione, l’ammortamento tecnico
previsto dagli articoli 67 e 68 dello stesso decreto ed un ulteriore
ammortamento definito finanziario, stabilendo invece l’alternatività
fra le due specie di ammortamento.
Il comma 2 è stato impugnato nella parte in cui prevede che la
disposizione appena ricordata si applica “a decorrere dal periodo di
imposta in corso alla data del 31 dicembre 1996” e dispone che, per
le imprese che negli esercizi precedenti hanno dedotto quote di
ammortamento finanziario in aggiunta a quote di ammortamento tecnico,
“si considera già ammortizzato l’ammontare delle quote
complessivamente dedotte” e “se tale ammontare supera il costo dei
beni l’eccedenza concorre a formare il reddito del predetto periodo
di imposta”.
La violazione dell’art. 77 della Costituzione è ravvisata sotto
il profilo che il decreto legge n. 669 del 1996 – intervenuto su una
normativa vigente da tempo, al solo fine di completare la manovra di
finanza pubblica per il 1997, come risulta dal suo stesso preambolo –
sarebbe stato emanato in difetto del presupposto di costituzionalità
costituito dalla straordinaria necessità ed urgenza.
La violazione dell’art. 53 della Costituzione è invece
argomentata – sulla premessa della natura retroattiva dell’impugnato
art. 1, comma 2 – con il richiamo ai principi affermati da questa
Corte, secondo cui la retroattività di una legge incontra il limite
dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e deve tener
conto della prevedibilità della disciplina che ne deriva. Nella
specie, questi principi sarebbero stati violati dalla totale
imprevedibilità dell’introduzione dell’alternativa tra ammortamenti
finanziari ed ammortamenti tecnici, in sostituzione del precedente
regime di cumulo rimasto in vigore per oltre un ventennio, e inoltre
dalla lesione dell’affidamento del contribuente nella sicurezza
giuridica, per il retroattivo assoggettamento ad imposta di
situazioni non ritenute in precedenza espressioni di capacità
contributiva, e dall’accentuazione del carico fiscale sulle imprese.
2. – La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
che la censura di violazione dell’art. 53 della Costituzione riguardi
l’art. 1, comma 2, del decreto legge n. 669 del 1996 solo nella parte
in cui la norma prevede l’applicabilità del nuovo regime di
alternatività fra ammortamenti tecnici e finanziari “a decorrere dal
periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 1996”, e non
anche nella rimanente parte secondo cui, ove negli esercizi
precedenti siano state calcolate quote di ammortamento tanto
finanziario che tecnico, “si considera già ammortizzato l’ammontare
delle quote complessivamente dedotte” e “se tale ammontare supera il
costo dei beni l’eccedenza concorre a formare il reddito del predetto
periodo di imposta”.
L’eccezione è infondata. La questione investe la complessiva
previsione della norma, come rivela la formulazione della domanda di
rimborso proposta nel giudizio a quo, la quale (come riferisce la
stessa ordinanza) concerneva non soltanto le somme versate nel 1996
in applicazione della nuova regola dell’alternatività degli
ammortamenti, ma anche il versamento della parte di imposta riferita
all’inerenza al reddito del 1996 dell’eccedenza derivante dalla
precedente deduzione cumulativa.
3. – Entrambe le questioni prospettate dal resistente non sono
fondate.
4. – Per quanto concerne la censura di violazione dell’art. 77
Cost., secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il
sindacato sull’esistenza e sull’adeguatezza dei presupposti della
necessità e dell’urgenza che legittimano il Governo ad emanare
decreti legge, può essere esercitato – a prescindere dai problemi
relativi all’identificazione dei suoi limiti – solo in caso di
“evidente mancanza” dei requisiti stessi (sentenze n. 29 e n. 161 del
1995, n. 330 del 1996, n. 398 del 1998, nonché ordinanze n. 432 del
1996 e n. 90 del 1997).
In contrasto con tale orientamento, il giudice rimettente ha
omesso del tutto di motivare sul punto che, nella specie, i
presupposti della decretazione d’urgenza mancano in modo “evidente” e
si limita a richiamare, a prova del loro difetto, il collegamento
della norma impugnata con la manovra di finanza pubblica per il 1997.
Ma – a parte l’opinabilità della tesi del generale difetto di
straordinaria necessità e urgenza da cui sarebbero affetti tutti i
decreti legge miranti a completare manovre di finanza pubblica – il
carattere straordinario della situazione cui si è riferita la
manovra finanziaria disposta alla fine del 1996, per adeguare i conti
pubblici ai parametri previsti dal Trattato di Maastricht, è già
stato posto in rilievo da questa Corte (ordinanza n. 341 del 2000,
sentenza n. 155 del 2001). E, considerata l’importanza di tale
adeguamento, non può dirsi che la straordinaria necessità e urgenza
richiesta dall’art. 77 della Costituzione manchi in modo evidente,
onde la questione è infondata.
5. – La censura di violazione dell’art. 53 della Costituzione è
formulata – sul presupposto della pretesa retroattività
dell’impugnato art. 1, comma 2, del decreto legge n. 669 del 1996 –
sotto il profilo di un assoggettamento a tassazione disposto sulla
base di capacità contributiva riferita al passato.
La questione non è fondata, per erroneità del presupposto
interpretativo.
L’erroneità riguarda anzitutto il profilo di censura concernente
la parte della norma relativa alla decorrenza del regime di
alternatività degli ammortamenti dal 1 gennaio 1996: poiché infatti
questo regime è intervenuto quando l’anno finanziario 1996 era
ancora in corso, ne consegue che il legislatore, disciplinando
l’imposizione tributaria per tale anno, ha fatto riferimento ad una
capacità contributiva attuale e non passata (ordinanza n. 341 del
2000).
6. – Altrettanto deve dirsi per la parte della norma secondo cui
l’eccedenza rispetto al costo dei beni, risultante dall’applicazione
del sistema del cumulo delle due tipologie di ammortamento ammesso
dal vecchio regime, concorre alla formazione del reddito per il 1996.
Neppure questa previsione normativa ha efficacia retroattiva, perché
assume come oggetto di imposizione un reddito esistente al momento
della propria entrata in vigore.
L’ammortamento finanziario – prima cumulabile con l’ammortamento
tecnico, ed oggi alternativo ad esso – è stato sovente considerato
come una vera e propria agevolazione tributaria, rivolta non tanto
all’effettivo ammortamento di costi relativi a beni oggetto di
concessione, quanto piuttosto ad alleggerire il carico fiscale sui
concessionari; onde le quote annuali di ammortamento finanziario
dedotte nel corso della concessione sono state considerate quote di
utili esenti da imposta.
Tale qualificazione dell’ammortamento finanziario era avvalorata,
sul piano normativo, dall’art. 69, comma 4, del d.P.R. n. 917 del
1986 (soppresso dall’art. 1, comma 1, lettera c) n. 3 del decreto
legge n. 669 del 1996), secondo cui “l’eventuale differenza tra
l’ammontare complessivo delle quote di ammortamento finanziario
dedotte durante la concessione e il costo non ammortizzato ai sensi
degli articoli 67 e 68 concorre a formare il reddito …
nell’esercizio in cui avviene la devoluzione”.
Infatti, l’eventualità che, scaduta la concessione, le quote di
ammortamento finanziario potessero superare il costo dei beni non
ammortizzato con l’ammortamento tecnico, rivela la totale estraneità
dell’ammortamento finanziario alle finalità tipiche
dell’ammortamento; e, nel contempo, la qualificazione normativa della
differenza come reddito discende dal rilievo che, limitatamente ad
essa, l’ammortamento finanziario aveva consentito al concessionario
di accantonare un utile, e che ad esso potevano attribuirsi i
caratteri tipici di sopravvenienza attiva nell’esercizio in cui
avveniva la devoluzione.
In questa prospettiva, la differenza tra le quote di ammortamento
finanziario accantonate fino al 31 dicembre 1995 e il costo dei beni
non ammortizzato con ammortamento tecnico ben poteva, una volta
soppressa l’agevolazione a decorrere dall’esercizio 1996, essere
considerata dal legislatore come idoneo indice di capacità
contributiva per quell’esercizio.
In conseguenza – correlandosi la scelta legislativa ad una
capacità contributiva attuale e non passata – deve escludersi che la
norma abbia portata retroattiva.
7. – L’ordinanza di rimessione evoca il parametro dell’art. 53
della Costituzione anche sotto il diverso profilo che l’inopinata
soppressione del regime del cumulo, risalente nel tempo, e la sua
sostituzione con la nuova regola dell’alternatività avrebbero leso
l’affidamento dei contribuenti.
Ma questa Corte ha più volte sottolineato come il principio
sancito dall’art. 53 della Costituzione abbia un carattere oggettivo,
in quanto si riferisce ad indici concretamente rivelatori di
ricchezza e non già a stati soggettivi di affidamento del
contribuente, se del caso rilevanti ai fini del diverso – ma non
richiamato – parametro costituzionale della ragionevolezza (sentenza
n. 229 del 1999; in precedenza sentenza n. 143 del 1982 e ordinanza
n. 542 del 1987).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1, lettera c), e comma 2, del decreto legge
31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria,
finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza
pubblica per l’anno 1997), convertito in legge 28 febbraio 1997,
n. 30, sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna,
in riferimento agli articoli 77 e 53 della Costituzione, con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Bile
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola