Sentenza N. 160 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
18/11/1970
Data deposito/pubblicazione
18/11/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/11/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
b, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (testo unico delle leggi sulle
imposte dirette), promosso con ordinanza emessa il 23 dicembre 1968 dal
tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra
l’Amministrazione delle finanze dello Stato e Bardellini Francesco,
iscritta al n. 174 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell’11 giugno 1969.
Visto l’atto di costituzione dell’Amministrazione delle finanze
dello Stato;
udito nell’udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore
Angelo De Marco;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas,
per l’Amministrazione finanziaria.
Nella dichiarazione dei redditi prodotta nell’anno 1962, presentata
all’ufficio distrettuale delle imposte di Sarzana, il dott. Francesco
Bardellini, nell’elenco delle detrazioni, ai fini dell’imposta
complementare progressiva, esponeva, fra l’altro, la somma di lire
2.762.000, corrispondente al rateo della imposta di successione,
corrisposto nell’anno 1962, per una eredità a favore della moglie
convivente.
L’ufficio delle imposte non ammetteva la chiesta detrazione,
richiamandosi all’art. 136, lett. b, del testo unico delle leggi sulle
imposte dirette, approvato con D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645,
riprodotto testualmente dall’art. 5 della legge 4 dicembre 1962, n.
1682, in forza del quale sono detraibili: “b) le imposte afferenti i
redditi singolarmente o nel loro complesso, ad esclusione della imposta
complementare, iscritte nei ruoli la cui riscossione ha inizio
nell’anno ovvero pagate per ritenuta nel corso dello stesso;”.
La questione veniva dibattuta davanti alle commissioni tributarie e
veniva, in quelle sedi, definitivamente risolta con la decisione 22
febbraio 1966 della Commissione centrale, che respingeva la tesi
dell’ufficio.
L’Amministrazione delle finanze non si acquietava a tale decisione
e conveniva il dott. Bardellini davanti al tribunale di Genova,
perché sentisse dichiarare legittima l’esclusione della detrazione
suddetta, con la conseguente condanna nelle spese.
Il tribunale adito, con ordinanza 23 dicembre 1968, accogliendo
analoga istanza del patrocinio del Bardellini, dichiarava rilevante e
non manifestamente infondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 136, lett. b, del T.U. approvato con D.P.R.
29 gennaio 1958, n. 645, in relazione agli artt. 76 (eccesso rispetto
alla delegazione contenuta nell’art. 73 della legge 5 gennaio 1956, n.
1) e 53 della Costituzione, nella parte in cui tra gli oneri detraibili
nell’accertamento della imposta complementare, non comprende l’imposta
di successione.
Precisato che la pretesa tributaria in causa, siccome relativa a
redditi realizzati nel 1962, cade sotto l’imperio del T.U. del 1958,
essendo da escludere che la legge 4 dicembre 1962, n. 1682, nel
riprodurre nell’art. 5 la lettera b dell’art. 136 di detto T.U. abbia
valore meramente interpretativo della legislazione preesistente, il
tribunale rilevava che:
a) per quanto ampia possa considerarsi la delegazione contenuta
nell’art. 63 della legge 5 gennaio 1956, n. 1, non può ammettersi che
si estenda fino al punto di consentire al Governo di modificare,
approvandola, l’obbligazione tributaria già stabilita in base al
sistema accolto dalla legislazione precedente e che nella specie
l’aggravamento è innegabile, in quanto l’art. 8, n. 2, del R.D. 30
dicembre 1923, n. 3062, istitutivo della imposta complementare
progressiva sul reddito, indica come detraibili “le imposte e tasse di
ogni specie”;
b) comunque, anche se l’eccesso di delega, in ipotesi, non
sussistesse, dovrebbe riconoscersi la non manifesta infondatezza della
questione relativa al contrasto dell’art. 136, lett. b, del T.U., con
l’art. 53 della Costituzione specialmente se, per capacità
contributiva, s’intende come appare corretto, la disponibilità attuale
di reddito nella sua fase di erogazione e non di produzione.
Dopo gli adempimenti di legge, le questioni come sopra prospettate
vengono ora alla cognizione della Corte.
Nel giudizio si è costituita l’Amministrazione delle finanze dello
Stato, rappresentata dall’Avvocatura generale dello Stato che, con la
memoria di costituzione, riconosce fondata la questione di eccesso di
delega, mentre contesta la fondatezza della subordinata questione di
contrasto con l’art. 53 della Costituzione, negando l’esattezza della
distinzione, ai fini del giudizio, tra fase di erogazione e fase di
produzione del reddito.
La parte privata non si è costituita.
La questione sottoposta all’esame della Corte ha per oggetto
soltanto la legittimità costituzionale dell’art. 136, lett. b, del
testo unico emanato, in forza della delegazione contenuta nell’art. 63
della legge 5 gennaio 1956, n. 1, con decreto del Presidente della
Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645, ancorché la disposizione
contenuta nel citato articolo del testo unico sia stata testualmente
riprodotta dall’art. 5, lettera b, della legge 4 dicembre 1962, n.
1682, dato che il giudice a quo ha negato la rilevanza di questa ultima
legge, ai fini della soluzione della controversia che era chiamato a
decidere.
Come si è esposto in narrativa, la illegittimità costituzionale
dell’art. 136, lettera b, del T.U. approvato con decreto del
Presidente della Repubblica n. 645 del 1958, viene prospettata sotto un
duplice profilo: a) in via principale, per contrasto con l’art. 76
della Costituzione, per eccesso di delega; b) in via subordinata, per
contrasto con l’art. 53 della Costituzione se, per capacità
contributiva, si intende la disponibilità attuale di reddito nella sua
fase di erogazione e non di produzione.
Sotto il profilo principale dell’eccesso di delega, sia pure agli
effetti della detrazione di altra imposta (straordinaria sul
patrimonio), la questione è già stata ritenuta fondata da questa
Corte con sentenza n. 135 del 1967, in base a considerazioni che
valgono anche per quanto attiene alla diversa imposta (successione) la
cui detrazione è stata contestata dall’amministrazione finanziaria nel
giudizio a quo; considerazioni, sulla fondatezza delle quali, nel
giudizio attuale, non solo non è stato addotto alcun valido argomento
contrario, ma si è avuto, anzi, il riconoscimento da parte della
stessa Avvocatura generale dello Stato.
Infatti, per quanto ampia possa ritenersi la delegazione di cui
all’art. 63 della legge n. 1 del 1956, l’eccesso risulta chiaramente
dal semplice confronto tra il n. 2 dell’art 8 del regio decreto
legislativo 30 dicembre 1923, n. 3062, istitutivo dell’imposta
complementare, e l’impugnato art. 136, lettera b, del T.U. del 1958.
Il n. 2 dell’art. 8 ammette in detrazione “Le imposte e tasse di
ogni specie”; l’art. 136, lettera b, del T.U., “Le imposte afferenti i
redditi, singolarmente o nel loro complesso… iscritte nei ruoli la
cui riscossione ha inizio nell’anno ovvero pagate per ritenuta nel
corso dello stesso”.
A parte il rilievo circa la difficoltà di identificazione delle
“imposte afferenti i redditi” di cui all’art. 136, lettera b, appare
subito chiaro che in base a quest’ultima norma, in contrasto e
conseguente aggravamento della posizione del contribuente rispetto
all’art. 8, n. 2, del decreto istitutivo dell’imposta, anziché “le
imposte e tasse di ogni specie” sono ammesse in detrazione soltanto le
imposte “afferenti i redditi” riscuotibili per ruoli o per ritenuta,
con evidente esclusione delle tasse e delle imposte indirette.
Il che è tanto più significativo, in quanto prima dell’emanazione
del T.U. del 1958, non soltanto le Commissioni tributarie, ma anche la
Suprema Corte di cassazione, hanno costantemente affermato essere
contrastanti con la lettera del ripetuto art. 8, n. 2, e soprattutto
con la stessa natura funzionale della imposta complementare, tutti i
tentativi dell’Amministrazione di attenuare, in via interpretativa,
l’ampia portata del ripetuto art. 8, n. 2.
Ne consegue che sotto il profilo dell’eccesso di delega la
questione risulta fondata non solamente in riferimento alla imposta
(successione) che ha dato origine al giudizio a quo, ma anche in
riferimento alle altre imposte e tasse di ogni specie contemplate
dall’art. 8, n. 2, della legge istitutiva della imposta complementare;
cosicché si deve estendere la dichiarazione di illegittimità, in
applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, a tutta la
lettera b dell’art. 136 del T.U. n. 645 del 1958, con l’effetto
dell’integrale ripristino del n. 2 dell’art. 8 esaminato.
Peraltro, anche se dedotto soltanto in via subordinata, non sembra
inutile rilevare che sotto il profilo del contrasto con l’art. 53 della
Costituzione la questione risulta infondata, in quanto l’imposta
complementare e le altre imposte sono correlative a presupposti diversi
e reciprocamente autonomi e non può dirsi, in relazione alla prima,
che la capacità contributiva diminuisca a causa degli obblighi
tributari inerenti alle seconde.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 136, lettera b,
del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1958, n. 645.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 novembre 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.