Sentenza N. 160 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
29/07/1982
Data deposito/pubblicazione
29/07/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/07/1982
ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE –
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Prof. GIOVANNI CONSO, Giudici,
della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati di tossicodipendenza), promosso con ordinanza emessa il 23 giugno
1977 dal Tribunale di Cagliari nel procedimento civile relativo a
Cilliano Raffaello, iscritta al n. 432 del registro ordinanze 1977 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 16
novembre 1977.
Udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 1982 il Giudice relatore
Giovanni Conso.
Nel corso del procedimento ex art. 100 della legge 22 dicembre
1975, n. 685, riguardante il tossicodipendente Cilliano Raffaello, il
Tribunale di Cagliari, con ordinanza in data 23 giugno 1977, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 100 e
101 della legge n. 685 del 1975, in riferimento agli artt. 24, secondo
comma, e 13 della Costituzione.
Premette il Tribunale che, dovendo stabilire se il Cilliano (nel
frattempo sottopostosi a cure disintossicanti) necessitasse di terapie
diverse da quelle praticate e se fosse disposto ad assoggettarsi
volontariamente al trattamento medico necessario, con decreto in data 9
maggio 1977 aveva ordinato la comparizione personale dell’interessato
in camera di consiglio ed aveva disposto consulenza tecnica, avvertendo
il Cilliano della facoltà di farsi assistere da un difensore e da un
consulente tecnico di fiducia (art. 101, settimo comma, legge n. 685
del 1975): il Cilliano però né si era presentato né aveva provveduto
alla nomina del difensore o del consulente tecnico.
Tanto premesso, rileva il giudice a quo che, non prevedendo le
norme impugnate l’assistenza obbligatoria di un difensore (mentre non
è conferito al tribunale il potere di nominarne uno d’ufficio, una
tale disciplina, considerato il pregiudizio che può derivare alla
libertà personale dell’interessato dall’adozione dei provvedimenti
restrittivi di cui all’art. 100, terzo comma (che comportano anche il
ricovero ospedaliero coattivo del tossicomane), viola il diritto di
difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione. E
ciò soprattutto in quanto tale disposizione venga intesa in relazione
all’art. 13 Cost., assumendo rilievo avanti al giudice l’interesse
dell’individuo alla libertà personale che richiede sempre il diritto
allo svolgimento di un’integrale difesa.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 313 del 1977.
Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con atto
depositato il 5 settembre 1978, quindi oltre i termini previsti dagli
artt. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 3 delle “Norme integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”.
1. – L’ordinanza del Tribunale di Cagliari denuncia
l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 13 e 24
Cost., degli artt. 100 e 101 legge 22 dicembre 1975, n. 685, muovendo
dalla costatazione che queste due disposizioni, nel prevedere e
disciplinare gli interventi del tribunale – sezione specializzata
civile, quando si tratti di maggiorenni, e tribunaleper i minorenni
negli altri casi – in materia di trattamento medico ed assistenziale
delle persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope, non
contemplano l’assistenza tecnica obbligatoria dell’interessato da parte
di un difensore e, quindi, escludono implicitamente la nomina di un
difensore d’ufficio allorché l’interessato non abbia nominato un
difensore di fiducia.
È bene precisare, anzitutto, che la normativa oggetto di denuncia
viene indicata nel dispositivo dell’ordinanza in termini talmente
generali da risultare esorbitanti: pur essendo vero, infatti, che gli
artt. 100 e 101 della legge n. 685 del 1975, rispettivamente dedicati
all’individuazione dei provvedimenti adottabili ed alla
regolamentazione delle competenze e del rito processuale, in nessuna
parte accennano alla nomina di un difensore d’ufficio, è altrettanto
vero che, fra i molti, un apposito comma si occupa direttamente
dell’assistenza tecnica nei procedimenti in esame. Trattasi, per
l’esattezza, del settimo e penultimo comma dell’art. 101, il quale, con
il disporre che”l’interessato può farsi assistere da un difensore”,
oltreché da consulenti tecnici, sancisce chiaramente una soluzione
ispirata al concetto della presenza facoltativa del difensore, sianel
senso che l’interessato può nominare o – come accaduto nella specie –
non nominare un suo difensore, sia nel senso che, qualora tale nomina
vi sia stata, il difensore può in concreto intervenire o non
intervenire.
Tanto puntualizzato in ordine alla disposizione di legge ordinaria
su cui incide la questione dedotta, è altresì opportuno sottolineare,
quanto ai parametri costituzionali invocati, che, per il giudice a quo,
sarebbe violato “il diritto alla difesa sancito dall’art. 24, secondo
comma, della Costituzione, inteso in relazione con l’art. 13 che
afferma l’inviolabilità della libertàpersonale”. L’accostamento dei
due parametri, anzi il loro reciproco combinarsi, trova la sua
spiegazione nel fatto che fra i provvedimenti previsti dall’art. 100
della legge n. 685 del 1975 ed adottabili dal tribunale a conclusione
del procedimento di cui all’art. 101 figura il ricovero ospedaliero
coattivo, misura chiaramente limitativa della libertà personale
comunque intesa, parlando l’art. 13, secondo comma, Cost., oltreché di
“detenzione, ispezione o perquisizione personale”, di “qualsiasi altra
restrizione della libertà personale” (v., inproposito, le sentenze n.
74 del 1968 e n. 223 del 1976 di questa Corte, relative al ricovero
coattivo in manicomio dipersone sospettate di malattie mentali).
2. – La questione non è fondata.
Proprio ciò che la Corte nelle due occasioni or ora menzionate
ebbe a decidere in ordine all’adozione dei provvedimenti di ricovero
provvisorio e di ricovero definitivo in manicomio degli alienati
mentali, ai sensi dell’art. 2 legge 14 febbraio 1904, n. 36, smentisce
le deduzioni che l’ordinanza di rimessione vorrebbe trarre da quanto
“ha già statuito la Corte costituzionale nei procedimenti nei quali
viene in questione davanti ad un giudice l’interesse dell’individuo
alla libertàpersonale”.
Se è innegabile che l’obbligatorietà dell’assistenza difensiva
(l’ordinanza di rimessione parla. in proposito, di un diritto allo
svolgimento di un’integrale difesa), con la susseguente necessità che
il giudice provveda alla nomina di un difensore d’ufficio in mancanza
di un difensore di fiducia, è stata più volte affermata da questa
Corte (v. le sentenze n. 53 del 1968, n. 86 del 1968, n. 69 e 76 del
1970, n. 168 del 1972, n. 69 del 1975, ecc.), non bisogna dimenticare
che tale affermazione si ritrova sempre e soltanto con riferimento al
processo penale di cognizione, agli incidenti di esecuzione penale, al
processo per le misure di sicurezza, tra cui il ricovero in manicomio
giudiziario, ed al processo per le misure di prevenzione, espressamente
modellato dall’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sullo schema
degli artt. 636 e 637 c.p.p.: procedimenti caratterizzati, tutti, dal
compimento di indagini e valutazioni preordinate all’adozione ed
esecuzione di misure penali o di misure “che trovano causa nella
pericolosità sociale – criminale” del soggetto (v. le sentenze n. 168
del 1972 e n. 69 del 1975).
Ciò è tanto vero che, in entrambe le occasioni inizialmente
ricordate (sentenze n. 74 del 1968 e n. 223 del 1976), pur avendo
riconosciuto apertamente che “il provvedimento di ricovero coattivo di
un soggetto sospettato di malattie mentali si inquadra tra quelli
restrittivi della libertà personale” e che “il precetto dell’art. 24,
secondo comma, della Costituzione” dev’essere adeguatamente
“soddisfatto” nei procedimenti per il ricovero provvisorio non meno che
nei procedimenti per il ricovero definitivo, così da pervenire ad
altrettante pronunce di illegittimità, la Corte ha dichiarato
illegittimo l’art. 2, secondo comma, della legge n. 36 del 1904,
limitatamente alle parti in cui non consentiva la difesa dell’infermo
né nei procedimenti preordinati al ricovero definitivo né nei
procedimenti aventi ad oggetto il ricovero provvisorio.
Nonostante l’indubbia maggior gravità di un ricovero coattivo in
manicomio rispetto ad un ricovero coattivo in ospedale ordinario,
questa Corte ha, dunque, ritenuto costituzionalmente necessario, ma al
tempo stesso sufficiente, che, in vista dell’adozione di provvedimenti
del genere, il legislatore non escluda, cioè permetta, la difesa
dell’infermo. Il che è, ovviamente, da intendersi sia nei riguardi
della difesa personale sia nei riguardi della difesa tecnica, donde la
conseguenza che il legislatore ordinario può anche non spingersi sino
al punto di imporre la difesa tecnica, restando così libero di
prescrivere o no la nomina del difensore d’ufficio in mancanza del
difensore di fiducia e, a maggior ragione, di prescrivere o no
l’intervento obbligatorio del difensore nel concreto svolgersi del
procedimento.
3. – Nel consentire all’interessato di farsi assistere da un
difensore, oltreché da consulenti tecnici, l’art. 101, settimo comma,
della legge n. 685 del 1975, pur restando al livello minimale di
rispetto dei due parametri costituzionali invocati in combinato
disposto dal giudice a quo, non si è, dunque, discostato da tali
parametri, come interpretati nei precedenti più diretti di questa
Corte. Il tutto a prescindere sia da quelle altre pronunce che, su un
piano più generale, hanno ritenuto il diritto di difesa garantito a
sufficienza da norme in forza delle quali, analogamente a quella in
esame, viene assicurata alla parte privata la “possibilità” di
tutelare in giudizio le proprie ragioni facendosi assistere da un
difensore (v., ad es., le sentenze n. 184 del 1974 e n. 202 del 1975),
sia dall’ormai ben nota giurisprudenza in base alla quale il diritto
inviolabile di difesa, garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost.,
non comporta che il suo esercizio debba essere disciplinato
all’identico modo in ogni tipo di procedimento ed in ogni fase
processuale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 100 e 101 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, sollevata
in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 13 della Costituzione,
dall’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 luglio 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – ANTONINO DE
STEFANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
LORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere