Sentenza N. 161 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1977
Data deposito/pubblicazione
29/12/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/12/1977
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof.
EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN –
Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
comma terzo, del codice di procedura civile, modificato dall’art. 1
della legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie
individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e
di assistenza obbligatoria), promossi con le ordinanze emesse il 14
aprile 1977 dalla Corte di cassazione – sezioni unite civili – nei
procedimenti civili vertenti tra Cirillo Antonietta e Fusco Clotilde e
tra Mancini Vittoria e Condominio di Via Imperia n. 6, iscritte ai nn.
345 e 395 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 230 del 24 agosto 1977 e n. 244 del 7
settembre 1977.
Visto l’atto di costituzione di Mancini Vittoria, nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore
Oronzo Reale;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con due distinte ordinanze – aventi medesimo contenuto –
emesse in data 14 aprile 1977, ed iscritte rispettivamente ai nn. 345 e
395 del registro ordinanze 1977, le sezioni unite della Corte di
cassazione hanno prospettato il dubbio che l’art. 429, terzo comma,
c.p.c., come modificato dall’art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533
“violi l’art. 3 della Costituzione, per il trattamento
ingiustificatamente più favorevole riservato ai crediti di lavoro,
rispetto agli altri crediti pecuniari, quanto alla possibilità di
decorrenza del diritto alla rivalutazione anche da data anteriore a
quella di entrata in vigore della indicata legge”.
La Corte di cassazione prende le mosse dalla sentenza n. 13 del
1977 di questa Corte e rileva che in tale sentenza venne esaminata la
questione di legittimità costituzionale del terzo comma del citato
art. 429, c.p.c., e si pervenne alla dichiarazione di infondatezza.
Secondo la Corte di cassazione la pronuncia di questa Corte deve
essere intesa nel senso che, pur prospettandosi la problematica
relativa alla efficacia retroattiva o meno della norma in quella sede
denunciata, la questione fu dichiarata non fondata sotto il profilo
che, ritenuta non retroattiva la norma, fosse razionale la
diversificazione operata dal legislatore tra crediti di lavoro e altri
crediti pecuniari.
Ciò premesso, la Corte di cassazione, dopo avere ampiamente
argomentato per dimostrare la rilevanza della questione, anche sotto il
profilo che la rivalutazione dei crediti di lavoro deve essere
effettuata dal giudice di ufficio, allorché manchi espressa istanza
della parte, affronta il merito della questione. Osserva la stessa
Corte che secondo un indirizzo ormai prevalente l’art. 429, comma
terzo, c.p.c., deve essere interpretato nel senso che la norma in esso
contenuta si riferisca anche ai crediti di lavoro maturati prima della
entrata in vigore della legge n. 533 del 1973. E rileva che codesta
interpretazione si inserisce nel sistema normativo concernente la
tutela del lavoratore e non contrasta con il principio generale di
irretroattività della legge proprio in considerazione della
peculiarità del credito per prestazione di lavoro. Peraltro l’indicato
principio di irretroattività, pur rappresentando espressione di
civiltà giuridica, non può considerarsi nel nostro sistema
applicabile in via assoluta né coperto da garanzia costituzionale.
Sotto il primo profilo, infatti, esso risulta ampiamente derogato in
molteplici fattispecie e segnatamente proprio con riferimento alla
efficacia dei codici; sotto il secondo profilo non può non rilevarsi
che la Costituzione ha escluso la retroattività delle leggi solo in
materia penale.
Così inquadrata la questione, la Corte di cassazione dubita che
secondo la sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte la attribuzione di
efficacia retroattiva all’art. 429, comma terzo, del codice di
procedura civile, possa determinare la illegittimità della norma in
detta disposizione contenuta e, di conseguenza, prospetta la relativa
questione.
2. – Le ordinanze venivano ritualmente notificate, comunicate e
pubblicate. Davanti a questa Corte si costituiva Vittoria Mancini –
parte nel giudizio di cui alla ordinanza n. 395 del 1977 – e spiegava
intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
3. – Vittoria Mancini conclude per la infondatezza della questione,
aderendo alla tesi della retroattività dell’art. 429, comma terzo,
c.p.c. e rilevando che tale retroattività trova razionale
giustificazione in considerazione della particolare natura dei crediti
per prestazioni di lavoro e della tutela agli stessi accordata in
aderenza alla Costituzione.
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, nell’atto di
intervento, chiede che la questione sia dichiarata infondata.
Dopo aver ampiamente richiamato le indicazioni contenute nella più
volte citata sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte, il Presidente del
Consiglio dei ministri osserva che nelle ordinanze di rinvio non è
contenuta alcuna autonoma valutazione in ordine alla non manifesta
infondatezza della questione. Sottolinea, anzi, che la Corte di
cassazione richiama il proprio indirizzo secondo cui non sussisterebbe
alcun dubbio circa la piena conformità della norma impugnata, pure
interpretata in senso retroattivo, con i principi della Costituzione.
In sostanza, in tanto la Corte di cassazione ha affermato che
l’articolo 429 c.p.c. ha effetto retroattivo in quanto ha ritenuto che
sussistono valide ragioni che giustificano la deroga al principio
generale della irretroattività della legge, con la conseguenza che non
è ipotizzabile alcuna violazione del principio di eguaglianza.
In realtà deve ritenersi che la questione è stata sollevata non
già perché la Corte di cassazione abbia dubitato della legittimità
della norma, bensì per il fatto che la stessa Corte ha ritenuto che
dalla sentenza n. 13 del 1977 di questa Corte costituzionale potesse
non essere esclusa la possibilità di una dichiarazione di
incostituzionalità della norma se interpretata in senso retroattivo. A
parere del Presidente del Consiglio la ripetuta sentenza della Corte
costituzionale non autorizza siffatta interpretazione e pertanto deve
ritenersi che attribuire o meno all’art. 429 c.p.c. efficacia
retroattiva è problema che concerne la interpretazione della norma e
non già la valutazione di essa sotto il profilo della legittimità
costituzionale.
1. – Le due ordinanze delle Sezioni Unite della Cassazione di cui
in epigrafe hanno contenuto identico e propongono giudizi che,
pertanto, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza. Esse
sono state pronunziate in cause che avevano per oggetto la
rivalutazione dalla data di loro maturazione, precedente all’entrata in
vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533, di crediti di lavoratori
verso i loro datori di lavoro. La Cassazione doveva decidere se l’art.
429, comma terzo, del codice di procedura civile, come modificato dalla
detta legge, accordasse la rivalutazione dalla data della nascita dei
crediti, anche se precedente all’entrata in vigore della stessa legge
n. 533.
Di questo tema del diritto alla rivalutazione, e della sua
decorrenza, si era, tra l’altro, occupata questa Corte nella sentenza
n. 13 del 1977, essendo stata chiamata da alcune ordinanze a decidere
se l’art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, nel nuovo
testo, stabilendo che “il giudice, quando pronuncia sentenze di
condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve
determinare oltre gli interessi, nella misura legale, il maggior danno
eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del
suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con
decorrenza dal giorno della maturazione del diritto”, non fosse in
contrasto con l’art. 3 della Costituzione per il diverso trattamento
accordato ai crediti di lavoro rispetto agli altri crediti pecuniari.
La Corte, affermata la razionalità della diversificazione, quanto
al diritto alla rivalutazione, tra crediti di lavoro ed altri crediti
pecuniari, e la conseguente legittimità costituzionale della norma
impugnata, affrontò poi – chiamatavi da alcune delle ordinanze di
rimessione – la questione della decorrenza della rivalutazione. Le
dette ordinanze, infatti, affermando che l’art. 429, comma terzo,
c.p.c., accorda la rivalutazione da data anteriore alla entrata in
vigore della legge n. 533, ponevano il quesito se la norma impugnata
non fosse, anche per questo, incostituzionale, sempre a causa del non
ragionevole trattamento differenziato dei crediti di lavoro rispetto
agli altri crediti pecuniari.
E la Corte ritenne che questa questione di costituzionalità non si
ponesse perché, a suo avviso, la norma impugnata non aveva efficacia
retroattiva rispetto all’entrata in vigore della legge.
Ora le Sezioni Unite della Cassazione nelle due ricordate ordinanze
di rimessione hanno, con larga motivazione, accolto e fatto propria una
diversa interpretazione della normativa entrata in vigore con la legge
n. 533 dell’11 agosto 1973, nel senso cioè che il giudice deve
determinare il maggior danno per la diminuzione di valore del credito
del lavoratore con decorrenza dalla data di maturazione del credito,
anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore della citata
legge. E hanno, in conseguenza, risollevato la questione di
legittimità costituzionale della legge.
2. – La Corte non può non prendere atto che la giurisprudenza dei
giudici ordinari, dopo esitazioni e divergenze, si è venuta affermando
nel senso di attribuire efficacia retroattiva alla norma della quale si
tratta. A questa interpretazione con le due identiche ordinanze di
rimessione le Sezioni Unite della Cassazione (pur rilevando la
diversità delle motivazioni sulle quali essa era stata fondata, in
particolare nelle sentenze della Sezione del Lavoro della stessa
Cassazione) hanno impresso il suggello della loro adesione e della loro
autorità. Il che impone (come fu già fatto in situazioni analoghe:
sentenze n. 52 del 1965 e n. 198 del 1972) di considerare ormai – per
usare una espressione altre volte usata dalla Corte – come “norma
vivente” quella definita dalla detta interpretazione e di affrontare,
partendo da essa, la questione di costituzionalità proposta.
3. – Si deve peraltro rilevare che l’Avvocatura dello Stato ha
sollevato riserve sul modo in cui la questione di costituzionalità è
stata proposta dalle Sezioni Unite della Cassazione. Nelle ordinanze di
rinvio – afferma l’Avvocatura -“non è contenuta alcuna autonoma
valutazione, da parte del giudice a quo, della non manifesta
infondatezza della questione medesima”; la questione “è stata
sollevata non già perché (il giudice) l’ha ritenuta non
manifestamente infondata; bensì perché dalla sentenza n. 13 del 1977
le Sezioni Unite hanno desunto che nel pensiero dei giudici
costituzionali non era esclusa la possibilità di ipotizzare una
dichiarazione di incostituzionalità della norma, se interpretata in
senso retroattivo”.
Se questa riserva fosse fondata, essa porterebbe alla declaratoria
di inammissibilità della questione e non alla dichiarazione della sua
infondatezza, come invece chiede l’Avvocatura.
Senonché l’eccezione, ove si considerino nel loro complesso e
nella loro correlazione le motivazioni delle ordinanze di rinvio, non
appare fondata.
È vero che le Sezioni Unite hanno, in materia, ragionato partendo
dalla loro lettura della citata sentenza n. 13 della Corte; e tuttavia,
sia pure derivandolo da essa, hanno constatato ed affermato che tale
dubbio esiste; che il giudice “non possa fare a meno di considerare
senz’altro non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità sopra riferita, anche se in passato non avesse avuto
dubbi in proposito”: le quali ultime parole confermano che al presente
i dubbi li ha.
Che a tale dubbio le Sezioni Unite siano pervenute partendo dalla
sentenza della Corte nulla rileva, non essendo, appunto, rilevante la
fonte del dubbio quando questo esiste.
Pertanto la eccezione dell’Avvocatura non è fondata, e si deve
considerare ritualmente proposta la questione di legittimità
costituzionale.
4. – Ma la questione non è fondata.
La Corte, nella più volte citata sentenza n. 13 del 1977, aveva
affermato la legittimità costituzionale della diversità di
trattamento, quanto alla rivalutazione, dei crediti di lavoro rispetto
agli altri crediti. Aveva, cioè, dichiarando infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 429, comma terzo, in relazione
all’art. 3 della Costituzione, affermato che c’erano decisive ragioni
(delle quali la Corte rileva, anche in questa occasione, la piena
validità) che giustificavano la scelta del legislatore di privilegiare
i crediti di lavoro accordando loro la rivalutazione, mentre le stesse
ragioni valevano ad escludere che il legislatore fosse tenuto ad
estendere tale trattamento agli altri crediti pecuniari.
Ma allora è evidente che, una volta riconosciuta la legittimità
costituzionale della norma che esclude la rivalutazione dei crediti
pecuniari non di lavoro – e la esclude da ogni e qualsiasi data -, non
può sorgere una questione di costituzionalità per la mancata
retroattività di una rivalutazione (che non esiste), sempre
relativamente a tali crediti non di lavoro.
In altri termini, per porre un dubbio di costituzionalità ex art.
3 della Costituzione bisognerebbe che i crediti di lavoro e non di
lavoro, fossero entrambi rivalutabili in virtù dell’art. 429, comma
terzo, del codice di procedura civile ma, sempre in virtù della detta
norma, fossero gli uni (quelli di lavoro) rivalutabili dall’origine,
gli altri (quelli non di lavoro) rivalutabili solo dall’entrata in
vigore della legge n. 533 del 1973.
Ma poiché invece (sempre ragionando sul piano della legittimità
costituzionale), i crediti non di lavoro sono legittimamente esclusi
dalla rivalutazione, ne consegue l’impossibilità di ipotizzare una
incostituzionalità dipendente dal fatto che gli stessi crediti non
godono di una rivalutazione retroattiva.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, proposta
con le ordinanze di cui in epigrafe in relazione all’art. 3 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA –
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – ANTONINO DE STEFANO
– LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere