Sentenza N. 162 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1977
Data deposito/pubblicazione
29/12/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/12/1977
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof.
LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
comma terzo, del codice di procedura civile, promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 12 novembre 1974 dal tribunale di Milano nel
procedimento civile vertente tra l’INPS e Rossetti Bassano, iscritta al
n. 63 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 95 del 9 aprile 1975;
2) ordinanza emessa l’11 novembre 1975 dal pretore di Torino nel
procedimento civile vertente tra Zaia Aldo e l’INPS, iscritta al n. 43
del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 72 del 17 marzo 1976;
3) ordinanza emessa il 24 febbraio 1977 dal pretore di Orvieto nel
procedimento civile vertente tra Montagnolo Maria e l’INPS, iscritta al
n. 149 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 120 del 4 maggio 1977.
Visti gli atti di costituzione di Zaia Aldo e dell’INPS, nonché
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore
Oronzo Reale;
uditi l’avv. Luigi Maresca, per l’INPS e il sostituto avvocato
generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
1. – Con tre ordinanze emesse rispettivamente dal tribunale di
Milano in data 12-27 novembre 1974 (n. 63 reg. ord. 1975), dal pretore
di Torino in data 11 novembre 1975 (n. 43 reg. ord. 1976) e dal pretore
di Orvieto in data 24 febbraio 1977 (n. 149 reg. ord. 1977), veniva
sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 429, comma
terzo, del codice di procedura civile, nella parte in cui detta norma
escluderebbe dalla rivalutazione monetaria di cui all’art. 150 disp.
att. c.p.c. i crediti di pensione di invalidità a carico della
assicurazione generale obbligatoria di I.V.S. gestita dall’INPS, per
preteso contrasto con l’art. 3 della Costituzione; il pretore di
Orvieto adduceva a sospetto di incostituzionalità la norma citata
anche per contrasto con l’art. 38, comma secondo, della Costituzione.
2. – Il tribunale di Milano, premesso che la giurisprudenza
affermatasi costantemente presso lo stesso tribunale era nel senso che
non fosse dovuto il maggior danno eventualmente scaturito a seguito
della diminuzione di valore del credito vantato dal soggetto assistito,
rilevava che tale interpretazione non sottrarrebbe ad un sospetto di
illegittimità costituzionale la norma di cui all’art. 429 c.p.c. in
ragione della sostanziale analogia riscontrabile tra i crediti di
lavoro (per i quali espressamente lo stesso art. 429 impone che il
giudice proceda alla rivalutazione, sulla scorta dei criteri dettati
dall’art. 150, pure citato) e quelli derivanti da pensione. Infatti
entrambi i detti crediti attengono, sia pure in maniera diversa, ad una
attività lavorativa e sono del pari caratterizzati da una precipua
funzione di sostentamento del lavoratore e della sua famiglia; e che
anzi una funzione di sostentamento ancor più marcata sembra potersi
cogliere proprio nei crediti derivanti da prestazioni previdenziali.
3. – Il pretore di Torino, premesso che, a suo avviso, i crediti di
lavoro cui si riferisce il testo dell’art. 429 c.p.c. non comprendono i
crediti derivanti da pensione a carico dell’INPS; che peraltro il
richiamo contenuto nell’art. 442 c.p.c. concerne esclusivamente le
norme di carattere processuale; e che tale non può essere considerata
quella portata dal citato art. 429, in quanto la stessa avrebbe
immutato la natura dei crediti ivi previsti, trasformandoli da crediti
di valuta in crediti di valore; che, peraltro, va riconosciuta
l’analogia tra la funzione alimentare spiegata sia dai crediti di
lavoro che da quelli previdenziali, entrambi poi scaturenti, sia pure
in modo diverso, dalla attività lavorativa; sollevava questione di
legittimità costituzionale in termini analoghi rispetto a quelli del
tribunale di Milano.
4. – Ragioni sostanzialmente identiche venivano svolte dal pretore
di Orvieto, il quale peraltro, oltre alle già accennate questioni
attinenti alla non ragionevole disparità di trattamento che la legge
riserverebbe ai crediti pensionistici rispetto a quelli di lavoro,
sollevava altresì la questione di legittimità costituzionale della
più volte citata disposizione di cui all’articolo 429, con riferimento
al secondo comma dell’art. 38 della Costituzione, ponendo l’accento sul
ritardo spesso considerevole con cui l’istituto previdenziale
corrisponde le rendite sicché i lavoratori “non ricevono certo mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in un momento di progressiva
accentuazione del fenomeno inflazionistico”.
5. – Le predette ordinanze venivano tutte notificate, comunicate e
pubblicate; spiegava intervento in tutti e tre i giudizi il Presidente
del Consiglio dei ministri, sostenendo che la norma impugnata trova la
sua ragione in un dato di comune esperienza, ravvisabile nel fatto che
la stragrande maggioranza delle cause di lavoro vengono iniziate
davanti alla autorità giudiziaria solo al momento della cessazione del
rapporto di lavoro e ciò perché in costanza di rapporto i lavoratori
si troverebbero esposti a rappresaglie da parte del datore di lavoro.
Ciò comporta che solo a distanza di anni rispetto al suo maturare il
diritto vantato dal lavoratore trova riconoscimento; a tale stato di
fatto ha voluto ovviare il legislatore con la norma di cui all’art. 429
c.p.c.. Tali ragioni non valgono ovviamente, sempre ad avviso
dell’Avvocatura dello Stato, nel caso di crediti previdenziali, in
ordine ai quali non può dirsi esistente alcun metus reverentialis,
inconcepibile nei confronti dell’istituto assicuratore; ogni ritardo
nel procedimento amministrativo che deve precedere l’inizio della
controversia giudiziaria deve ritenersi comunque contenuto ed
inquadrato nell’ambito del dovere di imparzialità della pubblica
amministrazione oltre che delle precise norme vigenti che tali
procedimenti regolano, anche nel loro iter temporale.
Per ciò che attiene al preteso contrasto denunziato dal pretore di
Orvieto in relazione al secondo comma dell’art. 38 della Costituzione,
si osserva che la adeguatezza dei mezzi previsti a favore dei
lavoratori in caso di infortunio o di invalidità non può certo
dipendere né essere assicurata dalla rivalutazione dei crediti
pensionistici.
6. – Nel solo giudizio derivante dall’ordinanza del tribunale di
Milano si costituiva altresì l’INPS, sostenendo che la interpretazione
da dare all’art. 429 c.p.c. era stata esattamente indicata dal giudice
a quo e che, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non
poteva sussistere alcun dubbio circa la perfetta aderenza della norma,
così interpretata, al dettato costituzionale. L’identità di
situazioni supposta nell’ordinanza di rinvio non sussisterebbe né
sotto il profilo della posizione dei soggetti passivi dell’azione
(nell’un caso si ha un privato teso alla tutela del proprio personale
interesse, nell’altro un ente pubblico, tendente soltanto
all’attuazione della legge), né sotto quello oggettivo, atteso che nel
rapporto di lavoro si ha una contrapposizione sinallagmatica, in cui
l’inadempienza del datore di lavoro costituisce presupposto di una
legittima pretesa, mentre il credito per prestazioni assicurative
deriva da un rapporto di natura pubblicistica avente caratteristiche di
assoluta autonomia per quanto riguarda la relazione tra lavoratore
assicurato ed istituto assicuratore. Anche per ciò che attiene alla
natura alimentare dei due crediti, supposta come comune, l’INPS osserva
che la stessa è meramente teorica; comunque, tale comune funzionalità
non sembra atta a determinare di per sé sola quella uguaglianza di
situazioni che comporterebbe uguaglianza di trattamento. Anche dai
lavori preparatori – aggiunge – sembra potersi desumere che la ratio
della legge sia da ravvisare nel comportamento dei datori di lavoro che
tendono a ritardare, ingiustamente, l’assolvimento delle loro
obbligazioni.
Per ultimo viene ricordato che la vigente normativa prevede presidi
di diversa natura, ma comunque tesi tutti al soddisfacimento rapido e
completo dei crediti pensionistici, sia concedendo la possibilità del
pagamento di anticipazioni sulle prestazioni spettanti, sia riducendo
in termini ragionevoli i tempi entro cui il procedimento amministrativo
deve essere completato.
7. – Nel solo giudizio promosso dal pretore di Torino si costituiva
la parte Aldo Zaia. Premesso che a suo avviso l’art. 429 c.p.c. doveva
essere letto nel senso che la rivalutazione fosse applicabile anche ai
crediti pensionistici, e ciò in virtù della interpretazione
ricavabile dalla portata estensiva dell’art. 442 c.p.c., sosteneva, in
caso di mancato accoglimento di tale tesi, la fondatezza della
questione, avuto riguardo agli stessi motivi esposti a base
dell’ordinanza di rimessione.
1. – Le tre ordinanze di cui in narrativa propongono la stessa
questione; e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e
decisi con unica sentenza. Le ordinanze sottopongono alla Corte il
dubbio di costituzionalità, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della
Costituzione, dell’art. 429, comma terzo, del codice di procedura
civile (nel testo modificato dalla legge n. 533 del 1973) nella parte
in cui limita ai crediti di lavoro e non estende ai crediti da pensione
di invalidità a carico della assicurazione generale obbligatoria
gestita dall’INPS e, in generale, ai crediti per prestazioni
previdenziali, la rivalutazione monetaria calcolata nei modi prescritti
dall’art. 150 delle disp. att. del c.p.c. (sempre nel testo modificato
dalla legge n. 533 del 1973). I tre giudici a quibus, interpretando il
detto art. 429, comma terzo, c.p.c., nel senso che esso non estende la
rivalutazione ai crediti di pensione, hanno infatti ritenuto che la
disparità di trattamento tra crediti di lavoro e crediti di pensione
non sia giustificata e inoltre (secondo la sola ordinanza del pretore
di Orvieto) contrasti con l’art. 38 della Costituzione.
2. – La questione non è fondata.
La Corte esaminando nella sentenza n. 13 del 1977 le ragioni che
stanno a fondamento dell’introduzione, operata con la legge n. 533 del
1973, del dovere del giudice, “quando pronuncia sentenza di condanna al
pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro”, di “determinare
oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente
subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito”
(art. 429, comma terzo, c.p.c.), ebbe a rilevare che esse consistono
precipuamente nella necessità di protezione del potere di acquisto del
lavoratore, senza conseguente depauperamento del patrimonio del datore
di lavoro, e nella necessità di porre una remora alla resistenza ed
agli ingiustificati ritardi dei datori di lavoro stessi
nell’adempimento delle loro obbligazioni: ragioni che, sussistendo per
i crediti di lavoro e non per gli altri crediti di pecunia,
giustificavano il diverso trattamento di essi ed escludevano quindi una
violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
Del pari, con la sentenza n. 43 del 1977, la Corte escluse che
fosse costituzionalmente ingiustificata la inapplicabilità della
rivalutazione stabilita nell’art. 429, terzo comma, c.p.c. ai crediti
dei dipendenti degli enti pubblici non economici che, proprio ed anche
per la specie dei debitori, legittimamente potevano essere sottratti
alla generale disciplina di cui alla norma predetta.
Ora, le tre ordinanze sopra ricordate pongono l’accento sulla
natura definita alimentare dei crediti di pensione, siccome derivanti,
sia pure mediatamente, da attività di lavoro e negano, pertanto, che
possa giustificarsi costituzionalmente il diverso trattamento fatto dal
legislatore a tali crediti rispetto a quelli del lavoratore verso il
datore di lavoro.
Ma se è pur vero che le pensioni, al pari dei crediti di lavoro,
hanno funzione di sostentamento, e quindi il ritardo, a volte
rilevante, nella loro liquidazione e corresponsione, costituisce un
danno ed un disagio per il creditore e per la sua famiglia (danno e
disagio peraltro limitati dalle disposizioni della legge 16 aprile
1974, n. 114 che autorizzano l’INPS a corrispondere un trattamento
pensionistico di prima liquidazione a titolo di anticipazione), ad
escludere che sia incostituzionale non aver preveduto la rivalutazione
dei crediti da pensione valgono tre considerazioni. In primo luogo,
come osserva la difesa dell’INPS, il credito da pensione, anche se può
avere il suo antecedente in un rapporto di lavoro dipendente, ha,
rispetto all’Istituto erogante, caratteristica autonoma di natura
pubblicistica. In secondo luogo, il fatto che le pensioni non vengano
rapidamente liquidate (ciò che deve giudicarsi deplorevole e degno
della massima attenzione del legislatore e dell’autorità
amministrativa), non può essere certamente ascritto al proposito degli
Istituti debitori di lucrare sulla probabile svalutazione monetaria. In
terzo luogo, poiché il ritardo nel pagamento in un certo senso non è
volontario (ma sostanzialmente derivante dalla procedura di
liquidazione e da complicazioni burocratiche), è da escludersi che la
sanzione della rivalutazione avrebbe effetto di remora e per così dire
funzione dissuasiva, come nel caso di crediti di lavoratori verso il
datore di lavoro privato.
Queste diversità escludono che l’art. 3 della Costituzione
imponesse al legislatore una parificazione, quanto al diritto alla
rivalutazione, tra i crediti di lavoro e i crediti da pensione dei
quali si tratta.
3. – Né ha fondamento il richiamo all’art. 38, comma secondo,
della Costituzione, fatto dal pretore di Orvieto.
Tale precetto è stato interpretato dalla giurisprudenza della
Corte come principio da seguirsi dal legislatore, la cui osservanza va
costituzionalmente valutata in rapporto alle diverse situazioni, ai
mezzi disponibili e nell’ambito del generale contesto sociale.
Ora, il problema della adeguatezza dei mezzi che il legislatore
deve prevedere rispetto alle esigenze di vita dei lavoratori in caso di
infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione
involontaria, ha ben altra natura e dimensione da quello del
risarcimento del danno derivante dalla non immediata corresponsione
delle pensioni. Di quest’ultimo, peraltro, come si è già ricordato,
il legislatore si è fatto carico per limitarlo, prevedendo rapide
anticipazioni sulle prestazioni pensionistiche spettanti. Ed è
auspicabile che non solo vengano ridotti alla minore misura possibile i
tempi del procedimento amministrativo di concessione, ma che sia
generalizzata ed accentuata la prassi di rapide liquidazioni
provvisorie quando la contestazione non cada sul diritto alla pensione,
ma sulla entità di questa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, sollevata
con le ordinanze di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 38,
comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere