Sentenza N. 165 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
22/10/1982
Data deposito/pubblicazione
22/10/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/10/1982
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO,
Giudici,
della Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20 (referendum popolare in
applicazione degli articoli 32, 33 e 54 dello Statuto speciale per la
Sardegna) promosso con ordinanza emessa il 14 settembre 1979
dall’Ufficio per il referendum popolare costituito presso la Corte
d’appello di Cagliari su richiesta di referendum abrogativo della legge
regionale 28 aprile 1978, n. 32, sulla “protezione della fauna e
dell’esercizio della caccia in Sardegna”, iscritta al n. 791 del
registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblican. 8 del 9 gennaio 1980.
Visti gli atti di costituzione del Comitato promotore del
referendum, della Federazione italiana della Caccia e Sezione regionale
sarda e della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 1982 il giudice relatore
Antonio La Pergola;
udito l’avv. Giuseppe Guarino, per la Regione Sardegna.
1. – Con ordinanza in data 14 settembre 1979, l’Ufficio per il
referendum popolare costituito presso la Corte d’Appello di Cagliari,
costituito ai sensi dell’art. 6, primo comma, della legge regionale 17
maggio 1957, n. 20 (Referendum popolare in applicazione degli artt. 32,
33 e 54 dello Statuto speciale per la Sardegna) ha sollevato, in
riferimento all’art. 32 dello Statuto sardo, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1 lett. a della citata legge regionale.
Detta disposizione è censurata in quanto prevede il referendum
abrogativo sulle leggi regionali, laddove un tale istituto di
democrazia diretta andrebbe adottato con il mezzo tecnico della legge
costituzionale: si assume infatti che la testé citata disposizione
statutaria, che è di rango costituzionale, contempla il referendum
preventivo o sospensivo, ad esclusione di altro referendum che, come
quello abrogativo, concerna leggi già perfezionate.
Si costituiscono nel presente giudizio sette promotori, anche nella
veste di presentatori della richiesta referendaria, il primo come
presentatore in proprio e in nome e per conto del comitato promotore,
per sentir dichiarare l’infondatezza della questione.
La difesa dei promotori afferma che il problema di
costituzionalità prospettato alla Corte deriva da un’erronea
interpretazione dell’invocata norma statutaria: la quale, si dice, è
del resto oggetto di divergenti ricostruzioni in dottrina, per la
difettosa formulazione tecnica, e l’insufficiente coordinamento con le
altre disposizioni dello stesso Statuto. Viene infatti dedotto che
l’art. 32 dello Statuto, diversamente da come si assume nel
provvedimento di remissione, prevede sicuramente e comunque il
referendum del tipo abrogativo. Tale conclusione è argomentata in
base ai seguenti rilievi di ordine letterale e sistematico:
A) L’art. 32, primo comma, dispone che “un disegno di legge
adottato dal Consiglio regionale è sottoposto al referendum popolare,
su deliberazione della Giunta o quando ne sia fatta domanda da almeno
un terzo dei consiglieri o da diecimila elettori”. Ma siffatto testuale
riferimento al disegno di legge non starebbe a significare che si è
voluto escludere il referendum abrogativo, in quanto esso concerne
leggi già vigenti nell’ordinamento, dal momento che nel quarto comma
dello stesso art. 32, è previsto che il referendum non è ammesso per
le leggi tributarie e di bilancio: e quest’ultima statuizione, si
osserva, dimostra che secondo Statuto, la consultazione popolare
successiva all’entrata in vigore della legge, e indetta alfine di
abrogarla, è consentita in tutti i casi nei quali essa non forma
oggetto di espresso e puntuale divieto.
B) A voler poi prescindere dai rilievi di ordine letterale, l’art.
32 andrebbe letto in connessione con l’ultimo comma dell’art. 33, ai
sensi del quale ogni legge approvata dal Consiglio regionale è
promulgata trenta giorni dopo la comunicazione al Governo, salvo che
detto organo non la rinvii al Consiglio regionale: questa essendo la
sola ipotesi nella quale la promulgazione della legge è sospesa, resta
escluso, si deduce, che lo Statuto abbia voluto contemplare la figura
del referendum sospensivo – preventivo, la cui previsione richiederebbe
un’espressa ed apposita deroga al termine entro cui la legge va
promulgata.
C) Un argomento in tal senso viene desunto dal disposto dell’art.
138 Cost., nel quale si configura il referendum facoltativo per
l’approvazione delle leggi di revisione costituzionale: il termine a
quo per la promulgazione è in questo caso di tre mesi dalla
pubblicazione notiziale ed è dunque diverso da quello previsto per la
promulgazione delle leggi ordinarie. Nella specie, la richiesta del
referendum abrogativo da parte di una frazione del corpo elettorale
esigerebbe adempimenti che non possono essere soddisfatti nell’arco di
trenta giorni, anche ammesso che la promulgazione debba avvenire non
nel corso, ma necessariamente allo spirare di detto termine.
D) Sempre in considerazione del prospettato collegamento fra l’art.
32 e l’art. 33 dello Statuto si osserva poi che l’ipotesi del
referendum approvativo lascia scoperta un’ulteriore, grave lacuna del
sistema, non essendo espressamente disposto che la consultazione
elettorale abbia luogo dopo l’esperimento del controllo governativo
sulla legge regionale: controllo che soddisfa ad un’esigenza di ordine
costituzionale, ed è infatti prevista in via generale anche nell’art.
127 Cost.
E) A sostegno della soluzione già indicata si adducono ancora
questi elementi di giudizio: 1) La validità del referendum è
subordinata al fatto che abbia votato almeno un terzo del corpo
elettorale: e questa sarebbe una modalità tipica del referendum
abrogativo; 2) l’aver disposto la consultazione elettorale sia promossa
anche da parte di un’aliquota di consiglieri regionali, risulterebbe,
d’altra parte, incompatibile con l’adozione del referendum sospensivo,
perché la minoranza verrebbe investita di un potere di veto, in
violazione del principio maggioritario, che governa l’approvazione
della legge ordinaria; 3) il referendum su deliberazione della Giunta
meglio si accorderebbe con l’ordinamento regionale, se esso ha come
oggetto l’abrogazione, invece che l’approvazione della legge: il
referendum approvativo sarebbe infatti in questo casovolto a dirimere
un conflitto fra Consiglio e Giunta, laddoveuna simile ipotesi di
arbitraggio politico non trova razionale o plausibile collocazione nel
sistema di governo della Regione sarda.
2. – Si costituiscono nel presente giudizio la Regione Sardegna, in
persona del suo Presidente, riservandosi di produrre memorie; la
Federazione italiana della caccia e la relativa sezione sarda, nelle
persone dei rispettivi Presidenti, chiedendo, sostanzialmente in base
agli stessi argomenti dedotti dal giudice a quo, che la Corte dichiari
l’incostituzionalità della norma censurata.
3. – In prossimità dell’udienza la difesa dei promotori produce
una memoria aggiuntiva, nella quale si ribadiscono e sviluppano le
osservazioni svolte nell’atto di costituzione, e siafferma che questa
Corte dovrebbe ritenere l’infondatezza della proposta questione
quand’anche essa assuma che l’invocata previsione dello Statuto preveda
il referendum sia del tipo abrogativo, sia del tipo sospensivo. Il
vizio di illegittimità, quale è delineato nell’ordinanza di rinvio,
deriverebbe dall’aver la norma censurata introdotto l’istituto
dell’abrogazione popolare in violazione del tassativo divieto, che si
asserisce sancito nell’art. 32. In ogni caso, dunque, la previsione del
referendum abrogativo, non confliggerebbe con le prescrizioni dello
Statuto e si ispirerebbe d’altra parte ad una soluzione giàadottata
dai legislatori regionali della Val d’Aosta e del Trentino Alto Adige,
i quali hanno essi pure configurato il solo tipo del referendum
abrogativo, in conformità ed attuazione di analoghe disposizioni
statutarie.
Nel chiedere che la Corte dichiari infondata la questione
sollevata, la difesa dei promotori chiede altresì che la Federazione
sulla caccia e la relativa sezione regionale sarda nonsiano considerate
parte del presente giudizio.
Anche la Regione Sardegna presenta una memoria perl’udienza,
deducendo l’infondatezza della questione. L’art. 32 dello Statuto
andrebbe correttamente inteso risalendo alle ragioni di ordine
sistematico che ne spiegano il dettato letterale. La locuzione ivi
adoperata, è: “disegno di legge adottato dal Consiglio”; mentre
nell’art. 33 si fa riferimento alla legge”approvata” dal Consiglio,
quando si tratta di darne comunicazione al Governo, perché decida se
rinviarla o no all’organo legislativo della Regione. A questo fine,
l’art. 33 qualificherebbe come “legge” l’atto approvato dal Consiglio,
perché, unavolta intervenuta la deliberazione di quest’organo, la
rimanente attività degli organi regionali è vincolata. D’altra parte,
l’atto risultante dalla deliberazione dell’organo legislativo regionale
può, ai sensi dell’art. 32, formare oggetto di richiesta referendaria
in tre distinte ipotesi secondo se la consultazione elettorale sia
promossa dalla Giunta, da una frazione dello stesso corpo legiferante
o, infine, da almeno diecimila elettori. Dove la procedura referendaria
è promossa dal prescritto numero di consiglieri regionali o dalla
Giunta, essa si atteggerebbe secondo Statuto come causa interruttiva
del procedimento legislativo (ordinario). Il voto popolare verterebbe,
allora, sul disegno di legge, precisamente come recita il disposto
statutario. Diverso, si dice, è il caso del referendum promossoda una
frazione del corpo elettorale, che deve necessariamente essere del tipo
abrogativo. Un referendum approvativo non potrebbe infatti, per
evidenti ragioni pratiche, svolgersi entro il termine ristretto dei
trenta giorni che precedono la promulgazione, e senza, peraltro, che
sia già stato portato a conoscenza dei cittadini il testo normativo
sottoposto al vaglio del corpo elettorale: il che è invece da
escludere, dovendo la pubblicazione, ai termini dello Statuto, sempre
seguire alla promulgazione della legge. La disciplina delle diverse
ipotesi di referendum, Si soggiunge, va comunque conformata ai
convalidati valori dell’ordinamento costituzionale: e fra questi
andrebbe annoverato l’istituto dell’abrogazione popolare delle leggi,
ormai operante così sul piano nazionale, come su quello regionale.
La difesa della Federazione per la caccia e la sua sezione
regionale sarda presentano una memoria aggiuntiva. Prima ditutto si
osserva che l’Ufficio per il referendum è legittimato a promuovere la
questione di legittimità costituzionale da esso prospettata. Detto
Ufficio sarebbe sostanzialmente investito delle stesse attribuzioni
che, nell’ordinamento del referendum abrogativo delle leggi statali,
competono all’Ufficio centrale per il referendum, costituito, ai sensi
della legge n. 352 del 1970, presso la Corte di Cassazione; l’insieme
delle attribuzioni qui configurate dalla legge regionale, ed il fatto
che ne sia investito un organo provvisto di poteri decisori
dimostrebbero poi che sussistono presupposti per la proponibilità del
giudizio instaurato in questa sede. Posto ciò, a difesa della
Federazione della caccia chiede che la Corte ritenga non manifestamente
infondata, e sollevi davanti a se stessa, la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 4, 5 e 6 della legge regionale n. 20 del
1957 in riferimento all’art. 108 Cost. Nelle disposizioni testé
richiamate si delineano, appunto, le attribuzioni dell’Ufficio per il
referendum presso la Corte d’Appello. Ora, sebbene poste ex art. 32
dello Statuto, dette norme risulterebbero pur sempre dall’esercizio di
una potestà legislativa regionale, con riguardo alla quale opera, in
ogni caso, il limite costituito dei principi dell’ordinamento giuridico
dello Stato: secondo uno di tali principi, afferma la difesa della
Federcaccia, la posizione delle norme sulla magistratura e
sull’ordinamento giudiziario è riservato alla legge dello Stato; la
legge regionale censurata verrebbe quindi a concretare un’indebita
intereferenza nella sfera della giurisdizione. La difesa della
Federazione della caccia chiede altresì che la Corte sollevi innanzi a
se stessa la questione di costituzionalità del solo art. 6 della legge
nazionale n. 20 del 1957 per presunto contrasto con l’art. 2 della
legge costituzionale n. 1 del 1953.
Nel precetto costituzionale che qui si invoca è prevista la
competenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità del
referendum ex art. 75 Cost. Il giudizio rimesso alla Corte toccherebbe
l’equilibrio fra il corpo elettorale e gli istituti della democrazia
rappresentativa; e così inciderebbe su una delicatissima materia, per
la quale si assume che debba valere, anche riguardo al referendum sulla
legge regionale, il principio dell’unità della giurisdizione
costituzionale, posto a salvaguardia dei precetti sanciti nella Carta
fondamentale.
Nel merito, la questione sollevata dalla Corte di Appello sarebbe
fondata. Il legislatore statutario avrebbe inteso adottare un diverso
tipo strutturale del referendum, rispetto a quello previsto in
Costituzione per l’abrogazione della legge statale; questa peculiarità
dell’istituto referendario in Sardegna sarebbe collegata con il
criterio adottato dallo Statuto in ordine alla composizione della
Giunta, giacché di quest’organo, abilitato a promuovere la
consultazione popolare, può far parte, tolto il Presidente, anche chi
non sia membro del Consiglio regionale. D’altra parte, il potere di
iniziativa conferito alla Giunta non avrebbe alcuna razionale
giustificazione se il referendum fosse del tipo abrogativo. Data la
differenza strutturale fra lo schema sancito nello Statuto, ed il
caratteristico congegno del referendum abrogativo, andrebbe disattesa
l’ipotesi che la previsione dell’art. 32 abbia voluto abbracciare anche
quest’ultima figura di consultazione popolare. Si dovrebbe quindi
ritenere che il legislatore abbia introdotto un tipo del referendum che
lo Statuto non consente e abbia invece mancato di dare attuazione al
tipo che è il solo previsto, e di armonizzare la disciplina
dell’istituto con le disposizioni statutarie concernenti la
promulgazione e pubblicazione della legge regionale.
Con ordinanza n. 175 del 1981 la Corte sospendeva poi il giudizio
in corso, sollevando avanti a se stessa la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6 legge regionale sarda 17 maggio 1957, n.
20, nella parte in cui conferisce alla Corte d’Appello – Ufficio per il
referendum popolare – le attribuzioni che concernono le richieste di
referendum abrogativo, in riferimento all’art. 108 della Costituzione.
Ciò sull’assuntoche la disposizione censurata interferisca
indebitamente nell’ambito riservato alla legge dello Stato
dell’invocato precetto costituzionale, il quale governa le norme
sull’ordinamento giudiziario e sulla magistratura.
Il giudizio, così sollevato dalla Corte innanzi a se stessa, è
stato successivamente deciso con sentenza n. 43 del 1982,
congiuntamente con l’altro, che concerneva gli artt. 4, 7, 8, 9, 11, 17
e 22 della legge regionale Trentino – Aldo Adige 24 giugno 1957, n.
11, promosso con l’ordinanza dell’11 novembre 1979 dal Tribunale di
Trento. Con detta pronuncia la Corte ha ritenuto la prospettata lesione
dell’art. 108 Cost., eha in conseguenza dichiarato l’illegittimità
costituzionale del citato articolo 6 della legge regionale sarda.
In prossimità dell’udienza del 19 maggio 1982, la difesa della
Regione Sardegna ha prodotto una memoria nella quale si deduce che la
dichiarazione di incostituzionalità del citato articolo 6, comporti il
venir meno dell’organo che ha promosso innanzi a questa Corte la
questione di legittimità costituzionale. Di qui la necessaria
conseguenza che la prospettata questione debba ritenersi inammissibile
o improcedibile.
La questione in esame è stata promossa dalla Corte d’Appello di
Cagliari, costituita in Ufficio per il referendum popolare ai sensi
dell’art. 6 della legge regionale sarda 17 maggio 1957, n. 20. Di detta
norma, com’è spiegato in narrativa, questa Corte ha tuttavia
dichiarato, con sentenza n. 43 del 1982, l’illegittimità
costituzionale. È stata così rimossa quella disposizione della citata
legge regionale, che conferiva alla Corte d’Appello di Cagliari
l’apposita veste di Ufficio per il referendum, con le connesse
attribuzioni: e fra queste figura, prima di tutto, il controllo sulla
legittimità delle richieste di abrogazione popolare, ai fini del quale
detta Corte ha promosso il presente giudizio di costituzionalità. Una
volta caduta la norma istitutiva dell’attribuzione, che la Corte
d’Appello era nella specie chiamata ad esercitare in quanto Ufficio per
il referendum, vi è un’assorbente ragione per dover ritenere la
sopravvenuta inammissibilità della questione prospettata in questa
sede.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 lett. a della legge regionale sarda 17 maggio 1957, n. 20,
sollevata dall’Ufficio per il referendum popolare costituito presso la
Corte d’Appello di Cagliari, con l’ordinanza in epigrafe, in
riferimento all’art. 32 dello Statuto speciale per la Sardegna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere