Sentenza N. 167 del 1982
Corte Costituzionale
Data generale
22/10/1982
Data deposito/pubblicazione
22/10/1982
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/10/1982
GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO,
Giudici,
cod. pen., e successive modificazioni contenute nelle leggi 2 ottobre
1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), e 14 ottobre
1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), e degli artt. 5 e 7
della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e 10, 12 e 14 della legge 14
ottobre 1974, n. 497, promossi dal Pretore di Chiavenna con tre
ordinanze emesse il 22 giugno 1976 e con una ordinanza emessa il 23
novembre 1976, e dal Pretore di Napoli con ordinanza emessa l’8 giugno
1979, rispettivamente iscritte ai nn. 718, 719 e 720 del registro
ordinanze 1976, al n. 6 del registro ordinanze 1977 e al n. 937 del
registro ordinanze 1979, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 4 e 59 del 1977 e n. 50 del 1980.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 1982 il Giudice relatore
Giovanni Conso;
udito l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso dei procedimenti penali a carico di Olivo Enrico,
Pasquale Guglielmo e Baldo Lorenzo, imputati di detenzione e porto
abusivi di un coltello a serramanico, il Pretore di Chiavenna, con tre
ordinanze emesse il 22 giugno 1976, ha denunciato l’illegittimità
costituzionale degli artt. 697 e 699 c.p. (modificati dalla legge 2
ottobre 1967, n. 895, e dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497), per
contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, il principio di eguaglianza sarebbe
vulnerato dal combinato disposto della normativa censurata perché, a
seguito dell’entrata in vigore della legge n. 497 del 1974, le
contravvenzioni concernenti le armi non da sparo verrebbero punite più
severamente, pur nella diversità formale delle pene comminate (arresto
da un lato e reclusione dall’altro), rispetto ai delitti di detenzione
e porto illegale di armi comuni da sparo, per i quali le pene possono
essere ridotte di un terzo ai sensi dell’art. 14 legge n. 497 del 1974
ed ulteriormente ridotte, in misura non eccedente i due terzi, in
applicazione dell’art. 5 della legge n. 895 del 1967, quando il fatto
debba ritenersi di lieve entità.
Rileva il Pretore (la denuncia investe soprattutto il reato di
porto di arma propria da punta e da taglio, pur se nella motivazione e
nel dispositivo delle ordinanze si fa cenno anche alla relativa
detenzione) che, mentre per colui che porta fuori della propria
abitazione o delle adiacenze di essa un coltello a serramanico (arma
propria non da sparo per cui non è ammessa la licenza) la pena in
concreto da irrogare non può essere inferiore (con la concessione
delle circostanze attenuanti generiche) ad un anno d’arresto, per colui
che invece porta in luogo pubblico o aperto al pubblico un’arma comune
da sparo senza essere in possesso della relativa licenza la pena
detentiva minima (tenuto conto delle attenuanti generiche e della
attenuante speciale) può scendere fino a soli quattro mesi di
reclusione.
Sussiste, quindi, conclude il giudice a quo, una disparità di
trattamento fra le due ipotesi sopra considerate in quanto il porto
illegale di un’arma da taglio (oggettivamente considerata meno
pericolosa di un’arma da sparo) viene ad essere punito con una pena
detentiva minima che è il triplo di quella comminata per il porto
illegale di arma comune da sparo (e, inoltre, il doppio di quella
comminata per il porto di arma da guerra): e “ciò in quanto l’art. 14
della legge n. 497 del 1974, nell’aumentare le pene per le
contravvenzioni previste dal codice penale concernenti le armi, non ha
previsto l’applicabilità ad esse della speciale attenuante di cui
all’art. 5 della legge n. 895 del 1967”.
È intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo
che la questione venga dichiarata non fondata.
Deduce l’Avvocatura che le ordinanze di rimessione trascurano un
dato “formale” di decisivo rilievo: e cioè che la pena dell’arresto,
prevista per la detenzione ed il porto abusivo di armi non da sparo, è
qualitativamente meno grave della pena della reclusione prevista per la
detenzione e il porto abusivo di armi da sparo. Non è il solo caso,
infatti, quello sottoposto all’esame del Pretore, di reato
contravvenzionale punito con pena “concretamente” più grave “di altro
reato delittuoso”: gli stessi artt. 25 e 26 c.p. contemplano per le
pene dell’arresto e dell’ammenda massimi ben superiori ai minimi
fissati dagli artt. 23 e 24 per la reclusione e per la multa. Ne
consegue che, con la proposta questione, il giudice a quo chiede che
venga sindacato l’esercizio del potere discrezionale del legislatore di
valutare la proporzionale gravità dei diversi fatti criminosi e di
graduare le pene rispettivamente applicabili.
Inoltre, il raffronto operato dal Pretore tra il delitto di porto
illegale di un’arma comune da sparo e la contravvenzione di porto di
un’arma non da sparo per la quale non è ammessa licenza, sulla base
esclusivamente della oggettiva pericolosità delle armi considerate,
non è “esauriente” perché non tiene conto di altri elementi che
rendono le due fattispecie in esame essenzialmente diverse. Nel caso
contemplato dall’art. 12 della legge n. 497 (porto illegale di arma da
sparo) viene punito il fatto di portare l’arma senza la prescritta
licenza, mentre nel caso prefigurato dal secondo comma dell’art. 699
c.p. è punito proprio il fatto di portare l’arma perché la stessa
rientra fra quelle di cui è vietato il porto in modo assoluto. Appare
del tutto logico, quindi, conclude l’Avvocatura, che il legislatore
ordinario abbia valutato diversamente situazioni che si presentano con
caratteristiche dissimili.
Gli artt. 697 e 699 c.p. e successive modifiche contenute nella
legge 2 ottobre 1967, n. 895, e nella legge 11 ottobre (rectius: 14
ottobre) 1974, n. 497, sono stati di nuovo denunciati dallo stesso
Pretore di Chiavenna con ordinanza 23 novembre 1976 emessa nel
procedimento penale a carico di Spelzini Gabriele. La motivazione del
provvedimento di rimessione è, peraltro, in questo caso, del tutto
sommaria facendo il giudice a quo riferimento esclusivo all’ordinanza
da lui stesso pronunciata il 22 giugno 1976 nel corso del procedimento
penale a carico di Pasquale Guglielmo.
L’Avvocatura dello Stato, intervenuta anche nel presente giudizio,
ha svolto deduzioni identiche a quelle sopra illustrate.
2. – Questione analoga ha sollevato il Pretore di Napoli, con
ordinanza 8 giugno 1979 pronunciata nel corso del processo penale a
carico di De Chiara Mario, imputato di porto abusivo di una “molletta”:
viene denunciata l’illegittimitàcostituzionale dell’art. 699, secondo
comma, c.p. e degli artt. 5 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, “in quanto tali norme
escludono la possibilità di concedere la doppia attenuante
(diminuzione della pena fino ai due terzi) per le armi comuni da punta
o da taglio per le quali non sia prevista licenza, laddove detta
diminuente si applica ai reati in materia di armi comuni da sparo ed
armi da guerra (per le quali ultime, pure, non è ammessa licenza), di
potenzialità offensiva di gran lunga superiore”.
Rileva il giudice a quo che, ai sensi dell’art. 5 legge 2 ottobre
1967, n. 895, le pene stabilite per i reati concernenti le armi da
guerra o parti di esse, munizioni da guerra, esplosivi, di cui al
precedente art. 1, possono essere diminuite in misura non eccedente i
due terzi; in ogni caso la reclusione non può essere minore a sei
mesi.
Per tale limite la Corte di cassazione, dopo contrastanti
indirizzi, ha recentemente ritenuto che “lo stesso, invalicabile nel
concorso della sola circostanza di cui all’art. 5 legge n. 895 del
1967, deve servire come base per operare la riduzione conseguente alle
concesse attenuanti generiche: quindi, possibilità di scendere al di
sotto dei sei mesi, con il solo limite di cui all’art. 67, ultimo
comma, c.p.”. La diminuente – di notevolissima portata in quanto ha
effetti pratici superiori a due attenuanti, operandosi in un sol
calcolo la riduzione della pena fino a due terzi – si applica anche ai
reati in materia di armi comuni da sparo o parti di esse (art. 7 legge
n. 895 del 1967).
La Corte di cassazione ha, al riguardo, con costante indirizzo,
osservato che “un’interpretazione diversa porterebbe alla assurda
conseguenza che fatti aventi ad oggetto armi daguerra o tipo guerra o
parti di esse atte all’impiego, qualora debbano ritenersi – per la
qualità o quantità delle armi stesse – di lieve entità, sarebbero
puniti meno gravemente dei medesimi fatti caratterizzati da un’eguale
lieve entità e che abbiano ad oggetto armi comuni da sparo o parti di
esse… Cio’non può essere stato voluto dal legislatore del 1974,
perché una sì grande disparità di trattamento, oltre che irrazionale
ed illogica, sarebbe anche estremamente ingiusta”.
La diversità, prosegue il Pretore, risolto il problema perle armi
comuni da sparo, si evidenzia palesemente per gli unici reati ai quali,
per il difettoso coordinamento delle varie leggi, non si può, in sede
interpretativa, applicare la diminuente di cui all’art. 5 legge n. 895
del 1967: i reati in materia di armi comuni da punta e da taglio e,
precisamente, di armi che hanno come unica destinazione l’offesa alle
persone e che non rientrano, perciò, nell’ambito di operatività
dell’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, armi per le quali non è
ammessa licenza e che, ciò non di meno, non rientrano tra quelle da
guerra, difettando gli ulteriori requisiti richiesti per tali tipi di
arma (il pugnale, ad esempio, che per determinate caratteristiche,
presenti spiccata potenzialità offensiva, è arma da guerra, dato che
è ancora in dotazione di speciali reparti di azioni di assalto).
Fra le armi da punta e da taglio per le quali non è ammessa
licenza rientra certamente la “molletta”, il cui porto, secondo la
costante giurisprudenza, è punibile ai sensi dell’art. 699, secondo
comma, c.p., “in quanto che agli effetti dell’art. 39 t.u. della legge
di p.s., sono considerate armi proprie, oltre alle armi da sparo, tutte
le altre la cui destinazione è l’offesa alla persona” (l’art. 45 del
regolamento per l’esecuzione del t.u. delle leggi di p.s. comprende
espressamente fra gli strumenti da punta e da taglio, la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona, i pugnali e gli
stiletti per i quali non è ammessa licenza).
Per il porto di molletta, quindi, la pena minima, in forza del
combinato disposto dell’art. 699, secondo comma, c.p. e dell’art. 7
legge n. 895 del 1967 (pena aumentata al triplo) è di diciotto mesi di
arresto, “pena assai prossima a quella minima prevista – due anni di
reclusione – per il porto di armi da guerra e dei micidiali oggetti
elencati nell’art. 1 legge n. 895 del 1967, sulla cui maggiore
potenzialità offensiva nemmeno si può fare confronto”.
Ma il paradosso – prosegue il giudice a quo – è rappresentato
dall’attenuante di cui all’art. 5 che trova applicazione per le armi da
guerra, “che sono, sì, armi per le quali non è consentita la licenza,
ma con l’ulteriore elemento della loro maggiore potenzialità
offensiva; non si applica invece ai reati in materia di armi che
presentano solo il primo elemento (non ammissibilità della licenza)”.
In sede di applicazione pratica, poi, tra le varie assurdità, è
da segnalare quella che, ad esempio, si avrà in materia diporto
abusivo di sciabola, se tale arma sarà ritenuta, nel contrasto
giurisprudenziale, da guerra: la pena minima, in virtù
dell’applicazione della diminuente oggettiva di cui all’art. 5 legge n.
895 del 1967, fuori discussione in casi del genere, sarà notevolmente
inferiore (otto mesi di reclusione) a quella che si potrà irrogare nel
caso che la detta arma fosse ritenuta non da guerra.
“La conseguenza assurda è, dunque, che, in casi del genere,
l’inquadramento del reato fra quelli di cui agli artt. 1, 2, 3, 4 legge
n. 895 del 1967 determina una situazione di maggior favore,
contrariamente allo spirito della stessa legge che intese, invece,
proprio prevedere pene più severe per i reati concernenti le armi da
guerra, armi originariamente comprese tutte nell’art. 699, secondo
comma, c.p. (armi per le quali non è prevista licenza)”.
Anche in tale giudizio ha spiegato intervento la Presidenza del
Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale
dello Stato, ed ha chiesto – riportandosi sostanzialmente alle
deduzioni sub 1 – che la questione venga dichiarata non fondata.
1. – Le cinque ordinanze in epigrafe sollevano questioni di
legittimità costituzionale sostanzialmente identiche; i relativi
giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere definiti con un’unica
sentenza.
2. – La Corte è chiamata a decidere se il combinato disposto degli
artt. 697 e 699, secondo comma, c.p., 5 e 7 legge 2 ottobre 1967, n.
895, 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497, nelle parti concernenti
le pene in materia di detenzione e porto abusivo (o illegale) di armi,
contrasti con l’art. 3 della Costituzione, in quanto, a seguito dei
citati artt. 5 e 7 della legge n. 895 del 1967 (quest’ultimo nel testo
sostituito dall’art. 14 della legge n. 497 del 1974), la speciale
diminuente prevista dall’art. 5 “in misura non eccedente i due terzi
quando, per la quantità o per la qualità delle armi, delle munizioni,
esplosivi e aggressivi chimici, il fatto debba ritenersi di lieve
entità”, è applicabile nei confronti delle armi da guerra o tipo
guerra e delle armi comuni da sparo, ma non anche nei confronti delle
armi da punta e taglio di cui al secondo comma dell’art. 699 c.p.,
cioè di quelle armi da punta e taglio per le quali non è ammessa
licenza (artt. 42 regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, e 4 legge 18 aprile 1975, n. 110).
Si tratta, in particolare, degli “strumenti da punta e taglio la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti
e simili” (v. art. 45 regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, regolamento
per l’esecuzione del t.u. delle leggi di p.s., in relazione all’art. 30
di quest’ultimo, nonché gli artt. 585, secondo comma, n. 1, e 704, n.
1, c.p.), espressamente qualificati armi proprie dallostesso art. 30
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, cit., a differenza degli
strumenti da punta e taglio occasionalmente utilizzati per l’offesa
alla persona, nei cui confronti trova ora autonoma applicazione, almeno
per il porto non giustificato, l’art. 4, terzo comma, legge 18 aprile
1975, n. 110.
Ad avviso dei giudici a quibus, la minore potenzialità offensiva,
rispetto alle armi comuni da sparo e, più ancora, rispetto alle armi
da guerra o tipo guerra, delle armi da punta e taglio, comprese quelle
la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, lungi dal
giustificare la disparità di trattamento derivante dalla
inapplicabilità a queste ultime della diminuente di cui al citato art.
5, starebbe a dimostrare l’arbitrarietà del maggior favore accordato
sotto tale profilo alle armi comuni da sparo (ordinanze del Pretore di
Chiavenna) e dalle armi da guerra (ordinanza del Pretore di Napoli):
un’arbitrarietà da cui deriverebbero conseguenze assurde, dato che,
grazie all’art. 5, la pena detentiva minima applicabile a reati
concernenti le armi da guerra o le armi comuni da sparo può scendere
al di sotto della pena detentiva minima applicabile ai corrispondenti
reati concernenti le armi da punta e taglio la cui destinazione
naturale è l’offesa alla persona.
3. – Va, anzitutto, rilevato che una delle quattro ordinanze emesse
dal Pretore di Chivenna, quella del 23 novembre 1976, essendo motivata
esclusivamente per relationem ad altra dello stesso Pretore, senza
contenere, per giunta, alcun accenno all’art. 5 della legge n. 895 del
1967, ma soltanto un generico, non meglio determinato richiamo ad “una
pena di gran lunga superiore” che l’art. 699 c.p. contemplerebbe
rispetto “a quella stabilita per un porto di arma da fuoco”, manca di
riferire sui termini e sui motivi della questione proposta, come è,
invece, prescritto dall’art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n.
87. In ordine a tale ordinanza si impone, quindi, una declaratoria di
inammissibilità.
4. – Quanto alle altre ordinanze, tutte relative a procedimenti
penali per detenzione e (o) porto abusivo di coltelli a serramanico o
tipo molletta, coltelli ricompresi tra le armi da punta e taglio la cui
destinazione naturale è l’offesa alla persona, i termini, oltreché i
motivi, della questione proposta emergono con sufficiente chiarezza,
almeno per ciò che attiene alla ricostruzione della normativa vigente.
Va, tuttavia, subito osservato che la questione si pone assai
diversamente a seconda che si tratti di detenzione abusiva (o illegale)
oppure di porto abusivo (o illegale). Infatti, in ordine al primo tipo
di comportamento, la non estensibilità dell’art. 5 della legge n. 895
del 1967 alle armi da punta e taglio aventi come destinazione naturale
l’offesa alla persona non comporta affatto che le pene minime
rispettivamente applicabili nei confronti delle armi da guerra e delle
armi comuni da sparo attingano livelli inferiori alle pene minime
applicabili nei confronti delle predette armi da punta e taglio. Al
contrario, quelle pene resteranno pur sempre superiori a queste, anche
in caso di applicazione nel massimo della diminuente in esame. Per di
più, l’art. 697 c.p. prevede alternativamente la pena dell’arresto o
la pena dell’ammenda per la detenzione abusiva di armi da punta e
taglio, reato tuttora contravvenzionale, mentre gli artt. 2 e 7 della
legge n. 895 del 1967, nei testi modificati dalla legge n. 497 del
1974, prevedono congiuntamente la pena della reclusione e la pena della
multa siaper il delitto di detenzione illegale di un’arma da guerra sia
per il delitto di detenzione illegale di un’arma comune da sparo. Donde
la non fondatezza della questione per la parte riguardante l’art. 697
c.p. e le altre disposizioni concernenti la detenzione abusiva (o
illegale) di armi.
5. – Più complessa si presenta la normativa vigente per quanto
concerne le fattispecie di porto abusivo (o illegale) di armi.
A) Sotto una prima prospettiva, attenta alle cosiddette fattispecie
– base, il porto abusivo di armi da punta e taglio quali i coltelli a
serramanico o tipo molletta, in quanto “armi per cui non è ammessa la
licenza”, appare tuttora previsto come reato contravvenzionale
dall’art. 699, secondo comma, c.p., il quale, dopo il raddoppio e la
triplicazione delle pene rispettivamente operati dall’art. 7 della
legge n. 895 del 1967 e dall’art. 14 della legge n. 497 del 1974,
commina la sanzione dell’arresto da diciotto mesi a tre anni.
A loro volta, il porto illegale di un’arma da guerra ed il porto
illegale di un’arma da sparo, in origine punibile anch’essi come
contravvenzioni ai sensi dell’art. 699 c.p., sono considerati delitti,
il primo a datare dalla legge n. 895 del 1967 (art. 4) e il secondo a
datare dalla legge n. 497 del 1974 (art. 14), con la comminatoria, per
le armi da guerra, della reclusione da due a dieci anni, oltreché di
una multa, e, per le armi comuni da sparo, della reclusione da un anno
e quattromesi a sei anni ed otto mesi, oltreché di una multa ridotta
di un terzo rispetto alla multa prevista per il porto illegale di
un’arma da guerra. Tutto ciò starebbe a denotare l’adozione di un
atteggiamento legislativo ben più severo di quello rivolto alle armi
da punta e taglio, anche se non si può non rimarcare che la pena
detentiva prevista per il porto illegale di un’arma comune da sparo è
inferiore nel minimo alla pena detentiva prevista per il porto abusivo
di un’arma da punta e taglio la cui destinazione naturale è l’offesa
alla persona. Nel che si ritrova un residuo della normativa anteriore
alla legge n. 497 del 1974, allorché il porto abusivo di un’arma
comune da sparo, in quanto arma per la quale era (ed è) ammesso
richiedere la licenza, veniva punito ai sensi dell’art. 699, primo
comma, c.p. e, quindi, meno gravemente del porto abusivo di un’arma da
punta e taglio avente come destinazione naturale l’offesa alla persona.
B) Sotto una seconda prospettiva, attenta alle fattispecie
circostanziate, il porto abusivo di un’arma da punta e taglio quale un
coltello a serramanico o tipo molletta appare, in ogni senso, trattato
meno favorevolmente non solo del porto illegale di un’arma comune da
sparo, ma addirittura del porto illegale di un’arma da guerra. È
questa la prospettiva che agevolmente si coglie dall’angolo visuale
della diminuente “in misura non eccedente i due terzi” inizialmente
prevista dall’art. 5 della legge n. 895 del 1967 per (fra l’altro) il
porto illegale di un’arma da guerra e poi estesa dall’art. 14 della
legge n. 497 del 1974, che ha sostituito l’originario art. 7 della legge
n. 895 del 1967, sino a ricomprendere (fra l’altro), come è ormai
pacifico in giurisprudenza, il porto illegale di un’arma comuneda
sparo, e non anche il porto abusivo di un’arma da punta etaglio avente
per destinazione naturale l’offesa alla persona; con la conseguenza
che, di fronte ad un fatto da ritenersi di lieve entità, la pena
detentiva minima applicabile a quest’ultima figura di reato (diciotto
mesi di arresto, riducibili, in caso di concessione delle attenuanti
generiche, a dodici mesi) corrisponde ad oltre il triplo della pena
detentiva minima comminata per il porto illegale di un’arma comune da
sparo (cinque mesi e dieci giorni di reclusione, riducibili, in caso di
ulteriore concessione delle attenuanti generiche, a quattro mesi:
limite risultante dal rinvio dell’art. 7 della legge n. 895 del 1967,
quale modificato dall’art. 14 della legge n. 497 del 1974, all’art. 5
della legge n. 895 del 1967) e ad oltre il doppio della pena detentiva
minima comminata per il porto illegale di un’arma da guerra (otto mesi
di reclusione, riducibili, in caso di ulteriore concessione delle
attenuanti generiche, a sei mesi: limite espressamente previsto
dall’art. 5 della legge n. 895 del 1967). Pena, quest’ultima,
applicabile anche al porto illegale di un pugnale in dotazione di
speciali reparti d’assalto, di per sé arma da punta e taglio, per chi
segue la corrente giurisprudenziale che vi ravvisa un’arma da guerra.
6. – La questione non è fondata.
La disparità di trattamento è innegabile, ma essa non appare
così palesemente irrazionale da attingere l’arbitrarietà che
vorrebbero ravvisarvi le ordinanze di rimessione. La stessa
eterogeneità delle fattispecie a confronto, derivante dal nuovo tipo
di approccio sanzionatorio messo in atto dal legislatore, dapprima in
ordine alle armi da guerra (artt. 1 – 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895) e
poi in ordine alle armi comuni da sparo (art. 14 legge 14 ottobre 1974,
n. 497, sostitutivo dell’art. 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895,
particolarmente per quanto riguarda l’attuale primo comma), con il
trasformare in delitti comportamenti fino ad allora considerati
semplici contravvenzioni, impedisce di qualificare arbitraria una
disparità di trattamento che non si estrinseca nel solo elemento
differenziatore denunciato.
L’omessa estensione della circostanza prevista dall’art. 5 legge 2
ottobre 1967, n. 895, ai reati in materia di armi dapunta e taglio
aventi come destinazione naturale l’offesa allapersona, può ritenersi
bilanciata, almeno parzialmente, proprio dalla perdurante
classificazione quali contravvenzioni di tali reati: infatti, il
trattamento assai più favorevole che, sotto molteplici profili, il
legislatore riserva alle contravvenzioni impone di non trascurare,
nella comparazione, il peso di tali differenze. E, se è vero che
queste sono di portata generale, non mancano neppure alcune differenze
specifiche, inerenti all’entità quantitativa delle pene comminate:
basta tener presente non tanto il fatto che, per il porto abusivo di
armi da punta e taglio aventi come destinazione naturale l’offesa alla
persona, è prevista solamente la pena detentiva, mentre per il porto
illegale di armi da guerra o di armi comuni da sparo sono previste
congiuntamente sia la pena detentiva sia la pena pecuniaria, quanto e
soprattutto il fatto che nel massimo le pene detentive comminate per
questi delitti sono ben superiori alla pena comminata per quella
contravvenzione.
Tutto ciò rispecchia, in definitiva, la ratio che ha indotto il
legislatore a prevedere come delitti comportamenti in precedenza sempre
considerati contravvenzionali: una scelta politica ispirata, per quanto
riguarda le armi da guerra e le armi comuni da sparo, fonti le une e le
altre delle più gravi preoccupazioni per la loro indiscriminata
diffusione, ad un atteggiamento di deciso rigore, nell’ambito di una
normativa eccezionale, anticipatrice della legislazione d’emergenza: un
atteggiamento contrassegnato, come si è detto, dal superamento di
tutte le più favorevoli prescrizioni operanti nei confronti delle
contravvenzioni e dal brusco inasprimento qualitativo e quantitativo
delle pene. Ed è appunto tale sensibile inasprimento ad avere
suggerito al legislatore di prevedere, per i fatti di lieve entità,
meritevoli di indulgenza, un’attenuante del tutto particolare, di
portata doppia rispetto alle consuete attenuanti.
Poiché, per quanto riguarda le armi da punta e taglio aventi quale
destinazione naturale l’offesa alla persona (come era accaduto, del
resto, per le armi comuni da sparo nel periodo intercorso fra l’entrata
in vigore della legge n. 895 del 1967 e l’entrata in vigore della legge
n. 497 del 1974), il maggior rigore si è limitato ad un semplice
aumento quantitativo della pena nella forma indiretta del raddoppio e
poi della triplicazione della misura precedente, un’attenuante pari ai
due terzi avrebbe, a ben guardare, per buona parte svuotato il fatto
dello stesso aumento, unica innovazione in materia. Il che conferma la
non arbitrarietà delle sopra indicate differenze prese in
considerazione nel loro complesso e, quindi, la non fondatezza della
questione.
Provvedere ad un migliore coordinamento della disciplina esaminata
compete al legislatore, e non a questa Corte, trattandosi di
un’operazione che richiederebbe comunque un intervento complesso, di
risistemazione normativa, diretto ad incidere sulla natura e sulla
valutazione di fattispecie al momento nettamente disomogenee.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 697 e 699 C.P., e successive modificazioni
contenute nelle leggi 2 ottobre 1967, n. 895, e 14 ottobre 1974, n.
497, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,
dall’ordinanza emessa il 23 novembre 1976 dal Pretore di Chiavenna;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 697 e 699 C.P., 5 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e
10, 12 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, sollevate, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalle tre ordinanze emesse
il 22 giugno 1976 dal Pretore di Chiavenna e dall’ordinanza emessa l’8
giugno 1979 dal Pretore di Napoli.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 1982.
F.to: LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere